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The Ballad of Reading Gaol

Oscar Wilde
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Traduzione italiana della versione di Jeanne Moreau, trovata...

LA BALLATA DEL CARCERE DI READING

In memoria
di C.T.W.‎
già appartenente alle Guardie Reali a cavallo
ucciso nel carcere di Sua Maestà, Reading, Berkshire
il 7 luglio 1896


I

Egli non porta il suo abito scarlatto
perché rossi sono il sangue e il vino,‎
e il sangue e il vino eran sulle sue mani
quando lo trovaron con la morta,‎
la povera donna ch’egli aveva amato,‎
ch’egli aveva uccisa nel suo letto.‎

Egli camminava fra gli Uomini Colpevoli
in un abito grigio malandato;‎
un berretto da cricket avea sul capo
ed il suo passo pareva gaio e lieve;‎
ma io non ho mai visto un uomo che guardasse
così ansiosamente verso il giorno.‎

Io non ho mai visto un uomo che guardasse
con occhio così ansioso
verso il minuscolo lembo d’azzurro
che chiamano cielo i prigionieri,‎
verso ogni nuvola che andava alla deriva
da vele d’argento sospinta.‎

Io camminavo, con altre anime in pena,‎
entro un diverso raggio,‎
e mi chiedevo se l’uomo avesse commesso
una grave o piccola colpa,‎
quando dietro di me una voce disse in un sussurro:‎
‎“Quel tipo sta per dondolare”.‎

Cristo santo! Le mura stesse della prigione
sembraron vacillare all’improvviso,‎
ed il cielo sopra il mio capo divenne
come un casco d’acciaio ardente;‎
e, sebbene fossi un’anima in pena,‎
la mia pena io non potea sentire.‎

Io solo sapevo quale inseguito pensiero
affrettasse il suo passo, e per quale motivo
egli guardasse verso il giorno splendente
con occhio così ansioso;‎
l’uomo aveva ucciso ciò che amava
e per questo doveva morire.‎

Eppure ogni uomo uccide ciò che ama,‎
ognuno ascolti dunque ciò che dico:‎
alcuni uccidono con uno sguardo d’amarezza,‎
altri con una parola adulatoria,‎
il codardo uccide con un bacio,‎
l’uomo coraggioso con la spada!‎

Alcuni uccidono il loro amore in gioventù,‎
ed altri quando sono vecchi;‎
alcuni lo strangolano con le mani dell’Avidità,‎
altri con le mani della Ricchezza;‎
l’uomo gentile uccide col coltello,‎
perché più ratto giunga il freddo della morte.‎

Alcuni amano troppo brevemente, altri troppo a lungo,‎
alcuni vendono, ed altri comprano;‎
alcuni uccidono con molte lacrime,‎
ed altri senza un sol singhiozzo:‎
perché ogni uomo uccide ciò che ama,‎
eppure nessuno di loro deve morire.‎

Nessuno morrà di morte vergognosa
in un giorno di cupo disonore,‎
nessuno avrà una corda attorno al collo,‎
né una benda sulla faccia,‎
ed i piedi attraverso il pavimento non cadranno
entro uno spazio infinito.‎

Nessuno siederà tra uomini silenziosi
che lo scrutan notte e giorno;‎
che lo guardano quando egli tenta di piangere,‎
e quando tenta di pregare;‎
che lo guardano per tema che s’involi
dal carcere la preda designata.‎

Nessuno si desterà sul far dell’alba per vedere
la propria stanza popolarsi d’orribili figure,‎
il Cappellano tremante avvolto nel bianco,‎
il Prefetto severo con tristezza,‎
e il Direttore in lucido nero,‎
con il giallo volto della Condanna.‎

Nessuno si alzerà con fretta pietosa
per indossare i suoi abiti di forzato,‎
né un medico volgare contemplerà avidamente
ed ogni contrazione annoterà dei nervi,‎
mentre il tempo scandisce un orologio, i cui piccoli battiti
son come orribili colpi di martello.‎

Nessuno sentirà la sete soffocante
che rende arida la gola,‎
prima che il boia con i suoi guanti da giardiniere
passi attraverso l’imbottita porta,‎
e stringa con tre giri di corda
quella gola che mai più potrà aver sete.‎

Nessuno piegherà il capo per udire
la lettura dell’Ordine di Morte,‎
né, mentre l’angoscia dell’animo
gli sussurra che non è ancor morto,‎
scorgerà la propria bara, come se si muovesse
all’interno di un museo degli orrori.‎

Nessuno fisserà l’aria
attraverso un minuscolo tetto di cristallo:‎
nessuno pregherà con labbra di creta
per il cessare della sua angoscia,‎
né sentirà sulla sua guancia tremante
posarsi il bacio di Caifa.‎

II

Per sei settimane egli camminò nel cortile
nel suo abito grigio malandato:‎
il suo berretto da cricket avea sul capo
ed il suo passo pareva gaio e lieve;‎
ma io non ho mai visto un uomo che guardasse
così ansiosamente verso il giorno.‎

Io non ho mai visto un uomo che guardasse
con occhio così ansioso
verso il minuscolo lembo d’azzurro
che chiamano cielo i prigionieri,‎
verso ogni nuvola che trascina alla deriva
il suo vello di lana sfilacciato.‎

Egli non si torceva le mani
come fanno quegli uomini meschini
che osano coltivare l’assurda Speranza
nel cavo della nera Disperazione:‎
egli solo guardava verso il sole,‎
e beveva l’aria del mattino.‎

Egli non si torceva le mani né piangeva,‎
egli non sospirava né si lamentava,‎
ma beveva l’aria
come a trovarvi un ultimo sollievo;‎
con le sue labbra schiuse egli beveva il sole
come se stesse assaporando vino!‎

Ed io e l’altre anime in pena,‎
che pesantemente camminavamo entro un diverso raggio,‎
dimenticammo se avevam commesso
un grande o piccolo delitto,‎
e guardavamo con occhio triste e stupito
l’uomo che doveva essere impiccato.‎

Era strano vederlo camminare
con un passo così gaio e lieve,‎
era strano vederlo guardare
così ansiosamente verso il giorno,‎
era strano pensare ch’egli avesse
un debito così grande da pagare.‎

Le querce e gli olmi hanno graziose foglie
che risplendono nella primavera;‎
ma torvo a vedersi è l’albero della forca,‎
con serpi affamate per radici:‎
e, verde o secco, un uomo deve morire
prima ch’esso generi i suoi frutti!‎

Il più nobile posto è quel luogo di grazia
al quale tutte tendono le cose della terra:‎
ma chi aspira a sedere con il volto bendato‎
sopra un alto patibolo,‎
ed attraverso il collare della morte
volgere l’ultimo sguardo al cielo?‎

Dolce è danzare dei violini al suono
quando Vita ed Amore ci sorridon:‎
danzare al suon dei flauti, danzare al suon dei liuti
è piacere delicato e raro:‎
ma non è dolce con agile piede
danzare nel vuoto!‎

Così con occhi curiosi e tristi pensieri
noi lo guardammo giorno dopo giorno,‎
e ci domandavamo se ognuno di noi
avrebbe atteso la fine in ugual modo,‎
poiché nessuno può sapere in quale rosso Inferno
possa smarrirsi il suo animo accecato.‎

Infine l’uomo morto non camminò più
tra i Condannati,‎
ed io seppi ch’egli ormai giaceva
nella tenebra fredda dell’orrido recinto,‎
e che mai più avrei rivisto il suo volto
nella prosperità o nella miseria.‎

Come due navi in mezzo alla tempesta
noi c’eravamo incrociati:‎
ma non facemmo un segno, né pronunciammo verbo,‎
da dire noi non avevam parole;‎
poiché non nella notte santa c’eravamo incontrati,‎
ma nel giorno della vergogna.‎

Un muro di prigione ci circondava entrambi,‎
noi eravamo due uomini esiliati:‎
ci aveva scacciato il mondo dal suo cuore,‎
ci aveva scacciato Dio dal Suo pensiero;‎
la trappola di ferro che attende il Peccato
nella sua rete ci aveva catturato.‎

III

Nel Cortile dei Debitori le pietre sono aride,‎
e il muro gocciolante è molto alto,‎
là egli prendeva aria
sotto il cielo di piombo
mentre due guardie camminavano al suo fianco
per impedire che si desse la morte.‎

A volte egli sedeva tra coloro
che spiavan notte e giorno il suo tormento;‎
che lo guardavano quando sorgeva il pianto nei suoi occhi,‎
e quando si inginocchiava per pregare;‎
che lo guardavano per impedire che sfuggisse
al carcere la preda designata.‎

Il direttore era inflessibile
sul Regolamento Carcerario;‎
il Medico diceva che la morte
è solo un fenomeno scientifico;‎
e due volte al giorno veniva il Cappellano
e lasciava un opuscoletto.‎

Due volte al giorno egli fumava la pipa,‎
e beveva il suo quarto di birra:‎
l’animo suo era risoluto, e non lasciava
nascondiglio alcuno alla paura;‎
spesso diceva che era contento
d’esser vicino al giorno del carnefice.‎

Ma perché dicesse cose così strane
nessuna delle guardie osò mai chiedergli:‎
poiché colui cui viene dato il compito
di sorvegliare un condannato a morte,‎
deve tener serrate le sue labbra
ed una maschera fare del suo volto.‎

Pur, s’egli a lui s’avvicinasse,‎
di consolarlo tentando e fargli forza,‎
che far potrebbe la Pietà dell’Uomo
quando è rinchiusa nella Tana del Delitto?‎
In un simile luogo qual mai gentil parola
potrebbe aiutare un animo fraterno?‎

Con andatura goffa ed oscillante per il cortile
lenti procediamo: è la Parata degli Sciagurati!‎
Noi non abbiamo affanno: ben sappiamo
d’essere del Diavol la Brigata:‎
ed i piedi dì piombo e le teste rasate
sembrano una gioiosa mascherata.‎

Noi abbiam fatto a brandelli le corde di catrame
con unghie spezzate e sanguinanti;‎
abbiamo pulito le porte, lavato i pavimenti,‎
lucidato le rotaie splendenti:‎
e, asse per asse, abbiamo insaponato il palco,‎
e fatto fracasso con i secchi.‎

Noi abbiamo cucito i sacchi, spaccato le pietre,‎
e manovrato il trapano polveroso:‎
abbiamo percosso i recipienti di latta, urlato inni,‎
e sudato ad una macina:‎
ma nel cuore di ogni uomo
prendeva posto il terrore.‎

A tal punto prendeva posto che ogni giorno
si insinuava come un’onda sporca:‎
e noi dimenticammo anche la sorte amara
che attende il truffatore e il disonesto,‎
finché una volta, tornando dal lavoro,‎
noi varcammo la soglia di una tomba.‎

La gialla tana con fauci spalancate
desiderava una cosa viva:‎
il fango sangue domandava urlando
per dissetare l’anello d’asfalto;‎
e noi sapevamo che prima del sorger dell’alba
un prigioniero doveva essere impiccato.‎

Quando entrammo, con l’animo assorto
in pensieri di Morte, di Terrore, e di Condanna,‎
il boia, con la sua piccola borsa,‎
s’avvicinò nel buio con passo strascicato:‎
ed io tremai mentre a tentoni proseguivo
fino alla mia tomba numerata.‎

Quella notte i vuoti corridoi
erano popolati dalle forme della paura:‎
su e giù per la città di ferro
non s’udiva alcun passo,‎
e attraverso le sbarre che celano le stelle
bianchi volti sembravano apparire.‎

Egli giaceva come colui che sogna
disteso in una dolce prateria;‎
le guardie lo guardavano dormire,‎
e non potevano comprendere
come uno possa così dolcemente dormire
con un carnefice che veglia presso a lui.‎

Ma non c’è sonno allorché gli uomini
devono piangere colui che non ha pianto:‎
così noi – i relitti, i disonesti, gli impostori –‎
da una veglia infinita eravam scossi,‎
e con l’angoscia ad ognuno nel cervello
un nuovo terror s’insinuava.‎

Ahimè! è cosa spaventosa sentire che ci pesa‎
di un altro il delitto sulle spalle!‎
Poiché allora la Spada del Peccato
agitava la sua elsa avvelenata,‎
e come piombo fuso erano le lacrime che versavamo
per il sangue che non avevamo sparso.‎

Con passi felpati le guardie
furtivamente di cella in cella strisciavano,‎
e, spiando dal buco, con occhio attonito scorgevano
grigie figure sul pavimento,‎
e stupivano giacché si inginocchiavan per pregare
uomini che non avevan mai pregato prima.‎

Per tutta la notte noi restammo in ginocchio e pregammo,‎
prefiche pazzesche di un cadavere!‎
Le ali tremanti della mezzanotte
oscillavano sopra un carro funebre:‎
come vino amaro su una spugna
era il sapore del Rimorso.‎

Il grigio gallo cantò, poi cantò il gallo rosso,‎
ma non venne il giorno:‎
e le contorte ombre del Terrore si curvavano
sugli angoli dove noi giacevamo:‎
ed ogni malefico spirto che cammina nella notte
sembrava giocare innanzi a noi.‎

Essi scivolavano avanti, scivolavano rapidi,‎
simili a viaggiatori nella nebbia:‎
essi irridevano alla luna in una danza
di delicate mosse circolari,‎
e con passo cerimonioso e grazia nauseante
correvano al loro convegno di fantasmi.‎

Con smorfie e boccacce li vedemmo andare
nelle tenebre, mano nella mano:‎
la folla spettrale s’aggirava
in una vorticosa sarabanda,‎
disegnando nell’aria arabeschi,‎
come quelli del vento sulla sabbia.‎

Con piroette da marionette
saltellavano in punta di piedi:‎
poi suonarono i flauti del Terrore,‎
mentre mostravano la loro maschera orrenda,‎
e ad alta voce cantarono, cantarono a lungo,‎
poiché cantavano per vegliare il morto.‎

‎“Oho!” gridavano, “Il mondo è vasto,‎
ma l’uomo incatenato gira zoppo!‎
Gettare i dadi una volta o due
è un gioco indubbiamente signorile,‎
ma non vince chi gioca col Peccato
nella segreta Casa della Vergogna”.‎

Non eran, d’aria quegli esseri bizzarri,‎
che si trastullavan con tal gioia:‎
per gli uomini che giacevano in catene,‎
ed i cui piedi non avevan libero il passo,‎
Ah! piaghe di Cristo! essi erano forme viventi
ancora più terribili a vedersi.‎

E girarono intorno, e danzarono un valzer;‎
avvinti ruotavano alcuni in coppie smorfiose,‎
con il passo affettato d’una prostituta
vacillavano altri sulle scale:‎
e con misteriosi sguardi, e con facce beffarde,‎
spingevano i nostri cuori alla preghiera.‎

Cominciò a gemere il vento del mattino,‎
ma ancora regnava la notte:‎
sopra un ampio telaio si tesseva
filo per filo il velo delle tenebre:‎
ed in preghiera noi aspettavamo
la Giustizia del Sole con terrore.‎

Il vento lamentoso s’aggirò
tra le mura del carcere piangenti:‎
come una ruota d’acciaio inesorabile
ci parve lo strisciare dei minuti:‎
O lamentoso vento! che mai fatto avevamo
per meritare una simile tortura?‎

Al fin io vidi le sbarre tenebrose,‎
come una grata ricamata in piombo,‎
muoversi lungo il muro calcinato
ch’era di fronte al mio giaciglio d’assi:‎
seppi così che in qualche luogo al mondo
rossa era l’alba terribile di Dio.‎

Alle sei in punto riordinammo le celle,‎
alle sette ogni cosa era tranquilla,‎
ma di un’ala possente l’oscillante sussurro
sembrava riempire la prigione,‎
poiché il Signore della Morte, con il suo gelido respiro,‎
era entrato in quel luogo per uccidere.‎

Egli non passava in regale corteo,‎
né un bianco destriere lunare cavalcava.‎
Tre iarde di corda e un asse sdrucciolevole
son tutto ciò che serve per ergere il patibolo:‎
così l’Araldo con la fune del disonore
giunse per adempiere al suo compito segreto.‎

Noi eravamo come uomini ch’una palude attraversano
oppressa da una sozza oscurità:‎
non osavam mormorare una preghiera,‎
né dare sfogo alla nostra angoscia:‎
qualcosa era morto in ognuno di noi,‎
e quel qualcosa era la Speranza.‎

La Giustizia terribile dell’Uomo compie il suo corso,‎
e mai se ne allontana:‎
essa il debole uccide, ammazza il forte,‎
ed il suo passo ha un incedere mortale:‎
con tallone di ferro uccide il forte,‎
quella mostruosa parricida!‎

Noi attendevamo il rintocco delle otto,‎
e dalla sete era ogni lingua arsa:‎
poiché il rintocco delle otto è il rintocco del Destino
che rende un uomo maledetto,‎
ed userà il Destino uno scorsoio nodo
sia per il buono che per il malvagio.‎

Da fare noi non avevam nient’altro,‎
salvo aspettare l’avvento del segnale:‎
così, come esseri di pietra in una valle abbandonata,‎
noi sedemmo tranquilli e silenziosi:‎
ma il cor d’ognuno battea forte e veloce,‎
come un pazzo che picchia su un tamburo!‎

Con improvviso colpo del carcer l’orologio
ferì l’aria tremante,‎
ed un lamento si levò del carcer da ogni lato,‎
disperato, impotente,‎
come il rantolo che ascoltan le paludi spaventate
dal covo levarsi d’un lebbroso.‎

E come uno più cose spaventose
nel cristallo può veder d’un sogno,‎
noi l’unta fune di canapa vedemmo
da una trave annerita penzolare,‎
e udimmo una preghiera strangolata
dal laccio del carnefice in un grido.‎

Ed il dolore che tutto lo scuoteva,‎
e il grido amaro che lanciava al cielo,‎
e i rimpianti feroci, e i sanguinanti sudori,‎
nessuno seppe mai meglio di me:‎
poiché chi vive assai più di una vita,‎
deve subire assai più di una morte.‎

IV

Non ci sono cappelle nel giorno
in cui un uomo dev’essere impiccato:‎
del Cappellano il cuore è troppo debole,‎
oppure troppo pallido è il suo volto,‎
o nei suoi occhi qualcosa v’è segnato
che legger non dovrebbe mai nessuno.‎

Così chiusi ci tennero fin quasi a mezzogiorno,‎
poi suonaron la campana,‎
e le guardie con le chiavi tintinnanti
aprirono ogni cella,‎
e per le scale di ferro discendemmo
ognuno dal suo Inferno solitario.‎

Noi uscimmo nella dolce aria di Dio,‎
ma non nel modo abituale,‎
poiché il volto d’alcuni era bianco di paura,‎
e grigio era quello d’altri,‎
ed io non ho mai visto uomini tristi che guardassero‎
così ansiosamente verso il giorno.‎

Io non ho mai visto uomini tristi che guardassero
con occhio così ansioso
verso il minuscolo lembo d’azzurro
che noi prigionieri chiamiam cielo,‎
e verso ogni nuvola felice che sfilava
in una così strana libertà.‎

Ma c’erano alcuni fra di noi
che camminavan con il capo chino,‎
e pensavano che, se avessero pagato il loro delitto,‎
sarebbero morti in posto di quell’uomo:‎
ma egli aveva ucciso una cosa che viveva,‎
mentre essi i morti avevano ammazzato.‎

Poiché chi pecca una seconda volta
risveglia al pianto l’animo di un morto,‎
lo strappa dal suo sudicio sudario,‎
e lo costringe a sanguinare ancora,‎
a sanguinare dalle piaghe aperte,‎
a versare altro sangue inutilmente.‎

Come scimmie o pagliacci, in mostruosi costumi
ornati di frecce contorte,‎
silenziosamente noi percorremmo in cerchio
il sudicio asfalto del cortile;‎
silenziosamente noi camminammo in cerchio,‎
e nessuno diceva una parola.‎

Silenziosamente noi camminammo in cerchio,‎
e nella mente svuotata di ognuno
la Memoria di terribili cose
s’avventava come un vento spaventoso,‎
e camminava l’Orrore davanti ad ogni uomo,‎
e strisciando il Terrore lo seguiva.‎

Le guardie impettite camminavan su e giù,‎
ed osservavano il loro gregge di bruti;‎
le loro uniformi erano lucide e nuove,‎
con gli ornamenti dei giorni di festa;‎
ma noi sapevamo che lavoro avevan fatto,‎
dalla calce viva ch’era sui loro stivali.‎

Poiché, là dove una fossa larga era stata aperta,‎
non c’era alcuna tomba in prima,‎
ma sol di fango e sabbia una distesa
presso l’orrendo muro di prigione,‎
ed un piccolo cumolo di calce bruciante,‎
che l’uomo avrà come suo drappo funebre.‎

Ha un drappo funebre, quest’uomo miserabile,‎
tal quale pochi possono sperare:‎
sotto il cortil d’un carcer sprofondato,‎
esposto alla vergogna più completa,‎
egli giace, con le catene ai piedi,‎
di fiamme avvolto in un lenzuolo!‎

E la calce bruciante da ogni parte
divora la sua carne e le sue ossa:‎
la notte divora le fragili ossa,‎
e il giorno la tenera carne;‎
a turno divora la carne e le ossa,‎
ma sempre divora il suo cuore.‎

Per tre lunghi anni nessuno getterà
in quel luogo o un seme o una radice:‎
per tre lunghi anni il luogo disgraziato
sarà infruttuoso e spoglio,‎
e guarderà verso il cielo stupito
con occhio pieno di rimprovero.‎

Molti pensano che un cuore assassinato
guasterebbe ogni seme ch’essi piantano.‎
Ciò non è vero! La buona terra di Dio
buona è ancor più di quanto sappia l’uomo,‎
e la rosa rossa vi fiorirebbe più rossa,‎
e la rosa bianca vi fiorirebbe più bianca.‎

Dalla sua bocca una rosa rossa!‎
Una rosa bianca dal suo cuore !‎
Poiché chi mai può dir per quali strane vie
di Cristo il voler viene alla luce,‎
dal giorno in cui lo sterile bastone che il pellegrino portava
si trasformò nel fiorito pastorale del Papa?‎

Ma non la rosa bianca come il latte e non la rossa
può fiorire del carcere nell’aria;‎
il rottame, il ciottolo, e la selce,‎
son ciò che là noi sol possiamo avere:‎
ma non i fiori, che servono a guarire
un uomo dalla sua disperazione.‎

Così mai la rossa rosa vinosa o la bianca,‎
petalo dopo petalo, cadranno
su quella distesa di fango e di sabbia che giace
presso l’orrendo muro di prigione,‎
per dire agli uomini che camminan nel cortile
ch’è morto per tutti il Figlio di Dio.‎

E sebben l’orribil muro di prigione
ancora da ogni parte lo circonda,‎
e non può nella notte camminare
uno spirto ch’è avvinto con catene,‎
e può sol piangere uno spirito che giace
in un simile suolo maledetto,‎

egli è in pace – quest’uomo miserabile –‎
è in pace, oppur lo sarà presto;‎
per lui non vi son cose senza senso,‎
né il Terrore cammina a mezzogiorno,‎
poiché la Terra oscura ove egli giace
Sole non ha né Luna.‎

L’hanno impiccato tal quale una bestia!‎
Nessuno ha pronunciato
un solo requiem per dare pace
al suo animo atterrito,‎
ma l’han portato fuori in tutta fretta,‎
e l’hanno celato in una tana.‎

Le guardie gli tolsero i vestiti,‎
ed il suo corpo lasciarono alle mosche:‎
la rossa e gonfia gola essi derisero,‎
ed il suo sguardo impietrito e stupefatto:‎
fra rumorose risate con le pale hanno ammucchiato
il sudario in cui giace il condannato.‎

A pregare non si sarebbe inginocchiato
su quella disonorata fossa il Cappellano:‎
né l’avrebbe segnata con quella Croce benedetta
che Cristo ha donato ai peccatori,‎
eppure anch’egli era uno di quelli
per la cui salvezza Cristo era sceso in terra.‎

Ma non importa; egli ha solo oltrepassato
il limite fissato per la vita:‎
e lacrime sconosciute riempiran per lui
l’urna infranta della Pietà,‎
poiché avrà il pianto degli uomini esiliati,‎
e solo pianto c’è per chi è in esilio.‎

V

Io non so se le Leggi sono giuste
o se le Leggi sono ingiuste;‎
tutto ciò che sappiamo noi che languiamo in un carcere
è che le mura sono troppo alte;‎
e che ogni giorno è lungo come un anno,‎
un anno i cui giorni sono lunghi.‎

Ma questo so, che ogni Legge
che l’uomo ha creato per l’Uomo,‎
da quando il primo Uomo assassinò suo fratello,‎
ed ebbe inizio la pazzia del mondo,‎
rende paglia il frumento e conserva gli sterpi
con un setaccio che ingrandisce il male.‎

E so anche questo – e come me vorrei‎
che ognuno al mondo lo sapesse –‎
che ogni carcere che gli uomini costruiscono
è fatto con mattoni di vergogna,‎
e circondato con sbarre per timore che Cristo possa vedere
come gli uomini storpiano i propri fratelli.‎

Con sbarre essi macchiano la luna benigna,‎
e accecano il sole stupendo;‎
e fanno bene a celare il loro Inferno,‎
poiché in esso avvengono cose
che né il Figlio di Dio né il figlio dell’Uomo
la forza avrebbe mai di tollerare!‎

Gli atti più vili come erbacce velenose
prosperosi fioriscon del carcere nell’aria;‎
è solo ciò che v’è di buono nell’Uomo
che là si consuma ed avvizzisce:‎
la pallida Angoscia sorveglia la porta pesante,‎
e il Carceriere è la disperazione.‎

Poiché essi fan soffrire la fame al piccolo bambino spaventato
finché egli non piange, non piange notte e giorno:‎
e sferzano il debole, e flagellan lo stupido,‎
e scherniscono il vecchio e il grigio,‎
così che alcuni diventano pazzi, e tutti diventan più crudeli,‎
e più nessuno sa dire una parola.‎

Ogni misera cella nella quale noi abitiamo
è una nera e sporca latrina,‎
e il fetido respiro della Morte vivente
soffoca ogni protezione,‎
e tutto quanto, tranne la Lussuria, in polvere è cangiato
nella macchina dell’Umanità.‎

L’acqua salmastra che beviamo
scorre con una melma disgustosa,‎
e il pane amaro che pesano sulla bilancia
di gesso e calce è pieno;‎
il Sonno non riposa, ma cammina
con occhi furibondi, gridando verso il Tempo.‎

E sebbene la magra Fame e la verde Sete
lottino come con l’aspide il serpente,‎
poco ci importa del cibo del carcere,‎
poiché ciò che deprime e uccide al primo colpo
è che ogni pietra che un uomo solleva di giorno‎
il cuore diviene di un uomo la notte.‎

Sempre è mezzanotte nel cuore di un uomo,‎
sempre è il crepuscolo nella cella di un altro:‎
noi giriamo l’uncino, o laceriamo la fune,‎
ognuno nel suo Inferno solitario,‎
ed il silenzio è più lontano e solenne
del suono di una campana di ottone.‎

E mai una voce umana s’avvicina
una gentil parola a pronunciare;‎
l’occhio che ci spia attraverso la porta
è spietato e impassibile;‎
dimenticati da tutti, noi imputridiamo,‎
con l’animo ed il corpo sfigurati.‎

Così, umiliati e soli, corrodiamo
la catena di ferro della Vita:‎
alcuni uomini imprecano, altri uomini piangono,‎
ed altri invece non mandano un lamento:‎
ma indulgente è di Dio l’eterna Legge
e il cor di pietra infrange.‎

Ed ogni cuore umano che si infrange,‎
di prigion nella cella o nel cortile,‎
è come quella scatola spezzata
che al Signore offrì in dono il suo tesoro,‎
e riempì la sporca casa del lebbroso
col profumo rarissimo del nardo.‎

Ah! felici i cuori che possono spezzarsi
e conquistar la pace ed il perdono!‎
In che altro modo un uom può rendere leale il suo disegno
e dal Peccato purificar l’animo suo?‎
In che altro modo, se non attraverso un cuore infranto,‎
può entrare in lui il Cristo Redentore?‎

Egli con la gola gonfia e rossa,‎
con gli occhi immobili e impietriti,‎
attende ora le mani benedette
che condussero il Ladro in Paradiso;‎
ed un cuore spezzato e contrito
il Signore non lo respingerà.‎

L’uomo in rosso che legge nel libro della Legge
gli diede tre settimane di vita,‎
tre sole settimane per guarire
l’animo suo dai conflitti dello spirito,‎
e mondare da ogni macchia di sangue
la mano che aveva stretto il coltello.‎

E con lacrime di sangue egli pulì la mano,‎
la mano che aveva stretto l’acciaio:‎
poiché soltanto il sangue può cancellare il sangue,‎
e solo le lacrime possono guarire:‎
e la macchia rossa che era di Caino
divenne di Cristo il sigillo bianco come neve.‎

VI

Nel carcere di Reading della città di Reading
c’è una fossa di vergogna,‎
ed in essa vi giace un uomo maledetto
dai denti delle fiamme divorato;‎
egli giace in un sudario incandescente,‎
e la sua tomba non ha nome alcuno.‎

E là, fino al giorno in cui Cristo chiamerà
i morti innanzi a sé, lasciatelo giacere:‎
non è necessario versare stupide lacrime,‎
o emettere inutili sospiri:‎
l’uomo aveva ucciso ciò che amava,‎
e per questo doveva morire.‎

Eppure tutti gli uomini uccidono ciò che amano,‎
tutti ascoltino dunque ciò che dico:‎
alcuni uccidono con uno sguardo d’amarezza,‎
altri con una parola adulatoria,‎
il codardo uccide con un bacio,‎
l’uomo coraggioso con la spada!‎

OGNI UOMO UCCIDE CIÒ CHE EGLI AMA

Eppure ogni uomo uccide ciò che egli ama,
e tutti lo sappiamo:
gli uni uccidono con uno sguardo di odio,
gli altri con delle parole carezzevoli,
il vigliacco con un bacio,
l’eroe con una spada!‎

Gli uni uccidono il loro amore, quando sono ancora giovani,
gli altri quando sono gia vecchi,
certuni lo strangolano con le mani del desiderio,
certi altri con le mani dell’oro,
i migliori si servono d’un coltello, affinchè
i cadaveri più presto si gelino.‎

Si ama eccessivamente o troppo poco,
l’amore si vende o si compra,
talvolta si compie il delitto con infinite lacrime,
tal’altra senza un sospiro,
perchè ognuno di noi uccide ciò che ama
eppure non è costretto a morirne.‎


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