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Il soldato che sognava

Chloé Maxwell
Lingua: Italiano



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[2020]
Nuovo Cantacronache 6. Esilio, Esodo, Eccidio, Erranza…
Testi/ lyrics: Beppe Chierici
Musica / Music / Musique / Sävel: Giuseppe Mereu (Doc Pippus)

6




Questo disco richiede un esercizio di immaginazione. Proiettatevi in una qualunque cittadina mediterranea, meglio se lambita da questo mare, che a guardarlo da est sembra poi più un golfo che un mare. Ci siete? Bene. Ora date aria alle vostre gambe, vagabondate in qualche vicolo fuori dalle rotte turistiche. Vi chiedo di prediligere, potendo scegliere, quelli in cui scorgete panni stesi ad asciugare, tra muro e muro, casa e casa, famiglia e famiglia. Panni che sono già un trattato non scritto, ma ben più saldo, di amicizia. Ecco, ora fermatevi un attimo: vi siete accorti che da una delle finestre esce una voce di donna, una voce fuori dal tempo, una voce che fluisce con naturale noncuranza, così come di chi canti facendo altro. Non potete che restare ancora un poco e tendere voi stessi, non dico l’orecchio, dico proprio voi stessi, tutto quello che siete, verso quella finestra. Quelle canzoni, quelle note, quelle parole sono lì per voi. Sono melodie che vi sembra di aver sempre sentito, eppure ve le siete scordate, persi in altri traffici, in altre frettolose incombenze, tutte le volte che avete cercato disperatamente di sentirvi contemporanei. Per questo siete ancora lì, a seguire con il pensiero queste canzoni che invece non hanno né fretta di finire presto nei 3 minuti a cui vi hanno abituato le vostre radio, né paura di non essere alla moda. Talvolta riconoscete un’altra voce, vi sembra che abbia una certa aria di familiarità con la prima, potrebbe essere la figlia, azzardate. Intanto le parole vi stanno raccontando storie antiche, ma che a voi sembrano così nitidamente chiare, vive. Vi dicono di Gerusalemme e del suo strazio, di lampioni in lutto per una città che va in fiamme, di un mondo che rotola giù verso il suo oscuro precipizio, ma anche di padri e di madri, di amori difficili, di religioni in guerra che, prima ancora degli altri, uccidono sé stesse. Soprattutto vi parlano di esilio, quello che da secoli, ovunque, i vincitori impongono ai perdenti, quello che diventa un destino da trascinarsi dietro, sempre, ovunque. Voi non siete esiliati, i vostri bimbi a scuola devono temere solo brutti voti, non una bomba che in un attimo spazzi via tutto, eppure quelle canzoni, lo sentite bene, vi stanno dicendo qualcosa di voi, di chi eravate, e di chi siete. Forse, chissà, anche di chi sarete. Perché quelle di Mireille Safa e di sua figlia Chloé sono voci di rabdomanti: attraverso l’intensa poesia di Mahmoud Darwish, poeta palestinese amorevolmente volto in italiano dal grande vecchio Beppe Chierici, esse sembrano risvegliare qualcosa in voi, sono venute a cercarvi. Lasciatevi trovare.
cenacolodiares

È un soldato stanco,
non vuole più lottare
sogna un giglio bianco
un campo da arare.
Sogna gli orizzonti,
le aurore sul mare,
infuocati tramonti,
e una patria in cui stare.

Gli chiesi: “E l’amore?”
“È un bicchiere di vino,
un battito di cuore,
un breve cammino,
un’amara avventura,
l’amore è un conflitto,
l’amore è un’abiura
e presto un relitto.

Il mio amore è un fucile,
un sasso scagliato,
è un pensiero ostile,
un martirio insensato.
È il caffè di mia madre,
rincasare la sera,
le note leggiadre
di una capinera.”

Gli chiesi:” E la pace?”
Disse: “Non la conosco.
È parola mendace,
l’inganno più losco.
È una sigaretta
che brucia e si spegne,
una barzelletta
di quelle più indegne.

Gli chiesi: “Hai ucciso
chi ti stava davanti?
Mi rispose deciso:
“I nemici eran tanti...”
“Ti han decorato?”
Disse a malincuore:
“Sì, mi hanno piantato
tre chiodi sul cuore.”

Gli chiesi: “Sei triste
di aver dato la morte?”
“Morire, qui consiste
in un tiraggio a sorte.
Il rimpianto non plana
sui campi di battaglia,
è l’odio la fontana
che disseta e ti attanaglia.

Per chi lotta e chi langue
non ci sono colombe,
ma paludi di sangue,
pallottole e tombe.
È la macabra danza
della morte sovrana
che indomita avanza
ti aggredisce e ti sbrana”.

Poi lungo la strada,
lui riprese le fila,
mi parlò d’Intifada
e di Sabra e Shatila
Di Ramallah e Betlemme,
della sua Palestina,
di Gerusalemme,
città santa e divina.

Lo udii mormorare:
“Son stanco di odiare,
stanco ormai di lottare,
non so più sperare”.
Poi gridando mi disse:
“İo vorrei come Ulisse
finalmente tornare
da mia madre e sognare”.

Ci siamo salutati.
Sognava gigli bianchi,
il bel verde dei prati
per i suoi occhi stanchi.
Il caffè di sua madre,
e ascoltare la sera
le note leggiadre
di una capinera.

inviata da Dq82 - 1/12/2020 - 16:56




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