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Vajont: La ballata di Longarone

Beppe Chierici
Lingua: Italiano


Beppe Chierici

Lista delle versioni e commenti


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(Amyl and the Sniffers)
Erode non è morto
(Mireille Safa)
Il servo della gleba
(Beppe Chierici)


[1969]

Testo di Beppe Chierici - Musica di Daisy Lumini

Vajont 1963


Sul Vajont vedi anche I fantasmi di pietra.

Vajont



Un testo "moderno" su una vicenda "moderna". Longarone è un nome recente e vivo nella coscienza popolare, che ancora una volta ha visto umiliato il suo desiderio di giustizia. Ma in questo appunto la ballata diviene, al pari delle canzoni medievali, un discorso senza tempo, o meglio, di sempre: come di sempre è il lamento del contadino, della tessitrice, del vignaiolo. Di sempre è il desiderio di giustizia: ma è di sempre la prepotenza di chi giustizia nega, perché è il più torte.
Si dice che un giorno
un Dio scocciato
dei mali del mondo
lo abbia affogato.
Ma prima di usare
gli idranti celesti
Lui volle salvare
gli uomini onesti.

Fra tutti Noè
salvò la pellaccia,
gli altri, ahimé!
Eran tutta gentaccia...

Le bestie, va detto,
non sanno peccare
E su un "vaporetto"
le fa galleggiare.

Per quanto spietato
quel Dio genocida
salvò gli animali
dall'idro-corrida.

Or giunti a 'sto punto
possiamo affermare
che a volte il buon Dio
sa 'discriminare'...

Or son nove anni
che un monte annoiato
di starsene fermo
dov'era piantato,
scoprendosi intorno
la vallata bella
si disse "Un bel giorno
ci andrò in camporella!..."

Da tempo smaniava
quel monte iracondo
e alberi e massi
mandava nel fondo.
La gente sapeva
di questi "traslochi",
di lui si diceva:
" 'Sto monte ...va in tòchi !"

E Tòc fu chiamata
l'inquieta montagna
" Neanca 'e cavre
e a sù più no 'e magna!"
Nessuno mai non ebbe
il sentore più vago
che in quella vallata
facessero un lago.

Invero nessuno,
a parte un cretino,
poteva pensare
di farci un bacino.

Qualcuno si mosse,
tentò di spiegare
che un lago col Toc
non era un affare.

"Sa, quella montagna,
non vuole star ferma,
mi creda è una "lagna"!
ne chieda conferma.

È velleitaria,
rivoluzionaria,
ci pianta una grana,
le dico, è una frana!..."

"Faremo la diga!
lo abbiamo deciso,
la gente del luogo
ne avrà preavviso."

" Mi creda, siòr...
No sè ostruzionismo!...
(Eh eh...) Suvvia, signore...!
Un po' di SADE...ismo !"

È nato il bacino
in quella vallata,
la gente ha paura
si sa condannata.

Si chiudon le porte
si tiran le tende
sul lago di morte
che lento si estende.

Ma il Toc ha deciso
di andarsene a spasso,
non dà preavviso
e scende da basso...

E a notte nel lago
si fa un pediluvio
E su Longarone
si avventa il diluvio.

È un'onda tremenda
che oscura le stelle,
tre oceani insieme
che il globo si espelle.

Distrugge ogni casa
le bestie, la gente
Fa "tabula rasa"
non resta più niente.

Vajont, Longarone,
duemila e più morti,
sei anni d'inchiesta,
controlli, rapporti,
dossier d'istruttoria,
e per ogni perizia
c'è il suo promemoria:
"Si vuole Giustizia!"

Illustri togati
e "Azzeccagarbugli"
decidon che "Onde
evitar tafferugli,
si spostino altrove
imputati e processo,
lontano da dove
il fatto è successo."

Accusa e difesa...
Tre mesi di udienza
e al mondo in attesa
si dà la sentenza.

Trecento cartelle
per dir suppergiù :
"È acqua passata,
... non macina più ! "

Ma sopra una tomba
lassù a Fortogna,
son scritte sul marmo
diciotto parole
che gridano al mondo
la nostra vergogna :

Barbaramente e vilmente trucidati
per leggerezza e cupidigia umana,
attendono invano giustizia
per l'infame colpa. - Eccidio premeditato -

Vajont, 9 ottobre 1963

inviata da adriana - 28/8/2013 - 12:36


Discografia - QUESTA SETA CHE FILIAMO di Daisy Lumini e Beppe Chierici
LP Cetra / lpp 197
di Daisy Lumini e Beppe Chierici
Consulenza musicale di Ettore De Carolis


http://www.antiwarsongs.org/img/upl/da...01. LE TESSITRICI DI SETA 3'16"
da Chretien de Troyes - XII sec.
Testo italiano di B. Chierici-Elab. mus. di Daisy Lumini
Il testo originale è in « Yvain ou le chevalier au lion » di Chretien de Troyes, il fondatore del romanzo francese. E' l'epoca delle Crociate e del feudalesimo; ma accanto alle tradizionali forme di sfruttamento economico, quelle legate alla struttura agricola della società, nascono i primi nuclei dell'industria. Nella Champagne e nell'Artois gli operai sono sottoposti a un ben duro regime nelle officine dove si tesse la seta. Il lamento delle tessitrici è un testo assai insolito nel­l'opera di Chretien de Troyes, che solo qui sembra accorgersi dell'esistenza della miseria; ma descrive con tale dolorosa forza espressiva la situazione dello sfrut­tamento, che sembra che l'autore riconosca davvero l'esi­stenza di due classi.
La versione italiana di Chierici mira a mettere in luce gli elementi costanti e per così dire universali, dello sfruttamento; non sarà inutile accennare che Chretien de Troyes documenta dettagliatamente la situazione di vita delle tessitrici: « ...qui gaaigne la semainne - vini souz, n'est mie fors de painne. - Et bien sachiez vos a estros - que il n'i a celi de nos, - qui ne gaaint vint souz ou plus ». Chi arriva a guadagnare venti soldi la settimana, non per questo riesce a uscire dalla miseria. Abbiatevelo bene in mente, tra noi non c'è nessuna che riesca a guadagnare più di un massimo di venti soldi.

02. IL SERVO DELLA GLEBA 1'63"
Anonimo Francese del XIII sec.
Testo italiano di B. Chierici - Elab. mus. di Daisy Lumini
Per tutto il Medioevo fiorisce una enorme quantità di canzoni dedicate alla pena del lavoro. Ancora nel '600, così La Bruyère descriveva la vita dei contadini: "...sparsi per la campagna, neri, lividi.... attaccati alla ferra che smuovono con invincibile accanimento... Di notte si ritirano in certe tane dove vivono di pan nero, d'acqua e radici; essi risparmiano agli altri uomini la fatica di seminare, di lavorare e di raccogliere per vivere, e meritano anche loro di godere dì quel pane che hanno seminato". In realtà quel pane lo godono gli altri, i padroni; è questo il tema di moltissime canzoni sulla vita nei campi, come questo " Servo della gleba".

03. IL LAMENTO DI MANDRINO 2'23"
Anonimo Francese del XVII sec.
Testo/italiano di B. Chierici - Elab. mus. di Daisy Lumini
Fino a tutto il XVIII secolo, la misura della notorietà di un personaggio era data dalle canzoni che gli anonimi poeti del Pont-Neuf (ritrovo ufficiale dei cantastorie e dei burattinai) gli dedicavano. Il popolo ascoltava con grande partecipazione queste canzoni, soprattutto quando erano ispirate alle vicende di qualche bandito, finito sulla forca.
Nella triste storia degli esclusi, i briganti hanno certo una parte di primo piano, e tutta una tradizione letteraria, colta e popolare, che da Rutebeut a Villon giunge all'anonimo autore di questo "Les brigands pendus", ha cantato la loro vita dura e la loro macabra sorte. E' semplice la logica dell'esistenza del brigante: c'è chi ha e chi non ha; chi non ha è costretto a rubare: ma per lui c'è soltanto la forca. L'amara ironia del diseredato che narra la propria storia scherzando sulla società e su se stesso, si muta in dolorosa "complainte" davanti alla forca, nell'invocazione dell'ultima strofa che si chiude con un grido senza speranza.

04. NON PIANGERE GIANNETTA 1'51"
Anonimo Francese del XVIII sec.
Testo italiano di B. Chierici - Elab. mus. di Daisy Lumini
Uno dei temi più diffusi nella canzone popolare, non solo francese, è quello della ragazza che respinge innamorati nobili e ricchi perché ama un giovane povero. Il tema dà vita a canzoni di tono generalmente scherzoso e a lieto fine.
L'interesse di questa canzone è dato dal fondersi di due temi, quello suddetto e quello del brigante condannato a morte, amato dalla fanciulla che sceglie di dividerne la sorte. Evidentemente lo stato sociale dell'innamorato capovolge la struttura narrativa propria del tipo, e la situazione lieta e scherzosa di partenza si risolve in tragedia.

05. I VIGNAIOLI 2'12"
Anonimo Francese del XVII sec.
Testo italiano di B. Chierici - Elab. mus. di Daisy Lumini
Ancora una canzone sulla vita dei campi; al centro è anche qui il tema del prodotto della terra che va tutto intero al padrone.

06. I FILATORI DI LANA 2'25"
Anonimo del XVII sec.
Testo italiano di B. Chierici - Elab. mus. di Daisy Lumini
Questa è la nuda descrizione di un fatto, senza commenti, senza un'osservazione né una riflessione; un unico aggettivo, quel "bianca" accoppiato a "lana", con la quale parola si fonde fino a costituire con essa sostantivo. Da questa nudità descrittiva viene posta in evidenza in tutta la sua dura essenzialità la natura dolorosa e alienante del lavoro.
La struttura circolare del testo, il riferimento a tatti che devono avvenire, quasi come il compiersi di un destino, entro un tempo stabilito, una sorta di quieto fatalismo nel narrare di fatti che certo nella lunga ripetizione e consuetudine assumono valore di norma, attribuiscono alla canzone una forte carica simbolica, una elementare dimensione metafisica, facendone un'allegoria della vita umana.

07. MAREMMA 2'25"
Anonimo del XIX sec.
Elab. Mus. di Daisy Lumini
E' una delle più antiche canzoni italiane di emigrazione. Qui emigrare non vuol dire partire per l'America o per l'Australia, ma allontanarsi di poche decine di chilometri: questo breve viaggio è però carico di pericolo, un rischio costante, un'avventura. Andare di Mugello in Maremma rappresenta un'incognita per il contadino costretto a lasciare la terra, per il pastore alla ricerca di pascoli meno avari. Maremma vuol dire infatti terra poco ospitale, e soprattutto vuol dire malaria. Drammatica è la scelta tra il morir di fame a casa propria e il rischio della malaria che si cela dietro la speranza di pascoli nuovi per il gregge: la vita del gregge può significare morte per l'uomo. Questa consapevolezza fa di "Maremma" il più drammatico e disperato canto di emigrazione.

08. LA COMUNE NON E' MORTA 3'26"
Parole di E. Pottier - scritta nel 1886 in ricordo della Comune di Parigi del 1871
Testo italiano di B. Chierici - Elab. mus, di DaisyLumini
La Comune di Parigi del 1871 fu certo uno dei momenti-chiave nella storia del movimento operaio e democratico. Il suo ricordo non si estinse con la terribile repressione del governo di Thiers, anzi restò intatto nella coscienza popolare. Tra le numerose canzoni che si ispirano alla Comune, questa, composta da Pottier nel 1886, è forse la più nota. La versione italiana di Chierici ne mette in risalto tutta la carica aggressiva e rabbiosa, attribuendole al tempo stesso una cadenza un po' sbracata da cantastorie, sorretta da un accompagnamento musicale che sa di osteria e di piazza di paese.

09. TERRA E AQUA 2'46"
di G. Fossati - S. Liberovici
Il testo di questa canzone è stato raccolto durante una piena del Po, negli anni '50, dalla viva voce dei contadini che descrivono e lamentano la loro dura lotta con gli elementi. Fossati e Liberovici lo hanno rielaborato su musica dello stesso Liberovici.

10. FUOCO E MITRAGLIATRICE 1'47"
di Anonimo - Elab. mus. di Daisy Lumini
Quali canzoni cantava il povero fante nelle trincee fangose, durante la cosiddetta "grande guerra"? A sentire i retori del patriottismo, erano canti bellicosi che esprimevano la volontà di guerra del popolo italiano: questi canti fanno parte dell'oleografica visione ufficiale della guerra '15-'18, quella che ci viene trasmessa dai libri di scuola. In realtà il patrimonio musicale italiano comprende un vasto filone di canzoni anti-militariste e anti-belliciste, come questa, che esprimono i desideri reali di gente che chiede terra, lavoro, una vita serena, e che non è toccata dal tragico inganno della "guerra redentrice".

11. IL CANTO DEI LAGER 2'08"
su un motivo mediovale
Parole di Anonimo del XX sec.
Testo italiano di B. Chierici - Elab. mus. di Daisy Lumini
Col titolo "Le chant des marais", fu raccolto da André Malraux tra i deportati politici francesi in un campo nazista. Il canto era nato nel 1934, quando nessuno ancora sapeva dell'esistenza di campi di concentramento. In questi campi era rinchiusa molta parte dell'intellighentia antihitleriana; c'erano tedeschi, austriaci, francesi, cèchi, polacchi. Il canto nacque da una speranza, quella che presto tutto sarebbe finito, e che al di là dell'oppressione sarebbe nato un mondo nuovo. La musica, un antico motivo medievale, fu proposta da un musicista di cui si ignora l'identità. Molti, moltissimi forse, parteciparono alla composizione del testo, alla sua redazione nelle diverse lingue.

12. IL BERSAGLIERE HA CENTO PENNE 2'48"
Canto partigiano - Elab. D. Lumini
Un fenomeno piuttosto rilevante del nostro patrimonio musicale è l'adattamento di canzoni militari, soprattutto alpine, da parte dei gruppi partigiani. Le musiche che ieri avevano cantato le imprese di guerra, oggi cantano la lotta per la liberazione. Questo motivo, ispirato appunto a un vecchio canto alpino, nacque tra i partigiani operanti sulle montagne liguri nel 1944; è però presente in tutte le regioni dove si svolse la Resistenza. Caso interessante tra i canti derivati da canzoni militari, il cui "spirito" è per lo più semplicemente tradotto nel linguaggio della vicenda partigiana, qui c'è la affermazione della superiorità del partigiano sugli altri soldati, quelli regolari, che non hanno scelto la loro vita; il partigiano è povero, non ha penne sul berretto, ma combatte per la libertà.

13. COL PARABELLO IN SPALLA 1'40"
Canto partigiano - Elab. mus.: D. Lumini
Deriva da una canzonetta assai popolare, "E con lo zizo zago". diffusa attraverso i microfoni dell'Eiar durante il regime fascista.La canzone ha tuttavia anche un'origine più lontana in una canzone alpina in dialetto trentino.

14. LA BALLATA DI LONGARONE 5'10"
(B. Chierici - D. Lumini)
Un testo "moderno" su una vicenda "moderna". Longarone è un nome recente e vivo nella coscienza popolare, che ancora una volta ha visto umiliato il suo desiderio di giustizia. Ma in questo appunto la ballata diviene, al pari delle canzoni medievali, un discorso senza tempo, o meglio, di sempre: come di sempre è il lamento del contadino, della tessitrice, del vignaiolo. Di sempre è il desiderio di giustizia: ma è di sempre la prepotenza di chi giustizia nega, perché è il più torte.

15. EVVIVA PER COLORO... 2'00"
(B. Chierici - D. Lumini)
La canzone è ispirata all'opera del poeta antillano Aimé Césaire, in particolare al "Cahier d'un rétour au pays natal". Coloro che non hanno inventato nessun mezzo di distruzione, che non hanno contribuito al perfezionamento dei sistemi di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che non hanno turbato il ritmo delle stagioni, costoro sono il sale della terra.


"DAISY LUMINI e BEPPE CHIERICI ringraziano PUSSY DE SANCTIS e DONATINA per la loro gentile e preziosa collaborazione".
tecnico del suono, Franco Uggeri
copertina e impaginazione: greguoli
foto: Venturini
tipolitografia Silvestrelli & Cappelletto - Torino - made in Italy

Quando ascoltiamo, ogni altro senso si ritrova quieto. In quegli istanti, la musica o il canto o certe parole, portano alla calma o all'esaltazione la vita, o ancora, fanno chiaro nella nostra memoria.
Quando per la prima volta abbiamo ascoltato Daisy Lumini e Beppe Chierici nelle loro canzoni, quando abbiamo visto Daisy accarezzarle sulla chitarra, che alle sue mani risponde tremando, abbiamo pensato che mai nella vita dei secoli si sarebbero finite di cantare quelle parole d'amore, di tristezza, di protesta, di rampogna e di pena, che lei cantava.
Rare volte l'allegria è tanto pura e tanto tenera la malinconia.
Daisy Lumini e Beppe Chierici non vedono la vita degli uomini come un carnevale di letizia. Insieme hanno dissepolto le pene che l'andare del tempo ha lasciato nell'aria: quelle che nel trecento cantavano i servi della gleba o quelle che, sospirate, erano sulle labbra delle tessitrici del duecento, gli occhi alle proprie mani in sudore, o quelle che, nella triste voce di Giannetta, nel seicento, erano il sogno di un amore suo proprio, e non di quello che le imponevano gli altri. Sono i secoli che parlano con la loro voce nelle canzoni che qui ascoltiamo, ma è la nostra sensibilità di uomini che la raccoglie.
E pure si alzano i lamenti di quelli che hanno creduto e sofferto, quando si ascolta quel canto di "lager", la cui melodia medioevale si fonde con la testimonianza del nostro tempo, scritta in un campo nazista, che dice: "Non dimenticate!"
Crediamo con fermezza che non ci riuscirà mai di dimenticare l'umana nobiltà di queste due persone che con tanta severa grazia ci chiedono: ascoltate, queste sono le pene e queste sono le speranze degli uomini.

Canzoni: e quando cantate,
è il cuore stesso che ci portate.
E dunque al cuore sempre donate
con la tristezza, l'amore, il furore:
in ogni caso, lo sollevate.
Canzoni: e quando ricanterete,
sempre con voi, ci troverete.
Maria Teresa Leòn e Rafael Alberti

(Traduzione di Grytzko MASCIONI)

Che cosa può unire e porre sulla stessa linea il lamento di un contadino medievale e un canto partigiano, quale continuità può esistere tra una canzone di filatori di lana e quella che ricorda come "La Comune non è morta"? Che senso può avere mescolare il folklore "autorizzato", quello dei filologi e degli archeologi, alla reinvenzione, alla ricerca su testi letterari, alla operazione d'autore, senza alcun rispetto delle competenze, delle differenze, delle classificazioni? In realtà questo disco è una provocazione. Lo è nella misura in cui pone un interrogativo su che cosa è folklore, su che cosa è "popolare", su che cosa può essere considerato cultura popolare autentica in una società meccanizzata, sulla legittimità di ispirarsi coscientemente alle "costanti" della tradizione folklorica. Questo disco rappresenta anche una risposta a tali interrogativi.
Un tema centrale: quello dei diseredati, degli sfruttati.
Intorno a questo tema vengono a raggrupparsi canzoni di epoche diverse, e di diversa origine culturale: dall'anonimo medievale agli autori di oggi. Il problema della coerenza interna, dell'"unitarietà" della materia trattata, è già evidentemente risolto, data la coscienza unificatrice che presiede alla scelta; attraverso un materiale tanto differenziato si costruisce un discorso che è insieme poetico e politico, e nel quale gli elementi costanti, universali della situazione degli oppressi: la fame, il dolore, la nera miseria, il pessimismo senza speranza, elementi tutti che sembrano fondare uno stato sociale eterno e irremediabile, trovano nello svolgimento della storia la loro possibilità di riscatto. La condizione apparentemente immutabile dello sfruttato appare superabile all'interno di un processo di autocoscienza, che nelle lotte per la libertà dall'oppressione e dal bisogno tocca i suoi momenti più intensi.
Un discorso saldamente e coscientemente unitario, dunque; un discorso che oppone alla astratta "scientificità" del filologo il corposo empirismo della verifica politica e della comunicazione, del rapporto col pubblico.
Daisy Lumini e Beppe Chierici sostengono l'importanza del canto trobadorico per la nascita del folklore musicale europeo: trovatori e menestrelli sarebbero tra i lontani fondatori del patrimonio musicale popolare. E' una tesi fascinosa e discutibile al pari di altre; può aiutarci però a definire il ruolo di chi oggi si dia alla ricerca sul folklore musicale e non intenda confinarsi nella specialistica dimensione della catalogazione archeologica, ma la musica e la poesia voglia far rivivere e fiorire per i suoi contemporanei, richiamandosi appunto per certi versi alla funzione di quei lontani predecessori. Cosi nasce l'interpretazione, cosi nascono la reinvenzione, l'elaborazione di un tema, la creazione su un tema popolare, tutti quei fenomeni musicali contemporanei, insomma, che al folklore si connettono e che da esso sono generati.
Questi fenomeni hanno vita autonoma e pieno diritto di cittadinanza nella cultura musicale; sono fatti di creazione e di coscienza della tradizione al tempo stesso. Come il folklore per cosi dire "storico" è stato uno degli elementi di coesione culturale delle classi sottoposte, cosi oggi l'opera di chi dal folklore trae i succhi della propria ispirazione si pone a fondamento di una cultura popolare nuova, reinventata, la cultura popolare dell'età tecnologica, popolare in quanto contrapposta alla cultura di massa manipolata dalle classi dominanti.
Alla base di questo processo creativo si pone la coscienza del folklore in quanto folklore, che è evidentemente coscienza dinamica perché dà vita a fenomeni nuovi e a nuove linee di sviluppo. Tale coscienza è l'elemento che unifica tutti i fenomeni di cui sopra, motivandone l'esistenza.
FRANCESCO TARQUINI

gianfranco - 19/11/2014 - 09:58




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