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Soweto Blues

Miriam Makeba
Langues: anglais, xhosa


Miriam Makeba

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[1976]
Written by Hugh Masekela
Scritta da Hugh Masekela

Miriam Zenzi Makeba, "Mama Afrika".
Miriam Zenzi Makeba, "Mama Afrika".


In occasione della morte di Miriam Makeba inseriamo questo testo per ricordare quanto si è battuta contro il regime dell'apartheid che aveva dilaniato il suo Paese.

Scrive Marcia Rosati, che ha segnalato la canzone:
Cerco da circa 10 mesi le lyrics di Soweto Blues...di Miriam Makeba, scritta dal marito Hugh Masekela a proposito degli scontri a Soweto nel 1976 dove persero la vita 600 studenti per protestare contro l'insegnamento dell'afrikaans, considerata da loro la lingua dell'oppressione.

Soweto giugno 1976. Mbuyisa Makhubu porta il corpo di Hector Pieterson, ucciso dalla polizia durante la protesta studentesca contro l'insegnamento dell'afrikaans nelle scuole
Soweto giugno 1976. Mbuyisa Makhubu porta il corpo di Hector Pieterson, ucciso dalla polizia durante la protesta studentesca contro l'insegnamento dell'afrikaans nelle scuole


Un articolo da Repubblica on line

La cantante sudafricana Miriam Makeba è morta nella clinica Pineta Grande di Castel Volturno, dove era stata trasportata dopo essere stata colta da un malore, al termine della sua esibizione al concerto anticamorra e contro il razzismo dedicato allo scrittore Roberto Saviano, a Baia Verde di Castel Volturno. "E' giusto che i suoi ultimi momenti siano stati sulla scena", ha commentato l'ex presidente sudafricano Nelson Mandela. "Le sue melodie hanno dato voce al dolore dell'esilio che provò per 31 lunghi anni. - ha detto Mandela, rendendo omaggio a una delle "madri" della lotta contro l'apartheid. - Allo stesso tempo, la sua musica effondeva un profondo senso di speranza". Roberto Saviano l'ha ricordata così: "La voce di Miriam Makeba era quello che i sudafricani dell'apartheid avevano al posto della libertà".

L'artista aveva 76 anni. Era nata a Johannesburg il 4 marzo 1932. Aveva speso tutta la sua vita per l'impegno civile ed è morta 'sul campo', a Castel Volturno, un luogo-simbolo della lotta alla criminalità ed alla sopraffazione, dove aveva voluto partecipare a tutti i costi, nonostante le non brillanti condizioni di salute, al concerto anticamorra a sostegno di Saviano.

Miriam Makeba era divenuta famosa in tutto il mondo per essersi battuta contro il regime dell'apartheid che aveva dilaniato il suo Paese, il Sudafrica. Per questo era diventata delegato delle Nazioni Unite. E non a caso il suo impegno contro la segregazione razziale, ingigantito dalla fama di cantante nota in tutto il mondo, aveva causato la reazione del governo sudafricano che, nel 1963 - in pieno regime di apartheid - l'aveva costretta all'esilio ed aveva messo al bando tutti i suoi dischi.

Per tornare in Sudafrica, Miriam Makeba dovette attendere quasi 30 anni: soltanto nel 1990, infatti, Nelson Mandela riuscì a convincerla a tornare nella terra dove era nata (sua madre era di etnia swazi e suo padre, morto quando lei aveva sei anni, era uno Xhosa). Trasferitasi prima in Europa e poi negli Stati Uniti, proprio in quella lunga fase della sua vita, espresse il meglio di sè nel campo artistico. In America Miriam Makeba incise le sue canzoni più conosciute: Pata Pata, The Click Song e Malaika.

Nel 1968 si sposò con Stokely Carmichael, un attivista per i diritti civili. Il matrimonio scatenò grandi polemiche negli Stati Uniti e la sua carriera ne subì un notevole rallentamento. Si separò dal marito - con il quale si era trasferita in Guinea - nel 1973. Nel 1985, dopo la morte della sua unica figlia, Bongi, tornò a vivere in Europa.

Nel 2005 decise di dare il suo addio alle scene e lo fece con un memorabile tour, che toccò tutti i Paesi del mondo nei quali si era esibita. Ma il destino, per l'addio definitivo, le aveva riservato un altro appuntamento. Quello che ieri sera l'ha condotta sul palco di Baia Verde, a Castel Volturno, dove un pubblico accorso per una grande testimonianza di impegno civile, le ha riservato l'ultimo, indimenticabile applauso.
Here's a song that was written for us by Hugh Masekela.
He calls it: Soweto Blues.


The children got a letter from the master
It said:
no more Xhosa, Sotho, no more Zulu.

Refusing to comply they sent an answer
That's when the policemen came to the rescue

Children were flying bullets dying
The mothers screaming and crying
The fathers were working in the cities
The evening news brought out all the publicity:

"Just a little atrocity, deep in the city"
Soweto blues
Soweto blues
Soweto blues
Soweto blues
Benikuphi ma madoda
Where were the men
abantwana beshaywa
When the children were throwing stones
Ngezimbokodo Mabedubula abantwana
when the children were being shot
Benikhupi na
Where were you?

There was a full moon on the golden city
Looking at the door was the man without pity
Accusing everyone of conspiracy
Tightening the curfew charging people with walking

Yes, the border is where he was awaiting
Waiting for the children, frightened and running
A handful got away but all the others
Hurried their chain without any publicity

"Just a little atrocity, deep in the city"
Soweto blues
Soweto blues
Soweto blues
Soweto blues
Benikuphi ma madoda
Where were the men
abantwana beshaywa
When the children were throwing stones
ngezimbokodo Mabedubula abantwana
when the children were being shot
Benikhupi na
Where were you?

Soweto blues
Soweto blues - abu yethu a mama
Soweto blues - they are killing all the children
Soweto blues - without any publicity
Soweto blues - oh, they are finishing the nation
Soweto blues - while calling it black on black
Soweto blues - but everybody knows they are behind it
Soweto Blues - without any publicity
Soweto blues - they are finishing the nation
Soweto blues - god, somebody, help!
Soweto blues - (abu yethu a mama)
Soweto blues

envoyé par daniela -k.d.- - 10/11/2008 - 18:38


WOW!!!!!!!!!dani...hai mica la bacchetta magica??? ;)

PD: 10 mesiiiiii!!!!!!!

Marcia - 10/11/2008 - 18:50


Anche io vorrei vedere Napoli e morire...indimenticabile

krzyś - 10/12/2013 - 23:08


GIU' LE MANI DA HECTOR PIETERSON !

Che dire? Certa gente ha proprio la faccia come il culo.

La prima cosa a venirmi in mente vedendo Antony Blinken deporre una corona di fiori sulla lapide in memoria di Hector Pieterson a Soweto, oggi banlieu, ieri ghetto nero di Johannesburg.

Posta all’ingresso del THE HECTOR PIETERSON MUSEUM, è sovrastata dalla foto (scattata da Sam Nzima) in cui Mbuyisa Makhubu sorregge il corpo esanime del dodicenne ammazzato il 16 giugno 1976.

Un’immagine imprescindibile della memoria delle lotte di liberazione anticoloniali.
Così come quella meno nota dei funerali di Hector con centinaia di pugni chiusi sollevati a rendergli onore (tra cui quello di Winnie Mandela, la moglie di Nelson).


Il 16 giugno 1976  centinaia di studenti (almeno 600 si calcola) vennero massacrati dalla polizia sudafricana mentre protestavano pacificamente contro l’introduzione dell’obbligo dell’afrikaans (la lingua dei dominatori boeri) nelle scuole.


Della sua partecipazione a questa manifestazione di Soweto  (dove si era trasferita in casa di una zia per poter studiare) ne avevamo parlato con Theresa Machabane Ramashamole che in quella circostanza era rimasta ferita.

Theresa ricordava di aver preso parte, suo malgrado, anche alla manifestazione di Sharpeville contro i pass, quella del 21 marzo 1960 tragicamente passata alla storia. Infatti c'era sua madre sua madre, incinta di lei di cinque mesi. Ufficialmente i morti (“colpiti alla schiena, mentre scappavano”) furono una settantina, “ma tutti sanno che in realtà furono molti di più”, ci raccontava. “Mia madre era riuscita a fuggire, anche se con il pancione correva meno veloce degli altri”.




Una vita la sua in qualche modo predestinata, segnata dalle lotte e dalla repressione. Viene ricordata anche come l’unica donna dei “Sei di Sharpeville”, arrestati negli anni ottanta per essersi trovati in una manifestazione dove un collaborazionista era stato ucciso (ma non da loro). Vennero a lungo torturati (a causa delle scariche elettriche subite Theresa non poteva avere figli e negli ultimi anni perse l’uso delle gambe) e condannati a morte. L’esecuzione venne sospesa appena 24 ore prima, quando erano già stati misurati e pesati (per stabilire il tipo di forca adatto, su misura) e poi, con la fine dell’apartheid avevano ritrovato la libertà.

Chissà cosa avrebbe pensato dell’omaggio (tardivo, ipocrita e strumentale) reso da Blinken a questo giovane vittima del colonialismo: Mi sarebbe piaciuto poterlo chiedere ma purtroppo Theresa ci ha lasciato alla fine del 2015 (così come quasi tutti i “SEI” anche per le conseguenze delle torture subite, vedi nel 2006 l’indimenticabile amico Duma Khumalo).

Tornando a Blinken, come pro-memoria ricordiamo che all’epoca gli USA erano in piena attività contro ogni forma di resistenza all’imperialismo e contro ogni lotta di liberazione che potesse intaccare, anche solo arginare i profitti delle compagnie internazionali.

Principalmente in America Latina con gli indios e i contadini  massacrati in Guatemala, il sostegno ai regimi golpisti e fascisti, l’addestramento fornito a esponenti delle squadre della morte in Salvador, Argentina, Bolivia, Cile...

Se in Sudamerica sponsorizzava l’Operazione Condor, in Africa Washington appoggiava i governi di Pretoria (suo prezioso alleato nella SATO, la “Nato del Sud”) e finanziava, insieme alla RSA, Savimbi in Angola.

Sorvoliamo pure su eventi precedenti (come la defenestrazione di Achmed Sukarno e lo sterminio in Indonesia di oltre mezzo milione di "comunisti" veri o presunti o sul golpe contro Mossadegh in Iran nel 1953) ma  - si parva licet - ricordiamo che in Europa, oltre a sostenere Francisco Franco in Spagna, gli USA supportarono il golpe dei colonnelli greci e la “strategia della tensione” in Italia.

Certo, nel 1976 l’attuale segretario di stato Tony Blinken (nato nel 1962) poteva non conoscere la sorte del suo quasi coetaneo Hector Pieterson (nato nell’agosto 1963). Ma ritengo di poter affermare - e senza timore di venir smentito - che anche in seguito la cosa non deve averlo interessato più di tanto, tantomeno turbato.
Almeno fino ad ora. Chissà perché...?






Gianni Sartori

Gianni Sartori - 9/8/2022 - 20:22




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