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Franca Rame: Lo stupro.

GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCG
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OriginaleVersion française – LE VIOL – Marco Valdo M.I. – 2013
FRANCA RAME: LO STUPRO.

Testimonianza da "Il Quotidiano Donna", 1973

Lo stupro

Al centro dello spazio scenico vuoto, una sedia.

PROLOGO

FRANCA RAME: Ancora oggi, proprio per l’imbecille mentalità corrente, una donna convince veramente di aver subito violenza carnale contro la sua volontà, se ha la “fortuna” di presentarsi alle autorità competenti pestata e sanguinante, se si presenta morta è meglio! Un cadavere con segni di stupro e sevizie dà più garanzie. Nell’ultima settimana sono arrivate al tribunale di Roma sette denunce di violenza carnale.
Studentesse aggredite mentre andavano a scuola, un’ammalata aggredita in ospedale, mogli separate sopraffatte dai mariti, certi dei loro buoni diritti. Ma il fatto più osceno è il rito terroristico a cui poliziotti, medici, giudici, avvocati di parte avversa sottopongono una donna, vittima di stupro, quando questa si presenta nei luoghi competenti per chiedere giustizia, con l’illusione di poterla ottenere. Questa che vi leggo è la trascrizione del verbale di un interrogatorio durante un processo per stupro, è tutto un lurido e sghignazzante rito di dileggio.
MEDICO Dica, signorina, o signora, durante l’aggressione lei ha provato solo disgusto o anche un certo piacere... una inconscia soddisfazione?
POLIZIOTTO Non s’è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme, la desiderassero tanto, con così dura passione?
GIUDICE È rimasta sempre passiva o ad un certo punto ha partecipato?
MEDICO Si è sentita eccitata? Coinvolta?
AVVOCATO DIFENSORE DEGLI STUPRATORI Si è sentita umida?
GIUDICE Non ha pensato che i suoi gemiti, dovuti certo alla sofferenza, potessero essere fraintesi come espressioni di godimento?
POLIZIOTTO Lei ha goduto?
MEDICO Ha raggiunto l’orgasmo?
AVVOCATO Se sì, quante volte?

Il brano che ora reciterò è stato ricavato da una testimonianza apparsa sul “Quotidiano Donna”, testimonianza che vi riporto testualmente.


Si siede sull’unica sedia posta nel centro del palcoscenico.

FRANCA C’è una radio che suona... ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore... amore...
Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena... come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra... con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare.
Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.
Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce... la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza... Dio che confusione! Come sono salìta su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso?
Non lo so.
È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare... è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Sono come congelata.
Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena... s’è seduto comodo... e mi tiene tra le sue gambe... fortemente... dal di dietro... come si faceva anni fa, quando si toglievano le tonsille ai bambini.
L’immagine che mi viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio canta, neanche tanto forte. Perché la musica? Perché l’abbassano? Forse è perché non grido.
Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono altri tre. Li guardo: non c’è molta luce... né gran spazio... forse è per questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che fanno? Si stanno accendendo una sigaretta.
Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?
Sta per succedere qualche cosa, lo sento... Respiro a fondo... due, tre volte. Non, non mi snebbio... Ho solo paura...
Ora uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a sinistra. Vedo il rosso delle sigarette. Stanno aspirando profondamente.
Sono vicinissimi.
Sì, sta per succedere qualche cosa... lo sento.
Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli... li sento intorno al mio corpo. Non ha aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad essere pronto a tenermi più ferma. Il primo che si era mosso, mi si mette tra le gambe... in ginocchio... divaricandomele. È un movimento preciso, che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, perché subito i suoi piedi si mettono sopra ai miei a bloccarmi.
Io ho su i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con su i pantaloni? Mi sento peggio che se fossi nuda!
Da questa sensazione mi distrae un qualche cosa che subito non individuo... un calore, prima tenue e poi più forte, fino a diventare insopportabile, sul seno sinistro.
Una punta di bruciore. Le sigarette... sopra al golf fino ad arrivare alla pelle.
Mi scopro a pensare cosa dovrebbe fare una persona in queste condizioni. Io non riesco a fare niente, né a parlare né a piangere... Mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare qualche cosa di orribile.
Quello accucciato alla mia destra accende le sigarette, fa due tiri e poi le passa a quello che mi sta tra le gambe. Si consumano presto.
Il puzzo della lana bruciata deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf, davanti, per il lungo... mi tagliano anche il reggiseno... mi tagliano anche la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature...
Ora... mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si dànno da fare per spogliarmi: una scarpa sola, una gamba sola.
Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena.
Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare.
Devo stare calma, calma.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”. Io mi concentro sulle parole delle canzoni; il cuore mi si sta spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho. Non voglio capire. Non capisco nessuna parola... non conosco nessuna lingua. Altra sigaretta.
“Muoviti puttana fammi godere”.
Sono di pietra.
Ora è il turno del secondo... i suoi colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.
“Muoviti puttana fammi godere”.
La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa più volte sulla faccia. Non sento se mi taglia o no.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”.
Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie.
È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro, delle bestie schifose.
“Sto morendo, – riesco a dire, – sono ammalata di cuore”.
Ci credono, non ci credono, si litigano.
“Facciamola scendere. No... sì...” Vola un ceffone tra di loro. Mi schiacciano una sigaretta sul collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere finalmente svenuta.
Poi sento che mi muovono. Quello che mi teneva da dietro mi riveste con movimenti precisi. Mi riveste lui, io servo a poco. Si lamenta come un bambino perché è l’unico che non abbia fatto l’amore... pardon... l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, ma sento la sua fretta, la sua paura. Non sa come metterla col golf tagliato, mi infila i due lembi nei pantaloni. Il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere... e se ne va.
Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male... nel senso che mi sento svenire... non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo... per l’umiliazione... per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello... per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero... mi fanno male anche i capelli... me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia... è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca.
Cammino... cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.
Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. I polizioti... gente ce entra, che esce... Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora... Sento le loro domande. Vedo le loro facce... i loro mezzi sorrisi... Penso e ci ripenso... Poi mi decido...
Torno a casa... torno a casa... Li denuncerò domani.

Buio.
LE VIOL

Au centre de l'espace scénique vide, une chaise.

PROLOGUE

FRANCA RAME : Encore aujourd'hui, vraiment pour l’imbécile mentalité courante, une femme ne convainc vraiment d'avoir été violée contre sa volonté, que si elle a la « chance » de se présenter aux autorités compétentes - battue et sanglante, si elle se présente morte, c'est mieux ! Un cadavre avec des signes de viol et de sévices donne plus de garanties. Cette dernière semaine, au tribunal de Rome, sont arrivées sept dénonciations de viol.
Des étudiantes attaquées pendant qu'elles allaient à école, une malade attaquée à l'hôpital, des femmes séparées massacrées par des maris, sûrs de leurs bons droits. Mais le fait plus obscène est le rite terroriste auquel des policiers, des médecins, des juges, des avocats de la partie adverse soumettent une femme, victime de viol, lorsque celle-ci se présente dans les lieux compétents pour demander justice, avec l'illusion de pouvoir l'obtenir. Ce que je vous lis est la transcription du procès-verbal d'un interrogatoire pendant un procès pour viol, c'est tout entier un dégueulasse et ricanant rite de dérision.

LE MÉDECIN
Dites, mademoiselle, ou madame, pendant l'agression avez-vous éprouvé seulement du dégoût ou aussi un certain plaisir… une inconsciente satisfaction ?

LE POLICIER
Ne vous êtes-vous pas sentie flattée que tant d'hommes, quatre à ce qu'il semble, tous ensemble, vous désiraient tant, avec une si dure passion ?

LE JUGE
Êtes-vous restée toujours passive ou à un certain point avez-vous participé ?

LE MÉDECIN
Vous êtes vous sentie excitée ? Impliquée ?

L'AVOCAT DÉFENSEUR des VIOLEURS
Avez-vous senti que vous mouilliez ?

LE JUGE
N'avez-vous pas pensé que vos gémissements, dus certes à la souffrance, pouvaient être compris comme des expressions de jouissance ?

LE POLICIER
Avez-vous joui ?

LE MÉDECIN
Avez-vous atteint l'orgasme ?

L'AVOCAT
Si oui, combien de fois ?

Le morceau que je vais interpréter maintenant a été tiré d'un témoignage paru dans le « Quotidien Femme », témoignage que vous rapporte textuellement.


Elle s'assied sur l'unique chaise posée au centre de la scène.

FRANCA

Il y a une radio qui joue… mais je l'entends seulement un peu après. Seulement un peu après, je me rends compte qu'il y a quelqu'un qui chante. Oui, c'est une radio. Musique légère : ciel étoiles coeur amour… amour…
J'ai un genou, un seul, planté dans le dos… comme si celui est derrière moi tenait l'autre appuyé par terre… avec ses mains, il tient les miennes, fort, en me les tournant à l'envers. La gauche en particulier.
Je ne sais pas pourquoi, je me mets à penser qu'il est peut-être gaucher. Je ne comprends rien à ce qui m'arrive.
J'ai sur moi l'épouvante de quelqu'un qui est en train de perdre son cerveau, sa voix… ses mots. Je prends conscience des choses, avec une incroyable lenteur… Dieu, quelle confusion ! Comment suis-je montée dans cette camionnette ? Ai-je levé les jambes, l'une après l'autre, poussée par eux ou m'ont-ils chargée, en me soulevant comme un sac ?
Je ne le sais pas.
Il y a mon coeur, qui bat si fort contre mes côtes, qui m'empêche de raisonner… il y a ce mal à la main gauche, qui devient vraiment insupportable. Pourquoi me la tordent-ils tant ? Je ne tente aucun mouvement. Je suis congelée.
Maintenant, celui qui est derrière moi n'appuie plus son genou contre mon dos… s'est assis confortablement… et il me tient entre ses jambes… fortement… par derrière… comme on faisait il y a des années, lorsque on enlevait les amygdales aux enfants.
L'image qui me vient à l'esprit, c'est cela. Pourquoi me serrent-ils tant ? Je ne me bouge pas, pas un hurlement, je suis sans voix. Je ne comprends pas ce qui m'arrive. La radio joue, même pas très fort. Pourquoi la musique ? Pourquoi l'abaissent-ils ? Peut-être est-ce parce que je ne crie pas.
Outre celui qui me tient, il y en a trois autres. Je les regarde : il n'y a pas beaucoup de lumière… ni beaucoup de place… peut-être est pour cela qu'ils me tiennent à moitié étendue. Je les sens calmes. Très sûrs. Que font-ils ? On allume une cigarette.
Fument-ils ? Maintenant ? Pourquoi me tiennent-ils ainsi et fument-ils ? Il se passe quelque chose, je le sens… Je respire à fond… deux, trois fois. Non, je suis en plein brouillard… J'ai seulement peur…
Maintenant, il y a un qui se glisse tout contre moi, un autre se couche à ma droite, un autre à gauche. Je vois le rouge des cigarettes. Ils aspirent profondément.
Ils sont très proches.
Oui, il se passe quelque chose… je le sens.
Celui qui me tient par derrière, tend tous ses muscles… je le sens autour de mon corps. Il n'a pas accru son étreinte, il a seulement tendu ses muscles, comme pour être prêt à me tenir plus fort. Le premier qui avait bougé, se met entre mes jambes… à genoux… en me les écartant. C'est un mouvement précis, qui semble accordé avec celui qui me tient par derrière, car ses pieds se mettent subitement sur les miens pour me bloquer.
J'ai mon pantalon. Pourquoi m'ouvrent-ils les jambes avec le pantalon ? Je me sens plus mal que si j'étais nue !
De cette sensation, me distrait un quelque chose que je n'arrive pas à reconnaître tout de suite… une chaleur, d'abord ténue et ensuite de plus en plus forte, jusqu'à devenir insupportable, sur le sein gauche.
Une pointe de brûlure. Les cigarettes… sur le golf jusqu'à la peau.
Je me retrouve à penser à ce que devrait faire une personne dans ces conditions. Je ne réussis pas à faire quoi que ce soit, ni à parler ni à pleurer… Je me sens comme mise à une fenêtre, forcée à regarder quelque chose d'horrible.
Celui couché à ma droite allume les cigarettes, il tire deux fois et ensuite les passe à celui qui est entre mes jambes. Elles se consument vite.
La puanteur de la laine brûlée doit déranger ces quatre-là : avec une lame, ils coupent mon golf, devant, en longueur… ils coupent aussi mon soutien-gorge… ils me taillent même la peau en surface. À l'expertise médicale, on mesurera vingt et un centimètres. Celui qui est entre mes jambes, à genoux, me prend les seins à pleines mains, je les sens glaciales sur mes brûlures…
Maintenant… ils ouvrent la tirette de mon pantalon et ils s'y mettent tous pour me déshabiller : une seule chaussure, une seule jambe.
Celui qui me tient par derrière s'excite, je sens qu'il se frotte contre mon dos.
Maintenant celui qui est entre mes jambes me pénètre. J'ai envie de vomir.
Je dois être calme, calme.
« Remue-toi, putain. Fais-moi jouir ». Je me concentre sur les mots des chansons ; mon cœur se brise, je ne veux pas sortir de la confusion où je suis. Je ne veux pas comprendre. Je ne comprends aucun mot… je ne connais aucune langue. Une autre cigarette.
« Remue-toi, putain. Fais-moi jouir ».
Je suis de pierre.
Maintenant, c'est le tour du second… ses coups sont encore plus décidés. Je sens un grand mal.
« Remue-toi, putain. Fais-moi jouir ».
La lame qui a servi à me couper le golf passe plusieurs fois sur mon visage. Je ne sens pas si elle me coupe ou non.
« Remue-toi, putain. Fais-moi jouir ».
Le sang coule de mes joues à mes oreilles.
C'est le tour du troisième. C'est horrible de sentir jouir en soi des bêtes dégoûtantes.
« Je meurs, – j'arrive à dire – je suis malade du coeur ».
Ils croient, ils ne croient pas, ils se querellent.
« Faisons la descendre. Non… oui… » Une gifle vole entre eux. Ils écrasent une cigarette sur mon cou, ici, jusqu'à l'éteindre. Voilà, là, je crois m'être finalement évanouie.
Ensuite, je sens qu'ils me bougent. Celui qui me tenait par derrière me rhabille avec des mouvements précis. Il me rhabille, moi je ne peux pas. Il se plaint comme un enfant car il est l'unique qui n'ait pas fait l'amour… pardon… l'unique, qui n'ait pas ouvert son pantalon, mais je ressens sa hâte, sa peur. Il ne sait pas comment faire avec mon golf coupé, il enfile les deux bords dans mon pantalon. La camionnette s'arrête le temps de me faire descendre… et s'en va.
De la main droite, je tiens ma veste refermée sur mes seins découverts. Il fait presque noir. Où suis-je ? Au parc. Je me sens mal… dans le sens où je me sens m'évanouir… pas seulement à cause de la douleur physique dans tout le corps, mais à cause du dégoût… à cause de l'humiliation… à cause des mille crachats que j'ai reçus dans le cerveau… à cause du sperme que je sens sortir. J'appuie ma tête à un arbre… même mes cheveux me font mal… ils me les tiraient pour bloquer ma tête. Je passe ma main sur mon visage… Il est sale de sang. Je relève le col de ma veste.
J'avance… j'avance je ne sais depuis combien de temps. Sans m'en apercevoir, je me retrouve devant la Questure.
Appuyée au mur de l'immeuble en face, je reste là à regarder pendant un bout de temps. Les policiers… des gens qui entrent, qui sortent… Je pense à ce que je devrais affronter si j'entrais maintenant… Je pressens leurs questions. Je vois leurs visages… leurs demi-sourires… Je pense et j'y repense… Puis, je me décide…
Je rentre chez moi… je rentre chez moi… Je les dénoncerai demain.

Noir.


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