Lingua   

Íslensk vögguljóð á Hörpu

Halldór Kiljan Laxness
Lingua: Islandese


Halldór Kiljan Laxness

Lista delle versioni e commenti


Ti può interessare anche...

Friðarsöngur
(Helga Ágústsdóttir)
Sofðu unga ástin mín
(Jóhann Sigurjónsson)


[1928]
Halldór Kiljan Laxness orti í San Fransískó, Bandaríkin
Poesia di Halldór Kiljan Laxness scritta a San Francisco, USA
A poem by Halldór Kiljan Laxness written in San Francisco, US
Poème de Halldór Kiljan Laxness écrit à San Francisco, États Unis
Halldór Kiljan Laxnessin kirjoittama runo San Franciscossa, Yhdisvalloissa
Tónlist / Musica / Music / Musique / Sävel:
Íslenskt fólklag / Melodia popolare islandese / Icelandic folk tune / Mélodie populaire islandaise / Islantilainen kansanmusiikki
(Hallgrímur Helgason / Jakobína Thorarensen 1905-1981)

Halldór Kiljan Laxness (1902-1998)
Halldór Kiljan Laxness (1902-1998)


Figura multiforme e controversa, amatissimo e odiatissimo, passato dal monachesimo in un convento benedettino in Lussemburgo all'adesione al socialismo e al comunismo (da cui si allontanò dopo la rivolta ungherese del 1956), pacifista a oltranza, poi buddista, narratore dotato (e spesso fluviale) nella sua lunghissima vita, polemista, rinnovatore della prosa, strenuo cantore degli “ultimi” e dei dimenticati e persino inventore di una nuova ortografia della sua lingua materna: questo è stato Halldór Guðjónsson, più noto come Halldór Kiljan Laxness (1902-1998) e premio Nobel per la letteratura nel 1955 (l'unico mai assegnato ad uno scrittore e poeta islandese). All'epoca in cui in Islanda era ancora legale assumere dei cognomi al posto del patronimico, scelse di chiamarsi “Kiljan” in onore del monaco irlandese San Killian (degli eremiti irlandesi erano stati i primi abitatori dell'Islanda ancor prima della Landnám dell'874) e “Laxness” dal nome della fattoria (“penisola del salmone”) in cui aveva vissuto da bambino. L'autore di Salka Valka, Gente indipendente, La campana d'Islanda e altri capolavori della letteratura islandese del XX secolo divenne una sorta di 'monumento nazionale' ben prima della sua morte; ma un 'monumento' che, nella sua vita, ne ha realmente passate di tutti i colori, 'provando e riprovando' un po' di ogni cosa e girando il mondo, ma rimanendo sempre e profondamente ancorato alla sua isola di vulcani e ghiacciai in mezzo all'Oceano (“L'Islanda è la mia nave”, ebbe a dire). Gli ultimi suoi anni se li passò oramai vinto dal morbo di Alzheimer.

Nel 1928 si trovava negli Stati Uniti, a San Francisco. Dopo l'esperienza monacale ('totalizzante' per un certo periodo: si era convertito al cattolicesimo, propugnando anche il ritorno di tutti i paesi riformati alla Chiesa di Roma), di punto in bianco aveva perso la sua ferrea fede ed era emigrato negli USA, dove si era avvicinato ai problemi e alla vita del proletariato industriale e degli immigrati, aderendo agli ideali socialisti (decisiva in questo fu anche la lettura del “Tallone di Ferro” di Jack London). Ben presto iniziò una critica feroce alla società capitalista americana, e la cosa passò talmente poco inosservata che il governo americano lo dichiarò persona non grata e lo espulse, forse l'unico islandese che sia mai stato cacciato fuori dagli USA. Sí, perché, negli USA e in Canada, di islandesi e di discendenti di islandesi ce ne sono tanti, almeno relativamente alla scarsa consistenza numerica del popolo islandese (attualmente sono circa 360.000). Emigrati, come tanti e tanti altri milioni e milioni di Europei affamati e senza lavoro nella Storia.

Chi ha in mente l'Islanda attuale del benessere e dell'estremo progresso sociale, nonostante la crisi bancaria del 2008 che peraltro ha provocato una vera e propria rivoluzione, forse conosce poco o punto la storia di quel Paese. E' una storia di fame e di emigrazione secolare, da una terra da sempre in preda alle catastrofi naturali che, in certi periodi, hanno portato la popolazione sull'orlo dell'estinzione. Tra le periodiche carestie provocate dagli iceberg groenlandesi, le eruzioni vulcaniche con le conseguenti e terribili inondazioni provocate dallo scioglimento dei ghiacciai (solo quella del vulcano Laki nel 1783 provocò diecimila morti, un terzo della popolazione islandese di allora) e il Monopolio Commerciale imposto dalla Danimarca, durato circa due secoli (durante il tremendo einokunartíð l'imposizione di poter commerciare soltanto con la Danimarca, e a prezzi da fame, portò allo strangolamento totale dell'economia islandese: una perfetta e assoluta forma di colonialismo), gli islandesi sono emigrati a decine di migliaia, e questo non solo nel XVIII secolo, ma fino a tutta la prima metà del XX. Lo aveva ben presente Halldór Laxness, quando nel 1928, lontano dall'Islanda, scrisse questa deliziosa e triste poesia dedicata a chi emigrava ed era emigrato: lo Íslensk vögguljóð á Hörpu (“Ninna-nanna islandese nel mese di Harpa”). Nel calendario tradizionale islandese, in parte ancora in uso, il mese di Harpa (che vuol dire sì, “arpa”, ma il cui nome deriva forse da un'antica divinità di cui si è persa memoria) va circa dalla metà di aprile a circa la metà di maggio ed è considerato il primo mese d'estate (il primo giorno di Harpa è festa nazionale in Islanda: è il Sumardagurinn fyrsti, ovvero il “primo giorno d'estate” anche se a metà aprile la temperatura è non di rado sottozero).

C'è una famosa quartina di un poeta islandese che dice, in traduzione: “Bizzarro è il popolo islandese: / Tutto quel che ha vissuto, / Il suo pensiero e la sua condizione / L'ha messo in poesia e lo ha scritto”. Il poeta si chiamava Stefán Stefánsson, ed era, guarda caso, un emigrato. In Canada, nel Manitoba precisamente, dove aveva ufficialmente assunto il nome di “Stephan G. Stephansson” col “ph” e così scriveva, ma esclusivamente e rigorosamente in islandese. Messo in poesia e scritto e, aggiungo, messo in musica. In un modo spesso particolare: è una cosa, questa, che gli islandesi condividono ad esempio con i greci. Ma mentre i greci preferiscono far mettere in musica la loro grande poesia da grandi compositori (si pensi solo a Theodorakis, Hatzidakis o Markopoulos), gli islandesi attingono al loro ricchissimo patrimonio di musica popolare, adattandole i versi dei poeti. Così è stato per la “Ninna-nanna islandese” di Halldór Laxness, che si canta su una anonima (e bellissima) melodia raccolta alla fine degli anni '70 nei dintorni di Reykjavík da un giovanissimo artista di belle speranze, Hallgrímur Helgason con l'aiuto della folksinger Jakobína Thorarensen (1905-1981). Vi dice qualcosa il nome di Hallgrímur Helgason? Ma certo: il giovane di belle speranze è diventato uno dei più famosi scrittori islandesi, internazionalmente noto, l'autore di 101, Reykjavík (tradotto anche in italiano) da cui è stato tratto anche un film.

funiDella “Ninna-nanna islandese”, comunemente, si cantano solo alcune strofe (in particolare la prima, la seconda e l'ultima); ed è un peccato, perché se ne perde la vera natura. In questa pagina ci si attiene alla versione completa e non potrebbe essere altrimenti. Si rimanda in particolare, con un link audio, alla versione di Bára Grímsdóttir nell'album Funi del 2004 (sulla cui copertina, non a caso, compare un'antica fotografia di una famiglia di emigrati islandesi). Quanto a Halldór Laxness (che era nato nel mese di Harpa: il 23 aprile 1902), le sue principali opere sono ambientate in quel diciottesimo secolo, secolo di fame, di eruzioni, di banditi e di condannati a morte che scappano (come lo Jón Hreggviðsson della “Campana d'Islanda”). Secolo in cui il grazioso sovrano danese aveva proposto di deportare tutti gli islandesi in Danimarca e aveva fatto chiudere definitivamente (sebbene oramai ridotto a una farsa folkloristica) il glorioso Alþingi, il primo libero parlamento della Storia che si era riunito per la prima volta a Þingvellir nell'anno 930. Quando, in quegli anni, il celebre linguista danese Rasmus Rask, che si era recato in Islanda per imparare l'islandese (una delle 27 lingue che conosceva), sbarcando a Reykjavík si era sentito disperato: tutti parlavano solo danese e pensava che l'islandese fosse vicino all'estinzione. Fortunatamente non è stato così. Ora l'Islanda è diventata pure parecchio “di moda”: ci vanno tutti a vedere la “natura selvaggia” e a fare le foto dei ghiacciai, delle spiagge nere, della Gullfoss e dei ghiacciai, noleggiando SUV per farsi lo Hringvegur e comprando le magliette con sopra la pronuncia esatta di “Eyjafjallajökull” dopo un panino al Bæjarins Beztu Pylsur e prima di gettarsi nell'assai alcolica movida di Reykjavík, lamentandosi peraltro invariabilmente che l'Islanda è carissima e ha dei prezzi spaventosi. Fino a non molto tempo fa, però, in Islanda c'erano solo due alternative: o pescare, pescare e pescare, aspettando di farsi spazzare via dal vulcano arrabbiato di turno, o emigrare. [RV]
Ég skal vaka og vera góð
vininum mínum smáa,
meðan óttan rennur rjóð,
roðar kambinn bláa
og Harpa sýngur hörpuljóð
á hörpulaufið gráa.

Stundum var í vetur leið
veðrasamt á glugga;
var ekki einsog væri um skeið
vofa í hverjum skugga?
Fáir vissu að vorið beið
og vorið kemur að hugga.

Sumir fóru fyrir jól,
-fluttust burt úr landi,
heillum snauðir heims um ból
hús þeir byggja á sandi.
Í útlöndum er ekkert skjól,
-eilífur stormbeljandi.

Þar er auðsýnt þurradramb
þeim sem út er borinn,
eingin sól rís yfir kamb
yfir döggvuð sporin.
Þar sést hvorki lítið lamb
né lambagras á vorin.

Þá er börnum betra hér
við bæarlækinn smáa,
í túninu þar sem trippið er.
Tvævetluna gráa
skal ég góði gefa þér
og gimbilinn hennar fráa.

Og ef þig dreymir ástin mín,
Oslóborg og Róma,
vængjaðan hest sem hleypur og skín,
hleypur og skín með sóma,
eg skal gefa þér upp á grín
alt með sykri og rjóma.

Einsog hún gaf þér íslenskt blóð,
úngi draumsnillíngur,
megi loks hin litla þjóð
leggja á hvarm þér fingur,
-á meðan Harpa hörpuljóð
á hörpulaufið sýngur.

inviata da Riccardo Venturi (Rikarður V. Albertsson) - 21/10/2019 - 14:24




Lingua: Italiano

Þýtt hefur á ítölsku / Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Venturi (Rikarður V. Albertsson), 21-10-2019 14:34

NINNA-NANNA ISLANDESE NEL MESE DI HARPA

Veglierò e sarò buono
Coi miei piccoli amici,
Mentre, rosso, scorre il terrore
E il picco blu si arrossa,
E Harpa canta un canto di primavera
Sulla grigia foglia che arpeggia.

Talvolta, l'inverno passato,
Il maltempo batteva alla finestra;
Non era come se, per un po',
Si celassero spettri in ogni ombra?
Pochi sapevano che la primavera aspettava,
E la primavera arriva a confortare.

Qualcuno era partito prima di Natale,
Se n'era andato via dal paese
Senza alcun conforto, in tutto il mondo
Costruisce case sulla sabbia.
In terre straniere non trova rifugio,
E infinita infuria la tempesta.

C'è di certo scarsa gioia
Per chi è derelitto,
Non c'è sole sopra il picco
Sulle orme bagnate di rugiada.
Là non si vede né un agnellino,
Né pascoli in primavera.

Per i bambini è meglio qui
Vicino al ruscello della fattoria,
Nel campo dove c'è il cavallino.
Ti darò, se sarai buono,
Il grigio di due inverni
E il loro veloce puledro.

E se, amore mio, sognerai
Di Oslo e di Roma, io ti darò
Un cavallo alato che galoppa e risplende,
Che galoppa e risplende glorioso,
E poi ti darò per farti star bene
Tutto quanto con lo skyr e con la panna.

E poiché ti ha dato sangue islandese,
Mio piccolo e bravo sognatore,
Che almeno questo piccolo popolo
Possa asciugarti le lacrime
Mentre Harpa canta un canto di primavera
Sulla foglia che arpeggia.

21/10/2019 - 14:35




Lingua: Inglese

Þýtt hefur á ensku / English translation / Traduzione inglese / Traduction anglaise / Englanninkielinen käännös:
Riccardo Venturi (Rikarður V. Albertsson), 21-10-2019 14:38
ICELANDIC LULLABY IN THE MONTH OF HARPA

I shall wake and be good
To my little friends,
While terror flows red
And red turn the blue peaks,
While Harpa sings a springtime song
On the harp of grey leaves.

In the past winter, sometimes
Weather knocked at the window;
Wasn't it, just for a time,
As if ghosts hid in every shadow?
Few knew that spring awaited,
And spring comes to comfort.

Some left before Christmas,
Moved out of the country,
Comfortless, around the world,
They built houses on sand.
They find no shelter in other lands,
An endless storm is raging.

There's certainly little joy
For those who are outcast,
No sun rises above the peaks
On their footsteps wet with dew.
There you won't see any lamb
Or springtime pastures.

Children would better stay here
By the village brooklet,
In the fields with a pony.
I'll give you, if you are good,
The grey of two winters
And their fast foal.

And, my darling, if you dream
Of Oslo and Rome, I'll give you
A winged horse running and shining,
Running and shining gloriously,
And then, to make you feel good,
I'll give you skyr and cream.

And since you were given Iceland's blood,
My little and good dreamer,
May, at least, this little people
Wipe away all your tears
While Harpa sings a springtime song
On the harp of grey leaves.

21/10/2019 - 14:38




Pagina principale CCG

Segnalate eventuali errori nei testi o nei commenti a antiwarsongs@gmail.com




hosted by inventati.org