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John Cotton

Hervé Guillemer
Langue: français


Hervé Guillemer

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Hervé Guillemer: Il mio paese è il mare


Articolo a cura di Flavio Poltronieri, pubblicato nella sezione bretone di Terre Celtiche.

Hervé Guillemer è stato autore di raffinate canzoni marinare originali assolutamente di prim’ordine.

“Se mi sposerò al mar d’Armorica faremo dei bambini
saranno figli dei venti noroit e suroît
soffieranno dall’Irlanda sui paesi bretoni
vi porteranno le pasque irlandesi e i vespri spagnoli”


Canzoni le cui frasi scivolano e fuggono proprio come fanno le onde del “grand torrent” nel
Passaggio di Fromveur, tanto mirabilmente descritto da Manu Lannhuel nella canzone omonima.
Il mare non si racconta, bisogna cantarlo e le onde servono a trasportare le parole. E’ l’onda della
musica che dona al testo il suo flusso e il suo riflusso. Il canto rauco di Hervé Guillemer, suonatore di
accordéon e mélodéon, ha rinnovato il canto dei marinai incrociando i porti di Bretagna, Francia,
Europa e Québec e distillando la sua poesia al profumo marino.

Ha fondato il gruppo Boujaron negli anni ottanta e poi quello che prende il suo nome e i suoi brani sono state interpretati in quantità dalle formazioni che amano i canti del mare. Sarebbe un peccato che la sua canzone si inabissasse e àncorata si addormentasse di nostalgia con tutte le sue catene. Sul mare, quando i cieli sono bassi, i flutti diventano gli dèi e liberano i corpi dagli amori ancora vivi, dalle carezze non fatte e dai rimorsi. Le anime eretiche vengono dannate al passo di una danza gaelica. Perché quando Kalann e Morgane se ne vanno verso il loro lavoro e la notte seppellisce le insidie circolari nei flutti, la nebbia si fa lenzuolo, mentre le onde agonizzano nelle schiume tornando indietro dopo aver sbattuto sulla roccia. I goelands urlano un canto funebre, la luna si nasconde alla Pointe de Pordic come nel mare d’Iroise, tra Molène e Ouessant dove il vento spira in direzione contraria alla
corrente e spesso non resta che rivolgere gli occhi ai fari di Jument e di Kéreon. E’ stato proprio qui
che la petroliera Amodo Cadiz nel 1978 ha portato la sua maledetta marea nera.

Hervé Guillemer


Hervé Guillemer nelle sue canzoni parla di capitani che passano la notte a bere tafia nella taverna di Margarita e di marinai che quando hanno in pancia abbastanza birra da annegare le loro miserie, vanno a cercare la bella Fanchon. Perché per imbarcarsi con lei basta essere un gabbiere.
Canta di navi in partenza dalla Rada di Brest, che mettono capo a sud-ovest, per ancorare a Port-Rhu o finire imprigionate nei ghiacci dei mari artici, di scali a Macao e della follia di uomini, a caccia di capidogli, che riempie di tristezza il mare. Canta di chi va da Tenerife a Barbados a fine settembre, quando il mare prende il suo color cenere: 45 giorni sull’oceano per più di tremila miglia nautiche, unicamente a remi armati nella lontana Albione.

A terra se ne parlerà, i ricordi non cadranno nell’oblìo, dentro le taverne del porto di Aber Wrac’h.
Ci penseranno le canzoni a non far dimenticare i marinai di St-Malo morti sulla banchina di Terranova, i pescatori di merluzzo di Fecamp, Audierne, Bordeaux o Boulogne naufragati con le loro golette al largo del Borneo e sulle rive del Guatemala.

E quelle canzoni diranno che non è il capitano che sente venire il vento quando si oscura il cielo, non è lui che gira il verricello e getta gli ormeggi ma sono quelli come Jimmy Thorpes, un poveretto del porto di Liverpool che si trascinava la sera nei bistrots di Blue Hill, a cui hanno messo in mano un arpione e
che è finito in fondo all’oceano con la balena al primo colpo. Oppure Bob Hasting, un marinaio
frustato a morte per aver rubato un pezzo di pane e un quarto di vino dalla fame e dalla sete. Perchè
il suo capitano era uno spaccaossa di nome John Scott Barflow e il suo capo equipaggio un
muscoloso dai capelli rossi, assassino di marinai, sempre con un coltello in mano.

Nelle canzoni di Hervé Guillemer ci sono bei ragazzotti che hanno ucciso madre e padre, che passano le sere a gettare i pochi spiccioli per intossicarsi di whisky nelle bettole di Glasgow e si iscrivono agli uffici di collocamento portuali per poter firmare un qualsiasi imbarco a sei penny alla giornata. C’è John Harper che ha doppiato Capo Horn e costeggiato le Faukland per arrivare, con la sua fregata partita da Liverpool, nel porto di Santiago del Cile ma dopo aver visto il capo manovratore con una
giuntatrice infilzata nella schiena, molla tutto pur di tornare dalla sua Margot. E ci sono onesti operai
che lasciano i cantieri per imbarcarsi quando soffia il sacro vento del nord verso le Sette Isole, salire
su bastimenti che hanno alberi che arrivano alle nuvole con la fame nel ventre e la paura nell’anima.
Partono mezzi ubriachi a metà agosto, al tempo della Festa dei Gatti, verso il destino su bastimenti
che hanno nomi come Persévérance, Suzanne, Skarouick, Landouar, Colette, Chérie d’la Manche,
Meurik. C’è perfino un corsaro che ruba per sfamare i poveri e un pescatore della baia di
Douarnenez che sceso sui fondali per liberare l’àncora l’ha trovata incagliata nella finestra della
cattedrale d’Ys.

Sono un tesoro prezioso queste canzoni che tornano in Bassa Bretagna dai porti di Singapore, Halifax o Amburgo, da corse verso l’Oriente che durano più di un anno portando soia, cotone o vaniglia per far belle le ragazze, dopo essersi rotte i denti sul cabestano. Hervé Guillemer ha ereditato
i ricordi marinari del nonno che aveva veleggiato ovunque e se n’è andato il 22 novembre del 2015
e con lui, la sua talentuosa scrittura che talvolta, come ne “La derniere marée” sembra far eco a
quella de “Le dernier repas” di Jacques Brel. I suoi amici sono rimasti al porto di Paimpol, sulle
rocce nere in bassa marea con le sue note musicali ancorate su un pentagramma di onde.
Ecoutez, braves gens, l’histoire de John Cotton
Il était noir américain, matelot sur Les Clippers
Mais un soir, dans un bar des docks de Baltimore
Il a tué avec son couteau Jack Moore, le bosco

John Cotton
John, tu n’es qu’un nègre!
Tu laisseras ta peau, mon vieux!
Tu as touché au blanc

Ça se passait dans l’année mil neuf cent trois
John avait débarqué après trente mois de mer
Dans les bistrots de Baltimore, il avait bu
Pour oublier les coups donnés par Jack Moore

Trois mois d’escale à Baltimore et John Cotton
A dépensé tout son argent dans les bars du port
Sans oublier aussi les filles de chez Maguy
Qui lui offraient leurs jolis corps pour une pièce en or

La dernière nuit que John Cotton a passé à terre
Il l’a passée avec Jenny, la fille de Jack Moore
Mais celui-ci est devenu fou quand il a su
Qu’ sa fille avait passé la nuit avec un noir

C’est dedans la taverne de la Vieille Frégate
Qu’ils se sont rencontrés, les regards pleins de haine
Le gabier noir John Cotton a sorti son couteau
Il a tranché le cou du bosco jusqu’aux deux écoutilles

On a fait venir des juges blancs, en doutiez-vous?
Ils ont condamné John Cotton à la pendaison
Au sommet de la grand-vergue, jusqu’à ce que vienne la mort
Par un dimanche matin, au beau milieu du port

envoyé par Flavio Poltronieri - 28/10/2020 - 18:09



Langue: italien

Traduzione italiana e note di Flavio Poltronieri
JOHN COTTON

Ascoltate, brava gente, la storia di John Cotton
Era nero americano, marinaio su Les Clippers (1)
Ma una sera in un bar del porto di Baltimora
Ha ucciso con il suo coltello Jack Moore,il capo-manovratore

John Cotton
John, sei solo un nero! (2)
Lascerai la tua pelle, vecchio mio!
Hai toccato il bianco

È successo nell’anno 1903
John era sbarcato dopo trenta mesi in mare
Nei bistrots di Baltimora aveva bevuto
Per dimenticare le botte prese da Jack Moore

Tre mesi di scalo a Baltimora e John Cotton
Ha speso tutti i suoi soldi nei bar del porto
Senza dimenticare anche le ragazze da chez Maguy
Che gli offrivano i graziosi corpi per una moneta d’oro

L’ultima notte che John Cotton ha trascorso a terra
L’ha passata con Jenny, la figlia di Jack Moore
Ma questi è diventato matto quando ha saputo
Che sua figlia aveva passato la notte con un nero

È all’interno della taverna della Vieille Frégate
Che si sono incontrati, gli occhi pieni d’odio
Il ragazzo nero John Cotton ha tirato fuori il coltello
Ha tagliato il collo al capo manovratore (3)

Hanno fatto venire dei giudici bianchi, ne dubitavate?
Hanno condannato John Cotton all’impiccagione
In cima al pennone di maestra, finché non arriva la morte
Una domenica mattina, nel bel mezzo del porto
(1) visto il seguito della vicenda anche il nome inglese della nave “Les Clippers”, ovvero “Le Forbici” risulta piuttosto sinistro

(2) il testo originale francese richiederebbe la traduzione letterale “negro”, sicuramente in senso dispregiativo/razziale ma in questo caso ho privilegiato il contrasto cromatico delle parole italiane

(3) la traduzione italiana non rende la forza della violenta immagine evocata dal testo originale, meglio sarebbe dire “gli ha fatto un taglio al collo grande come un boccaporto”. Ovvero un taglio enorme poiché il boccaporto è una grande apertura presente solitamente sul ponte delle navi, tale da permettere l’accesso alle stive del carico come ad altri eventuali locali interni.

28/10/2020 - 21:31


Una sorpresa di trovare questa traduzione. Primo di cantare John Cotton in scena, Hervé evocava la tolleranza. Grazie per l'articolo.

Mark O'Spencer - 13/11/2020 - 00:12


Caro Mark, se ti interessano i canti e le storie bretoni puoi vedere altri miei articoli su:
Flavio Poltronieri - Terre Celtiche Blog


Se poi, come par di intendere, conoscevi Hervé, ti prego di contattarmi: avrei bisogno di un paio di informazioni, grazie

flavio.poltronieri@libero.it

Flavio Poltronieri - 13/11/2020 - 08:21


Mark O'Spencer - 15/11/2020 - 12:07




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