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Επιφάνια Αβέρωφ

Mikis Theodorakis / Mίκης Θεοδωράκης
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EPIFANIA 1937

Il mare in fiore, i monti nella luna menomante
la grande rupe accanto ai fichi d’India e agli asfodeli
l’orcio che non voleva asciugarsi alla fine del giorno
e quel letto serrato là vicino ai cipressi e i tuoi capelli
d’oro, gli astri del Cigno e Aldebaran.

Ho serbato la mia vita, ho serbato la mia vita viaggiando
tra piante gialle nel rovescio della pioggia
su taciti versanti sovraccarichi delle foglie di faggio,
senza falò sul vertice. Fa sera.
Ho serbato la mia vita: sulla tua mano sinistra una linea,
sul tuo ginocchio un segno: ci saranno
sulla sabbia dell’altra estate, ci saranno
ancora, là dove soffiò la tramontana
mentre sento d’attorno al lago ghiaccio
questa lingua straniera.
Nulla chiedono i visi che vedo, né la donna
che incede curva col bambino al petto.
Salgo sui monti: valli annerite; la piana nevicata,
fino laggiú nevicata non chiede
nulla, né il tempo chiuso entro cappelle mute,
né le mani protese a cercare, o le strade.
Ho serbato la mia vita in un sussurro, dentro
l’illimitato silenzio
e non so piú parlare né pensare: sussurri
come il respiro del cipresso quella notte,
come la voce umana del mare notturno
fra i ciottoli, o il ricordo della tua voce che diceva «buona fortuna».
Chiudo gli occhi cercando il convegno segreto delle acque
sotto il ghiaccio, il sorriso del mare, i pozzi chiusi
palpando con le mie vene le vene che mi sfuggono,
dove mettono capo le ninfee e l’uomo che cammina
cieco sopra la neve del silenzio.
Ho serbato la mia vita, con lui, cercando l’acqua che ti sfiora:
gocce che cadono grevi sopra le foglie verdi, sul tuo viso
nel giardino deserto, sopra la vasca immota,
cogliendo un cigno morto nel bianco delle piume,
alberi vivi e i tuoi occhi sbarrati.

Questa strada non termina e non muta, anche se tenti
di rammentare gli anni d’infanzia, e chi partí
e chi sparí nel sonno, nelle tombe marine,
anche se brami di vedere i corpi amati reclinarsi
sotto le rame rigide dei platani, dove un raggio
nudo di sole s’è posato, e un cane
ha sobbalzato e un battito ha riscosso il tuo cuore,
questa strada non muta: ho serbato la mia vita.

La neve
e l’acqua ghiaccia al passo dei cavalli.
Epifania 1937 / Averof

Il mare fiorito e i monti nel dileguarsi della luna
il grande scoglio accanto ai fichidindia e agli asfodeli
la giara che si ostinava a dare acqua quando il giorno finiva
e il letto chiuso vicino ai cipressi e ai tuoi capelli
oro le stelle del Cigno e quella stella, Aldebaran

Ho trattenuto la mia vita
ho trattenuto la mia vita peregrinando
in mezzo ad alberi gialli verso la cortina della pioggia
su declivii silenziosi sotto il peso delle foglie del faggio
nessun fuoco sulla vetta si fa sera

Ho trattenuto la mia vita una linea nella tua mano sinistra
una scalfittura nel tuo ginocchio
manifestamente esistono nella sabbia dell'estate passata
manifestamente persistono là dove soffiò borea quando sento
intorno al lago gelato echeggiare la voce straniera

I volti che vedo non chiedono, nemmeno la donna
che cammina piegata dando il seno al suo bimbo

Ascendo i monti vallate nere d'inchiostro
la pianura innevata a perdita d'occhio la pianura innevata nulla chiedono
né il tempo racchiuso in una silente solitaria chiesetta
né le mani protese a cercare e nemmeno le strade

Ho trattenuto la mia vita con un sussurro nell'infinito silenzio
non so più né parlare né pensare
sussurri come il respiro del cipresso quella notte
come la voce umana del mare notturno tra i ciottoli come
il ricordo della tua voce che diceva "buona fortuna"

Chiudo gli occhi cercando il segreto incontro con le acque
sotto il ghiaccio il sorriso del mare i pozzi chiusi
tastando le mie vene quelle vene che mi sfuggono
là dove finiscono i fiori acquatici e questo è quell'uomo
che come un cieco tenta il passo sopra la neve del silenzio

Ho trattenuto la mia vita con lui cercando l'acqua che ti avvolge
gocce pesanti sopra le foglie verdi sul tuo volto
dentro il giardino deserto gocce nello stagno immoto
trovando un cigno morto nelle sue candidissime ali
alberi viventi e i tuoi occhi rapiti

Questa strada non finisce non può cambiare, per quanto cerchi
di ricordare i tuoi anni puerili quelli che se ne sono andati
quelli che si sono persi dentro il loro sonno in tombe marine
per quanto tu chieda ai corpi che hai amato di piegarsi
sotto i rami duri dei platani là
dove si fermò un raggio denudato del sole
e sussultò un cane e sbatté le ali il tuo cuore
la strada non può cambiare, ho trattenuto la mia vita

La neve
e l'acqua gelata nelle impronte dei cavalli.


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