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Krzyk

Jacek Kaczmarski
Lingua: Polacco


Jacek Kaczmarski

Lista delle versioni e commenti


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(Jacek Kaczmarski)


[1978]
Słowa i muzyka: Jacek Kaczmarski
Parole e musica di Jacek Kaczmarski
Album: Krzyk [1981]
Fortepian / Pianoforte: Zbigniew Łapiński



Krzyk to program złożony z piosenek napisanych w latach 1974–80, mający charakter diagnozy człowieka w sytuacji bez wyjścia, ubezwłasnowolnionego historią i polityką, a także jego słabościami; bronią pozostaje tylko ironia albo krzyk rozpaczy.

Krzyk è un programma composito di canzoni scritte negli anni 1974-80, il cui carattere è una diagnosi dell'uomo in una situazione senza uscita, resa impossibile dalla storia e dalla politica, ed anche dalle sue debolezze: unica arma è l'ironia, o un grido di disperazione.

Jacek Kaczmarski


Questa canzone, che Krzysiek Wrona si canticchiava (o fischiettava) da qualche giorno circa un anno fa, fa parte non solo di un album pubblicato tre anni dopo che era stata scritta (la canzone è del 1978, l'album -anch'esso intitolato Krzyk è del 1981); fa parte anche delle tante che Jacek Kaczmarski ha scritto ispirandosi a quadri celebri ed altre opere d'arte. Sono, in tutto, ventisette canzoni per ventisette quadri o opere: c'è pure il David di Michelangelo. Sono del tutto convinto che Jacek Kaczmarski sia, in questo, titolare di un autentico unicum nella canzone d'autore di ogni paese. Il legame tra Kaczmarski e le opere d'arte non è però, certamente, fine a se stesso o mosso da semplici criteri estetici o culturali. Le parole di Jacek Kaczmarski che ho riportato all'inizio sono oltremodo chiare, e devono essere situate esattamente. Ispirarsi all'Urlo di Edvard Munch ne è, del resto, una spiegazione in sé. „L'uomo in una situazione senza uscita, resa impossibile dalla storia e dalla politica”: si tratta di una fotografia perfetta di chi è costretto a vivere in una situazione di mancanza totale di libertà, originata dalle circostanze storiche e politiche. E le uniche armi a disposizione sono, come dice sempre Kaczmarski, l'ironia o un grido di disperazione. Sono, però, armi che possono dimostrarsi terribili, decisive; a lungo andare sono capaci di abbattere i muri, quei Mury con cui lo stesso Kaczmarski aveva tradotto L'estaca di Lluís Llach.

La versione dell'Urlo più nota è quella della Galleria Nazionale di Oslo; ma, come per quasi tutte le opere del pittore norvegese, ne esistono più versioni: quattro in tutto, precedute da uno schizzo non datato e ritraente il solo soggetto che urla.

urloskizzo


Le origini del quadro sono autobiografiche. Ebbe a dire Munch: ”Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città e sotto di me il fiordo... Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato 'L'urlo'.” Più tardi, queste impressioni del pittore vennero meglio precisate in una sua breve poesia che appose sulla cornice della versione del 1895: ”Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.” Si trattava di un luogo ben preciso: un sentiero in salita sulla collina di Ekberg, sopra Oslo. Spesso tale sentiero viene confuso con un „ponte” (come sembra fare lo stesso Kaczmarski nella canzone). Sul sentiero di Ekberg si consuma l'urlo lancinante, terribile della figura che, in quest'opera, acquisisce un carattere indefinito e universale, rendendo tutta la scena il simbolo del dramma collettivo dell'angoscia, del dolore e della paura. La figura urlante si preme la testa con le mani e perde ogni forma, divenendo un ectoplasma deforme. La figura sembra dissolversi assieme alla sua voce straziata; la bocca si apre in uno spasmo innaturale, ed il suo grido distorce l'intero paesaggio.

Si è detto e scritto che L'urlo sia l'opera pittorica più distintiva del pessimismo fin de siècle, assai diffuso in quel periodo, che cominciò a mettere in dubbio le certezze dell'essere umano proprio mentre Sigmund Freud indagava gli abissi dell'inconscio. Nell'ottimismo spensierato e positivista della Belle Époque, si avvertivano i germi della catastrofe che si sarebbe presentata di lì a poco; la figura dell'Urlo sembra esprimere l'immondo abominio della condizione umana, sullo sfondo di un cielo fiammeggiante e morente e di un mare putrido e oleoso. Restano diritti solo il sentiero (o il ponte) e i due personaggi a sinistra, sordi sia al grido che alla catastrofe: indifferenti al dramma emozionale, sembrano quasi voler uscire dal quadro. Edvard Munch continuò a produrre versioni del quadro: l'ultima è del 1910, e l'Urlo mondiale si stava avvicinando.

Pensandoci bene, l'approdo di Kaczmarski a questo quadro, nella Polonia tra il 1974 e il 1980, può essere considerato naturale. Non ci sono soltanto la storia e la politica a condurre l'uomo sulla sua strada senza uscita, ma anche le sue debolezze, simboleggiate alla perfezione dall'indifferenza delle persone che „escono dal quadro”. L'urlo di disperazione della figura è l'urlo di chi si rende conto della mancanza di ogni tipo di sbocco, ed usa quest'estrema arma per farsi sentire. Ma qualcuno lo sentirà, lo capira? Del resto, la figura stessa è resa sorda dal suo stesso urlo...

C'è però un'ultima annotazione che mi piace fare. Nella sua canzone, con un sottile artificio, Kaczmarski sembra voler restituire una proprietà umana alla figura, attribuendole un sesso. Da alcune forme grammaticali presenti nel testo (la forma verbale di passato zatkałam, l'aggettivo szalona) si capisce che sta parlando una donna: sono forme grammaticali femminili. In questo, Kaczmarski è „andato oltre” Munch, che non ha mai -intenzionalmente- attribuito un sesso alla sua figura (la quale, casomai, è lui stesso).

Non scelse peraltro, Kaczmarski, L'urlo di Munch per la copertina dell'album. Scelse una figura il cui urlo somiglia molto a quello di una persona sottoposta a tortura, con la bocca deformata da corde tirate in modo da fargli assumere il terribile spasmo del tormento imposto. E' un urlo che può rendere sordi sia chi lo emette, sia chi lo ascolta; lo strazio del dolore e l'indifferenza si mescolano. Ma, un giorno o l'altro, ognuno sarà costretto ad urlare, con il dubbio di non essere ascoltato da nessuno. [RV]
wg. obrazu E. Muncha

Dlaczego wszyscy ludzie mają zimne twarze?
Dlaczego drążą w świetle ciemne korytarze?
Dlaczego ciągle muszę biec nad samym skrajem?
Dlaczego z mego głosu mało tak zostaje?

Krzyczę, krzyczę, krzyczę, krzyczę wniebogłosy!
A! Zatykam uszy swe!
Smugi w powietrzu i mój bieg
Jak prądy niewidzialnych rzek –
Mój własny krzyk, mój własny krzyk ogłusza mnie!

A! Zatykam uszy swe!
Mój własny krzyk, mój własny krzyk ogłusza mnie!

Kim jest ten człowiek, który ciągle za mną idzie?
Zamknięte oczy ma i wszystko nimi widzi!
Wiem, że on wie, że ja się strasznie jego boję,
Wiem, że coś mówi, lecz zatkałam uszy swoje!

Krzyczę, krzyczę, krzyczę, krzyczę wniebogłosy!
A czy ktoś zrozumie to?!
Nie kończy się ten straszny most
I nic się nie tłumaczy wprost –
Wszystko ma drugie, trzecie, czwarte, piąte dno!

A! Czy ktoś zrozumie to?!
Wszystko ma drugie, trzecie, czwarte, piąte dno!

Mówicie o mnie, że szalona, że szalona!
Mówicie o mnie, ja to samo krzyczę o nas!
I swoim krzykiem przez powietrze drążę drogę,
Po której wszyscy inni iść w milczeniu mogą…

Krzyczę, krzyczę, krzyczę, krzyczę wniebogłosy!
A! Ktoś chwyta, woła – stój!
Lecz wiem, że już nadchodzi czas,
Gdy będzie musiał każdy z was
Uznać ten krzyk, ten krzyk, ten krzyk z mych niemych ust
Za swój!!!

inviata da Krzysiek Wrona - 3/5/2016 - 02:03




Lingua: Italiano

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
25-5-2015 18:22

http://www.polskienagrania.com.pl/uplo...
L'URLO

dal quadro di Edvard Munch

Perché tutte le persone hanno le facce pallide?
Perché scavano oscuri corridoi nella luce?
Perché devo sempre correre oltre il limite?
Perché della mia voce rimane così poco?

Urlo, urlo, urlo, urlo a alta voce!
Ah! Ho gli orecchi tappati!
Linee nell'aria e la mia corsa
Come correnti di fiumi invisibili -
Il mio stesso urlo, il mio stesso urlo mi assordisce!

Ah! Ho gli orecchi tappati!
Il mio stesso urlo, il mio stesso urlo mi assordisce!

Chi è quell'uomo, che mi viene sempre dietro?
Ha gli occhi chiusi eppure vede tutto in noi!
So che lui sa che ho una paura terribile di lui,
So che dice qualcosa, anche se ho gli ho orecchi tappati!

Urlo, urlo, urlo, urlo a alta voce!
Ma qualcuno lo capirà?!
Non finisce mai questo tremendo ponte
E niente si spiega semplicemente -
Ogni cosa ha un secondo, un terzo, un quarto, un quinto piano!

Ah! Qualcuno lo capirà?!
Ogni cosa ha un secondo, un terzo, un quarto, un quinto piano!

Dite di me che sono pazza, sono pazza!
Lo dite di me, e io lo stesso urlo di noi!
E col mio urlo io nell'aria scavo un buco,
In cui tutti gli altri possono andare in silenzio...

Urlo, urlo, urlo, urlo a voce alta!
Ah! Qualcuno afferra, piange – alt!
Anche se so che sta già arrivando il tempo
In cui ognuno di voi dovrà
Accettare questo urlo, questo urlo, questo urlo che viene dalla mia bocca muta
Come suo !!!

25/5/2017 - 18:22




Lingua: Francese

Version française – LE CRI (d’après le tableau d’Edvard Munch) – Marco Valdo M.I. – 2018
d’après la version italienne – L’URLO – Riccardo Venturi – 2015
d’une chanson polonaise – Krzyk – Jacek Kaczmarski – 1978
Paroles et musique de Jacek Kaczmarski
Album: Krzyk [1981]
Piano : Zbigniew Łapiński

Krzyk - LE CRI est un album composite de chansons écrites dans les années 1974-80, qui est un diagnostic de l’homme dans une situation sans issue, rendue impossible par l’histoire et la politique, et même par ses faiblesses : l’unique arme est l’ironie, ou le crie de désespoir.

Jacek Kaczmarski.


Cette chanson, que Krzysiek Wrona chantonnait (ou sifflotait) il y a environ un an, fait partie non seulement d’un album publié trois ans après qu’elle ait été écrite (la chanson est de 1978, l’album – lui aussi intitulé Krzyk est de 1981) ; il fait également partie de toutes celles que Jacek Kaczmarski a écrit en s’inspirant de tableaux célèbres et d’autres œuvres d’art. Il y a, en tout, vingt-sept chansons pour vingt-sept tableaux ou œuvres ; il y a même le David de Michel Ange. Je suis tout à fait convaincu que Jacek Kaczmarski est, en ceci, titulaire d’un authentique « unicum » dans la chanson d’auteur de tous les pays. Le lien entre Kaczmarski et les œuvres d’art n’est certainement pas une fin en soi ou mû par de simples critères esthétiques ou culturels. Les mots de Jacek Kaczmarski que j’ai cités au début sont parfaitement clairs, et doivent être compris exactement. S’inspirer du Cri d’Edvard Munch en est, du reste, une explication en soi. « l’homme dans une situation sans issue, rendue impossible par l’histoire et la politique » : il s’agit d’une photographie parfaite de celui qui est forcé de vivre dans une situation de manque total de liberté, causée par des circonstances historiques et politiques. Et les uniques armes à sa disposition sont, comme dit toujours Kaczmarski, l’ironie ou le cri de désespoir. Ce sont, cependant, des armes qui peuvent se montrer terribles, décisives ; à la longue, elles sont capables d’abattre les murs, ces Murs (Mury)avec lequel le même Kaczmarski avait traduit L'estaca de Lluís Llach.

La version du Cri la plus connue est celle de la Galerie Nationale d’Oslo ; mais, comme pour presque toutes les œuvres du peintre norvégien, il en existe plusieurs versions : quatre en tout, précédées d’une épure non datée et ne retenant que le seul sujet qui hurle.

urloskizzo


Les origines du tableau sont autobiographiques. Munch dit : « Un soir je me promenais sur un sentier, d’un côté, était la ville et sous moi, le fjord… Je m’arrêtai et regardai au-delà du fjord, le soleil se couchait, les nuages étaient teints de rouge sang. Je sentis un cri traverser la nature : il me sembla presque l’entendre. Je peignis ce tableau, je peignis les nuages comme du vrai sang. Les couleurs hurlaient. Ceci est devenu LE CRI. » Plus tard, ces impressions du peintre furent mieux précisées dans la brève poésie qu’il apposa sur le cadre de la version de 1895 : « Je marchais le long de la route avec deux amis quand le soleil se coucha, le ciel se teignit tout à coup de rouge sang. Je m’arrêtai, je m’appuyai mort de fatigue à une palissade. Sur le fjord noir-bleu et sur la ville ce n’était que sang et langues de feu. Mes amis continuaient à marcher et moi, je tremblais encore de peur… Et je sentais qu’un grand cri infini envahissait la nature. »

Il s’agissait d’un lieu bien précis : un sentier en montée sur la colline d’Ekberg, au-dessus d’Oslo. Souvent ce sentier est confondu avec un « pont » (comme semble le faire aussi Kaczmarski dans la chanson). Sur le sentier d’Ekberg, se consume le cri lancinant, terrible de la figure qui, dans cette œuvre, acquiert un caractère indéfini et universel, en faisant de toute la scène le symbole du drame collectif de l’angoisse, de la douleur et de la peur. La figure hurlante se presse la tête avec les mains et perd toute forme, en devenant un ectoplasme difforme. La figure semble se dissoudre en accord avec sa voix déchirée ; la bouche s’ouvre dans un spasme innaturel, et son cri distord le paysage entier.

On a dit et a écrit que LE CRI était l’œuvre picturale la plus significative du pessimisme fin de siècle, fort répandu à cette période, qui commença à mettre en doute les certitudes de l’être humain précisément pendant que Sigmund Freud enquêtait sur les abîmes de l’inconscient. Dans l’optimisme insouciant et positiviste de la Belle Époque, on pressentait les germes de la catastrophe qui venait ; la figure du CRI semble exprimer l’immonde abomination de la condition humaine, sur le fond d’un ciel flambant et mourant et d’une mer pourrie et oléagineuse. Restent droits seulement le sentier (ou le pont) et les deux personnages à gauche, sourds tant au CRI qu’à la catastrophe : indifférents au drame émotionnel, ils semblent presque vouloir sortir du tableau. Edvard Munch continua à produire des versions du tableau : la dernière est de 1910, et le CRI mondial s’approchait.

En y pensant, l’approche de Kaczmarski de ce tableau, dans la Pologne entre 1974 et 1980, peut être considéré naturel. Ce n’est pas seulement l’histoire et la politique qui mènent l’homme sur sa voie sans issue, mais aussi ses faiblesses, symbolisées à la perfection par l’indifférence des personnes qui « sortent du tableau ». Le cri de désespoir de la figure est le cri de celui qui se rend compte du manque de tout type de débouché, et qui emploie cette arme extrême pour se faire entendre. Mais quelqu’un l’entendra, le comprendra ? Du reste, la figure même est sourde à son propre cri…

Il y a cependant une dernière annotation qu’il me plaît faire. Dans sa chanson, avec un artifice subtil, Kaczmarski semble vouloir rendre une propriété humaine à la figure, en lui attribuant un sexe. De quelques formes grammaticales présents dans le texte (la forme verbale passé zatkałam, de l’adjectif szalona), on comprend qu’il parle d’une femme ; ce sont des formes grammaticales féminines. En celà, Kaczmarski est « allé au-delà » Munch, qui – intentionnellement – n’a jamais attribué un sexe à sa figure (qui, allez savoir, est lui-même).

D’autre part, Kaczmarski n’a pas choisi le CRI de Munch pour la couverture de l’album. Il a choisi une figure dont le cri ressemble beaucoup à celui d’une personne soumise à la torture, avec la bouche déformée par des cordes tirées de façon à lui faire subir le terrible spasme du tourment imposé. C’est un hurlement qui peut rendre sourd soit celui qui l’émet, soit celui qui l’écoute ; le supplice de la douleur et l’indifférence se mélangent. Mais, un jour ou l’autre, chacun sera contraint de hurler, avec le sentiment de n’être écouté par personne. [RV]
LE CRI

Pourquoi toutes ces personnes ont des visages pâles ?
Pourquoi creusent-elles des couloirs obscurs dans la lumière ?
Pourquoi dois-je toujours courir au-delà de la limite ?
Pourquoi de ma voix si peu me reste ?

Je crie, je crie, je crie, je crie à pleine voix !
Ha ! J’ai les oreilles bouchées !
Des lignes dans l’air et ma course
Sont des courants de fleuves invisibles –
Mon propre cri,
Mon propre cri m’assourdit !

Ha ! J’ai les oreilles bouchées !
Mon propre cri,
Mon propre cri m’assourdit !
Qui est cet homme, qui toujours me suit ?
Il a les yeux fermés et pourtant, voit tout en nous !
Je sais qu’il sait que j’ai une peur terrible de lui,
Même si j’ai les oreilles bouchées, j’entends tout !

Cri, cri, cri, cri à pleine voix !
Mais qui le comprendra ? !
Ce terrible pont jamais ne finira
Et rien ne s’explique simplement –
Chaque chose a un second, un troisième, un quatrième, un cinquième plan !
Ah ! Qui le comprend ? !
Chaque chose a un second, un troisième, un quatrième, un cinquième plan !

Vous dites que je suis fou, je suis fou !
Vous le dites de moi, et moi, je crie notre démence !
Et de mon cri, dans l’air, je creuse un trou,
Où tous les autres peuvent aller en silence…

Cri, cri, cri, cri à voix haute !
Ah ! Quelqu’un comprend, pleure – halte !
Même si je sais que le temps nous guette
Où chacun de vous devra bien
Accepter ce cri, ce cri, ce cri qui vient de ma bouche muette
Comme le sien ! ! !

inviata da Marco Valdo M.I. - 28/6/2018 - 18:10


Io invece son qualche giorno che canticchio questa ;)

per essere più precisi, la fischiavo...

krzyś - 14/5/2016 - 01:15


Grazie Riccardo,
non saprei farla meglio, questa traduzione.
Peccato che in italiano la locuzione "avere il doppio fondo" non funzioni nello stesso modo che in polacco, cioè, come: "avere il senso velato", "qualche cosa oltre le apparenze, la superficialità", "profondità e complessità delle cose".
Tu hai usato giustamente la parola "piano", che calza a pennello in questo caso, visto il contesto pittorico :)
però, nel testo originale, la metafora suona in una maniera ancora più forte, perché Kaczmarski rincara la dose e canta del terzo, del quarto e del quinto fondo delle cose.
Salud

Comunque, secondo me, dice: "Ma ti amo Marioù-o-o-o-o!!!" :)

krzyś - 25/5/2017 - 20:39


Andrà a finire che dice "E ti amo Ermenegildo-o-o-o-o" :-P

Quanto alla traduzione, arriverà prima o poi il tempo in cui sarò capace di farne una da Kaczmarski o altri in meno di tre giorni. Ora questo è il tempo standard, eh dieu, si j'eusse estudié le polonais au temps de ma jeunesse folle...

Però, tutto sommato, avevo intuito la tua spiegazione sul "dno". Chissà che, visto il contesto pittorico, non ci si potesse mettere anche "sfondo"...

Io continuo con Kaczmarski. Però nell'introduzione ho scritto "ventisette canzoni" basandomi sull'elenco della Wikipedia polacca, ma sono almeno 28: si sono dimenticati di Rozstrelanie.

E ci sarà da mettere anche Birkenau, mi sa.

Saludarski !!!!!

PS Sappi che in questi giorni ho pensato a te come "Krzyk Wrona" :-PP

Riccardo Venturi - 25/5/2017 - 21:24


Sull'elenco della Wiki infatti ci sono citate 27 opere d'arte come fonte di inspirazione, c'è pure Birkenau di Jerzy Krawczyk, ma in realtà erano molte di più. Fai caso che le riproduzioni sotto l'elenco sono di meno e non rispondono all'esso:

http://tujek.linuxpl.info/wp-content/u...


Sì, ci sarebbe "Rozstrzelanie" di Wróblewski, ma anche tante altre, a volte difficili da decifrare. Non dimentichiamo che Kaczmarski fu un figlio d'arte. La sua madre, di origini ebre, dipingeva e pure il suo padre, polacco, fu un pittore. Lo stesso Kaczmarski faceva degli schizzi formidabili durante i suoi viaggi.
Credo che basti una nota per il "doppio fondo", "il piano" va benissimo, è più universale, secondo me.

Io sto benino, ma certi fattaci dei giorni scorsi (anche nella biblioteca dove lavoro da due mesi), hanno minato leggermente il mio buon umore.
Menomale ci sono persone come Dr Grzechu che ultimamente si esibisce in duetto Bardziej (Di Più oppure Cerca di diventare più bardo) con suo amico Paweł Korkuś e altri amici che suonano e poetano a tirarmi un po' su di morale (ti ricordi di Canzone combattente?).

Un abbraccio forte e grazie ancora.
Credo che l'opera di Kaczmarski meriti di essere conosciuta meglio anche fuori la Polonia.

Ciao

Krzysiek - 25/5/2017 - 22:40


Pieśniarze: Poezja i muzyka

Krzysiek - 25/5/2017 - 22:43


Ho corretto la poezja, ma sono sempre più convinto che l'ortografia polacca dovrebbe essere chiamata piuttosto "orcografia" :-P

Ma alle elementari quanto ci mettete a impararla perbene...? :-P

Riccardo Venturi - 26/5/2017 - 00:02


No si finisce mai a impararla...

Se aggiungi anche la nostra grammatica è una sfida a vita :)

Krzysiek - 26/5/2017 - 18:38


Ah, di questo me ne sono accorto da tempo! Ad esempio, ancora devo capire perché „ściąć” al presente fa „zetnę” e il Bąk dice pure che è regolare :-PP

Riccardo Venturi - 26/5/2017 - 23:44


Il 2 aprile è morto Zbigniew Łapiński, l'ultimo del trio Kaczmarski, Gintrowski, Łapiński.
Un pianista, un compositore, un uomo... uno dei migliori amici di Jacek Kaczmarski.







Krzysiek Wrona - 4/4/2018 - 23:59


La terra gli sia lieve...

Riccardo Venturi - 5/4/2018 - 09:27


grazie M.I.

Krzysiek - 1/7/2018 - 05:28




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