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Uspavanka (Nini sine, spavaj sine)

Alma Bandić
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Beša ti se na moru kovala: La ninna-nanna di derivazione, certi ...
LULLABY [HUSH LITTLE BABY, SLEEP LITTLE BABY]

Mmmmm mmmm mmm...
Mmmmm mmmm mmm...

Hush little baby, sleep little baby
You can't get to sleep.
Your cradle, your cradle
Was carved out at sea.

Some are carving, some are carving,
Others are goldplating, goldplating
And still others are carrying, are carrying
A golden apple.

Your mother is in sorrow, in sorrow
She became a widow.
Your mother is in sorrow, in sorrow,
She became a widow.

Mmmmm mmmm mmm...
Mmmmm mmmm mmm...
Beša ti se na moru kovala,
Kovale je do tri kujundžije.
Jedan kuje, drugi pozlaćuje,
Treći meće od zlata jabuke.
Ode beša od grada do grada,
U svakom je dobro darovana,
U Stambolu svilom naložena,
U Saraj’vu dilbom pokrojena.
Dojde beša mom djetetu dragom,
U toj beši lijep san usnilo.
A majka mu tanke koše kroji,
Koše kroji, a godine broji:
- Koliko je u košulji žica,
Toliko mi živi godinica!
Koliko je na mahrami grana,
Toliko mi imao jarana!

La tua culla è stata fabbricata in mare,
L'hanno fabbricata tre orefici. [1]
Uno la fabbrica, l'altro la riveste d'oro,
Il terzo ci mette sopra una mela d'oro.
La culla va di città in città,
In ognuna riceve qualcosa di buono.
A Istanbul viene foderata di seta,
A Sarajevo [2] tagliata e cucita a patchwork. [3]
La culla va al mio caro bambino,
In quella culla fa una bella nanna.
E la sua mamma fa dei panieri,
Fa dei panieri e conta gli anni:
Quanti fili ci son nel paniere,
Tanti son gli anni che vivrò!
Quanti grani ci sono d'oro,
Tanti amanti io ho avuti!
[1] Nota linguistica. Il termine qui utilizzato, kujundžija, serve bene a dare un'idea degli intrecci linguistici balcanici. E' propriamente di origine turca (kuyumcu “orafo, gioielliere”) ma, a sua volta, il termine turco si basa su una radice slava (kuyu- è la radice del verbo kovati “forgiare”, “fabbricare”, presente tra l'altro in varie sue forme nel medesimo testo: kuje, kovala). Si tratta quindi di un cosidetto “Rückpferd”, o “cavallo di ritorno”. Il termine si diffonde nella forma turca evidentemente grazie allo splendore dell'arte orafa ottomana; e così, passa non solo in serbocroato bosniaco (o meglio, nello standard musulmano basato sul sistema serbocroato), ma anche in greco (κουγιουμτζής o κοεμτζής: qualcuno si ricorda dove ne abbiamo parlato qua una volta, di questa parola...?). A loro volta, i derivati slavi di kovati passano in mezze lingue balcaniche, specialmente kovač “fabbro” (che diventa, come “Fabbri” in Italia, come “Smith” in Inghilterra o come “Schmidt” in Germania, anche un diffusissimo cognome); e così, “fabbro” si dice kovács anche in ungherese, ad esempio.

[2] Tanto che siamo a parlare di intrecci, specifichiamo anche (come è certamente notissimo) che il nome di Sarajevo è una parola turca (saray, ovvero il famoso "Serraglio") munita di un suffisso slavo, -evo appunto.

[3] Dilbom corrisponde qui a diobom, da dioba "suddivisione, ripartizione, spezzettamento" (derivato da dio "parte"). Il verbo pokrojiti significa "tagliare diversi vestiti". La traduzione che ho usato non è forse molto adatta, ma rende l'idea: a Sarajevo la culla viene rivestita di qualcosa tagliata e cucita con pezzi diversi (il che può essere benissimo una metafora della suddivisione della città tra diverse religioni, culture, etnie, ma che formano un "unico tessuto" come il patchwork).



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