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Canto para una semilla

Violeta Parra
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Traduzione svedese di »La denuncia« / Swedish translation of »...
CANTO PER UN SEME

[Racconto]

Cantare è un dolce piacere
Ancor più bello se ti accompagni con la chitarra
e a chi rifugge la gazzarra
gli va a pennello.
La cantora si può presentare
senza trucchi e senza finzioni;
cantare la buona aurora
come fanno gli uccelletti,
o cantare gli angioletti
come fa la Vergin Signora.

Perciò gentile pubblico
vengo a cantare dei canti ricolmi
di così delicati versetti
quasi che fossero dei gioielli perfetti.
Alcuni denunceranno i dolori,
i malanni della nostra esistenza,
altri, pieni di fede e speranza,
chiederanno dei cambiamenti.
Io, comune mortale,
seguirò questa loro cadenza.

E vado a incominciare dall’inizio,
senza trascurare un sol dettaglio
e spero risulti ben chiaro
quello che voglio raccontare.
Può darsi che io non vi convinca
con la mia povera ispirazione
ma inizio lo stesso la descrizione
senza fandonie né inganni,
andando un po’ indietro negli anni
e cambiando abitazione.


"Cantar es lindo deleite".... "Cantare è un dolce piacere, specialmente se ti accompagni con una chitarra!" Così comincia il "Canto per un Seme". La storia della vita di chi lo ha scritto, delle sue scoperte, delle sue delusioni, delle sue ricerche, della sua militanza; e, anche, della premonizione della sua morte. E di una speranza di riscatto e di cambiamento radicale mai venuta meno.
Di ambiente piccolo borghese, Violeta Parra è pur sempre una "privilegiata" per gli standard del Cile del suo tempo; i suoi genitori, inoltre, le danno un'educazione molto libera, permettendole di "formarsi" per la strada e nei campi. L'introduzione al "Canto" è gioiosa; ma il tono cambia ben presto. Fin da bambina Violeta si accorge del mondo che la circonda. Ma sentiamo come, dopo l' "Introduzione", Violeta Parra ritrae la sua famiglia:


1. LA FAMIGLIA

E già che l’orchestra suona,
signori, mi sia concesso
di presentarvi in grande stile
mio nonno José Calixto.


Si chiamava José Calixto,
Fu abbastanza rispettabile,
Amichevole e ben istruito,
Il suo talento vi sorprenderebbe.
Aumenterò la sua buona fama
Dicendo assai brevemente
Come tra il martedì e il giovedì
Cerca di mostrare il suo onore
Difendendo il Tricolore
Dell' anno '79.

Nella città di Chillán
Viveva in un casermone,
"Capo" di un sobborgo
Dove abitava tanta gente;
Per aver ancor più autorità
Manda suo figlio a scuola
E su richiesta di mia nonna
Lo manda a imparare a suonare
Per formare un'orchestra
Con arpa, violino e viola.

Questo è il nonno paterno di Violeta Parra, ed è anche un sobborgo di una città cilena nel 1879. Il nonno è una specie di "nazionalista moderato", ma non è un conservatore di stampo classico; da un lato è il "capo sobborgo", illudendosi di avere un'autorità che non ha. Però ostenta qualche "status symbol" di allora: manda suo figlio a scuola (!) e gli fa imparare la musica. Ma passiamo adesso al nonno materno:


Questo era nonno Callisto
pieno di musica nella testa.
Ma quest’altro mio nonno materno
aveva maggiore buon senso:


Mio nonno per parte di madre
Era capo fittavolo
Fattore e procuratore
Poco meno che dell'aria;
Il ricco con la sua prepotenza
Lo teneva sotto di sé,
Cocchiere in carrozza
Vinattiere e guardiano,
Giardiniere e potatore,
E gli imponeva di curar l'orto.

Guardandolo a prima vista
Il mio bel nonno sembra
Un arcangelo in cielo,
Gemello di Giovanni Battista;
Azzurri i suoi occhi,
Bionda la sua capigliatura
Montato sulla sua cavallina
Non c'è ragazza che non lo guardi,
Né vecchia che non sospiri
Alle spalle di mia nonna.

E questa è un'altra parte del Cile di quel tempo: il "factotum" del ricco, sempre al suo servizio. Un servo, appunto; ma un servo "nobilitato". Non per questo meno servo, come si coglie nell'ironia delle parole di Violeta Parra. La quale, dei genitori, parla un po' meno; ha già individuato tutto il suo ambiente nei nonni.


Ci penso su un poco
e mi appaiono mio padre e mia madre,
Magari potessi cesellare
i loro ritratti:


Mio padre fu assai istruito,
Studiò da professore
E andò nelle scuole
A insegnare il suo "latino".
Mia madre, come un uccellino
Nacque in un campo in fiore,
Come un calabrone svolazzante
Crebbe fra il biancospino,
Conobbe la mietitura,
La macina e il raccolto.

Qui termina la descrizione della famiglia, con la ripetizione per tre volte della strofa finale in duetto (ovvero fra i due figli di Violeta Parra, che cantano la canzone).

Libera, come sarebbe sicuramente piaciuto al Guccini di "Culodritto", Violeta Parra è un vero "maschiaccio" malgrado le sue dimensioni minime (anche da adulta non superò mai la statura di un metro e cinquantadue). Violeta Parra disse sempre di aver avuto un infanzia felicissima, piena di "ammaccature" e di risse, ma anche di giochi da sola e di camminate da maratoneta. Imparò la solitudine e a cavarsela sempre da sola; e, come dichiarò sempre, "me quedé una niña". La chiamavano “La Feliz Violeta”. E, subito dopo, inizia un pezzo vertiginoso sia nell'andamento musicale che nel linguaggio, scritto interamente in dialetto. Le avventure di Tom Sawyer!
Ma c'è anche il ballo e la musica!:



[Racconto]

Nei miei primi ricordi d’infanzia
non c’è che un filo di settimane
e poi non parliamo di scuola:
la detesto di tutto cuore
dalla lavagna al gesso,
dal libro alla campana,
dalla cattedra al banco.
La chitarra è la mia prima passione.
Se c’è una festa e lo vengo a sapere
sì, la sì che ci vado ad imparare una canzone


2. L’INFANZIA

[Coro]

Quando mi perdo nella vigna
Armando le mie tagliole
Sono Violetta Cuorcontento,
Il vento mi spettina tutta!

[Racconto]

Ero nata
Con l’argento vivo addosso
neanche il demonio
mi avrebbe acciuffata
E se a scuola ero piuttosto disastrata
in compenso ero di casa su nei boschi
e la fine dell’anno
mi trovava seduta su uno sgabello…
“Vorrei essere un alberello!”


Quando mi perdo nella vigna
Armando le mie tagliole
Sono Violetta Cuorcontento,
Il vento mi spettina tutta!

Così a poco a poco imparo
Quel che son la madia e l'aratro
Il mosto cotto, il sostegno e il ponce
La conocchia che sta tessendo,
La pietra che sta a macinare,
Semina, taglio, potare e trebbiare,
Stendere il grano, la spula, la vendemmia
E quante specie di ragni
Mangiano le mele acerbe.

Imparo a ballare la "cueca",
Suono la viola improvvisando,
Scuoio rane col coltello
E faccio partire il telaio,
Come una chioccia
Covo la mia bella nidiata
E nel fienile riscaldato
Lascio imbiondire il grano
E ingiallire il mais,
Nessuno mi vince nelle risse!

Quando mi perdo nella vigna
Armando le mie tagliole
Sono Violetta Cuorcontento…

… E la chitarra è la mia prima passione.
Se c’è una festa e lo vengo a sapere
Sì, la sì che ci vado ad imparare una canzone

La strofa, cantata da Isabel Parra, è ripetuta con gli Inti-Illimani che si inframezzano con l'intermezzo della "Feliz Violeta". E', fra parentesi, il brano che canto sempre a quelli che mi dicono che "lo spagnolo si capisce senza problemi", anche considerando che deve essere eseguito quasi senza respirare, in venti secondi!



[Racconto]

Passano gli anni,
cambiano le cose.
Ciò che era vino oggi è solo inchiostro.
Ciò che era cuoio oggi è solo panno.
Ciò che era vero oggi è solo inganno.
Tutto è tormento e miseria.
Le leggi mi fanno paura.
Ho in cuore un gran turbamento.
Confusa in un vicolo cieco
domando sollievo al mio canto.

Il tempo che vola altrove
muta le cose in altre.
Io nacqui nel grano soave
ma la semina si fece stenta,
il raccolto di poca cuccagna
e la speranza rimase monca.
La gente non saprà mai
che cosa accadrà domani.
Che cosa il domani sarà
la gente mai, mai lo saprà

Entrai nel garofano dell’amore
sconvolta dai suoi colori,
rapita dallo splendore
del fiore più prelibato.
Fiero della mia passione
m’aperse come una ferita
che pianse, non rimarginata,
nell’orto dell’oblìo.
Il fiore non mi si schiuse:
quate lacrime perse!


Passano gli anni e per la giovane Violeta arriva l'amore. Il quale non è niente di idilliaco; qualcosa da rimuovere. Addirittura di spaventoso, di falso. Qualcuno sospettò che Violeta, da adolescente, avesse subito una violenza sessuale (anche se lei non lo disse mai); e questo parrebbe essere adombrato nella seconda strofa della canzone che segue. E, con la disillusione sull'amore (o su un certo tipo di amore), per Violeta arriva come automaticamente la presa di coscienza. "Nessuno è morto per una fede al dito, o per vivere senza marito, o per scemenze del genere", si dice nel recitativo; è qui che Violeta inizia il suo viaggio, sempre più dichiaratamente anarchica, anticlericale, libera in modo viscerale. Inizia a viaggiare per tutto il suo lunghissimo Paese, come farà per tutta la vita, e a cantare quello che per lei è il suo vero amore: il suo popolo, le sue vicende, le sue lotte e le sue tradizioni più ostacolate, represse, compresse. Lo fa con un tono che si fa via via sempre più duro: "Che dirà il Santo Padre che vive Roma / Che gli stiamo sgozzando le sue colombe?". Un tono di lotta continua, senza ripensamenti; il tono di chi crede che la morte non faccia finir niente ("La muerte no acaba nada"). Non la conosce nessuno e lei gira, vaga, canta e balla; e sono proprio gli anni in cui, nella parte nord del suo Continente, un certo Woody Guthrie sta facendo la stessa esatta cosa. Chissà, se si fossero incontrati...
L'Amore lascia questo tipo di traccia in Violeta Parra. Questa canzone disperata, definitiva, meravigliosa. Questa confessione a metà tra il rimpianto ed il non tornare indietro, perché la scelta è stata fatta. Vorrei che ne conosceste tutti la musica per poterla cantare.


3. L'AMORE

La vita mi fa paura,
Mi spaventa l'indifferenza,
La mano dell'inclemenza
Mi ha stretto questo nodo cieco.
La forza mi ha consumata
E mi ha torturato l'anima,
Per me quello che chiaman "calma"
E' una parola senza senso.

Per me quello che chiaman "calma"
E' una parola senza senso.

Il sole dissecca il maggese,
Lo lascia come un pruno secco,
Mi tormenta con bile nera
Se mi stendo su quel duro letto.
Cammino per un momento
Per le strade, senza meta,
Vedo che sono al mondo
Con niente più nel corpo, tranne l'anima.

Vedo che sono al mondo
Con niente più nel corpo, tranne l'anima.

Miserie e tradimenti
S'intrecciano ai miei pensieri,
E tra le acque e il vento
Mi perdo nella lontananza.
Io non piango così per fare
Ma per trovare conforto,
Il mio pianto è come una preghiera
Che nessuno vuole ascoltare.

Il mio pianto è come una preghiera
Che nessuno vuole ascoltare.

(I quattro versi di inizio della terza strofa, fra i più belli mai scritti da Violeta Parra, furono ripresi anche in "La exiliada del sur", uno dei suoi capolavori).

Non so come mai, ma mi viene a mente sempre una canzonetta di Amedeo Minghi, quando ascolto questo brano. "Cantare è d'amore", dice il Minghi; come no. Col cazzo! Cantare, scrivere, ogni cosa è buttarsi sul mondo, nel mondo, dentro e fuori il mondo. Questo e nient'altro. Tutto il resto sono solo cazzate immonde, chiunque le scriva o le dica.
Ed è quello che Violeta Parra fece.
Prese anche la patente di guida.
Il Cile è lungo 4500 chilometri.

E lungo quei 4500 chilometri, dal nord desertico dove non piove da 450 anni (nella Puna de Atacama) fino al gelo australe di Punta Arenas e della Tierra del Fuego, Violeta Parra incontrò tutti e cantò di tutti, cominciando a seminare una sorta di "terrore". Quella minuscola donna dai capelli lunghissimi, alla quale potrebbe essere senza alcun problema applicato il "teorema De André ": dove finivano le sue dita incominciava in qualche modo una chitarra.

Lungo quei 4500 chilometri si accorse come si viveva veramente.

La coscienza. Eccola qui la coscienza di chi viaggia per l'ingiustizia del mondo.
Ma non voglio fare "tirate", qui.
Lascio parlare Violeta Parra.
Guardate come si cambia tono, adesso!

E tanto per dare una botta anche ai fautori dell' "Arte per l'Arte" e ai tanti esteti che circolavano allora come adesso, ed anche tanto per dare una rinfrescatina alla canzone militante, in barba al nostro amato Guccini e alle sue interviste, Violeta Parra si occupa anche della Poesia:



[Racconto]

Ecco il mio fazzoletto,
signora, si asciughi il pianto
non c’è tormento al mondo
che non abbia il suo conforto.
Fra noi,
parliamoci chiaro,
ce ne scordiamo per egoismo,
ma che cosa ci sbatte all’inferno
adesso lo dico, davvero.
Signora: che sia condannata
seduta su un fico d’india
a cinque giorni di pane e acqua;
le lacrime che lei brucia
non valgono la candela.
Usi il suo furore per denunciare
la farsa
del politicante
e non il sospiro galante
o i maneggi dell’amore.

D’amore non è morto mai nessuno
né per affetto mentito,
né per vivere senza marito,
né per presunto tradimento.
Il mondo è un porto di mare
per l’ingiustizia e i dolori,
con pene di gran lunga maggiori.
La sua non è che un vagìto.
L’orrore più grande è sfruttare,
scannare la povera gente.


4. L’IMPEGNO

Se scrivo questa poesia
Non è solo per piacere,
Ma per incalzare senza tregua
Il male, spietatamente.
Voglio sottolineare da dove parto,
E quindi mi do una spinta,
Che mi autino le stelle
Con la loro immensa lucentezza
Per mettere allo scoperto
Quel che è in ombra in questa terra.

Il mio cuore girovago
Si rafforza in questo servizio,
Sarà grande il beneficio
Che sarà concesso al mio destino.
Il pensiero infinito,
Il tradimento in ogni istante,
Neanche chi se ne frega di tutto
Può restare indifferente
Se brilla nella nostra coscienza
Amore per i propri simili,

Se brilla nella nostra coscienza
Amore per i propri simili.


[Racconto]

Il sipario è già stato alzato
e la festa segue il suo corso,
il mio lungo triste discorso
fa parte di ciò che è rappresentato.

E intendo andare anche e ancora avanti
ve lo prometto è la mia intenzione
svegliatevi i sentimenti
e fatemi bene attenzione.

La mia testimonianza costituirà la prova.
Ce l’ho qui fra le mani
per bollare quei cani
che considero nemici.
Mollo le gomene dò fuoco alle polveri
ed eccovi il primo sparo
i miei versi son versi sciolti
per le bordate del varo.


5. LA DENUNCIA

Già verso metà dell’inverno
Quando le notti son dure,
Vediamo tante creature
Che lottano in questo inferno.
Mi colga la morte piuttosto
Che continuare a vivere vedendo questo spettacolo.

Il povero vive in silenzio,
Soffre una pena crudele
Guardando i suoi dieci piccini
Nella miseria e nel male.
Sul bordo del precipizio
Il grano sta già marcendo.

Neanche il più osannato
Può tirar dritto indifferente,
Se gli brilla dentro cosciente
L’amore per il prossimo.

E’ un’infamia ben crudele
Che non si salvino dalla fossa.
Il dolore è una cosa schifosa
E mi chiedo fin dall’inizio
Se vi sia una qualche giustizia
Per chi vive da diseredato.

Li portano sul calvario
Con una croce in spalla,
Gli negano anche la luce,
Li accecano nel sudario,
Li lasciano senza rose,
Senz’aria, senza sorgenti.

Neanche il più osannato
Può tirar dritto indifferente,
Se gli brilla dentro cosciente
L’amore per il prossimo.

A che buon pro’ questi templi
E il sole e l’aria pura
Se il loro giorno è scuro
E si trascinano a stento.
Mi serve una guida in aiuto
Per farmi luce in questo tormento.


[Racconto]

Io non protesto per me
perché sono poca cosa.
Ma mi metto a gridare perché le pene di chi patisce
non devono finire sottoterra.

Qui si protesta perché nei campi
ci sia più semenza e più grano
e ogni povero abbia il suo letto
e il suo tramonto sereno.

Così come stanno le cose mi danno dolore.
Potessi cambiarle!
Ma cercherò di aiutarle
al ritmo di una canzone.

Mi frullano in testa
dei sogni come colombe.
Il mio pensiero s’impegna
a marchiare questa vergogna.


6. LA SPERANZA

Ne guardi Iddio come stanno
Tutti questi poveri cristiani
In questo mondo disumano
Diviso a metà.
E' tutta colpa dei ricchi!
Lo dico assai commossa.
Disse il Signore a Maria:
Sono per tutti i fiori,
Le montagne, i declivi,
Perché il potente se ne scorda?

Se il sole potessero ingabbiarlo
Lo farebbero assai volentieri,
Di notte, sera e mattina
Lo vorrebbero tutto per sé.
Menomale che per raggiungerlo
Ci vogliono le palle.
Per rabbia nascondono i fiori,
Li mettono in guardina
Privando il povero straccione
Dei loro colori splendenti.

Neanche chi se ne frega di tutto
Può restare indifferente
Se brilla nella nostra coscienza
Amore per i propri simili.

In questo mondo di oggi,
Che ne sa il povero del formaggio?
Broda di patate senz'osso,
Non sa neppure com'è la carne.
Come casa una baracca, un inferno
Di latta e tegole vecchie.
Come fa a tirare avanti?
Questo proprio non lo so:
Però so bene che il borghese
Piglia per il culo il povero.

Neanche chi se ne frega di tutto
Può restare indifferente
Se brilla nella nostra coscienza
Amore per i propri simili.

Non perdo le speranze
Che un giorno qualcosa s'aggiusti,
Un giorno questa povera gente
Avrà un bel cambiamento!
Il toro solo si ammansisce
Montandolo bene a pelo.
Non ho nessuna paura
Di vederlo a gambe all'aria:
Quando si rigirerà la frittata,
Il ribaltamento cui tanto aspiro.

Violeta Parra vagò, cantò, fondò teatri, incise dischi, scoprì e lottò per tutta la sua vita. Il suo nome cominciò ad essere noto anche dei confini del Cile, con le sue canzoni violentissime e dolci ad un tempo stesso. Allegre e tristissime, divertenti e tragiche, e, talvolta, spietatamente surreali (come la stupenda "Parabienes al Revés", gli "Auguri all'incontrario" in cui immagina di essere, da adulta, una sorta di terribile "piccola peste" seminando lo scompiglio a un matrimonio di ricchi). Ma era sempre la "feliz Violeta", una "feliz" con negli occhi, con una chiarezza terrificante, tutte le ingiustizie, gli orrori, le falsità di un mondo e di tutto il mondo.
Negli anni in cui passava la sua vita vagando e cantando per il Cile, si erano succedute una spietata dittatura (quella di Gonzáles Videla; Pinochet non è stato il primo) con il suo famigerato lager di Rancagua e una serie di governi "democratici", ovvero rigorosamente borghesi e conservatori (di destra o democristiani). Ma erano anche gli anni in cui qualcosa cominciava davvero a cambiare; e Violeta Parra, assieme a Pablo Neruda e ad altri, era una delle voci più importanti di questo cambiamento.
Chissà se Violeta cominciò a pensare alla morte per stanchezza. O, chissà, per aver sentito d'aver come esaurito la sua utilità, una volta avviato il processo, la "vuelta" cui tanto anelava. Il 5 maggio 1967 (lo stesso anno della morte del Che Guevara) tenne un concerto a Santiago; poi si chiuse nel suo camerino e si uccise. Non molto tempo prima aveva scritto "Gracias a la vida", la sua canzone più celebre, il suo ringraziamento alla vita che le aveva dato tanto: colori, sapori, temporali, riso e pianto. I due materiali che formano il suo canto. Ma scrisse, nel "Canto per un Seme", anche la sua morte e la sua speranza. La fine delle sue sofferenze, mai sopite, ed il perpetuarsi di ciò per cui aveva lottato tutta la vita. Con queste due canzoni, si chiude. Ci fu un cambiamento, durato tre anni; poi venne un generale e l'11 settembre 1973. Lei non vide nessuna di queste due cose.

"Yo nunca he sido fascista" (Augusto Pinochet Ugarte).



[Racconto]

Non è che io voglia causare
dei crucci a buon mercato
e nemmeno aumentare il prurito
a chi mi è venuto a sentire
Se è vanità sia punita
con i gendarmi e con la galera.
Io in tutta sincerità
vi racconto la mia storia vera.
Perdonatemi questo ardire,
la mia scarsa abilità.

Chiedo a tutti di pazientare
fra poco la musica finirà.
E scusate la poca pratica
che mi rende un po’ oscuri i pensieri.
Il destino mi frega sempre
per tanto che sempre m’illuda di fare.
E se il mio sforzo non serve a niente
ch’io trovi la forza di continuare.
Ma tu fratello non mi condannare.
Non c’è male per quanto sia grande
che non venga anche per un po’ di bene.

Per anni sono andata vagabonda,
gemendo, tutta pesta,
a faticare in capo al mondo,
addannata per campare.
Ma non voglio entrare nei dettagli,
andare a rimestare nella cenere,
perché il male scandalizza di vergogna
spezza i nervi e le ossa: mi ripugna.
E poi il vento ha già spazzato via il rancore
e le batoste sono disperse in mare.


7. LA MORTE

Vado per un viottolo
Disseminato di bianchi "yuyos",
Di alberi verdeggianti,
Già cantano gli uccellini.
Nella calma infinita
Stanno scorrendo le acque,
L'ombra della "patagua"
Mi accoglie con una carezza,
Le lacrime, dal corpetto
Scorrono sulla sottana.

Dietro i viali alberati
S'addormentano gli animali,
Profumano i cereali,
I campi seminati tremolano.
Le foglie, come antipasto,
Mi offrono un sorriso
E mi rinfresca la brezza
Con le sue spugne la fronte.
Respiro serenamente,
Più niente mi fa soffrire.

Da una settimana i miei roseti
Erano già fioriti,
Io, con la mia sbadataggine
Avevo visto solo le spine.
Le nubi primaverili
Sembrano un quadro,
I campi con il loro verde
Mi hanno spalancato il sipario,
I miei occhi ballano al suono
Del vento per la pianura

Più non mi tormentan le stelle,
Più non mi amareggia la luna,
La vita è una fortuna
Vistosa, prospera e bella.
Le piogge con le loro scintille
Adornano l'aria,
Ci offrono come una madre
Il loro alito rinnovatore,
Già sento che il mondo intero
Sta cantando e ballando…


8. EPÍLOGO

Per lei non ci sarà più sofferenza
perché è svanita a questo mondo
immersa nel profondo
mistero dell’assenza.

[Coro]

E spigolando il grano
disperso fra le stoppie
raggoglie il biondo seme
in bei covoni d’oro.

[Racconto]

Ieri seminò la semente
che oggi fiorisce e dà frutto…

Ieri seminò la semente
che oggi fiorisce e dà frutto…


[Coro]

E spigolando il grano
disperso fra le stoppie
raggoglie il biondo seme
in bei covoni d’oro.

[Racconto con musica in sottofondo]

Grazie alla vita
che mi ha dato tanto.
Mi ha dato due luci
quando le accendo
distinguo a perfezione
il bianco e il nero
e in alto nel cielo
l’incanto stellato.
Grazie alla vita
che mi ha dato tanto.

Mi ha dato l’udito
che in tutto il suo raggio
registra notte e giorno
e grilli e canarini,
martelli, turbine
e voci, latrati ed uragani.
Grazie alla vita
che mi ha dato tanto.

Mi ha dato di che marciare
con le mie gambe stanche.
Con loro ho attraversato
le città e le piogge,
i deserti e le spiagge,
e montagne e pianure.
Grazie alla vita
che mi ha dato tanto.

E poi mi ha dato il riso.
E poi mi ha dato il pianto
così che io distingua
la gioia dal tormento
le due concrete essenze
che formano il mio canto
E il vostro canto
che è lo stesso canto.
Ed il canto di tutti
che è il mio stesso canto.


9. CANZONE FINALE

Mi manca la comprensione
Per spiegare il grandioso
Momento foriero di tutto
Che mi passa per la mente.
Il mio cuore è allegro:
In questo mondo moderno
Vedo che abbassan le corna,
I tori restano a palle basse.
E il popolo che dice: Basta
Con gli inferni per la gente!

L'America qui presente
Coi suoi fratelli di classe
Dia inizio alla gran festa
Dei cuori ardenti!
Si abbraccino i continenti
In questo momento fatale,
Che sgorghino a profusione
Lacrime d'allegria!
Si balli e canti per sfida,
Basta con le disgrazie!

Entriamo nella colonna
Umana di questa sfilata,
Migliaia, migliaia e migliaia
Di voci fuse in una sola!
Da ogni parte gli hurrà,
Qui tutti sono fratelli:
E così staranno, per mano,
Come a formare una catena!
Perché il sangue nelle vene
Fluirà d'amore sovrumano.

Tutto sarà in armonia,
Il pane con lo strumento,
Il bacio e il pensiero,
Il dolore e l'allegria,
La musica si scateni
Come la carezza di una madre!
Che si abbellisca l'aria
Spargendo speranze,
Per la gente cambierà tutto,
Lo dico con orgoglio!

L'America qui presente
Coi suoi fratelli di classe
Dia inizio alla gran festa
Dei cuori ardenti!
Si abbraccino i continenti
In questo momento fatale,
Che sgorghino a profusione
Lacrime d'allegria!
Si balli e canti per sfida,
Basta con le disgrazie!

Si balli e canti per sfida,
Basta con le disgrazie!

Basta con le disgrazie!

Basta con le disgrazie!
ANKLAGELSEN

När vintrarnas kyla biter och när nätterna är kalla
jag ser då så många män'skor som här slåss för att få leva.
Ja, hellre mister jag livet,
ja, hellre mister jag livet än ser människorna falla.

De fattiga i sin tystnad bär en grym och bitter börda:
att se sina barn i nöd, och se'n dom väljer brott och våldet.
Dom bryts när de är unga,
dom bryts när de är unga och har inget se'n att skörda.

No puede ni el más flamante
pasar en indiferencia
si brilla en nuestra conciencia
amor por los semejantes.

Det är en orättvisa som ej är så lätt at lösa,
de fattiga de får lida och jag ville ställa frågan:
Säg, finns det någon på jorden,
säg, finns det några på jorden som kan vara generösa?

När ska de slippa skymfen att existera på allmosor,
få känna den doft som finns och lyfta ögonen från marken?
Säg, när får de nå'nsin rosor,
säg, när får de nå'nsin famnen full av prästkragar och rosor?

Vad ska vi med en kyrka till och klara källors vatten,
när de får lida brist och aldrig nå'nsin höra skratten?
Så ge mig då nå'n att tro på,
så ge mig då nå'n att tro på som kan leda oss ur natten.


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