Children's Crusade, Op. 82 [Der Kinderkreuzzug]
Benjamin BrittenLa traduzione italiana di Ruth Leiser e Franco Fortini. | |
DER KINDERKREUZZUG In Polen, im Jahr Neununddreißig War eine blutige Schlacht Die hatte viele Städte und Dörfer Zu einer Wildnis gemacht. Die Schwester verlor den Bruder Die Frau den Mann im Heer; Zwischen Feuer und Trümmerstätte Fand das Kind die Eltern nicht mehr. Aus Polen ist nichts mehr gekommen Nicht Brief noch Zeitungsbericht. Doch in den östlichen Ländern Läuft eine seltsame Geschicht. Schnee fiel, als man sich's erzählte In einer östlichen Stadt Von einem Kinderkreuzzug Der in Polen begonnen hat. Da trippelten Kinder hungernd In Trüpplein hinab die Chausseen Und nahmen mit sich andere, die In zerschossenen Dörfern stehn. Sie wollten entrinnen den Schlachten Dem ganzen Nachtmahr Und eines Tages kommen In ein Land, wo Frieden war. Da war ein kleiner Führer Das hat sie aufgericht'. Er hatte eine große Sorge: Den Weg, den wußte er nicht. Eine Elfjährige schleppte Ein Kind von vier Jahr Hatte alles für eine Mutter Nur nicht ein Land, wo Frieden war. Ein kleiner Jude marschierte im Trupp Mit einem samtenen Kragen Der war das weißeste Brot gewohnt Und hat sich gut geschlagen. Und ging ein dünner Grauer mit Hielt sich abseits in der Landschaft. Er trug an einer schrecklichen Schuld: Er kam aus einer Nazigesandtschaft. Und da war ein Hund Gefangen zum Schlachten Mitgenommen als Esser Weils sie's nicht übers Herz brachten. Da war eine Schule Und ein kleiner Lehrer für Kalligraphie. Und ein Schüler an einer zerschossenen Tankwand Lernte schreiben bis zu Frie... Da war auch eine Liebe. Sie war zwölf, er war fünfzehn Jahr. In einem zerschossenen Hofe Kämmte sie ihm sein Haar. Die Liebe konnte nicht bestehen Es kam zu große Kält: Wie sollen die Bäumchen blühen Wenn so viel Schnee drauf fällt? Da war auch ein Begräbnis Eines Jungen mit samtenen Kragen Der wurde von zwei Deutschen Und zwei Polen zu Grab getragen. Protestant, Katholik und Nazi war da Ihn der Erde einzuhändigen. Und zum Schluß sprach ein kleiner Kommunist Von der Zukunft der Lebendigen. So gab es Glaube und Hoffnung Nur nicht Fleisch und Brot. Und keiner schelt sie mir, wenn sie was stahl'n Der ihnen nicht Obdach bot. Und keiner schelt mir den armen Mann Der sie nicht zu Tische lud: Für ein halbes Hundert, da braucht es Mehl, nicht Opfermut. Sie zogen vornehmlich nach Süden. Süden ist, wo die Sonn Mittags um zwölf steht Gradaus davon. Sie fanden zwar einen Soldaten Verwundet im Tannengries Sie pflegten ihn sieben Tage Damit er den Weg ihnen wies. Er sagte ihnen: Nach Bilgoray! Muß stark gefiebert haben Und starb ihnen weg am achten Tag. Sie haben auch ihn begraben. Und da gab es ja Wegweiser Wenn auch vom Schnee verweht Nur zeigten sie nicht mehr die Richtung an Sondern waren umgedreht. Das war nicht etwa ein schlechter Spaß Sondern aus militärischen Gründen. Und als sie suchten nach Bilgoray Konnten sie es nicht finden. Sie standen um ihren Führer. Der sah in die Schneeluft hinein Und deutete mit der kleinen Hand Und sagte: Es muß dort sein. Einmal, nachts, sahen sie ein Feuer Da gingen sie nicht hin. Einmal rollten drei Tanks vorbei Da waren Menschen drin. Einmal kamen sie an eine Stadt Da machten sie einen Bogen. Bis sie daran vorüber waren Sind sie nur nachts weitergezogen. Wo einst das südöstliche Polen war Bei starkem Schneewehen Hat man die fünfundfünfzig Zuletzt gesehn. Wenn ich die Augen schließe Seh ich sie wandern Von einem zerschossenen Bauerngehöft Zu einem zerschossenen andern. Über ihnen, in den Wolken oben Seh ich andre Züge, neue, große! Mühsam wandernd gegen kalte Winde Heimatlose, Richtungslose Suchend nach dem Land mit Frieden Ohne Donner, ohne Feuer Nicht wie das, aus dem sie kamen Und der Zug wird ungeheuer. Und er scheint mir durch den Dämmer Bald schon gar nicht mehr derselbe: Andere Gesichtlein seh ich Spanische, französische, gelbe! In Polen, in jenem Januar Wurde ein Hund gefangen Der hatte um seinen mageren Hals Eine Tafel aus Pappe hangen. Darauf stand: Bitte um Hilfe! Wir wissen den Weg nicht mehr. Wir sind fünfundfünfzig Der Hund führt euch her. Wenn ihr nicht kommen könnt Jagt ihn weg Schießt nicht auf ihn Nur er weiß den Fleck. Die Schrift war eine Kinderhand. Bauern haben sie gelesen. Seitdem sind eineinhalb Jahre um. Der Hund ist verhungert gewesen. | LA CROCIATA DEI RAGAZZI In Polonia, nel Trentanove, una battaglia grande ci fu che fece rovina e deserto di tanti paesi e città. La sorella ci perse il fratello, la moglie il marito soldato, tra fuoco e macerie i figliuoli i genitori non trovano più. Di Polonia non venne più nulla, né notizie ai giornali né lettere. Ma nei paesi dell’Est una storia strana raccontano. Nevicava, quando in quei posti si sentì che la gente parlava d’una crociata di ragazzi che in Polonia era cominciata. Trottavano sugli stradali ragazzi affamati attruppati, e dai villaggi bombardati altri portavano con sé. Dalle battaglie volevano fuggire, da tutti quegli incubi e finalmente un giorno, venire a una terra di pace. Avevano un piccolo capo che li aveva guidati fin là. Ma una gran pena aveva in cuore: la strada non la sapeva. Una d’undici anni menava un bambino di quattro anni Come una mamma farebbe; ma non fino a una paese di pace. Marciava nel gruppo un piccolo ebreo col suo bavero di velluto; lui, avvezzo al pane più bianco, da coraggioso s’era battuto. E due fratelli venivano avanti, che erano grandi strateghi per assalire fattorie deserte, lasciate alla pioggia. E c’era uno, grigio, sottile, che andava da solo pei campi con una colpa tremenda: veniva da un’ambasciata dei nazi. E un musicista tra loro che in un negozio distrutto aveva trovato un tamburo ma, per non farli scoprire, non lo poteva suonare. E anche c’era un cane: per ammazzarlo l’avevano preso ma gli era mancato il coraggio e ora mangiava con loro. E c’era una scuola ed un piccolo maestro che si sgolava. Sulla corazza di un carro, uno scolaro sillabava, di « pace », « p » e « a ». E al fragore di un freddo torrente anche un concerto ci fu: nessuno li avrebbe sentiti e il tamburo allora suonò. E anche c’era un amore, lei dodici, lui quindici anni. In un cortile di macerie, lei i capelli gli pettinava. L’amore non poté resistere, il freddo che venne fu troppo. Come le piante possono fiorire se cade tanta neve? E anche una guerra ci fu, perché un’altra banda comparve, ma la guerra fu presto finita, ché non c’era ragione di farla. Ma mentre ancora infuriava intorno a un casello distrutto, si dice che uno dei gruppi a un tratto fu a corto di viveri. E quando gli altri lo seppero mandarono uno dei loro con un sacco di patate; perché chi non mangia la guerra non fa. E ci fu anche un processo, e ardevano due candele. E fu un’inchiesta penosa. Il giudice venne condannato. E il funerale ci fu di un ragazzo che portava il colletto di velluto. Lo calarono due tedeschi e due polacchi nella fossa. C’erano protestanti, cattolici e nazi per consegnarlo alla terra. E alla fine un piccolo socialista parlò del futuro dei vivi. Così c’erano fede e speranza, ma non c’era né carne né pane. Chi non gli dette un tetto non mi venga ora a dire che rubavano. E nessuno dia colpa a quei poveri che non li invitarono a tavola. Per cinquanta ragazzi, farina ci voleva, non solo bontà. Pareva che andassero a sud. Il sud è dove il sole all’ora di mezzogiorno proprio ti sta davanti. Trovarono anche un soldato tra gli aghi dei pini, ferito. Lo curarono per sette giorni perché gli indicasse la via. Lui disse: « A Bilgoray! ». Tremava tutto di febbre, l’ottavo giorno morì e così anche lui seppellirono. Sebbene coperti di neve c’erano frecce e cartelli. Non mostravano più la via giusta, qualcuno li aveva scambiati. Non era uno scherzo malvagio, era per ragioni di guerra: cercando così Bilgoray nessuno mai ci arrivò. Erano in cerchio intorno al loro capo. Lui guardava nell’aria di neve. Accennò con la piccola mano e disse: « Dev’essere laggiù ». Una notte videro un fuoco ma non gli andarono incontro. Tre carri armati, una volta, passarono e dentro c’erano uomini. E una volta giunsero presso a una città, e le girarono attorno, camminando soltanto di notte finché la città non passò. Dove una volta c’era la Polonia del sud, furono visti nella neve della tormenta, quei cinquantacinque, per un’ultima volta. Quando io chiudo gli occhi li vedo come vagano dalle rovine di una fattoria alle rovine di un’altra. Su di loro, lassù nelle nuvole, vedo altri cortei, nuovi, grandi! Vanno a fatica contro i venti freddi, i senza patria, i senza meta, cercando una terra di pace, senza il tuono, senza l’incendio, non come quella che lasciano. E immenso diventa il corteo. E dentro il buio del crepuscolo non mi pare già più quel che era. Altri piccoli visi vi scorgo, spagnuoli, francesi, orientali. In Polonia, in quel mese di gennaio, un cane per caso fu preso. C’era un cartello appeso al suo collo smagrito, e c’era scritto: « Aiutateci, abbiamo perduta la strada. Siamo cinquantacinque. Il cane vi guiderà. Se non potete venire, lasciatelo andar via. Non gli sparate. Dove siamo, lui solo lo sa ». Era una scrittura infantile. La lessero quei contadini. Un anno e mezzo da allora è passato. Il cane moriva di fame. |