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Van Loon

Francesco Guccini
Lingua: Italiano


Francesco Guccini

Lista delle versioni e commenti


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[1987]
Testo e musica di Francesco Guccini
Lyrics and music by Francesco Guccini
Album: Signora Bovary




" 'Van Loon' è dedicata a mio padre, che leggeva le opere di questo Piero Angela dei suoi tempi, cioè gli anni '30. Van Loon era un olandese (o un fiammingo, non ricordo bene) divulgatore di storia, geografia e umanità varia, i cui scritti si trovavano di frequente nelle case di chi, come mio padre, aveva molti interessi ma non aveva avuto l'occasione e i soldi per studiare. Una canzone molto intensa che ho provato più volte a inserire nella scaletta dei miei concerti. La provo e poi sono costretto a rimetterla via. Non riesco a farla senza star male e piangere, perché, nel frattempo, mio padre è morto. Un autore dunque degli Trenta, Quaranta, uno scrittore della generazione dei nostri padri: io l'ho identificato con quella generazione che da giovane pensi fatta di perdenti. Ma crescendo ti accorgi che tuo padre non era un perdente, era semplicemente uno costretto a vivere così. Da giovani si pensa che mai si scenderà a compromessi, che nessuno potrà costringerci. Col tempo si cambia idea. [...] Più l'età si allunga e più capisci quei padri che anni prima avevi rifiutato o combattuto, soprattutto perché le loro sconfitte sono diventate poi anche le tue e così le piccole, tempo prima non riconoscibili, vittorie"- Francesco Guccini.


storumanitaHendrik Willem Van Loon, nato a Rotterdam nel 1882 ma naturalizzato statunitense, fu un giornalista e un divulgatore storico che ebbe una certa notorietà negli anni '50. Aveva una faccia simpatica. Molti suoi libri di divulgazione furono tradotti anche in italiano: io stesso, tramandato dalla polvere dei libri di casa, ne ho uno, intitolato La storia dell'umanità in cui, sulla copertina, c'è scritto solo « Van Loon ». Così lo conoscevano, cinquant'anni fa, i ragazzi cui le famiglie compravano i suoi libri perché imparassero qualcosa, le basi, l'ABC. Era, come si dice oggi, un « tuttologo », uno che scriveva di ogni cosa (storia, scienza, politica, letteratura) per il popolo e, specialmente, per i ragazzi; a qualcuno ricorderà l'italiano Salvator Gotta, che rispondeva alle domande dei piccoli lettori dalle pagine del « Topolino » e scriveva pure lui libri di divulgazione. Tutti dimenticati. Come non fossero mai esistiti. Oggi ci pensa Internet, basta un clic; ma ancora prima di Internet, il posto dei divulgatori era stato preso dalla televisione.

Hendrik Willem Van Loon.
Hendrik Willem Van Loon.
Non è automatico capire perché Guccini abbia preso Van Loon (che pronuncia rigorosamente fanlùn, all'americo-emiliana) come protagonista e simbolo di questa canzone che è tra le sue maggiori, e anche tra le più belle e emozionanti. Van Loon, il divulgatore dimenticato, quello che -probabilmente- sapeva un po' di ogni cosa senza saperne profondamente nessuna, diventa per Guccini il simbolo di tutta una generazione, quella precedente alla sua; quella dei suoi padri. Persone che, spesso senza averne nessuna possibilità materiale, si davano comunque da fare per apprendere, per acquisire un po' di sapere, e per trasmetterlo ai propri figli. Restando persone semplici, lavoratori, contadini. Facile, ora come ora, prendere in giro i Van Loon, persino disprezzarli: facile e comico, perché la tecnologia, che pure dovrebbe mettere a disposizione di tutti delle conoscenze (anche approfondite) impensabili fino a pochi decenni fa, si è installata in un mondo in cui l'ignoranza e l'idiozia avanzano a passo di carica. Non siamo forse ancora arrivati agli Idioti in marcia di Cyril Kornbluth, ma ci stiamo arrivando.

Così, Guccini scrive una canzone sui padri. Su suo padre, su mio padre, sui padri di tutti. Su chi considerava ancora la cultura e il sapere come un bene prezioso, e inarrivabile perché era riservata ai ricchi. Succede ancora nel mondo che, come mi racconta un mio amico viaggiatore, in certi paesi cosiddetti « sottosviluppati » i ragazzi vadano incontro ai turisti sventolando, fieri, i quaderni e i libri di scuola; oppure che una tredicenne sperduta sulle montagne dell'Asia centrale ti si rivolga in un inglese impeccabile, quando i nostri tredicenni tutti Facebook, YouTube, Twitter e quant'altro, in un paese di lingua inglese in realtà non saprebbero nemmeno chiedere del cesso. I nostri padri, e nonni, cercavano di fare il possibile.

Francesco con i genitori Ester e Ferruccio Guccini
Francesco con i genitori Ester e Ferruccio Guccini


Immaginiamoceli, spesso, percepire la loro intelligenza, la loro voglia di sapere, la loro curiosità; ad esempio, sicuramente, m'immagino mio padre. Con tutte le sue cose, i suoi interessi, le sue letture senza pretese, le sue Settimane Enigmistiche. Non aveva potuto fare altro, nella sua vita. Come tutti gli adolescenti, ed in più adolescente che aveva avuto -grazie a lui- la possibilità di studiare, ad un certo punto l'ho disprezzato. Quel che diceva mi sembravano tutte cazzate; ma anche questo fa parte del crescere. Il rifiuto dell'autorità paterna e la ribellione sono un passaggio fondamentale nella vita di ciascuno. Poi, dopo, ci si ripensa. Che si abbiano o che non si abbiano figli che, a loro volta, ti fanno passare le stesse cose, inevitabili. Ci si ripensa come ci deve aver ripensato Guccini. Ci si ripensa, e si immaginano le vite di chi ci ha preceduti. Vite in periodi che non riusciamo a immaginare. Si immagina anche come sarebbero state le nostre, di vite, se avessimo dovuto andare a lavorare a quattordici anni, senza scelta. Se avessimo dovuto interrompere la scuola perché era una cosa da ricchi. Se avessimo dovuto andare in guerra, e in certi casi in due o tre guerre. Se avessimo dovuto vivere in un dopoguerra in cui c'era la fame. Allora andava benissimo anche Van Loon, il povero Van Loon che ora giacerà in chissà quante soffitte, roso dai tarli, o seppellito nelle biblioteche. Guccini dice di non riuscire mai a eseguirla senza piangere, e gli do pienamente ragione. Quante volte m'è capitato, a me che non sono certo prono alle lacrime, di farmi spuntare una lacrima dagli occhi alla strofa finale. E anche una canzone ardua, dal testo impervio, una delle poche che mai mi sono azzardato a tradurre in una qualsiasi lingua. E questa cosa la dice lunga. E, infine, una delle canzoni che più amo in vita mia. E questa la dice ancora più lunga. [RV]
Van Loon, uomo destinato direi da sempre
Ad un lavoro più forte
Che le sue spalle o la sua intelligenza
Non volevano sopportare
Sembrò quasi baciato da una buona sorte,
Quando dovette andare.
Sembra però che non sia mai entrato nella storia,
Ma sono cose che si sanno sempre dopo;
D'altra parte nessuno ha mai chiesto di scegliere,
Neanche all'aquila o al topo;
Poi un certo giorno timbra tutto un avvenire
Od una guerra spacca come una sassata,
Ma ho visto a volte che anche un topo sa ruggire
Ed anche un'aquila precipitata.

Quanti anni, giorno per giorno,
Dobbiamo vivere con uno
Per capire cosa gli nasca in testa
O cosa voglia o chi è;
Turisti del vuoto, esploratori di nessuno
Che non sia io o me.
Van Loon viveva e io lo credevo morto,
O -peggio- inutile, solo per la distanza
Fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza e superbia d'allora,
La mia ignoranza;
Che ne sapevo quanto avesse navigato
Con il coraggio di un Caboto fra le schiume,
Di ogni suo giorno, e che uno squalo è diventato,
Giorno per giorno, pesce di fiume.
Van Loon, Van Loon,
Che cosa porti dentro, quando tace
La mente e la stagione si dà pace?
Insegui un'ombra o quella stessa pace
L'hai in te?

Vorrei sapere
Che cosa vedi quando guardi attorno,
Lontani panorami o questo giorno
È già abbastanza, è come un nuovo dono
Per te?

Van Loon, Van Loon,
A cosa pensi in questo settembrino
Nebbieggiare alto che macchia l'Appennino,
Ora che hai tanto tempo per pensare,
Ma a chi?

Vai, vecchio, vai,
Non temere, ché avrà una sua ragione
Ognuno, ed una giustificazione,
Anche se quale non sapremo mai,
Mai!
Ora Van Loon si sta preparando piano
Al suo ultimo viaggio:
I bagagli già pronti da tempo,
Come ogni uomo prudente,
O meglio, il bagaglio,
Quello consueto di un semplice o un saggio,
Cioè poco o niente;
E andrà davvero in un suo luogo o una sua storia,
Con tutti i libri che la vita gli ha proibito,
Con vecchi amici di cui ha perso la memoria,
Con l'infinito,
Dove anche su quei monti nostri è sempre estate,
Ma se uno vuole quell'inverno senza affanni
Che scricchiolava in gelo sotto le chiodate
Scarpe di un tempo, dei suoi diciott'anni,
Dei suoi diciott'anni.

scarpvek

inviata da Riccardo Venturi - 29/6/2009 - 03:29




Lingua: Francese

Version française – VAN LOON – Marco Valdo M.I. – 2009
Chanson italienne – Van Loon – Francesco Guccini – 1987

« Van Loon est dédié à mon père, qui lisait les œuvres de ce Piero Angela de son temps, c'est-à-dire des années 30. Van Loon était un Hollandais (ou un Flamand, je ne me souviens pas trop), vulgarisateur d' histoire, de géographie et d'humanité, dont les écrits se retrouvaient souvent dans les maison de ceux qui, comme mon père, avaient beaucoup d'intérêts, mais n'avaient pas eu l'occasion ni les moyens pour étudier. Une chanson intense que j'ai essayé plusieurs d'introduire dans le répertoire de mes concerts. Je l'ai essayée puis je fus forcé de la remettre de côté. Je n'arrivais pas à la chanter sans me sentir mal et pleurer, car, entretemps, mon père était mort. Un auteur des années trente, quarante, un écrivain de la génération de nos pères; je l'ai identifié avec cette génération que jeune, je classais dans les perdants. Mais en grandissant, tu t'aperçois que ton père n'était pas un perdant; c'était simplement quelqu'un contraint à vivre ainsi. Jeunes, on pensait que jamais on ne condescendrait à des compromis,que personne ne pourra nous y contraindre. Avec le temps, on change d'idée... Plus l'âge s'allonge et plus tu comprends ces pères que dans les années avant, tu avais refusés ou combattus, surtout car leurs défaites sont devenues ensuite aussi les tiennes et aussi les petites, d'abord même pas reconnues, victoires. » -Francesco Guccini


Hendrik Willem Van Loon, né à Rotterdam en 1882, mais naturalisé étazunien, fut un journaliste et un vulgarisateur de l'Histoire qui eut une certaine notoriété dans les années cinquante. Il avait un visage sympathique. Nombre de ses livres de vulgarisation furent traduits en italien... Aujourd'hui, on pense Internet, il suffit d'un clic; mais avant même l'Internet, la place des vulgarisateurs avait été prise par la télévision.

Ainsi, Guccini écrit une chanson sur les pères. Sur son père, sur mon père, sur les pères de tous.

...
Guccini dit n'avoir jamais pu la chanter sans pleurer, et je lui donne entièrement raison. Combien de fois, il m'est arrivé, à moi qui ne suis certes pas enclin aux larmes, d'avoir une larme à l'œil à la strophe finale. Et c'est aussi une chanson ardue, au texte inaccessible, une des rares que je ne me suis jamais hasardé à traduire dans n'importe quelle langue. Et cela en dit long. Et enfin, une des chansons que j'aime le plus dans ma vie. Et cela en dit encore plus long. [R.V.]

Et bien, tu vois, tu as eu tort... dit Lucien l'âne en secouant ses oreilles plus longues que celles de la mule du pape. Je te l'avais bien dit que tu ne devais pas traduire cette chanson. Que c'était au-delà de tes capacités... Mais tu as voulu faire le malin et voilà le résultat... Y a qu'à le regarder, c'est pas fameux...

Quoi, quoi, qu'est-ce que tu me dis ? Qu'elle est pas bonne ma traduction... C'est possible, tous comptes faits, mais c'est la mienne. Si je t'écoutais, je ne traduirais plus rien. Et quoi ? N'était-il pas dit qu'ici, on n'attendait pas des chefs d'œuvre de traductions, seulement d'honnêtes traductions faites par qui prendrait la peine de le faire... Ici, sur le site des CCG, traduire, c'est oser, c'est prendre le risque – devant tout le monde – se tromper, de faire fausse route et même, de s'étaler comme un équilibriste qui manque un mouvement. Et ensuite, tu crois que je n'ai pas vu ce que dit Riccardo Venturi...

Oui, je crois que tu aurais dû réfléchir à ce qu'il dit là.

Mais justement, j'ai réfléchi et donc, j'ai traduit. D'abord, parce que comme les choses allaient, il n'y aurait jamais de traduction française et tu ne saurais même pas ce qu'il y a dans cette histoire de Van Loon. Et puis, Ventu a certainement des raisons personnelles de ne pas le faire et moi, j'ai des raisons personnelles – sans doute les mêmes que les siennes d'ailleurs, de le faire. Et puis, quand un ami est empêché, je trouve que c'est bien de faire le pas à sa place.

Ah oui, tu as des raisons personnelles... dit Lucien l'âne. Et on peut savoir lesquelles ?

D'abord, le portrait de cet homme aux épaules trop étroites pour son destin : c'est un peu nous tous. Et puis, cette histoire feutrée des pères... Et enfin, le nom-même de Van Loon. À le voir, je n'ai pas pu m'empêcher de me rappeler une interview de coureur cycliste, un qui racontait un anecdote, un souvenir de sa jeunesse.

Qu'est-ce que cette histoire de cycliste vient faire ici ?, dit l'âne Lucien proprement abasourdi.

Je te raconte l'histoire et tu comprendras. Le cycliste (je ne sais plus qui, ni quand, ni où... ma non importa) dit – pas tout à fait ainsi, mais le fonds de l'histoire est bon :
lorsque j'étais débutant dans une course de kermesse, quelque part en Flandre, j'étais plein d'orgueil et fier de mes mollets et le peloton dormait ou à peu près. Disons qu'il allait son train-train. J'y ai vu ma chance de gagner une course et j'ai foncé. Dieu que j'étais fier, tout seul devant, filant comme le vent. Et d'un coup, j'entends dans mes oreilles comme un bruit de train, comme une puissante machine qui me rattrape et une voix me dit, la voix d'un ancien, d'un coureur expérimenté : « Petit, je suis venu t'aider. As-tu déjà roulé derrière derny ? Alors, mets-toi derrière et accroche-toi, on va rouler. » On avançait à un train d'enfer, quelque chose comme soixante kilomètres à l'heure et l'écart avec le peloton ne faisait plus qu'augmenter. Moi, j'avais de la peine à le suivre... Et voilà l'arrivée... Là, la locomotive s'arrête presque et me laisse passer pour me donner la victoire... » Une histoire de père en quelque sorte.

D'accord, dit Lucien l'âne en souriant. Mais quel rapport avec Van Loon...

Ceci tout simplement , une sorte d'homonymie : la locomotive s'appelait Rik Van Looy. Et moi, je ressens cette anecdote, ce geste, cet homme, comme sans doute, on ressent toute histoire de main tendue. Y a pas à dire, elle m'émeut... Bien sûr, bien sûr, je vois l'ironie de tes yeux brillants et noirs comme l'ébène...

Ainsi Parlait Marco Valdo M.I.
VAN LOON

Van Loon, un homme destiné, je dirais, depuis toujours
À un travail plus fort
Que ses épaules ou son intelligence
Ne pouvaient supporter
Sembla presque porté par une belle chance
Tant qu'il dut aller.
Il semble pourtant qu'il ne soit pas entré dans l'histoire,
Mais ce sont des choses qu'on sait seulement après;
D'autre part, personne n'a jamais demandé de choisir,
Ni même à l'aigle ou au rat;
Puis un certain jour marque tout un avenir
Ou une guerre éclate comme un jet de pierres,
Mais j'ai vu des fois aussi un rat rugir
Et même un aigle tomber.

Combien d'années, jour après jour,
Devons nous vivre avec quelqu'un
pour comprendre ce qui lui passe par la tête
Ou ce qu'il veut ou ce qu'il est.
Touristes du vide, explorateur de personne
Qui ne soit ni je ni moi.
Van Loon vivait et je le croyais mort
Oh - pire - inutile, seulement par la distance
Entre ses mythes divers et ma jeunesse et ma superbe d'alors,
Mon ignorance;
Qu'en savais-je combien il avait navigué
Avec le courage d'un Cabot dans les écumes,
De chacun de ses jours, et qu'un requin est devenu,
Jour après jour, un poisson d'eau douce.
Van Loon, Van Loon,
Que rumines-tu, quand se tait
La pensée et le moment se pacifie ?
Suis-tu une ombre ou cette paix
L'as-tu en toi ?

Je voudrais savoir
Ce que tu vois quand tu regardes autour de toi,
De lointains panoramas ou ce jour
Est déjà suffisant, est comme une don nouveau
Pour toi ?

Van Loon, Van Loon
À quoi pensas-tu dans ce début septembre
Brouillardeux qui tache l'Appennin;
Maintenant que tu as le temps de penser
Mais à qui ?

Va, mon vieux, va
Ne crains rien, chacun aura sa raison
Et même une justification
Même si on ne saura jamais laquelle,
Jamais!
Maintenant Van Loon se prépare tranquillement
À son dernier voyage;
Ses bagages sont déjà prêts depuis longtemps.
Comme tout homme prudent
Ou mieux, son bagage,
L'habituel d'un simple ou d'un sage,
C'est peu ou presque rien.
Et sûr qu'il ira dans un de ses lieux ou une de ses histoires,
Avec tous ses libres que la vie lui a interdits,
Avec de vieux amis dont il a perdu la mémoire,
Avec l'infini,
Où même sur nos montagnes, il y a toujours l'été,
Mais si quelqu'un le veut, cet hiver sans soucis
Où le gel crissait sous les clous
Des chaussures d'un autre temps, de ses dix-huit ans,
De ses dix-huit ans.

scarpvek

inviata da Marco Valdo M.I. - 17/7/2009 - 22:37




Lingua: Inglese

English Translation by Riccardo Venturi
June 21, 2016 10:51

VAN LOON

Van Loon, a man destined (since he was born, I think)
For harder jobs his arms
And his intelligence couldn't stand
Was seemingly kissed by good luck
When he had to leave.
I'm told he never got into history,
But you always know this later,
Well, you can't ask anybody to choose what to be,
Not even an eagle or a mouse.
Then, one day marks all your time to come,
Or a war blows you down as hit by a stone,
But I've seen even a mouse can roar
And even an eagle can fall down.

How many years, day after day,
We've to live together with somebody
To understand what he's got in his mind,
What he wants, what he is...
Sightseers in the nothing, exploring no other thing
Than one's little self.
Van Loon was still alive, and I thought he was dead
Or, still worse, useless because I felt too distant
From his myths in my young age arrogance,
In my ignorance.
How could I know he'd sailed on the seven seas
As brave as Cabot through the foam on,
Every day of his life like a shark
Turned into a sweetwater fish.
Van Loon, Van Loon,
What do you feel inside you, when your mind
Keeps quiet, feeling the peace of your age?
Are you running after a shadow, or you feel
Now peace in yourself?

I'd like to know what
You can see when you're looking around
At distant landscapes, or are you satisfied
With this daylight you see as a new gift
For you?

Van Loon, Van Loon,
What are you thinking in the September vague mist
Spotting here and there the Appennine highlands,
Now when you got so much time for thinking,
Who of, tell me?

Go, old man, go,
Don't be afraid, everybody's got his own reasons,
Everybody's got his grounds and his causes
Although we never know what they are,
Never know.
Now Van Loon's getting slowly ready
For his last journey,
But his luggage was ready since long time,
The luggage of a careful man,
Or rather, the luggage of a simple and wise man,
That is, few things, or nothing.
He's really leaving for his lifestory place
With all the books life's forbidden him to read,
With his old friends he can't remember now,
With Infinity.
A place where it's always summer even on our highlands,
But where he can at his will turn to that light-hearted winter
When he was walking in the chill, with his squeaking
Hobnail boots, when he was eighteen,
When he was eighteen.

scarpvek

21/6/2016 - 10:51




Lingua: Spagnolo

Traduzione spagnola di José María Micó
Traducción al español de José María Micó
Interpretazione di / Interpretada por Sílvia Comes

José María Micó
José María Micó
Sílvia Comes
Sílvia Comes




La traduzione di Van Loon in spagnolo, perfettamente cantabile ed effettivamente cantata dalla cantante catalana Sílvia Comes, proviene dal volume Multifilter – Mito e memoria del padre della canzone, a cura di Sergio Secondiano Sacchi, Edizioni squi[libri], Roma 2017. Un ringraziamento speciale va proprio a Sergio, che me ne ha spedito una copia in regalo e che ha dichiarato di seguire e di servirsi assiduamente di questo sito. La traduzione è riprodotta con il suo consenso. Il libro contiene due CD in allegato; nel secondo è presente l'interpretazione in spagnolo di Sílvia Comes. Si riproduce qui di seguito anche il breve scritto di Francesco Guccini presente nel volume (p. 187); dispiace un po' di non poter riprodurre l'illustrazione di Sergio Staino, con un topolino ruggente sopra un libro di Van Loon che caccia via un'aquila. [RV]

FERRUCCIO
di Francesco Guccini

Van Loon è la seconda canzone che ho dedicato a membri della mia famiglia. La prima è stata Amerigo, che parla di mio prozio Enrico, in gioventù minatore di carbone negli Stati Uniti. La seconda è appunto Van Loon, dedicata a mio padre, Ferruccio.

Quando si è giovani, adolescenti, spesso si entra in contrasto con il padre. Il ribollire delle tensioni giovanili, la sensazione di sicurezza a volte manichea nelle proprie ideologie, i punti di vista sul mondo così divergenti fanno sì che si veda il padre come qualcosa di obsoleto, di vecchio, forse di fallito e inutile.

Crescendo e, anche, invecchiando, ci si accorge invece di quanto si sia stati ciechi e superficiali e si abbia giudicato in maniera sbagliata un uomo che con grande coraggio aveva affrontato la vita, facendo un lavoro che non gradiva e resistendo a una guerra, a un campo di concentramento; ci si rende conto che quelle sue idee non erano poi così sbagliate come si pensava, e che quel padre era una grande persona, di poche parole, a suo modo colta.

Ecco la ragione del titolo.

Mio padre aveva il diploma di perito elettromeccanico ma non ha mai esercitato questa professione, anche se ho trovato dei suoi disegni tecnici eseguiti perfettamente; il periodo storico, essere adolescente a quei tempi, lo ha costretto a trovare subito un lavoro ed esso è stato, per tutta la vita, quello di impiegato alle poste. Ma Ferruccio avrebbe avuto il desiderio di studi umanistici, voleva studiare da maestro ed è stata la mentalità di allora ad orientarlo verso una scuola professionale. Così leggeva molto e, non avendo basi scolastiche di quel tipo, ecco l'amore per i libri di Van Loon, un olandese divulgatore che scriveva di storia e di geografia. Ecco la ragione del titolo: ho identificato mio padre col divulgatore, e in quelle opere ho visto la sua sete di conoscenza e di sapere.

Poi c'è un'altra cosa che ci univa, quel mulino, mitico nel mio ricordo, dove lui era nato e aveva trascorso infanzia e giovinezza e io i primi cinque anni della mia vita e tutte le estati e le vacanze estive. L'ho immaginato giovane, affrontare le stagioni dell'anno, l'estate, la nebbia dell'autunno e l'inverno, visto come un gelo che scricchiola sotto i pesanti scarponi che si portavano un tempo.

La canzone è stata scritta quando mio padre era ancora vivo. Poi, quando ci ha lasciato, non sono più stato capace di cantarla, un nodo sempre mi stringeva la gola. La versione qui presente è un'ottima traduzione in lingua spagnola, del grande filologo e poeta José María Micó.
VAN LOON

Van Loon, hombre destinado desde siempre a una labor más dura
que sus brazos o su inteligencia no querían soportar,
parecía bendecido por su fortuna
cuando se tuvo que marchar.
Sin embargo parece que nunca entró en la historia
pero son cosas que se saben siempre tarde;
y además nadie te pregunta si eres águila
o ratón cobarde.
Y entonces, un día queda sellado el porvenir
o una guerra estalla como una pedrada;
pero a veces he visto a algún ratón rugir
y a una águila en el suelo derrotada.

¿Cuántos años, día tras día, hay que vivir con alguien
para saber qué tiene en la cabeza, qué desea o que no?
Turistas del vacío, que exploran solamente
su proprio yo
Van Loon vivía y yo lo creía muerto,
o, peor aún, inútil, sólo por la distancia
entre sus muchos mitos y mi orgullosa juventud de entonces,
mi ignorancia.
Yo qué sabía de sus navegaciones
con el coraje de un Cabot entre las olas
de sus días, y que un tiburón se ha convertido,
día tras día, en pez de río...
Van Loon, Van Loon,
¿qué esconde tu interior cuando descansa
la mente y cuando el tiempo se remansa?
¿Persigues una sombra o es la paz
que vive en ti?

Quisiera saber
qué cosas estás viendo cuando miras,
¿lejanos panoramas, o este día
que nace ya es bastante regalo
para ti?

Van Loon, Van Loon,
¿en qué piensas cuando ves esta neblina
de septiembre que emborrona nuestras cimas,
ahora que tienes tanto tiempo para pensar?
¿Pero en quién?

¡Ve, viejo amigo, vete ya!,
no temas: todos tienen su razón
y en todo hay una justificación,
aunque nunca lleguemos a saberla.
¡Jamás!
Ahora Van Loon se está preparando con calma para su último viaje;
como hombre prudente, tiene listo hace tiempo el equipaje,
su equipaje es más bien el típico de un hombre simple o de un sabio,
es decir, poco o nada.
E irá realmente a su lugar, irá a su historia,
con los libros que la vida le ha prohibido,
con los amigos que ha borrado su memoria,
con el infinito,
donde siempre es verano, hasta en nuestras montañas,
o puede ser también aquel feliz invierno
que oía crujir el hielo bajo los viejos
crampones del pasado, de sus dieciocho años,
de sus dieciocho años.

scarpvek

inviata da Riccardo Venturi - 28/3/2018 - 20:23


Mi piacerebbe che qualcuno facesse una traduzione inglese, per una mia amica americana. Il mio inglese scolastico è troppo zoppicante per rendere bene certi passaggi, certe subordinate, eccetera. E', appunto, un testo abbastanza "impervio". Comunque, sottoscrivo il fattore lacrimuccia, in pieno.

Il Salta - 21/6/2016 - 03:11


Per Il Salta, se legge. Nonostante avessi sempre dichiarato e giurato che mai mi sarei azzardato a tradurre Van Loon in una qualsiasi lingua, stante la tua richiesta ho provato a riscriverla in inglese. Dico "riscriverla", perché per "tradurre" realmente, che so io, il "settembrino nebbieggiare alto che macchia l'Appennino" ci vorrebbe senz'altro qualcuno ben più dotato del sottoscritto. Ciononostante, mi ci sono messo con l'impegno dovuto quando si fa qualcosa che si era stragiurato di non fare; sperando naturalmente che la tua amica americana possa avere quantomeno un'idea di ciò che l'impervio Guccini dice in questa canzone. E' spuntata naturalmente anche la lacrimuccia d'ordinanza, verso la fine come sempre, il che crea qualche problema alle prese con un testo del genere (tradotto o riscritto, perdipiù, facendo anche finta di lavorare e senza un dizionario alla mano, che Iddio mi perdoni e se non mi vuole perdonare, 'azzi sua). Senti un po', ma tu per caso sei quel Salta di Livorno che anni fa conoscevo da qualche cazzatojo di newsgroup? Se sì, un saluto; se no, un saluto lo stesso (anche alla tua amica americana, va da sé).

Riccardo Venturi - 21/6/2016 - 11:06


...Thin september fog stained Apennine...?

Così, tanto per provare...

Io non sto con Oriana - 21/6/2016 - 16:22


Indicativamente, "fog" mi fa venire più in mente il nebbione di pianura stile Arbeitstadt anni '50 o Londra nell'iconografia tradizionale; il "nebbieggiare" mi rimanda più a una sorta di vaga foschia, o alla "nebbia alta" che gravava nei cieli costantemente plumbei dell'altopiano elvetico. Ma a questo punto, perché non prosegui e dai la tua versione del testo intero...?

Riccardo Venturi - 22/6/2016 - 06:42


Mah, ubi maior...!

Io non sto con Oriana - 22/6/2016 - 08:19


O come diceva qualcuno, "mini minor, vado al cesso"...!

Riccardo Venturi - 22/6/2016 - 09:02


Oh, boia... torno a curiosare dopo pochissimi giorni, e già trovo che t'eri messo a lavora' di buona lena... Vado a leggermi tutto con calma, commenti inclusi... Grazie abbestia! :D

Il Salta - 3/7/2016 - 07:28


Si, comunque (ho letto dopo), sono *quel* Salta ellì.
Quello che postò qui un piccolissimo contributo su un par di canzoni di Paul simon, e nient'altro, se non ricordo male.
Son sempre a Livorno, sempre immarcescibilmente in corea... tutto uguale :P

Il Salta - 3/7/2016 - 07:31


PS: piccola ipotesi/suggerimento, probabilmente non molto calzante.
Il nebbieggiare leggero non potrebbe essere, più che una "fog", una "haze", come quell purpurea di jimi hendrix?

Il Salta - 3/7/2016 - 15:16


...e ho trovato anch'io un Van Loon sui miei scaffali di libri, trovato su qualche bancarella. Il titolo è Le Arti ed è' un bel libro corposo che recita nella pagina prima del frontespizio:
Questo libro è stato scritto ed illustrato da Hendrik Willem van Loon per dare al lettore ordinario (che forse ha sempre considerato la cosa come materia lontana dal suo spirito) una miglior comprensione di quanto è stato fatto nel regno della pittura e dell'architettura, della musica e della scultura come nel teatro e nella maggior parte delle cosiddette arti minori dal principio dei tempi fino a quei giorni che per esser troppo vicini a noi ci impediscono di avere la giusta prospettiva.

Comunque dissento da Guccini che paragona van Loon a Piero Angela... Piero Angela è uno che si è prostrato ai voleri della scienza e della cultura ufficiali. Non credo che van Loon abbia fatto altrettanto; credo che il suo intento fosse proprio quello dichiarato in questo scritto che ho riportato sopra.

Maria Rivelazione - 20/7/2017 - 13:23


Data la prima strofa che delinea in poche parole (quando dovette andare... una guerra spacca come una sassata...) la vicenda di Ferruccio Guccini (1911-1990) uno dei tanti non entrati nella storia, mandato in guerra, catturato in Grecia (Corinto) il 9 settembre 1943 e internato nel campo di Wietzendorf vicino ad Amburgo, forse potrebbe anche essere tolta dagli extra.

Lorenzo - 12/1/2019 - 17:29


Ed infatti, oggi 18 novembre 2019 Van Loon esce dagli "Extra" e viene riportata al suo autore.

CCG/AWS Staff - 18/11/2019 - 12:31


Ne sono contento, è interessante che per anni io avessi inteso "sembrò quasi baciato da una buona sorte, quando dovette andare" nel senso di una morte "pietosa" magari dopo una lunga malattia, invece quando Guccini scrisse la canzone il padre era ancora vivo e i versi si riferiscono alla partenza per la guerra di Grecia...

Lorenzo - 18/11/2019 - 15:19


Per puro caso (o no?) stiamo ragionando di queste cose proprio nell'anniversario esatto (18 novembre) del discorsetto del Dvce in cui affermò con sicumera "Spezzeremo le reni alla Grecia!" (l'attacco era avvenuto il 28 ottobre precedente, anniversario della "Marcia su Roma" e -incidentalmente- anche il giorno in cui mio padre compiva diciassette anni). Salvd!

Riccardo Venturi - 18/11/2019 - 16:56


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Guccini: «Mio padre deportato perché disse no al nazifascismo»

Si chiamava Ferruccio, era soldato. Oggi la medaglia d’onore a trent’anni dalla morte


Mi rifiuto però di credere che Guccini chiami il suo babbo "papà". Deve essere un errore del giornalista.

Lorenzo - 29/1/2021 - 00:06




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