Lingua   

Lacrime d'amianto

Andrea Pennacchi
Lingua: Italiano (Veneto)


Andrea Pennacchi


Io, il fu Guido Brentan, di Aida e Bepi Brentan, nato tropo tardi par morire tropo presto in sto cazo de mondo, entrai in fabrica tropo presto par venir fora tropo tardi imbotito di male per due machie, una al polmone e una al cervelleto che in tre mesi me ga porta’ via, ma con un male, un male ca non te auguri neanc’a un can de morire così. Prima che se posa l’ultimo granelo de polvere de amianto e de Guido io voglio che si sappia che a casa mia per dire bene di un uomo non si diceva: Xe tanto bon, non si diceva: Eh, l’è tanto de cesa, el va dai preti. Si diceva: Xe un lavoradore, l’è uno che lavora e tace, uno che se consuma. A furia de lavorare non se ferma mai. E se proprio volevi dire che un’era il massimo dicevi: È bravo, è un bravo operaio, uno che sa fare, che produce cose fatte bene, che l’operaio era un gigante che camminava a grandi passi verso “il sol de l’Avvenir”. E si tirava dietro tutti gli altri, ch’ei volese o no. Alé, via verso il futuro, pedalare.

Terza media la mia educazione, figlio di contadini ma operaio dal ’66 al ’97, verniciatore, prima de treni e dopo de navi. Terra e aqua, piombo e colore ma maestro, con le mani ferme che segnava i numeri e le carrozze e rifiniva i pannelli. Io voglio che si sappia, che quando spruzzavo la pitura si alzava una nebbia potente, una nebbia potente si alzava. E voglio che si sappia che ho smontato pannelli de amianto a man e cacciavite con queste mani da maestro, col segheto e l’aria compresa perché era fatica smontarli.

Sti cazi de pannelli de amianto che veniva su una fumera de polvere grasa che non te faceva respirare. Polvere che si accumulava negli imperiali, nei pannelli de riscaldamento dei treni, polvere ansiosa de uscire, che è tanto ch’era chiusa dentro g’apena spacavi il pannello veniva fuori de boto, te salutava esplodendoti in faccia tuta alegra, libera. Finalmente l’amianto sembrava bombardo, cotone sembrava, l’unica roba innocua nell’inferno dela fabrica.

Facevamo fastidio e allora lo sapevamo, lo sapevamo che faceva male. Io voglio che si sappia: se tornava a casa con la tuta piena di quella polvere e la lavava mia moglie. Stipendio fisso, lavoro sicuro, sicuro che te fa un lavoro de merda. Noi lo sapevamo già allora, ma prima del ’92, prima della legge noi non abbiamo detto niente.

Ma quando ho visto gente che moriva ho alzato la voce. E quando il direttore ha detto: “Tranquilli, qui non c’è amianto, non c’è mai stato amianto” io ho preso una sporta de amianto e gliel’ho rovesciata sul tavolo dei dirigenti. E quando ci han dato le mascherine de cartone, quelle che trovi dal ferramenta, mascherine de misericordia, ho preteso le mascherine assolute, coi filtri anti-amianto, mi hanno denunciato per terrorismo.

E quando ho voluto fare un’assemblea per avvisare gli operai mi hanno detto: “Se si applica la legge, smembri la fabrica, affossi la fabrica. Anche i compagni me l’hanno detto:” Affossi la fabrica”. Io non voglio smembrare niente, io voglio informare “Abbiamo venduto la salute in cambio de lavoro. Ma m’han detto:” Ma con la legge 257 vai in pensione prima, e allora taci che smembri la fabrica, terrorista, comunista, rompicojoni”.
E quello che contesta, quello che alza la voce, lo mettono in un angolo e gli fan fare i lavori peggio, lo separano dagli altri perché se no li contagia. La contestazione è l’unica malattia che te preocupa in fabrica e se hai tutti contro dopo un po’ ti stufi, dopo un po’ ti stufi. La polvere la soffi via dalla tuta prima di andare in mensa, con la pistola ad aria compressa e la lasci libera di andare in giro. E quando ti soffi il naso, è nero da far paura, nero che non è normale e tossisci la notte.

E io ho saputo che la mia asma era cattiva solo negli anni ’90 quando si è ammalato Tognon che calava i pannelli con me, che sembrava silicosi. Dopo niente, vien fuori che è amianto. A me mi han dato 21mila euro, che forse ho fatto male a prenderli ma oh, ci ho e sghei. E adesso mi metterei a piangere se non fosse che ho paura di piangere amianto e de rimetterlo in libertà, sta bestia canchera. E domani, e dopodomani, e dopodomani a passo de lumaca viene avanti il tempo che me magna. E tutti i nostri ieri hanno fatto luce sulla stradella che me porta, cojoni che semo. Dalle parti della polvere della morte hai le candele smorzate, candelete smorzate. [1]
[1] Trascrizione di Riccardo Gullotta.



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