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Here We Are Nowhere

Stiff Little Fingers
Lingua: Inglese


Stiff Little Fingers

Lista delle versioni e commenti


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Johnny Was
(Bob Marley)
No More Of That
(Stiff Little Fingers)
Who Fears to Speak of Easter Week?
(Brendan Behan / Breandán Ó Beacháin)


[Fingers/Ogilvie]
Dal primo album del gruppo, "Inflammable Material", 1979.

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Stiff Little Fingers - Inflammable Material di Massimiliano Raffa
da Sentire Ascoltare

Ci vogliono due anni prima che un’opera come Inflammable Material venga al mondo. Datata 1979, esce nel periodo in cui il Punk primordiale (’77 style) sembra volgere al termine. Invece gli Stiff Little Fingers scuotono nuovamente i punkettoni, oltre all’ordine pubblico: i deliri demolitori dei concerti non si riveleranno certo un toccasana per l’establishment.

L’Irlanda degli Stiff Little Fingers non è l’Irlanda verde e boscosa delle agenzie di viaggio: la band è inserita all’interno di un contesto che più stradaiolo non si potrebbe, quattro “teppistelli pacifisti” che muovono da Belfast.
In copertina, nove icone che stanno a significare - guarda un po’ - “materiale infiammabile” preparano l’ascoltatore allo Stiff Little Fingers sound.

Suspect Device apre le danze con un'incursione musicale che avvampa subito l’atmosfera del disco. Il riff è veloce e grezzo (un po’ come tutto l’album), il ritmo assolutamente insostenibile, mentre versi quali “Tolgono la nostra libertà in nome della libertà” o “Il materiale infiammabile è piantato nella mia testa, è un dispositivo sospetto che ha lasciato 2.000 morti” regalano un esauriente spaccato della realtà.

Ci troviamo in pieno stato di emergenza, come testimonia il brano che segue l’opener: la chitarra di State Of Emergency sembra sparata da un cannone, il resto lo fa la voce sporca e abrasiva di Jake Burns, stracarica di cattiveria. L’impeto della canzone è ragguardevole e gli incroci epilettici delle due chitarre rendono onore a un testo che parla di odio e di quel “pozzo” nel quale prima o poi cadremo tutti.

Il minuto scarso della tagliente Here We Are Nowhere non fa altro che ribadire il concetto: breve e struggente il testo del brano, che fa significativamente riflettere “la società delle guerre”. Una tematica che si allarga e si precisa nella magnifica Wasted Life, uno degli inni della band, potente, nichilista, rozza e vigorosa come tutto lo standard del disco: “Io non sarò un soldato, non prenderò ordini da nessuno, non riempirò i loro fottuti eserciti, uccidere non è il mio concetto di divertimento”. Esplicita, eufonica e trucida: un anthem barricadero intriso di tumulto e insoddisfazione.
Basta una ventina di secondi a trasformare questo brano in una irruzione sonora: il disco nato contro la guerra entra in guerra, la Guerra del Punk. Sono queste le armi per la pace impugnate dagli Stiff Little Fingers, e fanno male, molto male, più di un fucile.

No More Of That, canto dei suburbi, ricorda in maniera eloquente i primissimi Clash, ma non per questo risulta poco originale; anzi, si rivelerà uno dei brani migliori del disco. Liriche scottanti, parole vomitate: un altro inno contro la guerra infervorato e mordace, con ritmi frenetici e chitarre da levare la pelle.

Barbed Wire Love è all’apparenza una canzone d’amore, ma tra le righe - protetta da una placida “orchestrazione punk” - si cela un significato recondito di sovversione politica. Il tutto sfocia in un geniale, esilarante intermezzo doo-wop (o se preferite, surf-pop) fine anni Cinquanta, con tanto di coretti e swingate.

Confusione e delirio metropolitan-punk in White Noise: un testo totalmente sballato, le chitarre a creare imponenti contorsioni e rumori. La canzone (come il titolo lascia più che intendere) è l’affermazione del rumorismo impetuoso della band: quattro strumenti e una voce che non ha paura di nulla musicano la distruzione e l’intolleranza. Il finale è coronato da un urlo a squarciagola che sguinzaglia brividi lungo la schiena.
Ritmi e liriche di Breakout sono come sempre saturi di idrofobia, ma questo brano ci trasporta con una dolcissima melodia: un’inattesa punk ballad.

E una canzone come Law And Order in tempo di guerra? Solo quattro folli potevano scriverla. Gli impavidi Stiffs ci regalano un altro pezzo da brividi, uno sputo sul sistema e sulla sua intolleranza e indolenza: è un hardcore velenoso che parla di morte e sottomissione, una denuncia contro l’infamia dell’ordine pubblico e la situazione politica dell’Irlanda del Nord (ma se le problematiche nazionali sono ben presenti e influiscono sull’album, Inflammable Material vuole essere soprattutto un’opera transnazionale, un manifesto universale del Punk)

Continuando, quanti punkettoni al mondo avranno pogato con Rough Trade? Sarebbe più lecito domandarsi quanti non lo abbiano fatto. Jake intona con la sua voce grattugiata uno sfrenato rock’n’roll all’insegna del vandalismo. Si conclude in perfetto stile punk con un finale dalla violenza assassina.
Un solenne rullante tiene un tempo di marcia, poi si unisce una sporca chitarra: è la melodia ineffabile di Johnny Was, cover di Bob Marley. La band stravolge totalmente il brano, dilatandolo in oltre otto minuti di puro genio, una lunghezza inaspettata per un gruppo punk. Un’operazione tutt’altro che priva di senso: all’interno di una song dolce e melodiosa si cela un testo disperato, soggiogato e sanguinario. Con Johnny Was gli Stiff Little Fingers cambiano i connotati al punk-rock, dando vita a qualcosa che perfeziona alcuni concetti dell’hardcore e anticipa di circa un anno e mezzo lo ska (gli stessi Bad Manners, il primo gruppo a integrare lo ska giamaicano con il punk, ammisero l’importanza di questa cover). Ingiustizia, sommossa contro il sistema, scoramento… è il capolavoro del Punk-Ska-Core.
Si giunge così alla canzone più famosa del gruppo: Alternative Ulster, il brano migliore dell’album, e non solo. Su un giro di purissimo pizza-punk si stagliano parole di ribellione e baraonda urbana... sferzante, nonostante la sua carica melodica, è un masterpiece del punk.

L’epilogo è Closed Groove, l’unico brano che introduce una certa sperimentazione. Il punk, se non nell’irriverenza delle parole, è praticamente assente. La cadenza ripetitiva della base ritmica e la voce impassibile che l’accompagna alludono alla new wave, come anche il finale, al quale rumori e sovrapposizioni regalano un’atmosfera confusa e singolare. Finché il trillo di un telefono ci accompagna freneticamente alla conclusione. L’Irlanda è finalmente libera.
Friday night's here, what's the scene?
Nothing to do, y'know what I mean?
Nothing on the telly, there is no late-night show
No shows in town, there is no place to go
Here we are nowhere, nowhere left to go

Is it a crime to be young
Cos every time we have some fun
They put us down and tell us that we're wrong
Every time they sing the same old song
Here we are nowhere maybe that's where we belong

You know it's not but what do we do
Don't look at me now I'm looking at you
And sitting there won't change a thing
Must we only wait and see what the future will bring

inviata da Riccardo Venturi - 30/8/2006 - 17:03



Lingua: Italiano

Versione italiana di Riccardo Venturi
30 agosto 2006
QUI NON SIAMO IN NESSUNO POSTO

Venerdì sera, come siamo messi?
Niente da fare, sai cosa intendo?
Niente alla tele, nessun varietà serale
Niente spettacoli in città, nessun posto dove andare
Qui non siamo in nessun posto, più nessun posto dove andare

E’ un reato essere giovani
perché ogni volta che ci divertiamo
ci fanno smettere e ci dicono che abbiamo torto
ogni volta la stessa solfa
Qui non siamo in nessun posto, forse è qui che dobbiamo stare

Lo sai che non è così ma cosa facciamo?
Non guardare me, ora io sto guardando te
Star qui seduti non cambierà un bel niente
dobbiamo solo aspettare e vedere cosa porterà il futuro.

30/8/2006 - 17:19




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