È un soldato stanco,
non vuole più lottare
sogna un giglio bianco
un campo da arare.
Sogna gli orizzonti,
le aurore sul mare,
infuocati tramonti,
e una patria in cui stare.
Gli chiesi: “E l’amore?”
“È un bicchiere di vino,
un battito di cuore,
un breve cammino,
un’amara avventura,
l’amore è un conflitto,
l’amore è un’abiura
e presto un relitto.
Il mio amore è un fucile,
un sasso scagliato,
è un pensiero ostile,
un martirio insensato.
È il caffè di mia madre,
rincasare la sera,
le note leggiadre
di una capinera.”
Gli chiesi:” E la pace?”
Disse: “Non la conosco.
È parola mendace,
l’inganno più losco.
È una sigaretta
che brucia e si spegne,
una barzelletta
di quelle più indegne.
Gli chiesi: “Hai ucciso
chi ti stava davanti?
Mi rispose deciso:
“I nemici eran tanti...”
“Ti han decorato?”
Disse a malincuore:
“Sì, mi hanno piantato
tre chiodi sul cuore.”
Gli chiesi: “Sei triste
di aver dato la morte?”
“Morire, qui consiste
in un tiraggio a sorte.
Il rimpianto non plana
sui campi di battaglia,
è l’odio la fontana
che disseta e ti attanaglia.
Per chi lotta e chi langue
non ci sono colombe,
ma paludi di sangue,
pallottole e tombe.
È la macabra danza
della morte sovrana
che indomita avanza
ti aggredisce e ti sbrana”.
Poi lungo la strada,
lui riprese le fila,
mi parlò d’Intifada
e di Sabra e Shatila
Di Ramallah e Betlemme,
della sua Palestina,
di Gerusalemme,
città santa e divina.
Lo udii mormorare:
“Son stanco di odiare,
stanco ormai di lottare,
non so più sperare”.
Poi gridando mi disse:
“İo vorrei come Ulisse
finalmente tornare
da mia madre e sognare”.
Ci siamo salutati.
Sognava gigli bianchi,
il bel verde dei prati
per i suoi occhi stanchi.
Il caffè di sua madre,
e ascoltare la sera
le note leggiadre
di una capinera.
non vuole più lottare
sogna un giglio bianco
un campo da arare.
Sogna gli orizzonti,
le aurore sul mare,
infuocati tramonti,
e una patria in cui stare.
Gli chiesi: “E l’amore?”
“È un bicchiere di vino,
un battito di cuore,
un breve cammino,
un’amara avventura,
l’amore è un conflitto,
l’amore è un’abiura
e presto un relitto.
Il mio amore è un fucile,
un sasso scagliato,
è un pensiero ostile,
un martirio insensato.
È il caffè di mia madre,
rincasare la sera,
le note leggiadre
di una capinera.”
Gli chiesi:” E la pace?”
Disse: “Non la conosco.
È parola mendace,
l’inganno più losco.
È una sigaretta
che brucia e si spegne,
una barzelletta
di quelle più indegne.
Gli chiesi: “Hai ucciso
chi ti stava davanti?
Mi rispose deciso:
“I nemici eran tanti...”
“Ti han decorato?”
Disse a malincuore:
“Sì, mi hanno piantato
tre chiodi sul cuore.”
Gli chiesi: “Sei triste
di aver dato la morte?”
“Morire, qui consiste
in un tiraggio a sorte.
Il rimpianto non plana
sui campi di battaglia,
è l’odio la fontana
che disseta e ti attanaglia.
Per chi lotta e chi langue
non ci sono colombe,
ma paludi di sangue,
pallottole e tombe.
È la macabra danza
della morte sovrana
che indomita avanza
ti aggredisce e ti sbrana”.
Poi lungo la strada,
lui riprese le fila,
mi parlò d’Intifada
e di Sabra e Shatila
Di Ramallah e Betlemme,
della sua Palestina,
di Gerusalemme,
città santa e divina.
Lo udii mormorare:
“Son stanco di odiare,
stanco ormai di lottare,
non so più sperare”.
Poi gridando mi disse:
“İo vorrei come Ulisse
finalmente tornare
da mia madre e sognare”.
Ci siamo salutati.
Sognava gigli bianchi,
il bel verde dei prati
per i suoi occhi stanchi.
Il caffè di sua madre,
e ascoltare la sera
le note leggiadre
di una capinera.
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