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Το τραγούδι της ελπίδας

Yannis Markopoulos / Γιάννης Μαρκόπουλος


Yannis Markopoulos / Γιάννης Μαρκόπουλος

Lista delle versioni e commenti


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To tragoúdi tis elpídas
Στιχοι: Γιάννης Μαρκόπουλος
Μουσική: Γιάννης Μαρκόπουλος
Ερμηνεία: Βασιλική Λαβίνα
'Αλμπουμ: Αναγέννηση (1995)

Testo: Yannis Markopoulos
Musica: Yannis Markopoulos
Interprete: Vasiliki Lavina
Album: Αναγέννηση (Rinascita, 1995)

Esistono delle serate in cui una semplice canzone sembra riuscire a rispondere a più cose tutte assieme, di natura molto diversa le une dalle altre, ma per un momento breve e lunghissimo al tempo stesso unite indissolubilmente; così questa Canzone della speranza scritta da Yannis Markopoulos e interpretata da Vasiliki Lavina. Cercavo altre canzoni che parlassero della strage di Distomo; ho trovato un video YouTube con le immagini del massacro e questa canzone. Non ne parla direttamente, e non credo neppure indirettamente; ma mi sono ritrovato davanti a una canzone di quelle che ti attraversano dentro, e per varie rotte. Come se mi fosse stata mandata. Perché, proprio in questa serata, una di queste rotte riguarda me stesso; mi necessitavano alcune parole. Significherà pur qualcosa se qualcuno ha voluto associarle, con la loro musica, a un'orrenda strage di innocenti; e significherà pur qualcosa se le medesime parole hanno saputo parlare anche a un individuo che ne aveva bisogno. [RV]

Βλαστάρι μου δε χάθηκες
ο νους μου το΄ χει ορίσει,
οι κλώνοι σου ν΄απλώνονται
σ΄ ανατολή και δύση.

Από τη στάχτη σπίθισε
τη φλόγα της ζωής μας
και γίνε άστρο του ουρανού
που φέγγε τη ψυχή μας.

Έχω το σύννεφο άλογο
και το άστρο χαλινάρι
και τα βιβλία της φυλής
να φέγγουν κάθε βράδυ.

Στις στράτες που πορεύεσαι
το δάκρυ γέλιο κάμε,
πάλι με χρόνους με καιρούς
πάλι δικά μας θα ΄ναι.

inviata da Riccardo Venturi - 5/11/2012 - 23:10



Lingua: Italiano

Tradotta da Riccardo Venturi
la sera del 5 novembre 2012

elpida
LA CANZONE DELLA SPERANZA

Perso non sei, germoglio mio,
la mente mia ha deciso
che i tuoi rami si spandano
a oriente e a occidente.

Fa' brillar dalla cenere
la fiamma della nostra vita;
diventa astro del cielo
e riluci sulla nostra anima.

La nube ho per cavallo
e il sole come briglia,
le tradizioni della gente
che splendono ogni sera.

Sulle strade che percorri
il pianto muta in riso,
con gli anni e le tempeste
di nuovo ci apparterranno.

5/11/2012 - 23:49


E' proprio bella, come quasi tutto di Markopoulos. E' nel disco ΑΝΑΓΕΝΝΗΣΗ (1995), che tratta di Creta e della dominazione veneziana. Vassilikì Lavina era (è?) la moglie di Markopoulos.

Gian Piero Testa - 6/11/2012 - 00:01


Più che bella direi che ha i crismi dello splendore. Non ne ho trovato traccia in stixoi, né a nome di Markopoulos né a quello della Lavina; che abbia, in questa bizzarra serata, trovato anche un "buco" nell'oceano di quel sito? Vasiliki Lavina sembra essere tuttora maritata a Markopoulos, non sapevo che fossero marito e moglie; certo che avere una consorte con una tale voce facilita il compito di scrivere belle canzoni. Non mi stupisce che venga da un album che parla di Creta visto che Markopoulos, se non erro, è di Heraklion. Ne approfitto per una piccola nota testuale: nell'unica traccia scritta in rete che ho trovato (in questo blog) si legge έχε all'inizio della terza strofa (II persona singolare dell'imperativo), ma all'ascolto è chiaramente έχω (I persona singolare del presente); così ho corretto e tradotto. Mi hanno dato particolare difficoltà τα βιβλία της φυλής. Φυλή è una di quelle parole greche che sfiorano il terribile, e ve ne sono parecchie. Porta millenni con sé; tradurre alla lettera "i libri della stirpe", o "della genìa" (escludo a priori "schiatta" che è una parola dal suono troppo ridicolo) significherebbe poco. E' da intendersi, probabilmente, come il complesso di tutte le opere dell'intera Cretesità, quel che hanno scritto sia gli autori che il popolo di Creta (o, almeno, io l'ho inteso così dopo averci rimuginato sopra). La mia traduzione con "popolo", però, forse non rende appieno il concetto. Φυλή è la progenie intera vista attraverso i tempi. Uguale difficoltà dà με χρόνους, με καιρούς; ma qui mi ha soccorso un avverbio. Ultimo appunto: chi ascolterà questa canzone sentirà ad un certo punto pronunciare "i cloni", una delle parole-chiave di questo famoso terzo millennio e dell'altrettanto famoso "futuro". In greco, lingua che ha un lunghissimo futuro alle spalle, οι κλώνοι vuol dire ancora quel che voleva dire quattromila anni fa, vale a dire "i rami". Sostengo che lo studio del greco dovrebbe essere reso obbligatorio fin dalla prima elementare, al posto di certe altre inutili e cacofoniche lingue dei barbari (tipo l'inglese). Dimenticavo: non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che chi accompagna il canto della Lavina (ovvero Markopoulos stesso, mi sa) lo faccia alla spinetta. Questo è, a mio parere, un brano di musica classica, in tutto e per tutto.

Riccardo Venturi - 6/11/2012 - 00:55


Hai ragione Riccardo: questa splendida canzone sembra introvabile. Io sono riuscito a darti il riferimento all'album, perché sono ricorso a music-bazaar, e stamattina me li prendo tutti, gli album di Αναγέννηση. Circa φυλή, è una parola che imbarazza sempre chi traduce: forse l'espressione che più le corrisponde nel nostro parlare - senza tirare in ballo parole o troppo storicizzate e troppo connotate come "tribù" , "progenie"o "stirpe", "schiatta" e simili - è "la mia/nostra gente", con l'aggettivo possessivo. Quanto a καιρός accostato a χρόνος, io tenterei di "disambiguare" la sinonimia. Tenendo conto che καιρός può significare non solo "tempo", ma anche "cattivo tempo", "tempesta" ecc. : ne risulterebbe un'espressione del tipo " attraverso gli anni e le tempeste". Prova a pensarci.
Hai aggiunto davvero un perla (i Greci dicono "diamante") alla nostra collezione.
Sarebbe davvero bello rilanciare il greco come koiné dell'umanità...una lingua comune che non si appoggia più a nessun potere economico o militare, ma solo a quello che di buono ha dato al mondo. Graecia capta...

Gian Piero Testa - 6/11/2012 - 08:39


Ci ho pensato, e mi sa che hai davvero ragione su χρόνους e καιρούς; e agisco di conseguenza. Quanto a φυλή e alla "gente", mi era già venuto di mettere così; per "popolo" un po' ha giocato il ritmo della frase italiana (non è certamente una traduzione metrica la mia, però cerca di mantenere una parvenza di ritmo), e un po' una cosa del tutto mia, vale a dire l'antipatia congenita che ho per la parola "gente". Non mi ricordo chi diceva che la "gente" non esiste, bensì esistono le persone. Ma sono chiaramente fisime mie; credo comunque che il concetto sia stato chiarito a dovere. Ci sarebbe però qualcosa da dire anche su τα βιβλία; il termine comune per i "libri" in greco è anche quello, chiaramente, che ha dato origine alla "bibbia". Mi viene a mente che il termine di "bibbia" è stato non di rado usato per tutto il complesso delle tradizioni popolari; ad esempio, il grande Carlo Lapucci, nel redigere (no, sappiatelo, non si dice "redarre") tutto il corpus delle tradizioni popolari toscane, lo intitolò proprio "La Bibbia dei poveri" (libro che è una delle mie personali, di bibbie, assieme a "Le lingue inventate" di Alessandro Bausani). Credo che sia una suggestione di cui tenere conto, quasi fino ad arrivare alle "tradizioni della mia gente": potrebbe essere questo il senso ultimo di quel verso, e quasi quasi faccio professione di ardimento e lo modifico in questo senso.

Riccardo Venturi - 6/11/2012 - 09:32


(Io ho sempre cercato di bocciare gli studenti, ma anche gli assessori e talora i colleghi che dicevano "redarre" - infinito che ho trovato nel saggio, o in una traduzione, dell'illustre compianto grecista prof. M. Vitti nel volume su Elytis per i Nobel della UTET: ma io sono di quelli che non dicono "benediva" invece di "benediceva"...forse siamo tutti e due dei bevitori di Pignoletto).
Io non rifiuterei tout-court la parola "gente", per il cattivo uso che se ne è fatto negli ultimi decenni da parte dei c.d. populisti della televisione e della politica. Quella è la "ggente" senz'arte né parte, la moltitudine confusa. Ma quella radicina "gen-" varrà ancora qualcosa, o no? Ungaretti quando parla del Serchio accenna alla "gente mia campagnola, e mio padre e mia madre". Rispolverando la parola in questo suo senso antico, si recupera almeno in parte la connotazione identitaria connessa alla parola"file". Markopoulos e Xylouris fecero un bel disco intitolato Ithaghenia, che in greco vuol dire nello stesso tempo "indigenità" e "cittadinanza": ma loro intendevano quella speciale fisionomia che conferisce l'essere Cretesi (come potrebbe essere per i Sardi, i Corsi, i Friulani, ecc. ecc.) con la loro lingua un po' diversa da quella del continente, i loro racconti, i loro strumenti musicali, le danze: cioè tutto quello che, giustamente, intendi per "bibbia" di una comunità storica. Concetti difficili nei nostri tempi tecnologici e di globalizzazione: e spesso molto mal maneggiati: ma non certo da respingere di per sé. L'importante è sottrarli al cattivo uso che ne fanno i demagoghi e i mestatori, e credo che ci capiamo.

Gian Piero Testa - 6/11/2012 - 10:45




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