État de siège
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ÉTAT DE SIÈGE État de siège [Au bord de la mort , Partition pour chorales] Au bord de la mort, il dit : Il ne me reste plus de trace à perdre : Libre je suis tout près de ma liberté. Mon futur est dans ma main. Bientôt je pénètrerai ma vie, Je naîtrai libre, sans parents, Et je choisirai pour mon nom pour mon nom des lettres d’azur... Ici, aux montées de la fumée, sur les marches de la maison, Pas de temps pour le temps. Nous faisons comme ceux qui s’élèvent , ceux qui s’élèvent vers Dieu Nous oublions la douleur Nous oublions la douleur. Au bord de la mort, il dit : Il ne me reste plus de trace à perdre : Libre je suis tout près de ma liberté. Mon futur est dans ma main. Bientôt je pénètrerai ma vie, Je naîtrai libre, sans parents, Et je choisirai pour mon nom pour mon nom des lettres d’azur... Ici, aux montées de la fumée, sur les marches de la maison, Pas de temps pour le temps. Nous faisons comme ceux qui s’élèvent vers Dieu ceux qui s’élèvent vers Dieu Nous oublions la douleur Nous oublions la douleur. | ÉTAT DE SIÈGE Qui, sui pendii delle colline, dinanzi al crepuscolo e alla legge del tempo Vicino ai giardini dalle ombre spezzate, Facciamo come fanno i prigionieri, Facciamo come fanno i disoccupati: Coltiviamo la speranza. Un paese che si prepara all’alba. Diventiamo meno intelligenti Perché spiamo l’ora della vittoria: Non c’è notte nella nostra notte illuminata Da una pioggia di bombe. I nostri nemici vegliano, I nostri nemici accendono per noi la luce Nell’oscurità dei sotterranei. Qui, nessun “io”. Qui, Adamo si ricorda che la sua argilla è fatta di polvere. In punto di morte, dice: Non posso più smarrire il sentiero: Libero sono a un passo dalla mia libertà. Il mio futuro è nella mia mano. Ben presto penetrerò nella mia vita, Nascerò libero, senza madre né padre, E mi sceglierò un nome di lettere d’azzurro… Qui, fra spirali di fumo, sui gradini di casa, Non c’è tempo per il tempo. Come chi s’innalza verso Dio, Dimentichiamo il dolore. Nulla qui riecheggia Omero. I miti bussano alla nostra porta, se vogliono. Nulla riecheggia Omero. Qui, un generale Scava alla ricerca di uno stato addormentato Sotto le rovine di una Troia che verrà. Voi, ritti in piedi sulla soglia, entrate, Bevete con noi il caffè arabo. Sentirete che siete uomini come noi. Voi, ritti in piedi sulla soglia delle case, Uscite dalla nostra alba. Ci sentiremo sicuri di essere Uomini come voi! Quando gli aerei scompaiono, spiccano il volo le colombe Bianchissime, lavano la gota del cielo Con ali libere, riprendono il bagliore e il possesso Dell’etere e del gioco. In alto, ancora più in alto volano via Le colombe bianchissime. Ah, se il cielo Fosse vero… (mi ha detto un uomo correndo fra due bombe). I cipressi, dietro i soldati, minareti che s’innalzano Per non far crollare il cielo. Dietro la siepe di ferro Pisciano i soldati – al riparo di un tank – E la giornata autunnale conclude la sua traiettoria dorata In una strada vasta come una chiesa dopo la messa domenicale… (A un assassino) Se avessi contemplato il volto della vittima E riflettuto, ti saresti ricordato di tua madre nella camera A gas, avresti buttato via le ragioni del fucile E avresti cambiato idea: non è così che si ritrova un’identità. La nebbia è oscurità, densa oscurità bianca La sbucciano l'arancia e la donna piena di promesse. L’assedio è attesa, Attesa su una scala inclinata Dove più infuria l’uragano. Soli, siamo soli a bere l’amaro calice, Se non fosse per le visite dell’arcobaleno. Abbiamo dei fratelli dietro quella spianata, Fratelli buoni, che ci amano. Ci guardano e piangono. Poi si dicono in segreto: “Ah! Se quest’assedio venisse dichiarato…” Lasciano la frase incompiuta: “Non lasciateci soli, non abbandonateci”. Le nostre perdite: da due a otto martiri, giorno dopo giorno. E dieci feriti. E venti case. E cinquanta ulivi… Aggiungeteci la perdita intrinseca Che sarà il poema, l’opera teatrale, la tela incompiuta. Una donna ha detto alla nube: copri il mio amato Perché ho le vesti grondanti del suo sangue. Se non sei pioggia, amor mio Sii albero Colmo di fertilità, sii albero Se non sei albero, amor mio Sii pietra Satura d’umidità, sii pietra Se non sei pietra, amor mio Sii luna Nel sogno dell’amata, sii luna (Così una donna che dava sepoltura al figlio) O ronde della notte! Non siete stanche Di spiare la luce nel nostro sale E l’incandescenza della rosa nella nostra ferita, Non siete stanche, ronde della notte? Un lembo di questo infinito assoluto azzurro Basterebbe Ad alleviare il fardello di questo tempo E a spazzare via la melma di questo luogo. Che l’anima scenda dalla sua cavalcatura E cammini con passi di seta Al mio fianco, mano nella mano, come due amici Di vecchia data che condividono il pane secco E un bicchiere di vino della vecchia vigna, Per poter attraversare insieme questa strada. Poi i nostri giorni seguiranno sentieri diversi: Io al di là della natura, e lei, Lei preferirà inerpicarsi su un’altra vetta. Siamo lontani dal nostro destino come gli uccelli Che fanno il nido negli anfratti delle statue, O nella cappa del camino, o nelle tende Dove riposava il principe andando a caccia. Sulle mie macerie spunta verde l’ombra, E il lupo sonnecchia sulla pelle della mia capra. Sogna come me, come l’angelo, Che la vita sia qui… non laggiù. Quando si è assediati, il tempo diventa spazio Pietrificato nella sua eternità Quando si è assediati, lo spazio diventa tempo Che ha fallito il suo ieri e il suo domani. Questo martire mi assedia ogni volta che vedo spuntare un nuovo giorno E mi chiede: Dov’eri? Annota sui dizionari Tutte le parole che mi hai offerto E libera i dormienti dal ronzio dell’eco. Il martire mi spiega: Non ho cercato al di là della spianata Le vergini dell’immortalità, perché amo la vita Sulla terra, fra i pini e gli alberi di fico, Ma era inaccessibile, così ho preso la mira Con l’ultima cosa che mi appartiene: il sangue nel corpo dell’azzurro. Il martire mi avverte: Non credere alle loro storie Credi a me, padre, quando osservi la mia foto e chiedi piangendo: Come hai potuto scambiare le nostre vite, figlio mio, Perché mi hai preceduto? C’ero io, c’ero prima io! Il martire non mi da tregua: mi sono solo spostato con i miei mobili consunti. Ho posato una gazzella sul mio letto, E una falce di luna sul mio dito, Per alleviare la mia pena. L’assedio continuerà, per convincerci a scegliere una schiavitù che non fa male, In piena libertà! Resistere significa: accertarsi della forza Del cuore e dei testicoli, e del tuo male tenace: Il male della speranza. In quel che resta dell’alba, cammino verso il mio involucro esterno In quel che resta della notte, ascolto il rumore dei passi rimbombare al mio interno. Saluto chi come me insegue L’ebbrezza della luce, lo splendore della farfalla, Nell’oscurità di questo tunnel. Saluto chi beve con me dal mio bicchiere Nelle tenebre di una notte che entrambi ci avvolge: Saluto il mio spettro. Per me i miei amici preparano sempre una festa Da Dio, una sepoltura serena all’ombra delle querce Un epitaffio inciso nel marmo del tempo E sempre ai funerali li precedo correndo: Chi è morto… chi? La scrittura, un cucciolo che morde il nulla La scrittura ferisce senza lasciar tracce di sangue. Le nostre tazze di caffè. Gli uccelli, gli alberi verdi Nell’ombra azzurrina, il sole che scivola di muro In muro con balzi di gazzella L’acqua delle nubi dalla forma illimitata – tutto quel che ci resta. Il cielo. E altre cose dai ricordi sospesi Rivelano che questo mattino è potente splendore, E che noi siamo i convitati dell’eternità. |