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Sherko Bekas
Lingua: Curdo (Sorani)


Sherko Bekas

Lista delle versioni e commenti


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Zhmardn

Lorenzo Orsetti (1986-2019) ucciso mentre combatteva l'ISIS al fianco dei curdi
Lorenzo Orsetti (1986-2019) ucciso mentre combatteva l'ISIS al fianco dei curdi


Poesia musicata in italiano dalle Soda Sisters
ﺋﻪﮔﻪﺭ ﺗﻮﺍﻧﯿﺖ ، ﯾﻪﻛﻪ ﯾﻪﻛﻪ
ﮔﻪڵاﯼ ﺋﻪﻭ ﺑﺎﺧﻪ ﺑﮋمێرﯼ !
ﺋﻪﮔﻪﺭ ﺗﻮﺍﻧﯿﺖ ﻫﻪﺭﭼﯽ ﻣﺎﺳﯽ
ﮔﭽﻜﻪ ﻭ ﮔﻪﻭﺭﻩﯼ
ﺋﻪﻭ ڕﻭﻭﺑﺎﺭﻩﯼ ﺑﻪ ﺑﻪﺭﺩﻩﻣﺘﺎ تێئەﭘﻪڕێ
ڕﯾﺰ ﮊمێر ﻛﻪﯼ !

ﺋﻪﮔﻪﺭ ﺗﻮﺍﻧﯿﺖ ﻟﻪ ﻭﻩﺭﺯﯼ کۆﭼﯽ ﺑﺎڵندﻩﯼ
ﺑﻪﺭﻩﻭﮊﻭﻭﺭ ﻭ ، ﺑﻪﺭﻩﻭﺧﻮﺍﺭﺩﺍ
ﺑﻪﺭﻩﻭﺧﻮﺍﺭ ﻭ ، ﺑﻪﺭﻩﻭﮊﻭﻭﺭﺩﺍ
ﯾﻪﻛﻪ ﯾﻪﻛﻪ
ﻣﻪﻝ ﻭ ﺑﺎڵندﻩ ﺑﮋمێرﯼ !

ﺋﻪﻭﺍ ﻣﻨﯿﺶ ﺑﻪڵێن ﺋﻪﺩﻩﻡ
ﯾﻪﻛﻪ ﯾﻪﻛﻪ
ﻫﻪﺭﭼﯽ ﻗﻮﺭﺑﺎﻧﯽ ﺋﻪﻡ ﺧﺎﻛﯽ ،
ﻛﻮﺭﺩﺳﺘﺎﻧﻪ ﺷﯿﺮﯾﻨﻪﯾﻪ
بۆﺕ ﺑﮋمێرﻡ !

inviata da Dq82 - 20/3/2019 - 16:12




Lingua: Curdo (Kurmanji)

Traslitterazione
JIMARTIN

Eger karibî
guliyên vî baxî
yek bi yek bijmêrî!
Eger karibî
hemû masiyên gir û hûr
yên nava çemê pêşberî xwe bijmêrî!

Eger karibî
dema koçberiya teyran
yên ber bi jêr û ber bi jor ve
yên ber bi jor û ber bi jêr ve
yek bi yek bijmêrî

wê demê ez jî soz didim
heçî qurbanên
vê axa şîrîn ya Kurdistan
yek bi yek
bo te dijmêrim.

inviata da Dq82 - 20/3/2019 - 16:15




Lingua: Italiano

Traduzione italiana da lyricstranslate.com
NUMERI

Se sai contare
le foglie di questa foresta
se sai contare
tutti i pesci, grandi e piccoli,
del fiume che scorre qui davanti

se sai contare
gli uccelli al tempo della migrazione
dal Nord al Sud
e dal sud al Nord
allora scommetto

che anch’io riuscirò a contare
i martiri della mia terra,
il Kurdistan.

inviata da Dq82 - 20/3/2019 - 16:17




Lingua: Italiano

Versione delle De' Soda Sisters

Una canzone per il Rojava (2017)
Rojava

NUMERI

Se sai contare
Se sai contare
Se sai contare
le foglie di questa foresta
Se sai contare
Se sai contare
Se sai contare
tutti i pesci, grandi e piccoli,
Se sai contare
Se sai contare
Se sai contare
del fiume che scorre qui davanti
Se sai contare
Se sai contare
Se sai contare

Il Kurdistan
Il Kurdistan
Il Kurdistan

Se sai contare
Se sai contare
Se sai contare
gli uccelli al tempo della migrazione
dal Nord al Sud
e dal sud al Nord
dal Nord al Sud
e dal sud al Nord
dal Nord al Sud
e dal sud al Nord
allora scommetto
che anch’io riuscirò a contare
i martiri della mia terra,
il Kurdistan.
Il Kurdistan
Il Kurdistan

inviata da Dq82 - 20/3/2019 - 18:36


Un aiuto da Riccardo: il titolo traslitterato che ho trovato in rete è Zhmardn mentre i video sono solo di Mrdn a senso ho dato per scontato che fosse la stessa poesia ma con traslitterazioni diverse.

Dq82 - 21/3/2019 - 11:20


E' la prima che hai detto. Ma la vera "traslitterazione" è "Jimardin", come nell'alfabeto latino kurmanji di cui hai dato la versione. "Zhmardn" è una traslitterazione "bruta" dall'alfabeto arabo curdo-sorani (sorani = siriano).

Riccardo Venturi - 21/3/2019 - 16:22


CURDI: DOPO IL TERREMOTO, LA SOSTITUZIONE ETNICA?
Gianni Sartori


Tra gli effetti collaterali del terremoto del 6 febbraio esiste anche quello di un possibile “cambiamento demografico” (leggi: sostituzione etnica) nelle regioni maggiormente colpite. Fino al momento del sisma abitate prevalentemente da curdi alawiti (seguaci dell’alevismo, corrente islamica di derivazione sciita).

Preoccupanti le prospettive, per esempio, per le popolazioni curde alawite di Pazarcik e di Elbistan (provincia di Kahramanmaras/Gurgum). Già fortunosamente sopravvissute ai pogrom degli anni settanta, in particolare nel dicembre del 1978 (coincidenza: appena dopo la fondazione del PKK) quando oltre un migliaio di curdi-alawiti vennero brutalmente ammazzati e molti altri costretti alla fuga, disperdendosi sia in altre regioni della Turchia che in Europa.

Ora in qualche modo Ankara sembra volerci riprovare avendoli - di fatto - abbandonati a se stessi dopo il 6 febbraio. Nella malcelata speranza che se ne vadano altrove, sradicandosi per sempre dalle terre ancestrali.

Come hanno ricordato esponenti di HDP “l’epicentro del sisma si collocava a Maraş, regione curdo-alewita che negli anni settanta aveva già subito l’emorragia di una massiccia emigrazione (a causa dei citati pogrom nda) e che ora ha perso in gran parte i mezzi di sussistenza”.

Senza dimenticare che proprio nella regione di Maraş, era già stata avviata la costruzione di campi profughi per gli immigrati arabi sunniti provenienti dalla Siria. In vista di un cambio demografico (leggi sempre: sostituzione etnica, espulsione) che - a questo punto - il terremoto potrebbe aver favorito.

Il timore di un ulteriore spopolamento, oltre che dal Partito democratico dei popoli (HDP), è stato espresso dalla Commissione per gli affari internazionali e religiosi dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK).

Rivolgendo all’opinione pubblica internazionale un appello di solidarietà con queste comunità a rischio e per evitarne la dispersione.

Analoga richiesta di vigilare sui trasferimenti più o meno forzati della popolazione quella sollevata dal Centro di coordinamento di crisi di Amed (Diyarbakır, con oltre 400 vittime accertate) in una conferenza stampa nel distretto di Payas (Kayapinar). Il Centro è sorto dalla collaborazione tra vari partiti (oltre a HDP, il Partito democratico delle regioni, il Partito della sinistra verde…) e alcune Ong.

L’esponente di HDP Gülistan Atasoy ha innanzitutto ricordato e onorato le decine di migliaia di vittime del sisma e i milioni di sfollati. Per poi denunciare le “carenze causate dalla mentalità centralista del governo AKP/MHP, capitalista, avido di denaro e immorale”. Precisando che se a Diyarbakir sono crollati “solo” sei edifici (ma sarebbero oltre duemila quelli danneggiati, una cinquantina quelli irrecuperabili) i morti accertati risultano ben 409. Una conferma delle criminali operazioni di speculazione edilizia già denunciate anche prima del sisma*.

Tuttavia “la solidarietà del popolo è fonte di speranza, fondamentale di fronte alla visione militarista dello Stato”.

Purtroppo Diyarbakir, come tante altre città e villaggi curdi, è amministrato direttamente dal ministero degli interni che ha sostituito arbitrariamente i sindaci e i consiglieri comunali eletti dalla popolazione. E questo, fatalmente, ha reso più complicato l’intervento dei soccorsi.

Del resto anche in questa situazione apocalittica, il governo turco (definito “vile, egoista e misantropo”) non si sarebbe preoccupato d’altro che del “mantenimento del proprio potere”.

Di sicuro non si risparmia nelle condanne ai gestori del potere l’ Unione delle Comunità del Kurdistan. Sostiene che la ragione per cui molti aiuti mobilitati dopo il terremoto sono stati di fatto bloccati sarebbe “l’identità curdo-alewita delle popolazioni colpite”. Un’identità che si vorrebbe eliminare (“vista come un nemico da distruggere”). Tanto che “le distruzioni e le vittime sono viste dal governo come un’opportunità favorevole alla politica genocida già applicata in passato”. 

Da parte sua il co-presidente del Partito della sinistra verde, Abbas Şahin, ha voluto ricordare che c’era stato un precedente. Infatti “l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo, il partito di Erdogan nda) era arrivato al potere nel 1999 dopo il terremoto con l’evidente mancanza di misure di sicurezza nella regione di Marmara”. Ma a 23 anni di distanza l’AKP sembra non aver imparato la lezione. Proseguendo nella nefasta opera di devastazione ambientale e di sfruttamento, sia delle risorse naturali che delle popolazioni “alla ricerca del profitto e accettando la logica del massacro, delle stragi al fine di arricchire ulteriormente una minoranza di suoi sostenitori e collaborazionisti”. Di fronte allo spettacolo di un dramma incommensurabile “il potere politico tenta di sfuggire alle sue responsabilità con la solita politica del controllo e del consenso e definendo il sisma come la catastrofe del secolo (e come tale imprevedibile secondo le autorità turche nda)”.

Ma il popolo sa “riconoscere quale sia la realtà dei fatti”. 

Con la sua “politica del giorno per giorno, protesa solo alla conservazione del potere, l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) è diventato il carnefice di decine di migliaia di persone”.

Con i ripetuti condoni e amnistie nel settore edilizio, centinaia di migliaia di abitazioni hanno ottenuto il permesso di costruzione in zone non adeguate (notoriamente ad alto rischio sismico), senza controlli e sorveglianza. Questa politica a breve termine “fondata sui profitti ha rappresentato un disastro per la nostra società”.

Dato che al peggio non c’è limite, ora si profila l’eventualità che “qualcuno” abbia l’intenzione di approfittare anche degli aiuti.

Informava il Centro di coordinamento che molte forniture per gli aiuti urgenti (alimenti caldi, coperte…) erano state rese disponibili fin dal primo momento. Grazie al lavoro di migliaia di volontari che si erano spinti fino ai villaggi più lontani. Da Diyarbakir erano partiti centinaia di camion stipati appunto di tali forniture d’emergenza. E invece “lo Stato e il governo che per almeno tre giorni non si erano fatti vedere nei luoghi colpiti dal sisma, hanno cominciato a confiscare le forniture di soccorso”. Allo scopo, secondo il Coordinamento di “arricchirsi”.

Con una “mentalità usurpatrice ben conosciuta dal nostro popolo”.

Per le decine di migliaia di persone le cui abitazioni sono ora inagibili, il governo ha proposto il loro trasferimento dalla città di Diyarbakir a quella di Antalya. Un metodo, denunciava Abbas Şahin che “a noi fa tornare in mente la politica di reinsediamento (leggi migrazione forzata, deportazione nda) già sperimentata alla fondazione della Repubblica”.

Quanto alla soluzione provvisoria, una tendopoli di oltre ventimila tende “espone la popolazione, oltre che all’isolamento sociale, ai rischi sia di epidemie che di inondazioni (sorgerebbe in prossimità del Tigri nda)”.

Ma soprattutto, per l’esponente di HDP Zeyyat Ceylan:

“Noi dobbiamo continuare a vivere qui, nel nostro paese, qualsiasi cosa succeda. Il fatto che ci siano state cosi tante vittime è dovuto alla mancanza di precauzioni, di difese. Noi difenderemo sempre la vita sul posto. Senza il regime di amministrazione forzata, queste carenze non esisterebbero.Le comunità amministrate con la forza non sono in grado di risollevarsi autonomamente”.
Per cui appare evidente che “lo Stato turco ha fallito nella sua missione”.

In compenso la solidarietà a Diyarbakir è una realtà concreta “costruita nel corso di 50 anni di lotte. Il nostro rimedio è il nostro popolo. Prendiamoci cura gli uni degli altri, uniamo le nostre mani nella solidarietà” concludeva Zeyyat Ceylan.

Per continuare a vivere nella propria terra senza mai rinunciare alla propria identità.

Gianni Sartori

* nota 1: si veda qui.

Gianni Sartori - 22/2/2023 - 16:05


In nemmeno cinque mesi (126 giorni) il regime iraniano ha giustiziato circa 200 prigionieri. In prevalenza curdi (51) e beluci (42).

L’8 maggio altri due impiccati per “blasfemia”.

IRAN: IL BOIA NON VA IN FERIE

Gianni Sartori

Secondo i dati forniti dall’Ong Hengaw sarebbero circa 200 (199 quelli finora accertati e identificati) le persone giustiziate quest’anno in Iran. Con una netta prevalenza di curdi (51) e beluci (42). Ossia il 55% del totale.

Tenendo conto che di altri 31 impiccati dal regime nel 2023 finora non è stato possibile accertare l’identità e la provenienza (5 sarebbero stranieri).

L’incremento delle condanne a morte e delle esecuzioni ha coinciso con le proteste dilagate nel paese per l’assassinio il 16 settembre 2022 di Jina Amin (che i media si ostinano a chiamare solo con il nome imposto dall’anagrafe iraniana - Mahsa - cancellandone di fatto l’identità curda).

Complessivamente nel 2022 vi sarebbe stato un incremento delle esecuzioni del 75% rispetto all’anno precedente.

Ovviamente non tutti i giustiziati sono dissidenti, oppositori o prigionieri politici. In vari casi si tratta di detenuti comuni (anche curdi e beluci naturalmente) accusati di reati come omicidio o spaccio di stupefacenti.

Tra le ultime esecuzioni quelle di due presunti “blasfemi” - Sadrollah Fazeli Zarei e Youssef Mehrdad - impiccati l’8 maggio nella prigione di Arak.

Arrestati nel 2020, venivano accusati di aver bruciato copie del Corano e per aver gestito piattaforme in rete in cui avrebbero denigrato la religione (“insulto al profeta”) e propagandato l’ateismo. Oltre ad aver offeso i dirigenti iraniani.Accuse che gli avvocati dei due avevano regolarmente respinto. Ma tant’è…

Per l’organizzazione Iran Human Rights, oltre che di un “atto crudele”,si è trattato di un “evidente insulto alla libertà di espressione”. Va anche ricordato che le condanne a morte per blasfemia sono (erano?) relativamente rare. Per cui la notizia potrebbe anche segnalare un possible ulteriore inasprimento repressivo.

Oltre a quelle, legittime e sacrosante, di Amnesty International, contro le due ultime esecuzioni si sono levate anche le proteste di Washington.

Verrebbe quasi da sorridere (se la cosa non fosse tragica) nel sentire i portavoce statunitensi recriminare sulle esecuzioni capitali in Iran - o altrove - quando negli USA (in vari Stati, con diverse modalità) sono praticate con regolarità. Sollevando il legittimo sospetto che le decisioni delle giurie possano risentire di atteggiamenti discriminatori, razzisti. A scapito soprattutto di minoranze, emarginati, classi subalterne. Mentre in Russia, (la “famigerata” Russia) la moratoria è in vigore ormai da quasi un trentennio. Anche se, vista l’attuale situazione, un possibile ripristino sarebbe in discussione. Ma così va il mondo…a geometria variabile. Si tratti di autodeterminazione dei popoli, diritti umani o ambientalismo.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 10/5/2023 - 13:09




Lingua: Italiano

Versione dei Radio Torre Sound System

Una canzone per il Rojava (2017)
Rojava
Numeri

Se sai contare
le foglie di questa foresta
se sai contare
tutti i pesci, grandi e piccoli,
del fiume che scorre qui davanti
se sai contare
gli uccelli al tempo della migrazione
dal Nord al Sud
e dal sud al Nord
allora scommetto
che anch’io riuscirò a contare
i martiri della mia terra,
il Kurdistan.

inviata da Dq82 - 16/3/2024 - 19:16




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