Yannis Ritsos / Γιάννης Ρίτσος: Aποχαιρετισμός
GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCGVersion française – ADIEU – Marco Valdo M.I. – 2012 | |
YANNIS RITSOS COMMIATO Le ultime ore di GRIGORIS AFXENDIOU nella grotta in fiamme. DEDICATO All'Eroe e Santo GRIGORIS AFXENDIOU Ai Grandi Poeti Defunti e Maestri della Nazione DIONYSIOS SOLOMOS ANDREAS KALVOS KOSTIS PALAMAS ANGELOS SIKELIANOS E A tutti i Noti E Ignoti Martiri Delle Lotte Della Grecia e del Mondo Il 5 marzo 1957, martedì, tutti i giornali del mattino di Atene scrissero: NICOSIA, 4 (Servizio speciale) - Grigoris Afxendìou, ritenuto il vicecomandante dell'EOKA e luogotenente del suo comandante Digenìs [Yorgos Grivas, NdT] è stato ucciso ieri l'altro avendo combattuto eroicamente per più di dieci ore da solo contro ingenti forze britanniche, nella regione del monte Tròodos in una grotta nei pressi del Monastero della Beata. La battaglia si svolse con le seguenti modalità. Le forze di sicurezza avevano l'informazione che nel Monastero della Beata si nascondeva questo patriota ricercato, sul quale era posta una taglia di 5000 sterline. Nel pomeriggio di sabato un reparto dell'esercito britannico composto di 60 uomini si mosse verso il Monastero, che circondò per catturare il combattente braccato. I soldati britannici perquisirono minuziosamente il monastero e misero agli arresti tutti i monaci, compreso l'Igumeno, e anche li maltrattarono per strappare loro informazioni sul luogo esatto dove si nascondeva Afxendiou. Ma nessuno dei monaci rivelò alcunché. Durante la battuta nel terreno circostante il monastero, i soldati britannici scoprirono una grotta nascosta tra i cespugli. Si dice che un pastore li avesse informati che nella grotta era nascosto Afxendiou. Immediatamente le forze britanniche circondarono la grotta e intimarono ad Afxendiou di consegnarsi. Il comandante del reparto britannico, il sottotenente Middletown si avvicinò all'imboccatura della grotta e gridò: "Getta le armi e arrenditi, altrimenti attacchiamo". Qualcuno rispose: " D'accordo, ci arrendiamo". Quattro uomini uscirono fuori, su due di loro c'era la taglia di 5000 sterline, come quella di Afxendiou. Afxendiou non era tra di loro. Il sottotenente Middletown gli intimò ancora di arrendersi, ma si ebbe l'orgogliosa risposta "Μολὼν λαβἐ" [Vieni a prendermi, la celebre risposta di Leonida ai Persiani, NdT]. Subito quattro uomini avanzarono nella grotta. L'eroico combattente dell'indipendenza cipriota li accolse con una tempesta di fuoco. Tre dei quattro inglesi, che avevano sperato di guadagnare la taglia di Afxendiou immediatamente uscirono terrorizzati, mentre il quarto ferito al petto, cadeva sul terreno per soccombere alle ferite poche ore più tardi. Il comandante delle forze britanniche sottotenente Middletown richiese immediatamente rinforzi, i quali arrivarono con gli elicotteri. La battaglia si protrasse per dieci intere ore nel corso delle quali i Britannici utilizzarono tra l'altro anche bombe lacrimogene. Davanti all'inflessibile coraggio di Afxendiou e poiché precedentemente avevano fatto uso di ogni sorta di armi, i soldati inglesi gettarono nella grotta bombe al petrolio. Fiamme spaventose ricoprirono la grotta fino ad avvolgere in breve il corpo dell'eroico patriota. La battaglia si concluse alle due della notte. Il cadavere di Afxendiou fu trovato carbonizzato. Afxendiou aveva 29 anni, e di mestiere era autista di taxi. Nell'elenco dei ricercati dagli Inglesi era iscritto al secondo posto, dopo il generale Grivas. (Copia conforme dai giornali del 5 marzo 1957) COΜΜΙΑΤΟ (Grigoris Afxendìou chiuso nella grotta del Monastero della Beata) Sono finite le menzogne ormai - le nostre e le altrui. Il fuoco dominatore si appressa. Non puoi più distinguere se bruci il lentisco, la felce, il timo. Il fuoco si appressa. Eppure bisogna che riesca a distinguere, a vedere, a considerare, a pensare - ( Per chi ? Per me ? Per gli altri ? ) Bisogna. Prima della morte mi serve una conoscenza estrema, la conoscenza della mia morte, per potere morire. Gli altri quattro se ne sono andati. Buon viaggio. Che pace - come se qui fosse nato un bambino o morisse un martire, e tu aspetti di sentire un immenso grido ( del bimbo o di Dio ), un grido più grande del silenzio che abbatterà le mura del prima, del poi e dell'ora, perché ti riesca di ricordare, pronosticare, vivere ogni cosa in una volta, in un istante senza tempo. Ma niente. Una tranquillità pietrificata, - per quanto si sentano le fucilate e le voci - quanto strane; non si sentono, schioccano secche come fili tranciati e o come acque cristallizzate prima di cadere e indugiano in uno spazio strano, immobili e puntute. Che tranquillità, - con tutto che si ode l'arrivo del fuoco. Non è più il momento di tornare indietro - Dietro e accanto e sopra, la barriera della roccia, davanti una piccola e interminabile morte, in mezzo (in mezzo?) io. Quale io ? - Cos'è un uomo rinchiuso nel fuoco e nella roccia la cui unica via d'uscita è una morte totale e graduale. Bisogna che la conosca. Non mi riesce. Forse potrei cavarmela. Forse potrei sopportare il disprezzo o l'indulgenza o l'oblio degli altri. Ma potrei io dimenticare la luce che abbaimo sognato insieme? Quel grande palpitare della nostra bandiera? Potrei accomodarmi nell'ombra di un angolo con le braccia incrociate intorno alle ginocchia incrociate come un ragno astioso, corrucciato e appartato che in solitudine tesse le sue reti con la sua bava? Anche così forse potrebbe essere bello - una farfalla ingannata arriverebbe forse a posarsi prima o poi sulle grate della finestra vibrando impercettibilmente non per me (ma forse anche per me) la sua duplice esile bandierina; una linea di luce passerebbe forse dalla fessura della porta come il ditino di un'amica che disapprovando traccia una linea sulla polvere del tuo tavolo con i tuoi quaderni. La voce di un bimbo - non è possibile - si udrebbe nei campi un pomeriggio e lo sguardo di una donna sognante che sorride - il suo sguardo, perduto nella sera, ti sfiorerebbe, lo sguardo di una donna che non ti ha ancora visto e che ancora non hai visto. Forse sarebbe bene. Una lampadina che brillerebbe presto davanti al piccolo cancello della tua prigione nel roseo tramonto di primavera, sarebbe forse questa lampadina la dolce curvatura di tutta una riviera sopra la quale si affollerebbero gli insetti come barchette di pescatori in un porticciolo della nostra isola. Ovunque puoi viaggiare pur senza spostarti. Solo l' immobilità estrema è impercorribile. Non ho potuto andar via. Non avevo spazio. L'uscita era troppo stretta. Anche è mancato il coraggio di non poter morire. Perdonatemi. Forse i quattro miei compagni dovevano essere più forti di me - cioè più sinceri, io ero debole: mi sono vergognato. Andate, voi. (Se ne sono andati.) Non vi trattengo. (Già s'incamminavano.) Buon viaggio. Il fuoco si appressa. Perdonatemi, amici se non ho potuto seguirvi, se vi ho lasciati soli in questa sortita. E' la prima volta. Non potevo. Perdonatemi. Eppure, lo sento ancora, potrei comunque vivere, in solitudine come uno stanco scoglio ostinato, dimenticato, oppure addossarmi il torto, essere ingiusto, vedere che i miei amici hanno torto e tacere, o come un cane rognoso e bastonato che guarda di sguincio l'ombra di un passero e la propria ombra, oppure (anche questo ho pensato) facendo l'asceta, levigare con i polpastrelli delle mie dita (rammolliti dall'inattività) lisciare un sasso e perdermi per ore guardando le sue immobili venature, e così piegato piangere senza parole la fortuna di esistere. Non ho potuto. Se uscissi consegnando le mie chiavi, trascinandomi con le mani e con i piedi (ogni uscita è stretta, compagni miei) , se mi muovessi a consegnare la mia anima come una bandiera lacerata - Quale anima mia? Non arriverei a assaporarla tutta, a conoscerla tutta intera. Mi serve questo istante, per sapere dove e cosa consegnerò o non consegnerò. Lo so come potrebbe essere per me al vostro posto, fratelli miei che siete andati via, perché so, come pure voi, cosa significhino dolore e paura, ma io avevo una paura più grande del mio dolore e della vostra paura, non solo la paura del mio corpo, ma anche la paura della mia anima, che non conosco - l'ombra di ogni mio movimento ingrandiva senza sosta sopra un muro spaventosamente bianco, ed ogni mia pulsazione la udivo cadere nel sempre descrivendo cerchi interminabili, solidi e acquosi. Così con questa paura dell'anima ho eluso la paura del mio corpo. Al punto che conosco tutta la paura, e potete credermi, perché non c'è nessuno di noi che voglia che soffriamo o che temiamo. Qui per lo meno, - potete credermi. Qui non è difficile amarci. Tutto è così difficile, e forse per questo ha un valore. Eppure non potrei camminare con i ginocchi della mia anima troncati. Con quelli del mio corpo, i piedi e le mani mozzati, lo potrei. Perdonatemi. Vi saluto. Se ne sono andati. Tranquillità. Che solitudine affollata. Ogni cosa densa e disciolta. L'infinito senza il peso di testimoni. A chi potrei parlare e perché? Se almeno fossero rimasti - Non devo naufragare in me stesso. Fossi almeno trattenuto dal suono della mia voce, dal rumore del mio fucile, restasse la mia testa sopra il pelo dell'acqua o anche solo la fronte e gli occhi. Voglio vedere. Voglio immaginare gli alberi, le finestre, gli oggetti, sentire il loro calore casereccio, contrastare questo grande gelo del fuoco che si appressa. Potrebbe anche essere una seggiola appoggiata nell'angolo di una camera, dico, come la facciata di un campanile, lungo la quale il suono delle campane rotola riempiendo la casa di pace domenicale. Non posso continuare. La vittoria senza testimoni che la divulghino sembra irrealizzabile. Voglio immaginare il mio cadavere attorniato da amici piangenti e bandiere a mezz'asta per potermi separare dal mio corpo. Nessuno intorno a me. Unica testimone la mia voce - e anch'essa come potrà superare il fuoco e la pietra? Ma bisogna che me la cavi da solo. Che tranquillità! - Così incomparabile. Indiscutibile. La borraccia mi ricorda che proprio non ho sete. Non avrò mai più sete. Eppure il tascapane è ancora appeso lì al chiodo con l'espressione della prima stella serotina sopra la spiaggia di Limessos nell'ora in cui i camerieri innaffiano con tubi di plastica il marciapiede dopo il caldo tremendo di un giorno di luglio, nell'ora in cui mettono fuori i primi tavolini sulla banchina per i clienti della sera, nell'ora in cui anche il più piccolo tonfo di un pesciolino, lì vicino nell'acqua bassa, grida: «domani, domani domani». Sì, potrei vivere comunque, in solitudine, dimenticato, in un luogo qualsiasi, ribelle e irresponsabile, a godere senza invidia dei trionfi altrui, azioni gloriose che non ho compiuto - a guardare il percorso di una lenta formica che nel tramonto purpureo regge un seme di mais più grande della sua statura e sentire il richiamo di tutta la terra e il calore dell'estate attraverso le zampette di quella formica, e che la tacita gratitudine di tutto il mondo starà dentro i miei occhi mentre ascolterò per sempre quel pesciolino gridare: «domani, domani, domani». Ma quale domani oggi ? Terribile gelata questa calura. Non faccio in tempo. Il vento sta calando. E bisogna onorare la mia scadenza. Lasciare un testamento. Cosa occorre? Anche quello lo brucerà il fuoco. Non lo brucerà. Come è difficile, insomma, la vita che finisce. E bisogna che riesca a vivere questa mia ultima difficoltà, a superarla, e forse a darla agli altri come una grazia. Come ? Con che cosa ? «Ma bisogna». Cosa bisogna ? Chi parla ? Cosa dice ? Perché ? «Ma bisogna». Qui non ci sono più doveri, più necessità. Chi comanda? Che vogliono da me ? e chi ? I poveri, i senza giustizia, e la patria, e il mondo, e il mio me stesso ? Doveri e necessità. Appunto. Doveri e necessità. Una luce rossa dentro e fuori. Il sangue e il vento. Esistono. Esisto. Dobbiamo esistere. Esisteremo. Una luce rossa il mio istante. E bisogna che leghi i pensieri alle cose - che esistano - tangibilmente. E non ho tempo. E le cose sono andate. Non le vedo. Rimangono solo pensieri inafferrabili e bisogna che, almeno, questi li trattenga - che trovi un modo per consegnarli - Due bocconi del pane di ieri nel mio zaino, la gavetta opacizzata dal fiato del fuoco - il mio cibo gelido, intatto - l'orologio al mio polso che ieri si è fermato alle due di notte - come ho scordato di caricarlo ? - strano che si fermino gli oggetti che sai che hanno un movimento, che, soprattutto, decidono del tuo tempo, dei tuoi incontri, - non ci sono più altri incontri ; quando si fermano, solo allora, ascolti, nel tuo silenzio, il loro consueto movimento, quasi vedi il loro movimento, presente, nella sua invisibilità, e sai che il loro destino ormai è di muoversi ben oltre il punto in cui si sono fermati. E questa chiocciola qui che risale silenziosa la pietra, lei con la sua chiesuola - dove va ? Non fa attenzione. Le devo parlare ? le devo confidare ? E' sorda. Come se non dovesse niente a nessuno - trascina con sé anche questa sua chiesuola - Bisogna insomma che riesca ad arrivarci tutto da solo - ma cosa devo raggiungere ? L'istante della morte non è il momento più adatto per pensare; eppure è il solo che hai per intero, perché è la fine, e qui non hanno posto menzogne ed errori - quale discorso peraltro ? Ho appena 29 anni e l'unica cosa che so è che voglio vivere. Non ho ancora fatto in tempo a pensare, perché non ho fatto in tempo a vivere. Dentro la battaglia che cosa hai da pensare? Non ho fatto in tempo. Mi servirebbe, almeno, tutto intero questo mio istante per vivere interamente. Ricordo - Era primavera, allora. Sedevamo sul ciglio del porto di Famagosta, e ora so - non lo sapevo allora - la vita era bella (e lo è, e sempre più bella forse - diventa sempre più bella - siamo noi a farla) erano belle le spighe, i cedri, le vigne, le case, le donne, i pescherecci - come era bello il gioco dei riflessi dell'acqua sulle fiancate dei bastimenti - belle anche le ombre dei bastimenti nell'acqua, ombre di gabbiani passavano sopra la banchina, sopra i tavolini rotondi del caffé all'aperto con le tazzine; e così mentre chiacchieravamo, tre vecchi amici, senza nemmeno sollevare la testa sentivamo che i gabbiani erano sopra di noi e insieme al caffé bevevamo qualcosa della fugace ombra dei gabbiani, un sapore di semplicità, di amicizia e di libertà. Eh sì, è bella la vita, anch'io ero bello, (perché ero? Lo sono.) E possiamo rendere bella ogni cosa, mano nella mano. Spesso d'estate nella vampa del mezzogiorno - ma anche nella neve - ho sentito la vita far corpo con la fiducia in lei come una bandiera tenuta nelle mie mani, e anche quando mi circondava la paura con tutte le sue ciclopiche ombre e quando mi scuoteva i precordi la bandiera della patria che reggevo nelle mani mentre la sbattevano venti nervosi, quell'altra bandiera non era dimenticata. Erano belle. Ora non c'è posto per nulla di simile. Ho scelto il fuoco. La mia decisione è presa. Sono pronto. Dite che il portale della morte è più largo? Qui io finisco. Il seguito non lo so. Le altre cose fatele, ditele voi. Ho guadagnato ancora un istante grande come tutto quanto il dolore. Non sapevo che un istante potesse avere tanta durata. Non avevo immaginato che il dolore potesse pensare. E tutte le cose hanno il loro senso profondo e attendono che noi lo troviamo. E il mondo si impoverirebbe se venisse a mancare un sassolino, una cicala, o la voce del lattaio all'alba. Ora lo so. Forse questo è ciò che chiamano eroismo? e che tuttavia colui che chiamavano eroe non lo sapeva? E che magari il pensiero vince il silenzio, il fuoco e il tempo e la cosa che chiamiamo destino? Non lo sapevo. Ora lo so. Vi saluto. Questo mio istante più bello, lo lascio a voi, fratelli. Questo è adesso il mio fucile - l'arma mai usata dell'uomo. E questo fucile, che mi scotta le mani, lo amo : questo fucile lo irroro di... - Non è male che mi vediate piangere - sono molto commosso di tutto e di me stesso e ancor più commosso per la scoperta di questa commozione. Se mi aveste conosciuto in questo momento meriterebbe che mi amaste, come anch'io vi amo senza bassezza o alterigia. Ma chi vi farà condividere questo momento? Non lo contengono le parole, le mani, gli occhi, neppure l'azione, neppure il pensiero - è grande come ciò che chiamiamo patria grande come ciò che chiamiamo terra grande come il mondo intero: (Come è strana la mia voce) come quando lavori, di tua volontà, nel campicello del povero e ti è venuta sete a mezzogiorno affidi la tua zappa inclinata al tronco del fico prediletto e ti chini sul ruscello a bere e nel garrulo ruscello ti scontri con il tuo bel volto, acceso dal lavoro, dal vento, dalla gioventù, dal sole, e riconosci nell'acqua i tuoi occhi lampeggianti e questo non ti ferma ma bevi l'acqua insieme col tuo te stesso. Ti disseti e poi rivolgi la testa al cielo come se lassù cercassi qualcuno per dirgli grazie e il cielo e la terra dentro e fuori di te sono sconfinati e luminosi e tutto il mondo è tuo e puoi farne dono. Questo attimo è irripetibile, perché è l'eternità, e l'eternità esiste e la creiamo noi - non fa ritorno come qualcosa che viene e va e ritorna - Non piangete, allora. Ma lasciate piangere me, perché tra poco, lo predíco, non potrò più piangere riconoscendo la fortuna che ho di poter morire. Perdonatemi. E davvero, ho dimenticato di dirvi la cosa principale - e che solo adesso ho appreso - non è così difficile la morte. Lo è soprattutto il contrario. E vi garantisco adesso sul mio sangue: mai fu tanto fortunato Cristo come quando l'ultimo chiodo lo lasciò immobile, senza ucciderlo, perché guardasse negli occhi il cielo e il proprio sacrificio : mai Prometeo vide tanto sereno e luminoso il mondo come quando il becco dell'avvoltoio trovò i suoi occhi sapendo, solo allora, che era riuscito a dare la luce e il fuoco all'uomo, e anche, sì, non fu mai così bello il piccolo Grigoris Afxendiou di 29 anni... Pronuncio il numero dei miei anni e piango sapendo che lo aggiungerete alla gloria della nostra stirpe (e mi si perdoni anche questa mia ultima debolezza). Ascolto questo numero sulle vostre labbra e vorrei baciarlo sopra le vostre labbra. Ero forse piccolo per la gloria - forse piccolo per tanta fortuna. Un'azione giusta è un balzo dell'uomo fuori della solitudine. E' la stretta di migliaia di mani e il giuramento di tutti. Sono pronto. Non accetto, no, il sacrificio per la morte. Lo accetto solamente per la vita - per una vita che non esigerà più nessun sacrificio. Sono pronto. Non avrei mai creduto che l'angustia di una grotta potesse avere tanta ampiezza: potesse contenere la patria con i suoi ulivi, le sue sponde, i suoi tormenti, le sue barche da pesca con le vele spiegate nel suo vento virile, il mondo con i suoi stendardi, i suoi sogni, le sue campane, e le sue erbette selvatiche. Ansimo, dentro questo tunnel di pietra la cui uscita è la stessa imboccatura del sole. Lo so : da qui, direttamente, passerò morto nel mondo. Non piangete. E adesso so come non mai che la libertà è possibile. Vi saluto. In questo momento non mi fanno paura le parole grandi o piccole - posso tergermi gli occhi nella nostra bandiera poiché lo so: nel mio istante assoluto all'imboccatura della morte i miei compagni di lotta raccoglieranno fiammeggiante dalle mie mani la bandiera della lotta inflessibile, fiammeggiante come un cavallo di fuoco capace di attraversare l'universo e la morte come un'inestinguibile esca in tutte le notti degli schiavi, fiammeggiante è la nostra bandiera come un grande calice scintillante per la Santa Comunione del Mondo. Posso ripetere: « Prendete, mangiate, questo è il mio corpo e il mio sangue - il corpo e il sangue di Grigoris Afxendiou di un ragazzo povero di 29 anni, del villaggio di Lissis, di mestiere conducente di taxi, che alla Grande Scuola della Lotta imparò solo tante lettere di quante si compone la parola libertà » e che oggi, 2 marzo 1957, è bruciato vivo nella grotta del Monastero della Beata e precisamente oggi, 2 marzo, giorno di sabato - non lo dimenticate compagni - alle ore 2, e minuti 3 dopo la mezzanotte, è nato il piccolo Grigoris tra le ginocchia insanguinate del creato. Dieci ore sono troppe per tutte le cose quando hai un fucile, parecchie pallottole e la ragione dalla tua parte quando sei padrone dei tuoi 29 anni e puoi disporne di tua sola mano quando sei padrone della tua morte. Vi saluto. Continuo a salutarvi e ancora sono qui. Si, la più grande azione della nostra vita è la decisione della nostra morte, quando esiste una via d'uscita, quando puoi ancora sfuggirla e sei tu a sceglierla come onore e dovere verso gli altri, al di là delle tue necessità. Chi può vincere in un istante la sua vita vince anche la morte. Ora lo so. (Come è strana la mia voce oggi. Che sia quella che volete da me? quella che vorrei farvi ascoltare? Che sia proprio questa la mia vera voce? O la nostra voce ? la voce di tutti noi ?) Ogni cosa è inesistente prima che la si pensi, prima che la si compia. Non solo pensarla, o solo compierla ma pensarla e nello stesso tempo farla. E voi, fratelli miei, molto mi avete aiutato. (Nessuno esiste da solo senza l'aiuto di un altro) Tu che piangerai per la mia morte mi hai aiutato a morire a testa alta tu che prenderai il mio fucile per vendicare la mia morte mi hai aiutato a morire contento per te e per me. Mi hanno aiutato anche quelli che sono caduti prima di me. Come anch'io aiuterò voi. Questa ora non è più per vanterie ed eroismi, quando ti trovi a tu per tu con la morte, e ve lo dico con semplicità, come se ruotassi il volante della mia macchina in una giornata di primavera per evitare lo scontro con un carretto che un contadino maldestro conduce o per non investire un ragazzo che gioca indistinguibile nella luce del sole e anche, sì, (e questa tenerezza non è incompatibile con un uomo che attende di morire) per non distruggere un fiore di campo che è andato il bastardello a spuntare in mezzo alla pubblica via tutto innocente e sereno come un occhietto socchiuso del creato - sì, con tanta semplicità ve lo posso dire, come se ruotassi il volante della mia macchina: «La vera statura dell'uomo si misura sempre con il metro della libertà ». Nient'altro. Vi saluto. Se qualcosa mi dispiace è che qui non potrò più fare nulla per voi ( non come fama o come idea o come leggenda, ma con queste mie stesse mani ) , come, diciamo, ecco, che vorrei tirare anch'io una fucilata al vento nella festa della liberazione o caricare su un grande camion cento sacchi di pane, duecento sacchi di patate, risollevare da un mancamento quella vecchietta, la sua legna nel bosco, risollevare il cavallo del vecchio carrettiere che è caduto nel fango in un mattino piovoso, dare anch'io un calcio alla palla con cui di pomeriggio stanno giocando i piccoli compaesani nel campo sportivo o una sera dare uno scappellotto a un amico che dirà una battuta pesante o distribuire, un giorno in cui il lavoro è andato bene, un sacchetto di caramelle ai marmocchi del mio rione o appoggiare queste mie braccia possenti, che oggi ho amato, su un tavolino all'aperto di Famagosta e, senza guardare le mie mani di lavoratore, sentirle riposarsi sopra i ginocchi di pietra del nostro mondo amichevole. Oggi sento una tenerezza per me stesso sapendo che mi amerete oggi amo e stimo me stesso oggi sorrido al mio me stesso guardandolo con i vostri occhi fraterni. A un certo momento ho lasciato la mia arma a raffreddarsi un poco sulla pietra, ho aperto il mio zaino e ho tirato fuori lo specchietto da tasca - sì, sono bello - quando mi volete bene - cosa potrei fare per voi - quando mi volete bene - cosa potrei - solo adesso lo capisco - (e forse è troppo tardi: solo con la mia morte ormai posso regalarvi qualcosa.) per esempio potrei far traballare un tank con un pugno, scolpire una statua in cima a un monte in un giorno, - quando mi volete bene - o costruire entro un'ora una scuola altissima. Non sto scherzando. Non è il momento - fratelli - di scherzare. Vorrei essere bello e dentro e fuori per essere degno del vostro amore: sì, ( e lasciatemi dire anche questo: ) perché mi pensino come loro marito tutte le belle ragazze; perché mi pensino come loro amico tutti i nostri adolescenti greci e i ragazzi del mondo. Non ho più tempo. Riuscissi, almeno, a radermi, a sforbiciare un po' i miei baffi. Ma forse mi sta bene un po' di barba sul mio aspetto così giovane. ( Vedete quanto ragazzo mi rende il vostro amore? Mi restituisce la mia voce.) Pensa, fratello mio, che dopodomani sulle nostre orme le ragazze sceglieranno il marito i ragazzi i loro amici gli uomini le loro azioni, devi sapere che tu pure marci con loro verso l'alto, verso un monte eccelso, tutto nastri sottili di asfalto, per contemplare compiutamente il creato, le città piene di comignoli e osservatori astronomici e finestre, i campi e i boschi, i porti fitti di alberi, i pacifici aeroplani, le aquile ardimentose e gli aquiloni dei bimbi con quelle loro buffe code policrome - su di un monte eccelso, con un macchinone dell'ultimo modello che forse porterà il nostro nome - E appena adesso ho pensato che di certo la vita non va avanti con cupe confessioni e piccole sincerità (la confessione - l'ho sentito dire e ora mi è venuto in mente - salva, dicono, quello che si confessa. Ma l'altro? E l'altro di cosa ti è debitore per caricarsi sulla groppa come sacchi di inutili pietre le tue parole senza neppure poterci costruire?) La vita insomma tira avanti con azioni e sacrifici - con quello che chiamiamo «senso comune», e nemmeno lo so come si chiamino queste cose, ma le ho dette lo stesso. L'unica cosa che ho imparato è: quando stringi lo spigolo del tavolo c'è lo spigolo del tavolo con tutta la sua compattezza e quando stringi un seno sai che le mani più solide tremano e allora vuoi seminare migliaia di bambini perché rallegrino il nostro mondo che tu non hai fatto in tempo a rallegrare e forse, dico, forse lo devi sapere, - da qualche altra parte, nel tuo intimo devi sentirlo - che quel petto « dotato di dolci seni prepara un latte di valore e di libertà ». E che, di certo, lo devi sapere. Vi saluto. Eh via, vecchia madre, non incominciare a piangere adesso. No? - Così ti voglio. Greca. Pensi che ti porti via la vita? Ti lascio il tuo orgoglio. Non ti vedrà il nemico incurvata su te stessa. Lo so. Dirai: «Sono orgogliosa di mio figlio, - meglio una manciata di cenere onorata che il mio valoroso in ginocchio». Proprio così. Ti saluto, madre. Il padre mi riconoscerà all'obitorio dalle mie grosse ossa greche, simili alle sue, e dalla croce della patria che tenevo come amuleto tra i peli del mio petto. Parlo di me come fossi innamorato di me stesso, come se la Grecità fosse innamorata di me. Perdonatemi. Voi mi avete dato questo diritto. Grazie. Voi, e il vostro amore, e la mia morte. Lo so, perfino quello che ha preso i 5000 denari una sera berrà un bicchiere alla mia salute in una taverna di Pafos e si chinerà a piangere nel suo bicchiere, perché ero un buon amico e forse pure lui un giorno potrà diventare nostro amico. Ora dunque, profondamente e in verità, vi posso dire, come se guidassi, ancora una volta, diritto e preciso la mia vetturetta su una strada asfaltata di Cipro in un mattino terso e luminoso, - vi posso dire: «La nostra virtù è la nostra reciproca utilità». D'accordo, fratelli. Qui non è irrealizzabile la fratellanza per noi e per tutti. Qui le differenze naufragano in un sorriso, - ed è come ascoltare, in quelle notti d'estate, - azzurre, argentee e rosate - in un solo grande bagliore di felicità tutti i distinti mormorii della casa e delle piccole e grandi stelle e vibra la radice del cuore e vibra il mondo al punto che vuoi dar di gomito a un amico per ascoltare insieme a lui, di gomito persino a una pietra perché ascolti anche lei, per condividere la tua gioia. E' con questo amore, dico, che un giorno le croci di legno sbocceranno di rose - sì, anche la mia croce, quella bruciata, quella pietrificata: con questo amore, dico, un giorno piegheremo quelli che portano l'ingiustizia e seminano l'odio. Questo è il mio comandamento - per quanto in questo momento io non conosca l'odio come se non l'avessi mai appreso o lo avessi dimenticato. Vi saluto. Continuo a prepararmi alla partenza. Continuo a congedarmi da voi, e sto ancora qui come se avessi ancora qualcosa al mondo da aggiungere. Come se avessi da offrirvi ancora un poco di felicità tratta dalle mie midolla. Ricordo - era un tramonto d'estate - fermai la mia macchina davanti a una catapecchia. Avevo sete. Una vecchia vestita di nero mi offrì un piccolo orcio d'acqua fresca. «Grazie, nonnina», le dissi, «Buona libertà, figliolo», rispose. «Buona libertà, nonnina», le ripetei - e sentii quanto di quella le fossi debitore. Mi tolse il berretto e mi terse la fronte con la mano. ( Sapete, anche le vecchiette sanno sorridere. ) La libertà insomma ciascuno di noi la deve a tutti. Una libertà per uno solo non serve a niente (sempre che esista). Non è nulla neppure per lui stesso. «Salute eh, nonnina. Buona libertà, allora», - e girai un poco i miei occhi - stava calando il velo azzurrino della sera: non distinguevo bene. E come mi rimisi in marcia con i due fari abbassati ( perché c'era ancora luce ) sentivo che con la mia macchina stavo salendo, lì c'era la grande piana di Messaoria profonda e silenziosa, sfumante in un pigro chiaro di luna, sentivo che stavo salendo fino al cielo e sentii la luna colpirmi al petto con la sua frescura, come un "costantinato" (1) d'oro la luna era appesa con uno spago al mio collo, la sentii rinfrescare il mio cuore e il mio corpo scaldarsi a poco a poco ed evaporare. E dicevo: non basta la tavola, né qualche spicciolo in tasca, né il pane né il bacio - l'uomo è più grande delle sue preoccupazioni quotidiane. E anche dicevo che l'uomo prende a muoversi dalla sua preoccupazione per il pane e sempre procede oltre la sua schiavitù di schiavitù in schiavitù, di riscatto in riscatto, dal riscatto della patria al riscatto del mondo finché non senta, entrando direttamente nel cielo, che la luna evapora nel suo petto, finché una notte non pianga d'amore per tutto il mondo. Così abbandonai in un fosso la mia macchina. Presi il fucile. E salii al monte. Così mi sono trovato in questa grotta la cui imboccatura guarda in faccia il sole. La sua bocca rotonda è il sole stesso che tornerò a sentire fresco, quando me la faranno varcare, (come quella notte la luna) - lo sentirò come un fresco "costantinato" ristorarmi il petto bruciato, così che a poco a poco il sole si riscaldi ed evapori nel nostro petto. Vi saluto. (Tutte le campane della Terra suonavano all'unisono. Alte tutte le fronti umane. Nel villaggio di Lissis tra Nicosia e Famagosta, sua madre si strinse il fazzoletto nero sotto il suo mento forte e disse esattamente le parole che suo figlio si aspettava: «Sono orgogliosa. Meglio una manciata di cenere onorata, che il mio valoroso in ginocchio». Il padre a sua volta, quando andò all'ospedale militare di Nicosia, riconobbe il suo ragazzo carbonizzato dalle sue grosse ossa greche e da quel "costantinato" d'oro che evaporava sul suo petto e sul petto del mondo.) ATENE. DAL 5 AL 25 MARZO 1957 | YANNIS RITSOS ADIEU Les dernières heures de GRIGORIS AFXENDIOU dans la grotte en flammes. DÉDIÉ Au Héros et Saint GRIGORIS AFXENDIOU Aux Grands Poètes Défunts et Maîtres de la Nation DIONYSIOS SOLOMOS ANDREAS KALVOS KOSTIS PALAMAS ANGELOS SIKELIANOS Et À tous les Martyrs Connus et Inconnus Des Luttes de la Grèce et du Monde. Le mardi 5 mars 1957, tous les journaux du matin d'Athènes écrivaient : NICOSIE, 4 (Service spécial) - Grigoris Afxendìou, connu comme le vice commandant de l'EOKA et lieutenant de son commandant Digenìs [Yorgos Grivas, NdT] a été tué hier dans la région du mont Tròodos après s'être battu héroïquement pendant plus de dix heures seul contre d'imposantes forces britanniques, dans une grotte près du monastère de la Béate. La bataille se déroula de la façon suivante. Les forces de sécurité avaient reçu l'information que dans le Monastère de la Béate se cachait ce patriote recherché, sur lequel pesait une prime de 5000 livres sterling. Dans l'après-midi du samedi, un détachement de l'armée britannique composé de 60 hommes se mit en route vers le monastère, qu'il encercla pour capturer le combattant traqué. Les soldats britanniques perquisitionnèrent minutieusement le monastère et arrêtèrent tous les moines, y compris l'Igumène (archiprêtre), et les maltraitèrent pour leur arracher des informations sur le lieu exact où se cachait Grigoris Afxendìou. Mais aucun des moines ne révéla quoi que ce soit. Durant la battue dans les environs du monastère, les soldats britanniques découvrirent une grotte cachée dans les taillis. Il se dit qu'un berger les avait informés que dans cette grotte était caché Grigoris Afxendìou. Immédiatement, les forces britanniques encerclèrent la grotte et intimèrent à Grigoris Afxendìou l'ordre de se rendre. Le commandant du détachement britannique, le sous-lieutenant Middletown s’approcha de l'entrée de la grotte et cria : « Jette tes armes et rends-toi, sinon nous attaquons ». Quelqu'un répondit : « D'accord, nous nous rendons. » Quatre hommes sortirent, sur deux d'entre eux pesait une prime de 5000 livres sterling, comme celle d'Afxendìou. Grigoris Afxendìou n'était pas parmi eux. Le sous-lieutenant Middletown lui intima l’ordre de se rendre, mais il reçut l'orgueilleuse réponse : « Μολὼν λαβἐ » [ « Viens me chercher », la célèbre réponse de Léonidas aux Perses, Ndt]. Immédiatement, quatre hommes avancèrent dans la grotte. L'héroïque combattant de l'indépendance chypriote les accueillit par une tempête de feu. Trois des quatre Anglais, qui avaient espéré gagner la prime d'Afxendìou sortirent immédiatement terrorisés, tandis que le quatrième, blessé à la poitrine, tombait sur le sol pour succomber à ses blessures quelques heures plus tard. Le commandant des forces britanniques, le sous-lieutenant Middeltown, réclama immédiatement des renforts, qui arrivèrent par hélicoptère. La bataille se poursuivit pendant dix heures entières au cours desquelles les Britanniques utilisèrent entre autres des grenades lacrymogènes. Face à l'inflexible courage d'Afxendìou et puisqu'ils avaient précédemment utilisé toutes sortes d'armes, les soldats anglais jetèrent dans la grotte des bombes incendiaires. Des flammes épouvantables recouvrirent la grotte et enveloppèrent bientôt le corps de l'héroïque patriote. La bataille cessa à deux heures du matin. Le cadavre d'Afxendìou fut retrouvé carbonisé. Grigoris Afxendìou avait 29 ans et était chauffeur de taxi. Dans la liste des recherchés par les Anglais, il était indiqué à la seconde place, derrière le général Grivas. (Copie conforme des journaux du 5 mars 1957) Finis les mensonges désormais – les nôtres et les autres. Le feu dominateur s'approche. On ne peut plus Distinguer si brûle le pistachier, la fougère, le thym. Le feu s'approche. Pourtant il faut que je réussisse à distinguer, à voir, à considérer, à penser - ( Pour qui? Pour moi? Pour les autres? ) Il faut. Avant la mort, j'ai besoin d'une connaissance extrême, La connaissance de ma mort, pour pouvoir mourir. Les quatre autres s'en sont allés. Bon voyage. Quelle paix - Comme si ici était né un enfant ou mort un martyr, et tu attends D'entendre un cri immense (de l'enfant ou de Dieu), un cri plus grand que le silence Qui abattra les murs de l'avant, de l'après et du présent, pour que tu arrives À rappeler, pronostiquer, vivre tout en une fois, dans un instant sans temps. Mais rien. Une tranquillité pétrifiée, - bien qu'on entende Les fusils et les voix - si étranges; ils ne s'entendent pas, ils claquent Secs comme des fils coupés et ou comme des eaux cristallisées avant de tomber Et ils s'attardent dans un espace étrange, immobiles et pointus. Quelle tranquillité, - Malgré qu'on entende l'arrivée du feu. Ce n'est plus le moment de revenir en arrière - Derrière, à côté et au-dessus, la barrière de la roche, devant Une petite et interminable mort, au milieu, (Au milieu?) moi. Quel moi ? - Qu'est Un homme enfermé dans le feu et dans la roche dont l'unique porte de sortie Est une mort totale et graduelle. Il faut que je la connaisse. Je n'y arrive pas. Peut-être pourrais-je m'en tirer. Je pourrais peut-être Supporter le mépris ou l'indulgence ou l'oubli des autres peut-être. Mais pourrais-je moi Oublier la lumière qu'ensemble nous avions rêvée? Ce grand frémissement de notre drapeau? Est-ce que je pourrais m'installer dans l'ombre d'un coin avec les bras croisé autour de Mes genoux Comme une araignée hargneuse, courroucé et retiré Qui solitaire, tisse ses rets avec sa bave? Même ainsi ce pourrait être beau - Un papillon perdu arriverait se poser tôt ou tard sur les grilles de la fenêtre Faisant vibrer imperceptiblement pas pour moi (mais peut-être aussi pour moi) sa double et frêle bannière ; Une ligne de lumière passerait par la fente de la porte comme le petit doigt d'une amie Qui désapprouvant trace une ligne sur la poussière de la table devant tes cahiers. La voix d'un enfant – ce n'est pas possible – qu'on entendrait dans les champs un après-midi Et le regard d'une femme rêveuse qui sourit – son regard, perdu dans le soir, t’effleurerait Le regard d'une femme qui ne t'a pas encore vu et que tu n'as pas encore vue. Ce serait bien. Une lampe qui brillerait tôt devant la petite grille de ta prison Dans le crépuscule rose du printemps, peut-être serait-elle Cette lampe la douce courbe d'une rivière sur laquelle afflueraient les insectes Comme des barquettes de pêcheurs dans un petit port de notre île. Tu peux voyager partout même sans te déplacer. Seule l'immobilité extrême est imperturbable. Je n'ai pas pu partir. Je n'avais pas de place. La sortie était trop resserrée. A manqué aussi le courage de ne pas pouvoir mourir. Pardonnez-moi. Peut-être les quatre mes camarades devaient être plus forts que moi - c'est-à-dire plus sincères, j'étais faible: j'ai eu honte. Allez-y, vous. (Ils s'en sont allés). Je ne vous retiens pas. (Ils s'éloignent déjà). Bon voyage. Le feu s'approche. Pardonnez-moi, mes amis, si je n'ai pas pu Vous suivre, si je vous ai laissés seuls dans cette sortie. C'est la première fois. Je ne pouvais pas. Pardonnez-moi. Pourtant, je l'entends encore, je pourrais vivre de toute façon, Solitaire comme un roc fatigué, obstiné, oublié, Ou endosser le tort, être injuste, voir que mes amis ont tort et me taire, Ou comme un chien rogneux et battu qui regarde de guingois L'ombre d'un moineau et sa propre ombre, Ou (ceci aussi je l'ai pensé) faisant l'ascète, lisser du bout de mes doigts (ramollis par l'inactivité), polir une pierre et me perdre pendant des heures à regarder ses nervures immobiles, et replié ainsi pleurer sans mots la chance d'exister. Je n'ai pas pu. Si je sortais en livrant mes clés, en me traînant Avec les mains et les pieds (toute sortie est resserrée, mes camarades), si je me rendais Pour livrer mon âme comme un drapeau lacéré – Quelle âme ? Je n'arriverais pas à la goûter toute, à la connaître tout entière. Cet instant me sert Pour savoir où et quoi livrer ou ne pas livrer. Je le sais comment ce pourrait être pour moi à votre place, mes frères qui êtes partis, Car je sais, comme vous d'ailleurs, ce que signifient douleur et peur, Mais moi, j'avais une peur plus grande que ma douleur et votre peur, Pas seulement peur pour mon corps, mais aussi la peur pour mon âme, que je ne connais pas - L'ombre de chacun de mes mouvements grandissait sans arrêt sur le mur épouvantablement blanc Et j'entendais chacune de mes pulsations tomber dans le toujours En décrivant des cercles interminables solides et liquides. Ainsi Avec cette peur pour mon âme, j'ai éludé la peur pour mon corps. Au point que Je connais toute la peur et vous pouvez me croire, Car il n'est personne d'entre nous qui veuille que nous souffrions ou que nous ayons peur. Ici au moins, - vous pouvez me croire. Ici, il n'est pas difficile de nous aimer. Tout est si difficile, Et peut-être pour cela a une valeur. Pourtant je ne pourrais pas Marcher avec les genoux de mon âme tronqués. Avec ceux de mon corps, mes mains et mes pieds tranchés, je le pourrais. Pardonnez-moi. Je vous salue. Ils s'en sont allés. Tranquillité. Que la solitude est pleine. Choses denses et dissoutes. L'infini Sans le poids de témoins. À qui pourrais-je parler et pourquoi ? Si au moins, ils étaient restés - Je ne dois pas sombrer en moi-même. Si j'étais au moins retenu Par le son de ma voix, le bruit de mon fusil, ma tête restait hors de l'eau Ou même seulement mon front et mes yeux. Je veux voir. Je veux imaginer les arbres, les fenêtres, les objets, Sentir leur chaleur familière, contrer Ce grand gel du feu qui s'approche. Il y faudrait aussi Un fauteuil dans le coin d'une chambre, dis-je, Comme la façade d'un clocher, le long de laquelle le son des cloches Roule en emplissant la maison de paix dominicale. Je ne peux continuer. La victoire sans témoins qui la divulguent semble irréalisable. Je veux imaginer mon cadavre entouré de mes amis en pleurs, le drapeau en berne Pour pouvoir me séparer de mon corps. Personne autour de moi. Ma voix unique témoin – et même elle, comment pourra-t-elle supporter le feu et la pierre ? Mais il faut que je m'en tire seul. Quelle tranquillité ! – Incomparable. Indiscutable. La gourde me rappelle que je n'ai pas précisément soif. Je n'aurai plus jamais soif. Et pourtant Ma musette est encore suspendue là au clou avec l'air De la première étoile du soir au-dessus de la plage de Limessos À l'heure où les garçons arrosent avec un tuyau de plastique le trottoir Après la chaleur torride d'un jour de juillet, À l'heure où l'on met les premières tables sur la terrasse pour les clients du soir À l'heure où même le moindre bruit d'un petit poisson, là tout près dans l'eau basse, Crie : « Demain, demain, demain ». Si, je pourrais néanmoins vivre, dans la solitude, oublié, en un lieu quelconque, Rebelle et irresponsable, à jouir sans envie des triomphes d'autrui, Des actions glorieuses que je n'ai pas accomplies – à regarder Le parcours d'une fourmi lente qui dans le crépuscule rouge porte Un grain de maïs plus grand qu'elle et entendre L'appel de toute la terre et sentir la chaleur de l'été au travers des pattes de la fourmi Et la tacite reconnaissance du monde sera dans mes yeux Tandis que j'écouterai pour toujours ce poisson crier : « Demain, demain, demain ». Mais quel demain aujourd'hui ? Une gelée terrible cette touffeur. Je ne suis pas à temps. Le vent tombe. Et il faut honorer mon échéance. Laisser un testament. Qu'est-ce qu'il faut? Même celui-là le feu le brûlera. Il ne le brûlera pas. Comme est difficile, en somme, la vie qui finit. Et il faut que je réussisse À vivre ma dernière difficulté, à la dépasser, et peut-être à la donner Aux autres comme une grâce. Comment ? Avec quoi ? « Mais il le faut ». Besoin de quoi ? Qui parle ? Que dit-il ? Pourquoi ? « Mais il le faut » Ici, il n'y a plus de devoir, plus de nécessité. Qui commande ? Que veulent-ils de moi ? Et qui ? Les pauvres, les sans-justice, la patrie, et le monde, et mon moi-même ? Devoir et nécessité. Justement. Devoir et nécessité. Une lumière rouge dedans et dehors. Le sang et le vent. Ils existent. J'existe. Nous devons exister. Nous existerons. Une lumière rouge mon moment. Et il faut Qu'on lie les pensées aux choses – qui existent - Tangiblement. Et je n'ai pas le temps. Et les choses s'en sont allées. Je ne les vois pas. Il reste seulement des pensées inatteignables et il faut Que, au moins, je les traite – que je trouve le moyen de les livrer. Deux bouchées de pain d'hier dans mon sac. Ma gamelle noircie par le souffle du feu – mon repas gelé, intact - La montre à mon poignet qui s'est arrêtée hier à deux heures du matin – Comment ai-je pu oublier de la remonter ? - Étrange que s'arrêtent les objets dont on sait qu'ils ont un mouvement, Qui, surtout, décident de ton temps, de tes rencontres, il n'y aura plus d'autres rencontres ; Quand ils s'arrêtent, seulement alors, on écoute, dans le silence, leur mouvement familier, On voit presque leur mouvement, présent, dans on invisibilité, Et on sait que leur destin désormais est de se mouvoir bien au-delà du point où ils se sont arrêtés. Et cet escargot qui remonte silencieux la pierre, Vous et votre chapelle – où allez-vous ? Ne faites pas attestation, Dois-je vous parler ? Dois-je vous confier ? Vous êtes sourd. Comme si vous ne deviez rien à personne – vous traînez avec vous cette chapelle – Il faut en somme que je tente d'y arriver tout seul – mais que dois-je atteindre ? L'instant de la mort n'est pas le moment le plus adapté Pour penser ; pourtant c'est le seul Qu'on a entièrement, car c'est la fin, Et qu'ici n'ont de place ni mensonges ni erreurs – quel discours dès lors ? J’ai à peine 29 ans et l'unique chose que je sais est que je veux vivre, Je n'ai pas encore pris le temps d'y penser, car je n'ai pas eu le temps de vivre. Que doit-on penser au milieu de la bataille ? Je ne l'ai pas fait en temps. Il me servirait bien tout entier Mon instant pour vivre intensément. Je me rappelle - C'était le printemps, alors. Nous étions assis sur le mole du port de Famagouste, Et maintenant, je sais – je ne le savais pas alors – la vie était belle (et elle l'est, Et toujours plus belle peut-être – elle devient toujours plus belle – c'est nous qui la faisons). Ils étaient beaux les épis, les cèdres, les vignes, les maisons, les femmes, les barques de pêche - Comme il était beau le jeu des reflets de l'eau sur les flancs des bateaux – belles Aussi les ombres des bateaux dans l'eau, les ombres des mouettes qui passaient au-dessus de la terrasse, au-dessus des tables rondes du café à l'extérieur Avec ses petites tasses ; et ainsi tandis que nous devisions, trois vieux amis, Sans même lever la tête Nous sentions les mouettes au-dessus de nous Et ensemble au café nous buvions quelque chose de l'ombre fugace des mouettes, Une saveur de simplicité, d'amitié et de liberté. Eh si, la vie est belle, même moi, j'étais beau (pourquoi étais ? Je le suis.) Et nous pouvons rendre belles les choses, pas à pas. Souvent l'été dans la torpeur du midi – mais aussi dans la neige - J'ai senti la vie faire corps avec la confiance en elle comme un drapeau tenu dans mes mains. Et même quand m'encerclait la peur avec toutes ses ombres cyclopéennes Et quand m'ébranlait la poitrine le drapeau de la patrie que je dressais dans mes mains Tandis que le battaient les vents nerveux. Cet autre drapeau n'était pas oublié. Ils étaient beaux. À présent Il n'y a plus place pour rien de semblable. J'ai choisi le feu. Ma décision est prise. Je suis prêt. Vous dites que le portail de la mort est plus large ? Moi, je finis ici. Je ne connais pas la suite. Les autres choses faites-les, dites-les, vous. J'ai gagné encore un instant Grand comme toute la douleur. Je ne savais pas Qu'un instant pouvait avoir une telle durée. Je n'avais pas imaginé que la douleur pouvait penser. Et toutes les choses Ont leur sens profond et attendent que nous les trouvions. Tout le monde s'appauvrirait Si venaient à manquer un caillou, une cigale, ou la voix du laitier à l'aube. Maintenant, je le sais. C'est peut-être ça qu'on appelle l'héroïsme ? Et que pourtant celui qu'on appelle héros ignorait ? Et que sans doute la pensée vainc le silence, le feu et le temps Et la chose que nous appelons destin ? Je ne le savais pas. À présent je le sais. Je vous salue. Mon instant le plus beau, je vous le laisse, mes frères C'est à présent mon fusil – l'arme jamais utilisée par l'homme Et ce fusil, qui me brûle les mains, je l'aime : Ce fusil je l'arrose de... - il n'y a rien de mal à ce que vous me voyiez pleurer Je suis fort ému de tout et de moi-même Et encore plus ému par la découverte de cette émotion. Si vous aviez pu me connaître à ce moment vous m'aimeriez Comme moi aussi je vous aime sans bassesse sans fatuité Mais qui vous fera partager ce moment ? Ne le contiennent Ni les mots, ni les mains, ni les yeux, pas même l'action , ni même la pensée - Il est grand comme ce que nous appelons patrie Grand comme ce que nous appelons terre Grand comme le monde entier : ( Comme ma voix est étrange) comme quand On travaille, volontairement, dans le petit champ du pauvre et que la soif vient à midi On confie la houe au tronc du figuier préféré Et on s'incline sur le ruisseau pour boire et dans le gazouillis du ruisseau on rencontre Son beau visage, buriné par le travail, par le vent, par la jeunesse, par le soleil, Et on reconnaît dans l'eau ses yeux brillants et cela ne nous arrête pas Et on boit l'eau en même temps que soi-même. On se désaltère et puis on tourne la tête Au ciel comme si là-haut on cherchait quelqu'un pour le remercier Et le ciel et la terre au-dedans et au-dehors sont infinis et lumineux Et tout le monde est sien et on peut en faire don. Ce moment est irrépétible, car c'est l'éternité, Et l'éternité existe et nous la créons – elle n'a pas de retour Comme une chose qui va et revient – Ne pleurez pas, alors. Mais laissez-moi pleurer, car sous peu, je vous le prédis, Je ne pourrai plus pleurer en connaissant La chance que j'ai eu de pouvoir mourir. Pardonnez-moi. Et vraiment, j'ai oublié de vous dire la chose principale – et que seulement à présent j'ai apprise - La mort n'est pas si difficile. C'est surtout le contraire. Et je vous garantis maintenant sur mon sang : le Christ ne fut jamais aussi chanceux Que lorsque le dernier clou le laissa immobile, sans le tuer, Pour qu'il regardât dans les yeux le ciel et son propre sacrifice ; Jamais Prométhée ne vit le monde si serein et si lumineux Que lorsque le bec du vautour trouva ses yeux En sachant, seulement alors, qu'il avait réussi à donner la lumière et le feu à l'homme, Et même, oui, ne fut jamais si beau le petit Grigoris Afxendiou de 29 ans... J’énonce le nombre de mes années et je pleure En sachant que vous les ajouterez à la gloire de notre lignée (Et qu'on me pardonne aussi cette ultime faiblesse). Je regarde ce nombre sur vos lèvres Et je voudrais le baiser sur vos lèvres. J'étais peut-être petit pour la gloire – sans doute petit Pour une telle chance. Une action juste Est un saut de l'homme hors de la solitude. C'est la poignée De milliers de mains et le serment de tous. Je suis prêt. Je n'accepte pas, non, le sacrifice pour la mort. Je l'accepte Seulement pour la vie – pour une vie Qui n'exigera plus aucun sacrifice ? Je suis prêt. Je n'aurais jamais cru que l'étroitesse d'une grotte Pût avoir une telle ampleur ; pût contenir La patrie avec ses oliviers, ses rives, ses tourments, Ses barques de pêche avec leurs voiles déployées dans son vent viril, Le monde et ses étendards, ses songes, ses cloches et ses herbes sauvages. Adieu. Dans ce tunnel de pierre dont la sortie Est l'embouchure-même du soleil. Je le sais : D'ici, directement, je passerai mort au monde. Ne pleurez pas. Et à présent, je sais comme jamais que la liberté est possible. Je vous salue. En ce moment, les mots grands ou petits ne me font pas peur - Je peux tourner mes yeux vers notre drapeau Car je le sais : dans mon instant absolu À l'embouchure de la mort, mes compagnons de lutte Recueilleront flamboyant de mes mains Le drapeau de la lutte inflexible, rutilant Comme un cheval de feu capable de traverser l’univers et la mort Comme un inextinguible rêve dans toutes les nuits des esclaves, radieux est notre drapeau Comme un grand calice scintillant pour la Sainte Communion du Monde. Je peux répéter : «Prenez et mangez, ceci est mon corps et mon sang - Le corps et le sang de Grigoris Afxendiou D'un garçon pauvre de 29 ans, du village de Lissis, conducteur de taxi, Qui seulement à la grande École de la Lutte apprit combien de lettres Composent le mot liberté » Et qui aujourd’hui, 2 mars 1957, est brûlé vif dans la grotte du Monastère de la Béate Et précisément aujourd’hui, 2 mars, jour de sabbat – ne l’oubliez pas camarades - À 2 heures et 3 minutes après minuit Est né le petit Grigoris entre les genoux de l'univers. Dix heures, c'est trop pour toutes les choses Quand on a un fusil, quelques balles et la raison de ton côté Quand on est maître de ses vingt-neuf ans et qu'on peut en disposer à sa main Quand on est maître de sa propre mort. Je vous salue. Je vous salue encore et je suis là encore . Oui, la plus grande action de notre vie Est de décider notre mort, quand existe une voie d'issue, Quand on peut encore la fuir et qu'on la choisit soi-même Comme un honneur et un devoir envers les autres, au-delà de ses nécessités. Qui peut vaincre en un instant sa vie vainc aussi la mort. À présent, je le sais. (Comme ma voix est étrange aujourd'hui. Qu'est-ce Que vous voulez de moi ? Ce que je voudrais vous faire entendre ? Est-ce Bien elle ma vraie voix ? Ou notre voix ? La voix de nous tous?) Toute chose est inexistante avant qu'on la pense, avant qu'on l'accomplît. Pas seulement la penser, pas seulement l'accomplir Mais la penser et en même temps, la faire. Et vous, mes frères, vous m'avez beaucoup aidé. (Personne n'existe seul, sans l'aide d'un autre). Toi qui pleureras pour ma mort, tu m'as aidé à mourir la tête haute Toi qui prendras mon fusil pour venger ma mort Toi qui m'as aidé à mourir content pour toi content pour moi. M'ont aidé aussi ceux qui sont tombés avant moi. Comme moi aussi je vous aiderai vous. Cette heure n'est plus aux vanteries et aux héroïsmes Quand on se trouve à tu et à toi avec la mort Et je vous le dis avec simplicité, comme si je tournais le volant de la voiture un jour de printemps Pour éviter la collision avec une charrette que conduit un paysan maladroit Ou pour ne pas renverser un enfant qui joue invisible dans la lumière du soleil Et même, si, (cette tendresse n'est pas incompatible avec un homme qui attend de mourir) Pour ne pas détruire une fleur des champs qui est allée bâtarde pousser au milieu de la voie publique Innocente et sereine comme un clin d’œil du monde - Oui, très simplement, je peux vous le dire, comme on tourne le volant de la voiture : « La vraie stature de l'homme Se mesure à l'étalon de la liberté ». Rien d’autre. Je vous salue. Si quelque chose me déplaît, c'est bien qu'ici je ne pourrai plus rien faire pour vous (Pas comme renommée, comme idée ou comme légende, mais avec mes propres mains), Comme, disons, ceci, que je voudrais encore tirer une rafale au vent à la Fête de la Libération Ou charger sur un grand camion cent sacs de pains, deux cents sacs de patates, Ramasser d'un faux pas cette petite vieille, son bois dans la forêt, Relever le cheval du vieux charretier qui est tombé dans la boue un matin pluvieux, Taper moi aussi dans la balle avec laquelle l'après-midi jouent les petits villageois sur le terrain de sports, Ou un soir donner une tape sur la tête à un ami qui a dit une vilaine blague Ou distribuer, un jour que les affaires auront été bonnes, un sachet de bonbons aux gamins du coin Ou appuyer mes bras puissants, que j'ai aimés aujourd'hui, Sur une table au dehors à Famagouste Et sans regarder mes mains de travailleur, les sentir Se reposer sur les genoux de pierre de notre monde amical. Aujourd'hui, je ressens une tendresse pour moi-même en sachant que vous m'aimerez Aujourd'hui, je m'aime et m'estime Aujourd'hui, je souris à moi-même en me regardant avec vos yeux fraternels. À un certain moment, j'ai laissé mon arme refroidir un peu sur la pierre, J'ai ouvert mon sac et j'ai sorti le petit miroir de poche - Oui, je suis beau – quand vous m'aimez Ce que je pourrais faire pour vous – quand vous m'aimez Ce que je pourrais – seulement maintenant je le comprends – (peut-être est-il trop tard : Seulement avec ma mort désormais je peux vous offrir quelque chose). Par exemple, Je pourrais faire tituber un tank d'un coup de poing Sculpter une statue en haut d'un mont en un jour, - quand vous m'aimez - Ou construire en une heure une école très haute. Je ne plaisante pas. Ce n'est pas le moment, mes frères, de plaisanter. Je voudrais être beau au dedans et au dehors Pour être digne de votre amour ; oui, (et laissez-moi dire aussi ceci) pour que pensent à moi Comme à leur mari Toutes les belles filles ; pour que me pensent leur ami Tous nos adolescents grecs et les gars du monde. Je n'ai plus de temps. J'aurais réussi au moins à me raser et à couper un peu mes moustaches. Mais peut-être Qu'un peu de barbe va bien à mon aspect si jeune. (Voyez-vous Quel garçon fait de moi votre amour ? Il me rend ma voix). Pense, mon frère, Qu'après demain, sur nos traces Les filles choisiront leur mari Les garçons leurs amis Les hommes leurs actions. Tu dois savoir que pourtant tu marches avec eux vers le haut Vers un mont sublime, tout noué de fins rubans d'asphalte, Pour contempler méthodiquement le monde. Les villes pleines de cheminées, d'observatoires astronomiques et de fenêtres, Les champs et les bois, les ports bondés de mats, Les avions pacifiques, les aigles intrépides et les cerfs-volants des enfants Avec leurs drôles de queue polychromes - Au-dessus d'un mont sublime, avec une super-machine du dernier modèle qui peut-être portera notre nom. Je viens à peine de penser à l’instant que sûrement la vie N'avance pas avec de sombres confessions et de petites vérités (La confession – je l'ai entendu dire et maintenant cela m'est venu à l'esprit - Sauve, disent-ils, celui qui se confesse. Mais l’autre ? L'autre, de fait, devrait prendre sur son dos comme des sacs d'inutiles pierres tes mots Sans même pouvoir rien en faire?) La vie en somme Avance avec des actions et des sacrifices – avec ce que nous appelons « sens commun » Et je ne sais même pas comment s’appellent ces choses, mais je les ai dites tout de même. La seule chose que j'ai apprise est : quand on serre le coin de la table C'est le coin de la table dans toute sa compacité Et quand on serre un sein, on sait que les mains les plus solides tremblent Et alors, on veut semer des milliers d'enfants Pour qu'ils réjouissent notre monde qu'on n'a pas eu le temps de réjouir Et peut-être, dis-je, peut-être on doit le savoir, - de quelqu'autre part, intimement on doit le sentir - Que cette poitrine « dotée de tendres seins prépare un lait de valeur et de liberté ». Et que, certes, on doit le savoir. Je vous salue. Du calme, vieille mère, ne commence pas à pleurer maintenant. Non ? - Je t'aime ainsi. Grecque. Tu penses qu'on t'enlève la vie ? Je le laisse ton orgueil. Tu ne verras pas ton ennemi courbé au-dessus de toi. Je le sais. Tu diras : « Je suis fière de mon fils, - Mieux vaut une poignée de cendres honorée Que mon champion à genoux. » Exactement ça. Je te salue, mère. Mon père me reconnaîtra À la morgue à mes gros os grecs, semblables aux siens, Et à la croix de la patrie que je tenais comme amulette entre les poils de ma poitrine. Je parle de moi Comme si j'étais amoureux de moi-même, comme si la Grèce était amoureuse de moi. Pardonnez-moi. C'est vous qui m'avez donné ce droit. Merci. Vous, et votre amour, et ma mort. Je le sais, Jusqu'à celui qui a touché les 5000 dinars Un soir boira une bière à ma santé dans une taverne de Pafos Et se penchera pour pleurer dans son verre, car j'étais un bon ami Et peut-être lui aussi un jour pourra devenir notre ami. À présent donc, profondément et en vérité, je peux vous dire, Comme si je conduisais, encore une fois, bien et précis ma voiture sur une route asphaltée de Chypre Dans un matin limpide et lumineux, - je peux vous dire : « Notre vertu Est notre utilité réciproque ». D'accord, mes frères. Ici la fraternité pour nous et pour tous n'est pas irréalisable. Ici les différences font naufrage dans un sourire, et c'est comme Écouter, dans ces nuits d'été, - azures, argentées et rosées - En une seule grand lueur de bonheur Tous les murmures distincts de la maison et des petites et grandes étoiles Et vibre la racine du cœur et vibre le monde Au point qu'on veut donner du coude à un ami pour écouter avec lui, Du coude jusqu'à une pierre pour qu'elle écoute elle-aussi, pour partager la joie. Et avec cet amour, je dis, qu'un jour les croix de bois Bourgeonneront de roses – si, même ma croix, celle brûlée, celle pétrifiée : Avec cet amour, dis-je, nous ferons plier Ceux qui apportent l'injustice et sèment la haine. Tel est mon commandement - D'autant qu'en ce moment, moi, je ne connais pas la haine Comme si je ne l'avais jamais apprise ou si je l'avais oubliée. Je vous salue. Je continue à me préparer au départ. Je continue à prendre congé de vous, et je suis encore ici Comme si j'avais encore quelque chose à ajouter au monde. Comme si j'avais À vous offrir encore un peu de bonheur tiré de ma moelle. Je me rappelle - C'était un crépuscule d'été - J'arrêtai ma machine devant une masure. J'avais soif Une vieille vêtue de noir m'offrit une gorgée d'eau fraîche. « Merci, grand-mère », lui dis-je, « Bonne liberté, mon fils », répondit-elle. « Bonne liberté, grand-mère », je lui rétorquai et je compris que je lui en étais redevable. J’ôtai ma casquette et je m'essuyai le front avec la main. (Vous savez, Les petites vieilles aussi savent sourire). La liberté, en somme, chacun de nous la doit à tous. Une liberté pour un seul ne sert à rien (tant qu'elle existe). Elle n'est rien, même pour lui-même. « Salut eh, grand-mère. Bonne liberté, alors. », - Et je tournai un peu les yeux – le voile azuréen du soir tombait : je ne distinguais pas bien. Et lorsque je me remis en route avec les codes (car il y avait encore de la lumière) Je sentais comme la machine montait, là il y avait la grande plaine de Messaoria Profonde et silencieuse, fumant dans un clair de lune paresseux, Je sentais que je montais jusqu'au ciel Et je sentis la lune qui me frappait la poitrine de sa fraîcheur Comme un « costantinato » (1) d'or , la lune était pendue avec un cordon à mon cou, Je la sentis rafraîchir mon cœur et mon cœur se réchauffait petit à petit et s'évaporait. Et je disais : Il ne suffit pas d'une table, de quelque monnaie en poche, de pain ou de baisers - L'homme est plus grand que ses préoccupations quotidiennes. Et je disais aussi : L'homme gagne à s'affranchir de son souci pour le pain Et d'aller toujours outre à son esclavage D'esclavage en esclavage, de délivrance en délivrance, De la délivrance de la patrie à la délivrance du monde Jusqu'à ce qu'il sente, entrant directement dans le ciel, Que la lune s'évapore dans sa poitrine, Jusqu'à ce qu'une nuit pleure d'amour pour tout le monde. Ainsi j'abandonnai Ma voiture dans le fossé. Je pris mon fusil. Et je montai au mont. Ainsi je me suis retrouvé Dans cette grotte dont la bouche regarde en face le soleil. Sa bouche ronde Est le soleil lui-même que je recommencerai à sentir froid, quand ils me la feront franchir, (Comme la lune cette nuit) – je le sentirai comme un frais « costantinato » Restaurer ma poitrine brûlée, de sorte que peu à peu Le soleil se réchauffe et s'évapore de notre poitrine. Je vous salue. (Toutes les cloches de la Terre sonnaient à l'unisson. Tous les fronts humains se levaient. Dans le villages de Lissis entre Nicosie et Famagouste, sa mère serre le mouchoir noir autour de son menton fort et dit exactement les mots que son fils attendait : « Je suis fière de mon fils. Mieux vaut une poignée de cendres honorée, que mon champion à genoux. » Mon père de son côté, quand il alla à l'hôpital militaire de Nicosie, reconnut son garçon carbonisé à ses gros os grecs et à ce « costantinato » d'or qui s'évaporait sur sa poitrine et sur celle du monde entier.) ATHÈNES. DU 5 AU 25 MARS 1957 |
(1) Moneta d'oro tardoromana, con le immagini di Costantino il Grande e di sua madre Elena. Con lo stesso nome anche il popolare pendaglio usato dai Greci come amuleto, con la croce greca e la scritta ΕΝ ΤΟΥΤΩ ΝΙΚΑ - in hoc signo vinces. (NdT) | (1) Monnaie d'or romaine avec l'image de Constantin le Grand et de sa mère Hélène. Sous le même nom, il y a un médaillon populaire que les Grecs portent comme amulette, avec la croix grecque et l'inscription ΕΝ ΤΟΥΤΩ ΝΙΚΑ - in hoc signo vinces. (NdT) |