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Le maledizioni

Ivan Della Mea
Lingua: Italiano


Ivan Della Mea

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"Canzone, forse" di Ivan Della Mea
(Febbraio-marzo 2000)
Inedita, ma pubblicata nel 2004
"Prima di dire", Edizioni Jaca Book / Alce Nero / Circolo il Grandevetro", Milano.

Ivan Della Mea e Claudio Cormio dalle parti del De Martino nel 1998, due anni prima del Dumila.
Ivan Della Mea e Claudio Cormio dalle parti del De Martino nel 1998, due anni prima del Dumila.


Questa Canzone, forse, così l'ha chiamata lui stesso, Ivan Della Mea l'ha scritta nel febbraio o marzo del 2000. Era qualificata come “inedita”, ma il realtà il testo fu pubblicato quattro anni dopo nel volume Prima di dire, Cantate dalla caduta del Muro di Berlino alla Seconda guerra del Golfo, edizioni Jaca Book. Canzone,forse, dunque. Era il famoso “Dumila”, come lo chiamo sempre. Stavano nascendo i Millennials, perché ora come ora una definizione a base d'idiotissimo inglese non la si nega nemmeno a dei diciassettenni che, loro malgrado, si ritrovano bersagli di vendite, di “mode”, di trends, di categorizzazione obbligata nei meccanismi del sistema di potere. Era il celebre “Dumila”, come continuerò a chiamarlo, l'Anno Zero; mancava ancora un anno e qualche mese alla tomba della generazione precedente, a Genova. Mancavano diciassette anni e qualche mese all'oggi, e Ivan Della Mea lanciava una serie di maledizioni inedite, in una “Canzone, forse”. E forse sarà bene ritornare a diciassette anni fa, quando con le Maledizioni Ivan Della Mea ripercorse la sua vita mentre gli mancavano, ma lui non lo sapeva, poco più di nove anni a terminarla. Normalmente aborro costellare di note un testo originale; ma mi son detto che, magari, a qualcuno potrebbe venir la voglia di tradurla in una qualche lingua di sua maternità o competenza, così per andare a vedere come s'era nel Dumila. Il linguaggio di Ivan Della Mea era, sicuramente, immaginifico; ma c'è dell'altro che va accennato per capire meglio il suo Dumila maledetto. [RV]
E maledico l'amore briaco
che nel Quaranta mi diede la vita [1]
intorno un mondo moriva sparato
ma questa storia l'è bella e finita.
E maledico gli anni a collegio [2]
zeppi di dogmi d'inferno e paura
la sega [3] era mortale dispregio
al Padreterno e alla natura

E maledico la scuola con quel due
sommato a due che fa sempre quattro
un solo dubbio e passavi per matto
o mentecatto o ghiozzo [4] come un bue
crescere maschio eran beghe tue
ma maschio era di sesso e di fatto
soltanto chi s'era preso la lue
o la galera di un tempo coatto.

E maledico scienziati e potenti
baronlobbisti [5] di ogni cultura
ammazzan tutto e poi sorridenti
ci dicon come tener la lordura
E maledico la televisione [6]
televiolenta e telecialtrona
tra lazzi e frizzi nell'informazione
comanda sempre la razza padrona

E maledico i telebenefattori [7]
che raschian lira perfin sulla morte
e ai talkisti e agli stranamori [8]
gli mando un cancro ma per buona sorte
E maledico coi rantoli rotti
il gran compagno che col suo sapere
non sa il dolore di giovani morti
perché schifati da ogni potere

E benedico chi ci ha i sogni sfranti [9]
ma sa capire la glan classe morta
dei senza capi bandiere né santi
e pensa un mondo senz'usci di sorta
Lo benedico siccome creatura
d'uomo e natura negata al potere:
la classe morta l'ha già vita dura
ma suo è il mondo e senza frontiere.
[1] Luigi Della Mea, detto poi Ivan, nato a Lucca il 16 ottobre 1940, figlio di un milite fascista della guardia di finanza. Qualifica di “briaco” l'amore che gli diede la vita: bisognava essere più che briachi per mettere al mondo un figlio in quel periodo. Tant'è vero che il Della Mea cresce in un brefotrofio. Viene portato a Milano nel 1946 da un'amica di famiglia.

[2] Arrivato a Milano, Luigi Della Mea incontra per la prima volta suo fratello Luciano, suo maggiore di sedici anni (è nato nel 1924). Il fratello già ventiduenne porta il piccolo Ivan a Bergamo in un carretto a mano; qui cresce con il fratello, la sorella Maria e i genitori che si separeranno dopo una lite furibonda. Ivan viene quindi portato al Collegio Arcivescovile di Lodi, e poi di nuovo a Milano. A undici anni fa, per guadagnare qualche soldo, la comparsa nel film Miracolo a Milano di Vittorio De Sica. Dal collegio religioso Ivan sviluppa un granitico orrore della religione (“Vecchie suore nere” ecc., Francesco Guccini, Piccola città).

[3] Comune denominazione panitaliana della masturbazione maschile. Dopo aver manifestato così il suo dispregio al “Padreterno”, Luigi Ivan Della Mea si iscrive al Partito Comunista Italiano all'età di sedici anni, nel 1956 della Destalinizzazione e della Rivolta Ungherese. Da quell'anno e fino al '60 Ivan Della Mea scrive le Ballate della violenza, basate sui ricordi d'infanzia e sulla figura del padre, ed anche altre canzoni d'amore andate perse.

[4] Luigi Ivan Della Mea assimila il milanese con impressionante rapidità, ma non cessa di mantenere un sostrato toscano per tutta la sua vita. “Ghiozzo” è un toscanismo “costiero”: “stupido, imbecille, tonto”. Deriva dal nome di un pesce (si può dire anche “ghiozzo di mare”).

[5] Nell'impasto linguistico di Ivan Della Mea, esistono le sue famose creazioni: neologismi, composti, parole dell'arcaica lingua riportate in vita, dialettismi, preziosismi sempre usati con una naturalezza assoluta. Inutile dire che “baronlobbisti” ne fa parte; da “baroni” e “lobbisti”, ma “baronlobbisti” è quello e solo quello.

[6] Nel 2000, Luigi Ivan Della Mea, già sessantenne, maledice la televisione; sarebbe stato interessante, ora come ora, sentir quel che avrebbe avuto da dire sui Social Media (ipotizzabile una sua definizione di “socialmèrdia”) e roba del genere. Ad ogni modo, quel che dice a proposito della televisione può essere comunemente applicabile alla cosiddetta “comunicazione” attuale, la quale non ha ovviamente cessato di essere interamente al servizio della razza padrona, nonché suo privilegiato strumento di controllo in aggiunta alla repressione sempre più capillare. Nei “lazzi e frizzi” può essere forse colto anche uno spregio ironico verso uno dei “telecialtroni” in voga all'epoca, tale Fabrizio Frizzi.

[7] Come hanno avuto a dire parecchi “mediologi”, la TV è oramai divenuta un mezzo obsoleto, riservata ai vecchietti o poco più. Però la “telebeneficienza” è ancora un punto fermo: la “carità” che, naturalmente, sostituisce i più elementari fondi pubblici che vengono stornati alle spese militari & compagnia cantante. Così, mentre (ad esempio) la sanità pubblica viene smantellata da un lato, dall'altro si “raccolgono i fondi” per questa o quella ricerca o malattia comune o rara, mediante le varie “Telethon” eccetera.

[8] I talkisti sono naturalmente i conduttori dei “talk show”, in primis Maurizio Costanzo (tessera n° 1819 della Loggia P2). Gli “stranamori” sono gli ideatori e conduttori di programmi basati sulla volontaria intrusione in “questioni di cuore”, che tuttora imperversano. ”Stranamore” fu un programma TV degli anni '90, condotto da Alberto Castagna, ex giornalista del TG2. Il programma fu lanciato nel 1994 sulle reti di Berlusconi. Era basato su “videomessaggi” di coppie in crisi, fidanzati/e lasciati/e, mariti traditi ecc.

[9] Non ho idea se, nel thesaurus della lingua italiana, esista veramente un verbo “sfrangere”, o se sia una creazione dellameiana. In italiano standard si dice piuttosto “sogni infranti”, ma “sfranti” è un'altra cosa. Non sono sogni che si sono (o sono stati) infranti, ma che si sono sgretolati poco a poco, in progressivo modo e costante. Almeno così lo percepisco.

inviata da Riccardo Venturi - 21/5/2017 - 20:39



Lingua: Francese

Version française – LES MALÉDICTIONS – Marco Valdo M.I. – 2017
Chanson italienne – Le maledizioni – Ivan Della Mea – 2000

Ivan Della Mea - Milan -1965
Ivan Della Mea - Milan -1965


Cette « Canzone, forse : Chanson, peut-être », comme l’appela lui-même, Ivan Della Mea, fut écrite en février ou mars de l’an 2000. Elle fut longtemps considérée comme « inédite », mais en réalité, son texte fut publié quatre ans plus tard dans le volume « Prima di dire, Cantate dalla caduta del Muro di Berlino alla Seconda guerra del Golfo - Avant de dire, Cantate de la chute du Mur de Berlin à la Deuxième guerre du Golfe », éditions Jaca Book. Chanson, peut-être, donc. C’était la célèbre [année]« Dumila » – l’An Deux Mille, comme l’appelle toujours encore. Le début des « Millennials », car au jour d’aujourd’hui, une définition à base d’idiotismes anglais ne se refuse même pas à des jeunes de dix-sept ans qui, malgré eux, se retrouvent cibles de ventes, de « modes », de « trends » (tendances), de catégorisations imposées par les mécanismes du système de pouvoir. C’était la célèbre [année]« Dumila » – l’An Zéro, comme je l’appelle toujours encore. Il restait encore un an et quelque mois avant le massacre de la génération précédente, à Gênes (NdT : il s’agit de la répression policière insensée et extrêmement brutale exercée lors du G8 en 2001 contre les manifestants pacifiques rassemblés dans la ville de Gênes). Il restait dix-sept ans et quelque mois jusqu’aujourd’hui, et Ivan Della Mea lançait une série de malédictions inédites, dans cette « Chanson, peut-être ». Et peut-être, serait-il bien de retourner il y a dix-sept ans, lorsque avec ces Malédictions, Ivan Della Mea reparcourait sa vie alors qu’il lui restait, mais il ne le savait pas, un peu plus de neuf ans pour la terminer. Habituellement, je déteste consteller de notes un texte original ; mais je me suis dit que, peut-être, pourrait venir à quelqu’un l’envie de la traduire dans sa langue maternelle ou de sa compétence, juste pour aller revoir comment c’était en « Dumila ». Le langage d’Ivan Della Mea était, sûrement, imaginatif ; mais d’autre part, il est indispensable pour comprendre mieux son Dumila maudit. [RV]
LES MALÉDICTIONS

Je maudis l’amour soûl
qui en l’an Quarante me donna la vie [1]
Au cœur d’un monde mort fou.
Cette histoire est bel et bien finie.

Je maudis mes années au collège [2]
Bourrées de dogmes, d’enfer et d’angoisse.
La branlette [3] fut mortelle injure 
Au Père éternel et à la nature.

Je maudis l’école avec ce deux
Plus deux qui fait toujours quatre.
Un seul doute et on passait pour dingues
Ou débiles ou balourds [4] comme des bœufs.

Grandir en mâle, c’était les bagarres
Mais le sexe mâle était certain
Seulement si on avait chopé la vérole
Ou la prison pour un temps contraint.

Je maudis les savants et puissants
Macs[5] de toute culture.
Ils massacrent tout et ensuite, souriants
Nous disent comment supporter l’ordure.

Je maudis la télévision [6]
Téléviolente et télévile
Où sous les idioties de l’information,
Commande toujours la race patronne.

Je maudis les téléthonistes[7]
Qui raclent les euros de la mort et du coeur
Et aux talkistes et aux stranamoristes, [8]
J’envoie un crabe porte-bonheur.

Je maudis de mes râles cassés
Le grand camarade qui avec son savoir
Ignore la douleur des jeunes trépassés,
Dégoûtés de tout pouvoir.

Et je bénis les rêves détruits [9]
De qui comprend la grande classe morte
Des sans chefs, sans drapeaux et sans pays
Et imagine un monde sans portes.

Je le bénis en tant que créature
Humaine et naturelle, niée par le pouvoir.
Mais la classe morte a la vie dure
Et son monde est sans frontières.
[1] Luigi Della Mea, dit Ivan, né à Lucques le 16 octobre 1940, fils d’un soldat fasciste de la garde des finances (douanes). Il qualifie de « briaco » (saoul) l’amour qui lui donna la vie ; il fallait être plus que pété pour mettre au monde un fils durant cette période. Ainsi, Della Mea grandit dans un orphelinat. Il est ramené à Milan en 1946 par une amie de la famille.

[2] Arrivé à Milan, Luigi Della Mea rencontre pour la première fois son frère Luciano, son majeur de seize ans (né en 1924). Le frère de 22 ans emporte le petit Ivan dans une charrette à bras à Bergame ; là, il grandit avec son frère, sa soeur Marie et ses parents qui se sépareront après une dispute terrible. Ivan donc est inscrit au Collège Archiépiscopal d’Éloge, et ensuite de nouveau à Milan. À onze ans, pour gagner quelque sou, il figure dans le film Miracle à Milan de Vittorio De Sica. Du collège religieux, Ivan développe une granitique horreur de la religion (« Vieilles soeurs noires » etc, Francesco Guccini, Piccola città).

[3] Dénomination italienne commune de la masturbation masculine (en français commun : branlette). Après avoir manifesté ainsi son mépris au « Padreterno » (Père éternel), Luigi Ivan Della Mea s’inscrit au Parti Communiste Italien à l’âge de seize ans, en 1956, année de la déstalinisation et de la révolution hongroise. À compter de cette année jusqu’en 60, Ivan Della Mea écrit les « Ballate della violenza – Ballades de la violence », basées sur ses souvenirs d’enfance et sur la figure du père, et d’autres chansons d’amour perdues.

[4] Luigi Ivan Della Mea assimile le milanais avec impressionnante rapidité, mais ne cesse pas de maintenir un substrat toscan pour toute sa vie. « Ghiozzo » est un toscanisme « côtier » : « stupide, imbécile, idiot ». Il dérive du nom d’un poisson (on peut aussi dire « ghiozzo de mer »).

[5] Dans le mélange linguistique d’Ivan Della Mea, existent ses célèbres créations : des néologismes, des mots-valise, des mots de l’archaïque langue ramenés à la vie, des dialectismes, préciosismes toujours employés avec une spontanéité absolue. Inutile dire que « baronlobbisti » en fait partie ; issu de « barons » et de « lobbyistes », mais « baronlobbisti » est cela et seulement cela.

[6] En 2000, Luigi Ivan Della Mea, déjà âgé de soixante ans, maudit la télévision ; il aurait été intéressant, au jour d’aujourd’hui, d’entendre ce qu’il aurait eu à dire sur les Médias sociaux (on peut augurer sa définition de « socialmerdia ») et autres choses du genre. De toute façon, ce qu’il dit à propos de la télévision peut être indifféremment applicable à la soi-disant « communication » actuelle, qui n’a évidemment pas cessé d’être entièrement au service de la race patronne, ainsi que son moyen de contrôle privilégié en complément à la répression toujours plus capillaire. Dans les « lazzi et frizzi » (idioties) peut être peut-être cultivé même un mépris ironique envers un des « telecialtroni » (télévils – télépourris) à la mode à l’époque, tel Fabrizio Frizzi.

[7] Comme on put le dire nombre de « mediologi », la TV est maintenant devenue un moyen obsolète, réservée aux vieux ou un peu plus. Cependant, la « telebeneficienza » (télécharité, télébienfaisance) est encore solide ; cette « charité » qui, naturellement, remplace les plus élémentaires fonds publics qui sont détournés vers les dépenses militaires & les sociétés musicales. Ainsi, pendant que (par exemple) la santé publique est démantelée d’un côté, de l’autre « on ramasse les fonds » pour telle ou telle recherche ou maladie commune ou rare, au moyen des « Telethons » et cetera.

[8] Les talkisti – talkistes (qui rappelle à l’évidence par sa construction le mot : tankistes) sont naturellement les animateurs des « causeries télévisées », en premier lieu, Maurizio Costanzo (carte n° 1819 de la Loggia P2 – Loge P2). Les « stranamori » sont les initiateurs et les animateurs de programmes basés sur l’intrusion dans les « affaires de cœur », qui sévissent toujours . « Stranamore » fut un programme TV des années ’90, animé par Alberto Castagna, un ex-journaliste du TG2. Le programme fut lancé en 1994 sur les chaînes de Berlusconi. Il était basé sur des « videomessaggi » de couples en crise, fiancé(e)s délaissé(e)s, maris trahis, etc.

[9] Je ne sais si, dans le thesaurus de la langue italienne, il existe vraiment un verbe « sfrangere », ou si c’est une création de « Della Mea ». Note du traducteur : le verbe « sfrangere » existe bel et bien en italien ; il correspond au verbe français : « effranger », qui veut dire créer des franges, déchirer sur les bords ou quelque chose d’approchant et par extension : déchiqueter, détruire.

inviata da Marco Valdo M.I. - 23/5/2017 - 22:48




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