The Ballad of Reading Gaol
Oscar WildeTraduzione italiana di Marco M.G. Michelini | |
EACH MAN KILLS THE THINGS HE LOVES Yet each man kills the thing he loves By each let this be heard, Some do it with a bitter look, Some with a flattering word, The coward does it with a kiss, The brave man with a sword! Some kill their love when they are young, And some when they are old; Some strangle with the hands of Lust, Some with the hands of Gold: The kindest use a knife, because The dead so soon grow cold. Some love too little, some too long, Some sell, and others buy; Some do the deed with many tears, And some without a sigh: For each man kills the thing he loves, Yet each man does not die. | LA BALLATA DEL CARCERE DI READING In memoria di C.T.W. già appartenente alle Guardie Reali a cavallo ucciso nel carcere di Sua Maestà, Reading, Berkshire il 7 luglio 1896 I Egli non porta il suo abito scarlatto perché rossi sono il sangue e il vino, e il sangue e il vino eran sulle sue mani quando lo trovaron con la morta, la povera donna ch’egli aveva amato, ch’egli aveva uccisa nel suo letto. Egli camminava fra gli Uomini Colpevoli in un abito grigio malandato; un berretto da cricket avea sul capo ed il suo passo pareva gaio e lieve; ma io non ho mai visto un uomo che guardasse così ansiosamente verso il giorno. Io non ho mai visto un uomo che guardasse con occhio così ansioso verso il minuscolo lembo d’azzurro che chiamano cielo i prigionieri, verso ogni nuvola che andava alla deriva da vele d’argento sospinta. Io camminavo, con altre anime in pena, entro un diverso raggio, e mi chiedevo se l’uomo avesse commesso una grave o piccola colpa, quando dietro di me una voce disse in un sussurro: “Quel tipo sta per dondolare”. Cristo santo! Le mura stesse della prigione sembraron vacillare all’improvviso, ed il cielo sopra il mio capo divenne come un casco d’acciaio ardente; e, sebbene fossi un’anima in pena, la mia pena io non potea sentire. Io solo sapevo quale inseguito pensiero affrettasse il suo passo, e per quale motivo egli guardasse verso il giorno splendente con occhio così ansioso; l’uomo aveva ucciso ciò che amava e per questo doveva morire. Eppure ogni uomo uccide ciò che ama, ognuno ascolti dunque ciò che dico: alcuni uccidono con uno sguardo d’amarezza, altri con una parola adulatoria, il codardo uccide con un bacio, l’uomo coraggioso con la spada! Alcuni uccidono il loro amore in gioventù, ed altri quando sono vecchi; alcuni lo strangolano con le mani dell’Avidità, altri con le mani della Ricchezza; l’uomo gentile uccide col coltello, perché più ratto giunga il freddo della morte. Alcuni amano troppo brevemente, altri troppo a lungo, alcuni vendono, ed altri comprano; alcuni uccidono con molte lacrime, ed altri senza un sol singhiozzo: perché ogni uomo uccide ciò che ama, eppure nessuno di loro deve morire. Nessuno morrà di morte vergognosa in un giorno di cupo disonore, nessuno avrà una corda attorno al collo, né una benda sulla faccia, ed i piedi attraverso il pavimento non cadranno entro uno spazio infinito. Nessuno siederà tra uomini silenziosi che lo scrutan notte e giorno; che lo guardano quando egli tenta di piangere, e quando tenta di pregare; che lo guardano per tema che s’involi dal carcere la preda designata. Nessuno si desterà sul far dell’alba per vedere la propria stanza popolarsi d’orribili figure, il Cappellano tremante avvolto nel bianco, il Prefetto severo con tristezza, e il Direttore in lucido nero, con il giallo volto della Condanna. Nessuno si alzerà con fretta pietosa per indossare i suoi abiti di forzato, né un medico volgare contemplerà avidamente ed ogni contrazione annoterà dei nervi, mentre il tempo scandisce un orologio, i cui piccoli battiti son come orribili colpi di martello. Nessuno sentirà la sete soffocante che rende arida la gola, prima che il boia con i suoi guanti da giardiniere passi attraverso l’imbottita porta, e stringa con tre giri di corda quella gola che mai più potrà aver sete. Nessuno piegherà il capo per udire la lettura dell’Ordine di Morte, né, mentre l’angoscia dell’animo gli sussurra che non è ancor morto, scorgerà la propria bara, come se si muovesse all’interno di un museo degli orrori. Nessuno fisserà l’aria attraverso un minuscolo tetto di cristallo: nessuno pregherà con labbra di creta per il cessare della sua angoscia, né sentirà sulla sua guancia tremante posarsi il bacio di Caifa. II Per sei settimane egli camminò nel cortile nel suo abito grigio malandato: il suo berretto da cricket avea sul capo ed il suo passo pareva gaio e lieve; ma io non ho mai visto un uomo che guardasse così ansiosamente verso il giorno. Io non ho mai visto un uomo che guardasse con occhio così ansioso verso il minuscolo lembo d’azzurro che chiamano cielo i prigionieri, verso ogni nuvola che trascina alla deriva il suo vello di lana sfilacciato. Egli non si torceva le mani come fanno quegli uomini meschini che osano coltivare l’assurda Speranza nel cavo della nera Disperazione: egli solo guardava verso il sole, e beveva l’aria del mattino. Egli non si torceva le mani né piangeva, egli non sospirava né si lamentava, ma beveva l’aria come a trovarvi un ultimo sollievo; con le sue labbra schiuse egli beveva il sole come se stesse assaporando vino! Ed io e l’altre anime in pena, che pesantemente camminavamo entro un diverso raggio, dimenticammo se avevam commesso un grande o piccolo delitto, e guardavamo con occhio triste e stupito l’uomo che doveva essere impiccato. Era strano vederlo camminare con un passo così gaio e lieve, era strano vederlo guardare così ansiosamente verso il giorno, era strano pensare ch’egli avesse un debito così grande da pagare. Le querce e gli olmi hanno graziose foglie che risplendono nella primavera; ma torvo a vedersi è l’albero della forca, con serpi affamate per radici: e, verde o secco, un uomo deve morire prima ch’esso generi i suoi frutti! Il più nobile posto è quel luogo di grazia al quale tutte tendono le cose della terra: ma chi aspira a sedere con il volto bendato sopra un alto patibolo, ed attraverso il collare della morte volgere l’ultimo sguardo al cielo? Dolce è danzare dei violini al suono quando Vita ed Amore ci sorridon: danzare al suon dei flauti, danzare al suon dei liuti è piacere delicato e raro: ma non è dolce con agile piede danzare nel vuoto! Così con occhi curiosi e tristi pensieri noi lo guardammo giorno dopo giorno, e ci domandavamo se ognuno di noi avrebbe atteso la fine in ugual modo, poiché nessuno può sapere in quale rosso Inferno possa smarrirsi il suo animo accecato. Infine l’uomo morto non camminò più tra i Condannati, ed io seppi ch’egli ormai giaceva nella tenebra fredda dell’orrido recinto, e che mai più avrei rivisto il suo volto nella prosperità o nella miseria. Come due navi in mezzo alla tempesta noi c’eravamo incrociati: ma non facemmo un segno, né pronunciammo verbo, da dire noi non avevam parole; poiché non nella notte santa c’eravamo incontrati, ma nel giorno della vergogna. Un muro di prigione ci circondava entrambi, noi eravamo due uomini esiliati: ci aveva scacciato il mondo dal suo cuore, ci aveva scacciato Dio dal Suo pensiero; la trappola di ferro che attende il Peccato nella sua rete ci aveva catturato. III Nel Cortile dei Debitori le pietre sono aride, e il muro gocciolante è molto alto, là egli prendeva aria sotto il cielo di piombo mentre due guardie camminavano al suo fianco per impedire che si desse la morte. A volte egli sedeva tra coloro che spiavan notte e giorno il suo tormento; che lo guardavano quando sorgeva il pianto nei suoi occhi, e quando si inginocchiava per pregare; che lo guardavano per impedire che sfuggisse al carcere la preda designata. Il direttore era inflessibile sul Regolamento Carcerario; il Medico diceva che la morte è solo un fenomeno scientifico; e due volte al giorno veniva il Cappellano e lasciava un opuscoletto. Due volte al giorno egli fumava la pipa, e beveva il suo quarto di birra: l’animo suo era risoluto, e non lasciava nascondiglio alcuno alla paura; spesso diceva che era contento d’esser vicino al giorno del carnefice. Ma perché dicesse cose così strane nessuna delle guardie osò mai chiedergli: poiché colui cui viene dato il compito di sorvegliare un condannato a morte, deve tener serrate le sue labbra ed una maschera fare del suo volto. Pur, s’egli a lui s’avvicinasse, di consolarlo tentando e fargli forza, che far potrebbe la Pietà dell’Uomo quando è rinchiusa nella Tana del Delitto? In un simile luogo qual mai gentil parola potrebbe aiutare un animo fraterno? Con andatura goffa ed oscillante per il cortile lenti procediamo: è la Parata degli Sciagurati! Noi non abbiamo affanno: ben sappiamo d’essere del Diavol la Brigata: ed i piedi dì piombo e le teste rasate sembrano una gioiosa mascherata. Noi abbiam fatto a brandelli le corde di catrame con unghie spezzate e sanguinanti; abbiamo pulito le porte, lavato i pavimenti, lucidato le rotaie splendenti: e, asse per asse, abbiamo insaponato il palco, e fatto fracasso con i secchi. Noi abbiamo cucito i sacchi, spaccato le pietre, e manovrato il trapano polveroso: abbiamo percosso i recipienti di latta, urlato inni, e sudato ad una macina: ma nel cuore di ogni uomo prendeva posto il terrore. A tal punto prendeva posto che ogni giorno si insinuava come un’onda sporca: e noi dimenticammo anche la sorte amara che attende il truffatore e il disonesto, finché una volta, tornando dal lavoro, noi varcammo la soglia di una tomba. La gialla tana con fauci spalancate desiderava una cosa viva: il fango sangue domandava urlando per dissetare l’anello d’asfalto; e noi sapevamo che prima del sorger dell’alba un prigioniero doveva essere impiccato. Quando entrammo, con l’animo assorto in pensieri di Morte, di Terrore, e di Condanna, il boia, con la sua piccola borsa, s’avvicinò nel buio con passo strascicato: ed io tremai mentre a tentoni proseguivo fino alla mia tomba numerata. Quella notte i vuoti corridoi erano popolati dalle forme della paura: su e giù per la città di ferro non s’udiva alcun passo, e attraverso le sbarre che celano le stelle bianchi volti sembravano apparire. Egli giaceva come colui che sogna disteso in una dolce prateria; le guardie lo guardavano dormire, e non potevano comprendere come uno possa così dolcemente dormire con un carnefice che veglia presso a lui. Ma non c’è sonno allorché gli uomini devono piangere colui che non ha pianto: così noi – i relitti, i disonesti, gli impostori – da una veglia infinita eravam scossi, e con l’angoscia ad ognuno nel cervello un nuovo terror s’insinuava. Ahimè! è cosa spaventosa sentire che ci pesa di un altro il delitto sulle spalle! Poiché allora la Spada del Peccato agitava la sua elsa avvelenata, e come piombo fuso erano le lacrime che versavamo per il sangue che non avevamo sparso. Con passi felpati le guardie furtivamente di cella in cella strisciavano, e, spiando dal buco, con occhio attonito scorgevano grigie figure sul pavimento, e stupivano giacché si inginocchiavan per pregare uomini che non avevan mai pregato prima. Per tutta la notte noi restammo in ginocchio e pregammo, prefiche pazzesche di un cadavere! Le ali tremanti della mezzanotte oscillavano sopra un carro funebre: come vino amaro su una spugna era il sapore del Rimorso. Il grigio gallo cantò, poi cantò il gallo rosso, ma non venne il giorno: e le contorte ombre del Terrore si curvavano sugli angoli dove noi giacevamo: ed ogni malefico spirto che cammina nella notte sembrava giocare innanzi a noi. Essi scivolavano avanti, scivolavano rapidi, simili a viaggiatori nella nebbia: essi irridevano alla luna in una danza di delicate mosse circolari, e con passo cerimonioso e grazia nauseante correvano al loro convegno di fantasmi. Con smorfie e boccacce li vedemmo andare nelle tenebre, mano nella mano: la folla spettrale s’aggirava in una vorticosa sarabanda, disegnando nell’aria arabeschi, come quelli del vento sulla sabbia. Con piroette da marionette saltellavano in punta di piedi: poi suonarono i flauti del Terrore, mentre mostravano la loro maschera orrenda, e ad alta voce cantarono, cantarono a lungo, poiché cantavano per vegliare il morto. “Oho!” gridavano, “Il mondo è vasto, ma l’uomo incatenato gira zoppo! Gettare i dadi una volta o due è un gioco indubbiamente signorile, ma non vince chi gioca col Peccato nella segreta Casa della Vergogna”. Non eran, d’aria quegli esseri bizzarri, che si trastullavan con tal gioia: per gli uomini che giacevano in catene, ed i cui piedi non avevan libero il passo, Ah! piaghe di Cristo! essi erano forme viventi ancora più terribili a vedersi. E girarono intorno, e danzarono un valzer; avvinti ruotavano alcuni in coppie smorfiose, con il passo affettato d’una prostituta vacillavano altri sulle scale: e con misteriosi sguardi, e con facce beffarde, spingevano i nostri cuori alla preghiera. Cominciò a gemere il vento del mattino, ma ancora regnava la notte: sopra un ampio telaio si tesseva filo per filo il velo delle tenebre: ed in preghiera noi aspettavamo la Giustizia del Sole con terrore. Il vento lamentoso s’aggirò tra le mura del carcere piangenti: come una ruota d’acciaio inesorabile ci parve lo strisciare dei minuti: O lamentoso vento! che mai fatto avevamo per meritare una simile tortura? Al fin io vidi le sbarre tenebrose, come una grata ricamata in piombo, muoversi lungo il muro calcinato ch’era di fronte al mio giaciglio d’assi: seppi così che in qualche luogo al mondo rossa era l’alba terribile di Dio. Alle sei in punto riordinammo le celle, alle sette ogni cosa era tranquilla, ma di un’ala possente l’oscillante sussurro sembrava riempire la prigione, poiché il Signore della Morte, con il suo gelido respiro, era entrato in quel luogo per uccidere. Egli non passava in regale corteo, né un bianco destriere lunare cavalcava. Tre iarde di corda e un asse sdrucciolevole son tutto ciò che serve per ergere il patibolo: così l’Araldo con la fune del disonore giunse per adempiere al suo compito segreto. Noi eravamo come uomini ch’una palude attraversano oppressa da una sozza oscurità: non osavam mormorare una preghiera, né dare sfogo alla nostra angoscia: qualcosa era morto in ognuno di noi, e quel qualcosa era la Speranza. La Giustizia terribile dell’Uomo compie il suo corso, e mai se ne allontana: essa il debole uccide, ammazza il forte, ed il suo passo ha un incedere mortale: con tallone di ferro uccide il forte, quella mostruosa parricida! Noi attendevamo il rintocco delle otto, e dalla sete era ogni lingua arsa: poiché il rintocco delle otto è il rintocco del Destino che rende un uomo maledetto, ed userà il Destino uno scorsoio nodo sia per il buono che per il malvagio. Da fare noi non avevam nient’altro, salvo aspettare l’avvento del segnale: così, come esseri di pietra in una valle abbandonata, noi sedemmo tranquilli e silenziosi: ma il cor d’ognuno battea forte e veloce, come un pazzo che picchia su un tamburo! Con improvviso colpo del carcer l’orologio ferì l’aria tremante, ed un lamento si levò del carcer da ogni lato, disperato, impotente, come il rantolo che ascoltan le paludi spaventate dal covo levarsi d’un lebbroso. E come uno più cose spaventose nel cristallo può veder d’un sogno, noi l’unta fune di canapa vedemmo da una trave annerita penzolare, e udimmo una preghiera strangolata dal laccio del carnefice in un grido. Ed il dolore che tutto lo scuoteva, e il grido amaro che lanciava al cielo, e i rimpianti feroci, e i sanguinanti sudori, nessuno seppe mai meglio di me: poiché chi vive assai più di una vita, deve subire assai più di una morte. IV Non ci sono cappelle nel giorno in cui un uomo dev’essere impiccato: del Cappellano il cuore è troppo debole, oppure troppo pallido è il suo volto, o nei suoi occhi qualcosa v’è segnato che legger non dovrebbe mai nessuno. Così chiusi ci tennero fin quasi a mezzogiorno, poi suonaron la campana, e le guardie con le chiavi tintinnanti aprirono ogni cella, e per le scale di ferro discendemmo ognuno dal suo Inferno solitario. Noi uscimmo nella dolce aria di Dio, ma non nel modo abituale, poiché il volto d’alcuni era bianco di paura, e grigio era quello d’altri, ed io non ho mai visto uomini tristi che guardassero così ansiosamente verso il giorno. Io non ho mai visto uomini tristi che guardassero con occhio così ansioso verso il minuscolo lembo d’azzurro che noi prigionieri chiamiam cielo, e verso ogni nuvola felice che sfilava in una così strana libertà. Ma c’erano alcuni fra di noi che camminavan con il capo chino, e pensavano che, se avessero pagato il loro delitto, sarebbero morti in posto di quell’uomo: ma egli aveva ucciso una cosa che viveva, mentre essi i morti avevano ammazzato. Poiché chi pecca una seconda volta risveglia al pianto l’animo di un morto, lo strappa dal suo sudicio sudario, e lo costringe a sanguinare ancora, a sanguinare dalle piaghe aperte, a versare altro sangue inutilmente. Come scimmie o pagliacci, in mostruosi costumi ornati di frecce contorte, silenziosamente noi percorremmo in cerchio il sudicio asfalto del cortile; silenziosamente noi camminammo in cerchio, e nessuno diceva una parola. Silenziosamente noi camminammo in cerchio, e nella mente svuotata di ognuno la Memoria di terribili cose s’avventava come un vento spaventoso, e camminava l’Orrore davanti ad ogni uomo, e strisciando il Terrore lo seguiva. Le guardie impettite camminavan su e giù, ed osservavano il loro gregge di bruti; le loro uniformi erano lucide e nuove, con gli ornamenti dei giorni di festa; ma noi sapevamo che lavoro avevan fatto, dalla calce viva ch’era sui loro stivali. Poiché, là dove una fossa larga era stata aperta, non c’era alcuna tomba in prima, ma sol di fango e sabbia una distesa presso l’orrendo muro di prigione, ed un piccolo cumolo di calce bruciante, che l’uomo avrà come suo drappo funebre. Ha un drappo funebre, quest’uomo miserabile, tal quale pochi possono sperare: sotto il cortil d’un carcer sprofondato, esposto alla vergogna più completa, egli giace, con le catene ai piedi, di fiamme avvolto in un lenzuolo! E la calce bruciante da ogni parte divora la sua carne e le sue ossa: la notte divora le fragili ossa, e il giorno la tenera carne; a turno divora la carne e le ossa, ma sempre divora il suo cuore. Per tre lunghi anni nessuno getterà in quel luogo o un seme o una radice: per tre lunghi anni il luogo disgraziato sarà infruttuoso e spoglio, e guarderà verso il cielo stupito con occhio pieno di rimprovero. Molti pensano che un cuore assassinato guasterebbe ogni seme ch’essi piantano. Ciò non è vero! La buona terra di Dio buona è ancor più di quanto sappia l’uomo, e la rosa rossa vi fiorirebbe più rossa, e la rosa bianca vi fiorirebbe più bianca. Dalla sua bocca una rosa rossa! Una rosa bianca dal suo cuore ! Poiché chi mai può dir per quali strane vie di Cristo il voler viene alla luce, dal giorno in cui lo sterile bastone che il pellegrino portava si trasformò nel fiorito pastorale del Papa? Ma non la rosa bianca come il latte e non la rossa può fiorire del carcere nell’aria; il rottame, il ciottolo, e la selce, son ciò che là noi sol possiamo avere: ma non i fiori, che servono a guarire un uomo dalla sua disperazione. Così mai la rossa rosa vinosa o la bianca, petalo dopo petalo, cadranno su quella distesa di fango e di sabbia che giace presso l’orrendo muro di prigione, per dire agli uomini che camminan nel cortile ch’è morto per tutti il Figlio di Dio. E sebben l’orribil muro di prigione ancora da ogni parte lo circonda, e non può nella notte camminare uno spirto ch’è avvinto con catene, e può sol piangere uno spirito che giace in un simile suolo maledetto, egli è in pace – quest’uomo miserabile – è in pace, oppur lo sarà presto; per lui non vi son cose senza senso, né il Terrore cammina a mezzogiorno, poiché la Terra oscura ove egli giace Sole non ha né Luna. L’hanno impiccato tal quale una bestia! Nessuno ha pronunciato un solo requiem per dare pace al suo animo atterrito, ma l’han portato fuori in tutta fretta, e l’hanno celato in una tana. Le guardie gli tolsero i vestiti, ed il suo corpo lasciarono alle mosche: la rossa e gonfia gola essi derisero, ed il suo sguardo impietrito e stupefatto: fra rumorose risate con le pale hanno ammucchiato il sudario in cui giace il condannato. A pregare non si sarebbe inginocchiato su quella disonorata fossa il Cappellano: né l’avrebbe segnata con quella Croce benedetta che Cristo ha donato ai peccatori, eppure anch’egli era uno di quelli per la cui salvezza Cristo era sceso in terra. Ma non importa; egli ha solo oltrepassato il limite fissato per la vita: e lacrime sconosciute riempiran per lui l’urna infranta della Pietà, poiché avrà il pianto degli uomini esiliati, e solo pianto c’è per chi è in esilio. V Io non so se le Leggi sono giuste o se le Leggi sono ingiuste; tutto ciò che sappiamo noi che languiamo in un carcere è che le mura sono troppo alte; e che ogni giorno è lungo come un anno, un anno i cui giorni sono lunghi. Ma questo so, che ogni Legge che l’uomo ha creato per l’Uomo, da quando il primo Uomo assassinò suo fratello, ed ebbe inizio la pazzia del mondo, rende paglia il frumento e conserva gli sterpi con un setaccio che ingrandisce il male. E so anche questo – e come me vorrei che ognuno al mondo lo sapesse – che ogni carcere che gli uomini costruiscono è fatto con mattoni di vergogna, e circondato con sbarre per timore che Cristo possa vedere come gli uomini storpiano i propri fratelli. Con sbarre essi macchiano la luna benigna, e accecano il sole stupendo; e fanno bene a celare il loro Inferno, poiché in esso avvengono cose che né il Figlio di Dio né il figlio dell’Uomo la forza avrebbe mai di tollerare! Gli atti più vili come erbacce velenose prosperosi fioriscon del carcere nell’aria; è solo ciò che v’è di buono nell’Uomo che là si consuma ed avvizzisce: la pallida Angoscia sorveglia la porta pesante, e il Carceriere è la disperazione. Poiché essi fan soffrire la fame al piccolo bambino spaventato finché egli non piange, non piange notte e giorno: e sferzano il debole, e flagellan lo stupido, e scherniscono il vecchio e il grigio, così che alcuni diventano pazzi, e tutti diventan più crudeli, e più nessuno sa dire una parola. Ogni misera cella nella quale noi abitiamo è una nera e sporca latrina, e il fetido respiro della Morte vivente soffoca ogni protezione, e tutto quanto, tranne la Lussuria, in polvere è cangiato nella macchina dell’Umanità. L’acqua salmastra che beviamo scorre con una melma disgustosa, e il pane amaro che pesano sulla bilancia di gesso e calce è pieno; il Sonno non riposa, ma cammina con occhi furibondi, gridando verso il Tempo. E sebbene la magra Fame e la verde Sete lottino come con l’aspide il serpente, poco ci importa del cibo del carcere, poiché ciò che deprime e uccide al primo colpo è che ogni pietra che un uomo solleva di giorno il cuore diviene di un uomo la notte. Sempre è mezzanotte nel cuore di un uomo, sempre è il crepuscolo nella cella di un altro: noi giriamo l’uncino, o laceriamo la fune, ognuno nel suo Inferno solitario, ed il silenzio è più lontano e solenne del suono di una campana di ottone. E mai una voce umana s’avvicina una gentil parola a pronunciare; l’occhio che ci spia attraverso la porta è spietato e impassibile; dimenticati da tutti, noi imputridiamo, con l’animo ed il corpo sfigurati. Così, umiliati e soli, corrodiamo la catena di ferro della Vita: alcuni uomini imprecano, altri uomini piangono, ed altri invece non mandano un lamento: ma indulgente è di Dio l’eterna Legge e il cor di pietra infrange. Ed ogni cuore umano che si infrange, di prigion nella cella o nel cortile, è come quella scatola spezzata che al Signore offrì in dono il suo tesoro, e riempì la sporca casa del lebbroso col profumo rarissimo del nardo. Ah! felici i cuori che possono spezzarsi e conquistar la pace ed il perdono! In che altro modo un uom può rendere leale il suo disegno e dal Peccato purificar l’animo suo? In che altro modo, se non attraverso un cuore infranto, può entrare in lui il Cristo Redentore? Egli con la gola gonfia e rossa, con gli occhi immobili e impietriti, attende ora le mani benedette che condussero il Ladro in Paradiso; ed un cuore spezzato e contrito il Signore non lo respingerà. L’uomo in rosso che legge nel libro della Legge gli diede tre settimane di vita, tre sole settimane per guarire l’animo suo dai conflitti dello spirito, e mondare da ogni macchia di sangue la mano che aveva stretto il coltello. E con lacrime di sangue egli pulì la mano, la mano che aveva stretto l’acciaio: poiché soltanto il sangue può cancellare il sangue, e solo le lacrime possono guarire: e la macchia rossa che era di Caino divenne di Cristo il sigillo bianco come neve. VI Nel carcere di Reading della città di Reading c’è una fossa di vergogna, ed in essa vi giace un uomo maledetto dai denti delle fiamme divorato; egli giace in un sudario incandescente, e la sua tomba non ha nome alcuno. E là, fino al giorno in cui Cristo chiamerà i morti innanzi a sé, lasciatelo giacere: non è necessario versare stupide lacrime, o emettere inutili sospiri: l’uomo aveva ucciso ciò che amava, e per questo doveva morire. Eppure tutti gli uomini uccidono ciò che amano, tutti ascoltino dunque ciò che dico: alcuni uccidono con uno sguardo d’amarezza, altri con una parola adulatoria, il codardo uccide con un bacio, l’uomo coraggioso con la spada! |