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Hommes liges des talus en transe

Alan Stivell
Pagina della canzone con tutte le versioni


Versione italiana di Lunastella
SERVI DELLA GLEBAVISIONE DI UOMINI ONESTI DELLA COSTA – BRANI SCELTI
Piove sui galli di brughiera
piove sulle costellazioni di betulle bianche
piove sulle carriole al mattino imbrattate d’argilla
piove sul pane caldo che esce dai forni visitati da un gran fuoco tranquillo
piove sul pettorale dei cavalli rubicondi
piove a dirotto sul manto in erba dei tetti lacustri bagnati di merli e di ciuffolotti
piove sulle donne ostinate a riversarsi nelle chiese attraverso l’imbuto dei portici
piove sugli strati di aghi di abete sulla scalinata dei muschi smossi dalle salamandre
piove sul lago tranquillo delle anime semplici
piove sugli uomini pesanti e muti
Piove sui galli della brughiera
Piove sulle costellazioni di betulle bianche
Piove sui carri mattinieri chiazzati di creta
Piove sul pane caldo che esce dai forni visitati da un grande fuoco tranquillo
Piove sul petto dei cavalli rubicondi
Piove a dirotto sul prato dei tetti lacustri bagnati di merli e ciuffolotti
Piove sulle donne che si ostinano a gremire le chiese attraverso l’imbuto dei portici
Piove sulle distese di aghi d’abete sulla scala di borragini brulicante di salamandre
Piove sul lago tranquillo delle anime semplici
Piove sugli uomini pesanti e muti
Io mi sveglio
e mi siedo sui pezzi limpidi di terra
e mi metto sopra il culo delle montagne di lana
e conto
e conto
stanco dell’esilio
mi avvicino al tavolo, alla panca
e alla lucentezza dei coltelli
lascio immergersi in me le radici del pane
Mi sveglio
e mi siedo sulle coste limpide
E m’insedio sul pendio di montagne di lana
E racconto
E racconto
Malinconico esule
Mi accosto alla tavola, al banco
Ed alla chiarezza dei coltelli
lascio che gli acini del pane s’immergano in me
Più lontano delle mattine di globuli rossi
più lontano del sangue coagulato delle brughiere dove nuotano gli sparvieri
più lontano delle lepri bianche e grigie e dei camini che riprendono fiato
più lontano delle brevi mattinate invernali che vedono passare nell’occhio dei bimbi la carezza degli stagni selvatici
più lontano dei cavalli che nitriscono rosso al cuore delle patrie sfilacciate
più lontano della vegetazione delle ire inestricabili che lanciano le loro liane tra gli uomini in demolizione
più lontano delle emicranie vellutate che grattano, che mordono
più lontano delle aurore boreali riarse di banchise all’incontro dei paesi di rugiada
più lontano dei destini limati gettandosi in ginocchio
più lontano della brace ardente dell’occhio
Più lontano delle mattine di globuli rossi
Più lontano del sangue cagliato delle brugiere su cui planano gli sparvieri
Più lontano delle lepri bianche e grige e dei sentieri che riprendono fiato
Più lontano delle corte mattinate d’inverno che vedono passare negli occhi dei bimbi la carezza degli stagni selvaggi
Più lontano dei cavalli che nitriscono rossi nel cuore delle patrie sfilacciate
Più lontano della vegetazione di collere inestricabili che lanciano le loro liane tra gli uomini allo sfascio
Più lontano delle emicranie vellutate che grattano e mordono
Più lontano delle aurore boreali incendiate di banchise incontro ai paesi della rugiada
Più lontano dei destini limati a pialla di rotula
Più lontano delle braci fiammanti dell’occhio
IL SILENZIO
il campo chiuso del silenzio
la fermentazione del silenzio
che inciampa contro i vetri
IL SILENZIO
Il campo chiuso del silenzio
La fermentazione del silenzio
Che germina contro ai vetri
Uomini, vi parlo d’un tempo che non ci apparteneva più,
ma d’un tempo artesiano che sgorga alla minima zappata
io vi parlo del tempo quando si edificavano le foreste
del tempo quando ogni fiore riceveva dagli uomini il sale del linguaggio
del tempo quando questa terra era popolata da un popolo solenne
era il tempo quando l’uomo era fratello all’uomo
quando gli uomini si salutavano dall’alto delle loro colline
quando gli uomini salutavano ogni mattina il latte della pioggia
Uomini vi parlo di un tempo che ci apparteneva ancora
Ma un tempo artesiano che sordo al minimo colpo di piccone
Vi parlo del tempo in cui si costruivano le foreste
Del tempo in cui ogni fiore riceveva dagli uomini il sale della voce
Del tempo in cui questa terra era abitata da un popolo solenne
Era il tempo in cui l’uomo era un fratello per l’uomo
Quando gli uomini si dicevano buongiorno dall’alto delle loro colline
Dove gli uomini ogni mattina salutavano il latte della pioggia
Ho contato
la rosa del cielo verde
i suoni nasali di rondini rasenti ai camini
le spinte d’albe frondose a casa d’uomini che nascono soli
l’espropriazione d’una patria intera
Ho raccontato
La rosa del cielo verde
Il garrire delle rondini sul ciglio del sentiero
Gli impulsi d’albe frondose accanto agli uomini che nascono a se stessi
La dispersione di un’intera patria
E in riva all’oceano
i bozzoli notturni
la corsa dritta dei cinghiali
il lamento delle messi marcite, ordite d’insetti svacantati
in riva all’oceano
le campagne sfuggenti e i villaggi in quinconce strabordanti d’ammassi di grano
in riva all’oceano
il pelo umido dei cavalli di cristallo
il corallo dei lavatoi e delle fonti
i cani rossicci levigati di sonno
in riva all’oceano
la macchina dei boccaggi* esplosivi
i gradini dell’aurora tra gli alberi crepitanti
in riva all’oceano
le risa delle cavallette
lamprede e gronghi datisi alla macchia
la conoscenza ininterrotta della morte
in riva all’oceano
lo stabilirsi degli uomini lucidi
che deliberano d’inventare una patria
erigendo sui promontori città di pietra degli animali di carne
in riva all’oceano
i riflessi battuti da uccelli rari
il soffio del vapore nei polmoni e i pugni tesi
in riva all’oceano
la confusione delle parole e dei gesti
la Visitazione di strane bestie ardenti che traballano agitate
la Visitazione in massia di palle di fuoco
E sul ciglio dell’oceano
I bozzoli di notte
La corsa dritta dei cinghiali
Il lamento dei raccolti ammuffiti tarmati d’insetti vuoti
sul ciglio dell’oceano
Le campagne in fuga ed i villaggi zigzaganti che strabordano dal disordine dei raccolti
Sul ciglio dell’oceano
Il manto umido dei cavalli di cristallo
Il corallo dei lavatoi e delle sorgenti
I cani rossastri morbidi di sonno
Sul ciglio dell’oceano
L’organismo dei boschetti esplosivi
I gradini dell’aurora tra gli alberi crepitanti
Sul ciglio dell’oceano
La risata delle cavallette
La macchia dei gronchi e delle lamprede
La conoscenza ininterrotta della morte
Sul ciglio dell’oceano
La fabbrica degli uomini lucidi
che inventano una patria deliberata
che erigono sui promontori le città di pietra degli animali di carne
Sul ciglio dell’oceano
I riflessi abbattuti di uccelli rari
Il fischio del vapore nei polmoni e i polsi tesi
Sul ciglio dell’oceano
La confusione delle parole e dei gesti
L’Arrivo di bestie estranee che bruciano di febbre e brividi
L’Arrivo di abbondanti sfere di fuoco
TI URLO, PAESE
per i tuoi bagliori d’occhi dardeggianti
per i tuoi contrabbandi di calori feroci
le tue genealogie impaniate
i tuoi graniti porosi e gelati
Ti urlo, paese
per i tuoi ammassi d’erba medica a fior di pelle
i tuoi purosangue purulenti verdeggianti di zolfo
le pareti delle scuderie schiantate dai cavalli a calci
per tutti voi che siete me
o, ancor di più,
per tutti voi che siete più di me
e vi sento turbinare nella deriva dei silenzi schizzati via
E URLO
TI COMPIANGO PAESE
Per i tuoi abbagli di occhi dardeggianti
Per i tuoi contrabbandi di calori feroci
Le tue genealogie incollate
I tuoi graniti porosi e ghiacciati
Ti compiango paese
Per i tuoi disordini drogati a fior di pelle
I tuoi purosangue purulenti che verdeggiano di zolfo
I tuoi muri di stalla schiacciati dai calci dei cavalli
Per voi tutti che siete me
O ancora di più
Vous tous qui êtes plus que moi
Voi tutti che siete più di me
Ed io vi sento turbinare alla deriva dei silenzi sventagliati
E PIANGO
Suicidi viola
dietro le persiane chiuse
bimbi rachitici cacciati via a calci
uomini che traversate la strada come si traversa un lungo tubo umido
contadini attaccati schiena a schiena che guidano a voce greggi in corsa
orchestre di sole dirette in piedi appoggiati al cuore dei cavalli
Ho visto morire nella chiara notte
i bimbi color biscia e le bimbe brune sorte dal latte
ho visto cadere a zolle intere l’ardesia dai tetti inerti
ho visto proliferare le paludi alla bocca delle colline
faceva un tempo di fiamme verdi
un tempo di polvere d’acciaio
un tempo d’occhi germinati
e ho visto sotto le portiere** del Ponant
sgretolarsi bimbi dilatati e pallidi
pesanti eredità di fatica
di speranze sequestrate
di foreste in gestazione
cronache vizze di cantori vibrare nella luce dei rami
paese di grigia paglia
paese d’umidità d’accresciuta violenza
paese d’attesa e di detriti
contemplo questo paese fatto di coste e strette baie
racchiuso da climi dolciastri
battuto da torbe rivoltate
oltrepassato da pallidi tumori, da pustole
dove non c’è posto per il contadini signore delle terre immobili
per il proletario che lotta in fabbrica contro gli affari e gli ingranaggi feroci
Suicidi di malva
Dietro alle persiane chiuse
Bambini rachitici respinti dall’estremo del piede
Uomini che traversano la strada come si traversa un lungo tubo umido
Paysans coagulés tronc à tronc conduisant de la voix les ruées des troupeaux
Contadini coagulati tronco a tronco che dirigono a voce le corse delle greggi
Raggi lanciati a bruciapelo contro il cuore dei cavalli
Ho visto morire nella notte bionda
I bambini color madreperla e le serve brune roride di latte
Ho visto cadere a ciuffi l’ardesia dei tetti inerti
Ho visto proliferare acquitrini sulle labbra delle colline
Era un clima di fiamme verdi
Un tempo di polveri d’acciaio
Un tempo di occhi malati
Ed ho visto, sotto alle portinaie del Ponente,
bambini sbriciolati, pallidi e dilatati
Pesanti retaggi di fatica
Di speranze sequestrate
Di foreste in gestazione
Belati cronici di cantanti che vibrano nella luce dei rami
Paese di paglia grigia
Paese d’umidità rutilante di violenza
Paese d’attesa e di detriti
Contemplo questo paese fatto di colline e insenature
Soffuso di profumi dolciastri
Braccato da schiere scadute
Trafitto da tumori pallidi e pustolosi
Dove non c’è posto per il contadino, signore di terre immobili
Per il proletario che in officina combatte contro feroci ingranaggi di commercio
All’improvviso, per strada
ci prende il male spigoloso
il male che s’attorciglia e che rode
il male che buca e che perfora
il male che sforza ogni poro
il male trivellatore
il male, dolore trapanato a manovella
IL MALE DEL PAESE NATALE
All’improvviso ci prende in contropiede
Il male inciso all’angolo
Il male che si avvita e si diffonde
Il male che trafigge e perfora
Il male che penetra in ogni poro
Il male che scava col succhiello
Il male, dolore d’ingranaggio rotante
IL MALE DEL PAESE NATALE
Fratelli, fratelli miei
uomini ardenti cosparsi di spine
uomini taglienti all’ascolto dei sismografi
uomini del mio paese e d’altri luoghi
bevete ai geyser dell’umanità
armate la nave a grandi uomini pieni di giustizia
radunate i vostri fini acuminati dalla pulsazione degli estuari
fino nel fondo del fondo della stalla
Uomini semplici seduti nella vostra stalla chiusa
uomini ostacolati da tabù e da divieti
però vi sento crepitare nelle fiamme divoranti della mente
servi della gleba, paesani di villaggi abbandonati
uomini ricamati che pisciano lungo i fossi
uomini di vecchi candori che celebrano divinità dalle guance rosate e pallide
e anche voi, cittadini collezionisti di mobili e di attrezzi
uomini emaciati che marciscono sulla mucosa delle città straniere
vi sentite anche voi smangiati dalla libertà
uomini possenti che discutono della serenità dell’organo e dei piazzali
uomini crostosi eredi di ogni lebbra e di ogni carestia
uomini troppo umiliati, coi pugni chiusi di furore
sepolti nel tannino delle vostre carni straziate
Fratelli, fratelli miei
Uomini appassionati trafitti da spine
Uomini intenti ad ascoltare i sismografi
Uomini del mio paese e d’altrove
Bevete dai soffioni sulfurei dell’umanità
Apparecchiate la tavola per i grandi uomini pesanti di giustizia
Raccogliete i vostri intenti esacerbati dalla pulsazione degli estuari
Fino alle fondamenta del palazzo
Uomini semplici che presidiate la vostra fabbrica chiusa
Uomini impastoiati da veti e proibizioni
Vi sento, nonostante tutto, crepitare nelle fiamme divoranti dello spirito
Visione di uomini onesti della costa e dei villaggi abbandonati
Uomini ricamati che pisciate lungo i fossati
Uomini di antichi candori che celebrate Numi dalle gote rosee e sbiadite
Ed anche voi, uomini delle città, collezionisti di mobili e di oggetti
Uomini emaciati che imputridite nel muco di città straniere
Voi condividete la nostra smania di libertà
Uomini potenti che contestate la pace con l’organo e con le piazze
Hommes croustillants héritiers de toutes lèpres et de toutes famines
Uomini incrostati eredi di ogni lebbra e carestia
Uomini troppo umiliati con pugni stretti di furore
Sepolti nel tannino delle vostre carni livide
Non esiste passato in Bretagna
soltanto un impercettibile movimento delle labbra
alla curva di piccole frasi anodine e friabili
soltanto un presente di volgare ingiustizia
un futuro spazzato dalla violenza e dalla polvere
non esiste passato nel mio paese
altro non c’è che un ronzio di uomini refrattari
rivedo le ginestre sull’orina seccata
i poderi quarzati circondati dalle siepi
Non c’è passato in Bretagna
Solo un impercettibile fremito di labbra
Attorno alle piccole frasi anodine e friabili
Soltanto un presente di volgarità ed ingiustizia
Un avvenire trincerato di violenza e polvere
Non c’’è passato nel mio paese
Solo un brusio di uomini refrattari
Rivedo le scope sull’urina secca
I manieri di quarzo circondati da siepi
Ma non posso stare a sedere a lungo sull’erba
le deportazioni massicce continuano
abbiamo caldo ai fiumi
abbiamo caldo alle puzze d’alcool
siamo un popolo altoforno
un popolo forgiato di biancospino
noi non ci arrendiamo
Ma non posso sedermi a lungo sull’erba
Le deportazioni di massa continuano
I nostri fiumi hanno caldo
I nostri miasmi d’alcool hanno caldo
Siamo un popolo da altoforni
Un popolo affondato nel biancospino
Non scendiamo a compromessi
Mi fermo vicino agli erpici e ai rulli
mastico le mie prime gemme di libertà
apro il ventaglio dei campi lavorati
e il nostro popolo vinto si esercita a maneggiare le maree montanti
vedo che tutti si radunano nelle piazze
boscaioli dell’alba stivati nei cutter*** del sole
zappatori sporchi d’erba e ruminanti che gettano i rampini in un passato proibito
scolari cupi e diligenti che stabiliscono all’improvviso relazioni di causa e effetto
operai analoghi che si svegliano con lentezza in sobborghi rattrappiti
grappoli di donne pesanti abbarbicate al dolore degli uomini
operai in sciopero che esigono il diritto di sguardo e di pressione sulle tubature del paese
attacchini di manifesti, giornalai, volantinatori, portatori di cartelli
studenti insolenti e nervosi che sfuggono con veemenza
dai fiati fetidi, dalle facce screpolate
scolari che ridono che provano coi piedi il fragile equilibro dell’acqua e del fuoco
sindacalisti licenziati venti volte dai robusti gesti d’uomini che misurano l’eterno
contadini tirati giù dal trattore e bastonati che la sera tirano fuori libri preziosi sul tavolo
voi siete la Bretagna che s’incendia
voi siete la Bretagna che si apre ai vènti del mondo
oggi io vi dico
oggi procederemo a degli smottamenti
ci saranno giravolte di luce nelle nebbie della solitudine
e l’angolo delle finestre schiumerà di felci
allora ci infileremo nell’odore delle intelaiature e delle intercapedini
per delle rivolte di tenerezza
Oggi io vi dico
emerge piano un popolo nuovo che si risparmia i raccolti esemplari
un popolo nuovo si libera da secoli vischiosi
questo paese cloroformizzato
queto paese che brulica di speranze clandestine
riapre gli occhi sulle periferie sopramarine
nascano in me le piogge tenere
per bagnare le campagne multicolori
sanguinino le felci sgualcite per il piacere degli uomini tastanti
scoppino le bocche prigioniere del mio popolo che figlia rondini
si rialzino le case strappate alla matrice delle frondaglie liquide
si svegli il mio popolo ai quattro angoli del mondo del mattino.
Mi fermo accanto agli erpici ed ai rulli
Mastico i miei primi germogli di libertà
Apro il ventaglio dei campi arati
E il nostro popolo all’improvviso si ribella scintillante alla faccia del mondo
Un popolo vinto si ritrova a gestire la marea che sale
Li vedo che si radunano su tutte le piazze
Boscaioli dell’alba stivati nei velieri del sole
Dissociatori erbosi e ruminanti che gettano rampini in un passato proibito
Studenti sordi ed impegnati che all’improvviso stabiliscono relazioni di causa ad effetto
Operai analogici si destano lentamente nel vuoto dei sobborghi contorti
Grappoli di donne pesanti radicate al dolore degli uomini
Operai in sciopero sulle tubazioni del paese che esigono rispetto e diritti
Attacchini di manifesti, venditori di giornali, distributori di volantini, portatori di cartelli
Studenti insolenti e nervosi che si nascondono con veemenza
Con aliti fetidi, volti screpolati
Studenti ridenti che tastano col piede il fragile equilibrio dell’acqua e del fuoco
Sindacalisti venti volte licenziati da gesti robusti di uomini che misurano l’eternità
Contadini sfruttati sotto ai loro trattori che alla sera mettono in tavola le preziose consegne
Voi siete la Bretagna che viene al fuoco
Voi siete la Bretagna che si apre ai venti del mondo
Oggi ve lo dico
Andiamo a dissodare il terreno
Ci saranno brividi di luce nella nebbia delle solitudini
E gli angoli delle finestre schiumeranno di folgori
Allora, ci insedieremo nell’odore dei telai e negli interstizi delle tegole
Per moti di tenerezza
Oggi vi dico
che un popolo nuovo emerge lentamente districandosi dai raccolti esemplari
Un popolo nuovo si stacca da secoli di colla
Questo paese cloroformizzato
Questo paese brulicante di speranze clandestine
Riapre gli occhi sulle periferie supermarine
Che suscitano in me carezzevoli pioggerelline
Per umettare le campagne policrome
Che sanguinano folgori sgualcite per il piacere degli uomini che le violentano
Che spalancano le bocche schiave del mio popolo infantile di rondini
Che raddrizzano le case estratte con la matrice da liquide esfoliazioni
Che si ridesti il mio popolo, ai quattro angoli del mondo mattutino!
NOTE ALLA TRADUZIONE

* Boccaggio: porzione di terreno coltivato o meno delimitato da siepi o da filari di alberi.

** Si tratta delle "portiere" dei ponti di barche.

*** Qui: "cutter" nel senso di veliero.


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