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Tο μακρύ ζεϊμπέκικο για τον Nίκο Κοεμτζή

Dionysis Savvopoulos / Διονύσης Σαββόπουλος
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English Translation by "Rhinoceros"
LUNGO ZEIBEKIKO PER NIKOS KOEMTZIS

Dunque, carta e matita; la disperazione si è aperta un tunnel,
gallerie scavate in un'angusta cella balenando un coltello.
Lassù, velata di sangue, la Luna faceva versi di scherno.
Non ha speranza; non cerca libertà, ma giustizia.

Era nato in un posto schifoso vicino a Katerini 1
ombre e lanterne ad olio 2 che guizzano sul telone dell'Ade. 3
Nikos era il primogenito, l'altro si chiamava Dimosthènis,
legame silenzioso, ritratto ormai bruciato di bambini d'altri tempi.

Suo padre si era nascosto su in montagna fin dal '45; ed i paesani,
temendo l'Autorità, si tenevano alla larga anche dal figlio.
Lui li vedeva intenti a lavorare, e s'incendiava in lui
quella rabbia di chi si sente in trappola tra la gente e la polizia.

Finché un giorno, senza bagagli, gira la chiave nella toppa 4
e dalla Macedonia si trascina fin qui 5, e chissà dove ancora;
Correrà sempre a una stella irraggiungibile dalla Polizia,
per i reietti è questo cielo il rifugio clandestino.

Nikos, posso toccare il tuo spettro
Nikos, nei bassifondi della lingua 6

Due arresti e sei anni per furto; l'ho visto quando è uscito,
si teneva ormai a distanza dalla pazzia, non per salvarsi
ma per salvare la pazzia 7, capisci; a dire il vero voleva sposarsi,
e quando allora gli dissero: “Vieni a farci da informatore”, lui rifiutò, e stop. 8

E dal cupo furore dei loro sotterranei 9 scappò in provincia,
ma ovunque andasse, il messaggio era stato spedito. A Salonicco lo riempirono di botte,
e quasi barcollando ritornò a Atene; allora presero la sua fidanzata,
le dissero delle cose, anche i suoi genitori ci misero del loro, e lei lo lasciò.

Però lui viveva da persona del tutto seria, come un sonnambulo
in uno stato che trionfa con un grido senza fine: “Non c'è scampo”.
Aveva un solo e segreto sollievo: il ghetto dei locali di bouzouki 10,
un ambiente peso 11 dove l'estasi ancora è cosa viva.
“Voglio sentire”, diceva, “le parole, la voce e mio fratello 12 che si alza,
voglio guardarlo mentre danza da solo, e che qualcosa accada dentro di me.”

Nikos, sabato un troiaio di locale, 13
Nikos, pieno di piatti in cocci

“Una richiesta” 14, e tutti seduti a aspettare; gli altoparlanti la annunciarono
e tutti gli strumenti si accordarono per la danza di Dimosthènis.
Come s'alzò, la pista era stracolma; lo si sentì urlare:
“Questa è una richiesta!” - aveva visto il male avvicinarsi a falcate.

La pista si svuotò; solo due poliziotti ballavano girati di spalle
e allora il ragazzo li spinse via gridando: “Questo pezzo è mio!”.
Loro lo tiraron giù su un mare di cocci; gridava mentre lo trascinavano.
La loro vita, un film accelerato; e Nikos perse ogni freno.

Tranne la pazzia, non aveva più niente perché tutto gli avevano rotto;
sotto i riflettori delle sue tenebre, si precipita a fare il suo orrendo numero
con una tale violenza, che non so proprio dire che cosa accadde laggiù.
L'intero dramma, credo, si svolse nella sfera dell'invisibile.

Si disse: “Nikos, trattieniti”; ma già stava tirando fuori il coltello,
il primo che se lo prese lo videro piegarsi con in mano un distintivo.
Tre morti ammazzati, sei altri accoltellati, grida, “Aprite o ci ammazzano!”,
e lui, tirando via il ragazzo, si diceva: “A te non faranno del male”.

Nikos, malarazza. 15
Nikos, che cazzo hai fatto?

Si nascose da un conoscente, ma sentiva che lo avrebbero consegnato;
disse, “Scapperò in barca in mare aperto per affogare in una burrasca,
ammattiranno cercando Nikos, e Nikos non lo troveranno.”
Ma appena uscì li vide arrivare come lacchè, uno impugnando le manette.

Da ogni lato lo circondarono, la sua vita era appesa
ad un filo che lui non avrebbe concesso loro; così lanciò un coltello
per far sì che gli sbirri lo ammazzassero; ma loro gli spararono alle gambe,
si trascinava e bestemmiava, finché il padrone di un ristorante 16 non lo colpì con un'asse.

Il suo processo si svolse in quel duro novembre 17, chissà se lo sentiva anche lui;
La stampa, ad ogni modo, lo presentò come una belva assetata di sangue.
Lo stesso dissero parecchi progressisti: “No, non era strano.”
Nel loro complesso, avvertivano in lui un'altra minaccia.

E lo stesso disse un mucchio di popolari artisti al reporter di una rivista;
ma Bithikotsis 18 lo caccia via, e gli dice: “Ma che ti spiego a fare”.
Non ebbe testimoni a favore, a parte il suo datore di lavoro e la sua padrona di casa;
Gli avvocati dicevano: “È strano di cervello, guardate i documenti che lo riguardano.”

Nikos, paese di ottenebrati.
Nikos, chi sono quelli intorno a te?

Anche lui, fin dall'inizio, si ritenne spacciato; lo disse, “devo morire”.
Andò dentro, cioè, nella fatica dei giudici; ma loro non dentro la sua
mentre raccontava la sua vita. Ho paura che non avrei resistito,
là dentro si teneva il processo, ma la giustizia era rimasta fuori.

Nelle sue lettere dalla galera, la vita non appare differente;
Si sentiva asfissiato come una bestia mitologica, tanto là quanto qua.
Questo sarebbe un fremito in più che mostra distanza dal dramma,
e che trasporta, come un prodigio alato, il galeone della giustizia.

La mia arte ha vissuto strani momenti, e conosce ragione e giustizia. 19
I suoi motivi non erano futili, me lo vedo al rallentatore
come una Divinità che dissolve il suo panico e si espande, e prorompe
sulle folle ignare che fanno baldoria e che violano il suo rifugio.

Si allunghi la fila di chi gli sputa addosso con rabbia, per scuoterlo
con la camicia di forza e gli elettroshock; avranno ciò che meritano,
spinti nei labirinti dell'incubo, eternamente, senza salvezza,
con l'ordinaria schiavitù di chi giudica ma non riesce a capire.

Nikos, non sarà mai così
Nikos, sarà la tua malattia a salvarci 20
mentre ti porta via dalla tua cella,
Nikos, verso il cielo della tua musica.

LONG ZEIBEKIKO FOR NIKOS

Well, pen and paper. Dispair has opened a tunnel.
Arcades stuffed in a narrow cell, with glimpses of a blade.
High up, in veils of blood, the moon was making mocking sounds.
He has no hope. He does not seek freedom. Only justice.

He was born at a dirt place near Katerini.
Shadows from an oil lamp sliding behind Hade's screen.
Nikos was the elder. The other one was Demosthenis.
A silend bond, a chilhood picture in another time, set on fire.

His old man was hiding on the mountain since '45,
and the villagers, for fear of the authorities, kept clear of the kid.
So, he was watching them settled in their work, and fury was feeding.
The fury of the trapped between the people and the police.

Until one day, without any baggage, rolling his hole's wheel,
he rolls from Macedonia to Athens, and yet who knows where else?
He'll always reach for the star where no police can reach.
For the castaways, this sky is the underground.

Niko... I can touch your ghost.
Niko... through the subworld of the tong.

Two arrests, six years for theft. I can see him when he got out.
He was keeping a distance from insanity, not to save himself,
but to save insanity, if that makes any sense: He wanted to get married.
They told him: "Come to us to inform." He flatly refused.

To get away from their fury, he escaped to the country,
but wherever he went the message had been received. In Saloniki they smashed him.
Almost stumbling, he returned to Athens. Then they got his fiancee.
They told her things, her parents helped too, until she cut him off.

But he was living totally serious, sleepwalking in a State
which triumphs in an endless shriek: No escape!
He was holding just one secret breath: The ghetto of the bouzouki clubs.
A deep tableau where ecstasy is still alive.
"I wanna hear", he said, "the words, the voice, and see my little brother rising.
I wanna look at him alone in his dance, and something to happen inside me."

Niko... Doghouse, Saturday
Niko... Full of broken plates

"A request", everyone sitting and waiting, and the loudspeakers anounced it
and all the instrument got in tune for Demosthenis' dance.
As he rose, the dancing floor was crouded. He let out a shout:
"'tis a request", as he saw the evil approaching in large strides.

The floor was now empty, except two cops, who danced with their backs turned.
The boy pushed them with a shout: "This piece is mine".
They threw him down onto shattered glass. He was screaming while dragged around.
A fast forwarded movie, Nikos' life. His brakes were burnt.

Except insanity, he had nothing to hold on, because they had shattered everything.
He rumbles under the spotlight of his darkness in his horrendeous performance
so violently that I am unable to say what happened down there.
The whole drama was performed, I think, in the sphere of the invisible.

He said to himself "Niko, get a hold", but he was already pulling out the blade.
I can see the first one who got hit, bending, holding a police badge.
Three dead, six more injured, screams, "open the door, they'll slaughter us".
While pulling out the boy, he was talking to himself: "You, they can't touch".

Niko... You heady stock.
Niko... What have you done?

Then he went to hide at a friend's, but he felt they'd turn him in.
"I'll get a boat", he said, "sail to open sea, and get drown in a storm."
"They'll get mad, searching for Niko, and finding no Niko."
But as he got out he saw them, like derby dogs, one of them holding the handcuffs.

They were all around, appearing from everywhere. His life was hanging
from a thread which he wouldn't let to them. So he threw a knife
to make the cops kill him, but they just aimed for the legs.
He was crawling and swearing till a restaurant keeper hit him with a plank.

His trial was held in the Bloody November. I wonder if he was feeling it.
The press, anyway, presented him clearly as a bloodthirsty beast.
The same was said by many liberals. That wasn't strange.
Their convention saw in him another threat.

The same was said by many popular musicians to the reporter of a magazine,
But Bithikotsis waves him away and says "Too much trouble to explain to you..."
Nobody witnessed for him except his employer and his landlady.
The lawyers were saying "An abnormal psyche! Look at his papers!"

Niko... You blacked out village.
Niko... Who are those around you?

He wrote himself off right away. He said "I must die".
He got into the trouble of the judges, but they didn't get into his.
While he was talking about his life to the deaf. I thought I couldn't stand it.
The court was operating in there, but justice was outside.

In his letters from prison, life was no diferent.
He was suffocating like a mythical beast, here as much as there.
Could this be one shiver further, showing a distance from the drama,
and carrying, like a volatile wonder, the galley of justice?

My art has lived strange moments and knows of justice.
His motives were not lowly. I can see him in slow motion,
like a deity being unchained of its panic and expanding, breaking loose
on the unsuspecting crowds of the feast that violate its asylum.
NOTE alla traduzione


[1] Nikos Koemtzìs e il fratello Dimosthènis erano nativi di Eginio di Pieria (Αιγίνιο της Πιερίας), nella prefettura di Katerini (Κατερίνη), nella Macedonia centrale. A differenza di quanto cianciano gli ultranazionalisti, dalla maggior parte dei greci la Macedonia è considerata un posto di merda; sin dall'inizio, sembra quasi che Savvopoulos caratterizzi Koemtzìs anche tramite la sua difficile provenienza. La cosa appare più chiara proprio dalla parte iniziale della canzone-poema, nel quale viene descritto il paese natale di Nikos Koemtzìs. Fino al 1926 il paese aveva un nome slavo, Libànovo, ed era abitato da una consistente minoranza di lingua bulgaro-macedone.

Eginio di Pieria (Libanovo).
Eginio di Pieria (Libanovo).


[2] Traduco così, imperfettamente, λάμπες θυέλλης. Propriamente sarebbero, alla lettera, le “lanterne da tempesta” (storm lamps) a olio schermate usate dai marinai sulle navi o nei porti in condizioni di difficile visibilità; credo però che, nel contesto, sia da evitare troppo tecnicismo.

[3] In queste prime strofe si enuncia e caratterizza la provenienza locale e familiare di Nikos Koemtzìs; qui c'è un riferimento preciso al “Teatro delle Ombre”, o Καραγκιόζης (dal turco Karagöz “occhio nero”), lo spettacolo popolare di ombre cinesi proiettate su un telone, o schermo, mediante un gioco di lanterne. L'enunciazione è qui sia reale che metaforica, con significato di presagi di morte (il “telone dell'Ade”). Un povero paese di una zona dimenticata, e una famiglia di sentimenti antifascisti e comunisti; circostanze che anticipano il tragico destino dei fratelli Koemtzìs.

[4] Qui la traduzione è “ad sensum” ma molto incerta. Alla lettera, il testo dice: “Girando la ruota del suo buco (tana, covo)”. Ho interpretato come girare la chiave nella toppa della porta della sua povera abitazione (τρύπα può essere sia “buco, toppa”, sia “tana, stamberga, catapecchia”); ma il tutto potrebbe anche riferirsi all'antico sistema di serramento che consiste nello spostare una lastra di pietra mediante un meccanismo a ruota.

[5] “Fin qui” è da intendersi: “a Atene, nella capitale”.

[6] In questa prima apostrofe diretta a Nikos Koemtzìs, Savvopoulos sembra introdurre le quattro strofe successive nel quale tenta di stabilire un colloquio col protagonista degli eventi e di comprenderlo (senza però giustificarlo). Koemtzìs è visto però come uno “spettro”, probabilmente data l'allora sua morte civile dell'ergastolo; un modo per entrare in contatto con questo “spettro” è la penetrazione nei “bassifondi della lingua”, vale a dire nel gergo della malavita e dei locali malfamati (nel testo greco si parla espressamente di “malavita della lingua”, questo il senso letterale di υπόκοσμο της γλώσσας; ma si sarebbe potuto renderlo anche con “sottobosco” o roba del genere). Si tratta di una connotazione sociale e psicologica molto importante da parte di Savvopoulos: pur non usando nel suo testo parole gergali (tutt'altro; il suo linguaggio è, anzi, per molti versi elevato), avverte che uno strumento indispensabile per la comprensione è calarsi nei "bassifondi della lingua", vale a dire nel linguaggio comunemente utilizzato nell'ambiente frequentato e vissuto dai fratelli Koemtzìs.

[7] Il testo di Savvopoulos è una storia completa; vale a dire, contiene non soltanto enunciazioni sociali, storiche e politiche ma anche un'analisi psicologica fattiva del protagonista. E qui abbiamo forse il più bell'esempio di tale cosa. Si parte con la nuda enunciazione di un fatto, Koemtzìs che subisce due arresti e sconta sei anni di carcere per furto; appurata quindi l'oramai avvenuta emarginazione del protagonista, Nikos Koemtzìs si tiene alla larga dalla sua pazzia (l'emarginazione, le sue tendenze autodistruttive, la sensazione di asfissia) non perché abbia paura che la pazzia gli possa recar danno, ma perché vuole come proteggerla, tenerla al sicuro ed intatta come qualcosa di prezioso e che lo mantiene vivo nella situazione disastrosa in cui si trova (vulnerabile, proveniente da una famiglia di sinistra, pregiudicato e con gravi difficoltà economiche). E' questa sua pazzia che gli evita di finire nelle “benevole” grinfie della Polizia, che gli propone, una volta uscito di galera (e come è usuale in questi casi), di diventare un informatore, una spia: Nikos rifiuta, senza dare alcuna spiegazione. La “pazzia” gli impedisce di diventare un infame, gli mantiene una grande dignità umana e, al tempo stesso, accelera la sua rovina perché sa che la Polizia gli farà pagare carissimo questo suo rifiuto.

[8] In questo caso specifico Savvopoulos si serve di un termine gergale, προδώνω (derivato evidentemente da προδίδω, προδίνω “tradire” mediante l'aoristo πρόδωσα), specifico per “fare l'informatore della polizia, fare l'infame”.

[9] Irrompe qui nella vicenda, in modo chiaro, la situazione della Grecia al momento dello svolgersi degli eventi. Febbraio 1973, la dittatura, lo Stato di polizia; tutta un'epoca. Con il “cupo furore dei loro sotterranei”, Savvopoulos descrive in poche parole (da grande poeta, oserei dire) la violenza impunita e le torture che avvenivano nei sotterranei delle caserme e dei commissariati, ed i meccanismi legali ed extralegali dello Stato autoritario. La vendetta poliziesca non tarda ad arrivare: non gli serve rifugiarsi in provincia, non ha via di scampo. Arrivano a minacciare la sua fidanzata (coi genitori di lei che assecondano le “autorità” per paura e per vigliaccheria) e, alla fine, ad impedire il prossimo matrimonio. E' a questo punto che Nikos Koemtzìs assume la caratterizzazione di irriducibile nemico dello Stato e dei suoi rappresentanti.

[10] L'unica cosa che ancora tiene vivo Nikos Koemtzìs è la sua frequentazione, assieme al fratello, dei “locali di bouzouki” (μπουζουξίδικα); e qui è necessario entrare in un mondo a parte, in un “mondo sotterraneo” (υπό-κοσμος). Atene era, allora, piena di localacci notturni di quart'ordine dove si beveva a fiumi e si suonava musica popolare greca (accompagnata col bouzouki, lo strumento popolare principe di origine turca come il suo nome -turco bozuk); per il fatto che erano visti come portatori dell' “autentica anima greca” (cosa senz'altro vera), la dittatura li tollerava anche come sfogo per la popolazione, pur essendo generalmente posti da entrarci con le molle e con diversi patemi d'animo per la propria pelle. Erano, tali locali, i “templi” delle espressioni musicali e coreografiche più profonde della Grecia: il rebetiko e lo zeibekiko, ad esempio; ancora termini di variopinta origine straniera (ρεμπέτικο, da ρεμπέτης, sembra derivare dal termine slavo che si ha ad esempio nel russo ребëнок „ragazzo, bambino”, plurale ребята; ζεïμπέκικο da ζεïμπέκης, turco zeybeki, termine che indicava spregiativamente i greci che si erano convertiti di facciata alla fede islamica). Siamo, appunto, nei bassifondi; anche della lingua.

[11] Traduco così il difficile βαθιά εικόνα dell'originale; una “immagine pesante”, o meglio uno “scenario cupo” alla lettera, ma ciò che convoglia questa terminologia è diverso e vuole rendere tutta un'atmosfera costantemente carica di tensione; da qui il mio “ambiente peso”, qualcosa dove “l'aria si taglia col coltello”, per intendersi (ed entro poco il coltello che taglia non sarà più qualcosa di metaforico).

koe locale


La sera del 24 febbraio 1973 Nikos e Dimosthènis Koemtzìs si recarono al locale Νεράïδα τῆς Ἀθήνας (“Fata di Atene”) di K. Karousakis e T. Athanasiadis, dove suonavano il bouzouki i fratelli Romios accompagnati da un'orchestra; qui avvennero i fatti.

[12] Affinché “qualcosa gli accadesse dentro”, Nikos Koemtzìs amava guardare il fratello che danzava da solo lo zeibekiko. Esprimendo nella danza i più profondi sentimenti e stati d'animo personali, lo zeibekiko deve essere ballato rigorosamente da soli, senza che nessuno stia in pista; a tale riguardo, chi intende danzare fa una “richiesta” (παραγγελιά; si noti l'accento in posizione finale, di derivazione popolare, rispetto al termine colto e classico παραγγελία “ordine, comando; incarico”. Il termine con l' “accento in posizione popolare” sembra essere usato soltanto in tale particolare accezione, i “bassifondi della lingua..”), in base alla quale è legge non scritta che la pista si svuoti e che sia riservata soltanto a chi la ha effettuata; e chi trasgredisce questa legge, va in cerca di guai e li trova perché continuare a ballare mentre qualcuno danza uno zeibekiko è considerata offesa mortale derivata dalla mancata considerazione (cioè dal disprezzo) di una persona che vuole esprimere ciò che di più intimo ha dentro. Un'offesa al linguaggio del corpo e della musica che esprime il linguaggio dell'animo; si capisce meglio, a questo punto, lo svolgersi dei tragici fatti di quella sera. I due poliziotti che, avendo riconosciuto i fratelli Koemtzìs ed intendendo provocarli restando in pista dopo la “richiesta”, pagarono questa cosa con la vita; e l'ennesima, stupida offesa arrecata da rappresentanti di uno Stato oppressivo al proletario reietto, scatenò la sua furia.

[13] Un termine generico per questi localacci di quart'ordine è σκυλάδικο, vale a dire, alla lettera, un “locale da cani”. L'atmosfera è descritta alla perfezione da Savvopoulos: grida, fiati pesanti, tappeti di cocci di piatti. Questo perché è consuetudine che il pubblico, mentre si esibiscono gli artisti oppure qualcuno balla uno zeibekiko, lanci in pista dei piatti.

[14] Ecco qui, enunciata, la parola-chiave di cui si è parlato prima: Παραγγελιά. Anche il film del 1980 che fu girato dal regista Pavlos Tasios sulla vicenda (sicuramente riprendendo anche la canzone-poema di Savvopoulos), si intitola così: Παραγγελιά!, "Richiesta!". Dal film riprendiamo qui, appunto, la scena della "Richiesta" dei fratelli Koemtzìs e della successiva tragedia scatenata dai poliziotti; indicata anche per rendersi conto di come funziona il tutto, col lancio dei piatti e con la musica da zeibekiko.



[15] Anche qui difficoltà di traduzione adeguata. Αλλοπαρμένος (“preso da qualcos'altro” alla lettera) significa “strambo, stravagante, eccentrico, che vive in un mondo a sé”; ma qui ho preferito un “malarazza” per le sue precise suggestioni (anche musicali).

[16] Il classico “cittadino zelante” che non sa farsi i cazzi suoi trova qui applicazione in un ταβερνιάρης; andò esattamente così. Ferito alle gambe dagli spari dei poliziotti, Nikos Koemtzìs fu tramortito con un'asse (forse una panca) dal padrone di una ταβέρνα uscito per strada. Ho tradotto “padrone di un ristorante”, con l'avvertenza che la ταβέρνα (taverna) è il più tipico mangiatoio greco, quello dei quintali di souvlakia, moussakà e pita ghiros. Il termine proprio di “mangiatoio” (εστιατόριο) è riservato ai ristoranti di classe superiore, con cucina all'occidentale.

[17] Savvopoulos non si dimentica certo che il processo (nel quale Nikos Koemtzìs si beccò tre condanne a morte e quattro ergastoli, poi commutati in un solo ergastolo -evidentemente l'illustre Corte ritenne che avesse sette vite come i gatti; Dimosthènis Koemtzìs si beccò invece nove anni per non aver fatto niente, anzi per essere stato picchiato a sangue dai poliziotti prima che costoro fossero sbudellati dal fratello), si svolse nel novembre del 1973; e il novembre del 1973, a Atene, fu il mese della rivolta studentesca del Politecnico. Non è fuori luogo che la dittatura cominciò a affogare grandemente sì con la rivolta repressa nel sangue, ma un po' anche con il processo Koemtzìs. Nikos Koemtzìs era già considerato un eroe popolare perché il suo gesto era stato visto come un'estrema ribellione alle prevaricazioni della polizia e, quindi, della dittatura.

Novembre 1973. Nikos Koemtzìs viene sistemato da due agenti nella gabbia degli imputati, durante il processo.
Novembre 1973. Nikos Koemtzìs viene sistemato da due agenti nella gabbia degli imputati, durante il processo.


[18] E' un fatto che, in generale, gli artisti (e in particolare i musicisti e cantanti) greci, anche quelli “progressisti”, non capirono nulla del gesto di Nikos Koemtzìs; fatto che non deve stupire, data la tendenza di parecchi “intellettuali di sinistra” -non solo in Grecia- ad ignorare totalmente i meccanismi di una classe, il proletariato, della quale vorrebbero rappresentare le istanze. Si fabbricano così, come sempre, un proletariato a loro uso e consumo. Il solo Grigoris Bithikotsis parve invece comprenderlo appieno, fatto sottolineato con la cacciata sdegnosa che riservò al reporter di regime. E Katerina Gogou, va da sé.

Grigoris Bithikotsis.
Grigoris Bithikotsis.


[19] Δίκιο significa sia “motivo, causa”, sia “buon motivo” (nel senso di “avere ragione”). Nel dubbio, io ce li ho messi tutti e due.

[20] Savvopoulos appone con questo semplice verso un'elevatissima e decisiva conclusione alla sua canzone-poema su Nikos Koemtzìs: "Sarà la tua malattia a salvarci". Avendo ascoltato e letto la canzone, ciò apparirà oramai chiaro: la salvezza, per tutti noi, consiste nella ribellione al potere, compresa quella che promana dalla "pazzia" (cioè la "malattia") del reietto, dell'emarginato. Ed è ciò che lega questa lontana vicenda, di cui in Grecia mai si sono persi gli echi, e l'altrettanto lontana canzone di Savvopoulos, alla Grecia d'oggi ed alla sua situazione. Su tutto questo si può discutere, ma restano i fatti con i quali consegno al giudizio umano, sociale e politico questo testo durissimo sotto ogni aspetto.


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