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Die hab' ich satt!

Wolf Biermann
Langue: allemand


Wolf Biermann

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Wolf Biermann, Die hab' ich satt!, 1976, Köln, Sporthalle.


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[1963]
Worte: Wolf Biermann
Musik: Wolf Biermann
Parole e musica di Wolf Biermann
Lyrics and music by Wolf Biermann
Album: Chausseestraße 131 [1968]

biermannjungQuando ancora il “Lupo Birraio” amburghese non si era ammalato di demenza senile (o, peggio, di iperintellighènzia senile) diventando prima un “fan” di Bush e della guerra in Iraq e poi di Israele, rifiutando persino un'intervista a Alessio Lega quando aveva saputo che era anarchico, era capace di scrivere cose come questa. Sinceramente, vogliamo persistere a fregarcene altamente degli “ultimi sviluppi” di Biermann, lasciandolo ai suoi augusti compiti di “coscienza critica” che ha scoperto i tardivi piaceri dell'allineamento, e tenercelo com'era, come quando si era rotto di ogni cosa, e s'incazzava contro i “pilastri della società” senza fare sconti. Alcuni dicono che le canzoni, ad un certo punto, si staccano dai loro autori e vivono autonomamente la propria vita; credo che, tutto sommato, abbiano ragione. Così questa canzone ha viaggiato, ed è arrivata ad esempio in Grecia; dove ha trovato una nuova musica e una nuova, grandissima interprete. L'interprete si chiamava Maria Dimitriadi, una signora che, a differenza del “Birraio”, non ha rinnegato mai niente e non si è “evoluta”; e che è morta pochi giorni fa, il 6 gennaio 2009, a soli 58 anni. Con questa canzone vogliamo cominciare a ricordarla in questo sito, anche perché l'autore della musica è suo cognato Thanos Mikroutsikos.

alexgrig


Una canzone dalla vita autonoma, dicevamo. Qualcuno, su YouTube, ha pensato di dedicare la sua versione greca a Alexis Grigoropoulos. Sembrano cent'anni fa, vero? Invece era solo il 7 dicembre scorso, poco più di un mese fa. Qualche scritta sui muri e sui portoni dei consolati greci, e poi tutto è fagocitato via. Noi non ce ne scordiamo, di Alexis. Non ce ne scorderemo mai. E coi versi scritti da uno che da giovane si era “rotto di tutto”, come si rompono di tutto i ragazzi prima che -magari- qualche solerte servo dello stato rompa loro la vita, lo ricordiamo ancora. Con una canzone che vola da sola, scritta mille anni fa in una città divisa, in una società marcia, in un impeto di vita. [RV]



Chausseestraße 131


chausmikron.


- Die hab' ich satt!
- Das Barlach-Lied
- Deutschland: Ein Wintermärchen (1. Kapitel)
- Ballade auf den Dichter François Villon
- Deutschland: Ein Wintermärchen (Fortsetzung)
- Wie eingepfercht in Kerkermauern
- Zwischenlied
- Frühling auf dem Mont Klamott
- Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg
- Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg
- So soll es sein - So wird es sein


Chausseestraße 131 è stato il primo album inciso da Wolf Biermann e ha una storia leggendaria: poiché Biermann era bandito nella DDR, e quindi aveva il divieto ufficiale di registrare le sue canzoni, mise su uno studio improvvisato nel suo appartamento. Con l'aiuto di alcuni amici e di sua madre, riuscì a procurarsi apparecchiature come un microfono di alta qualità e un registratore da studio contrabbandato dalla Germania occidentale, in modo da poter incidere le sue canzoni. La storia narra però che il microfono fosse di qualità anche fin troppo buona, ed ultrasensibile: in breve, mentre Biermann registrava, captava anche i rumori di strada tipo le automobili che passavano e, a volte, anche il canto degli uccellini. Dopo qualche tentativo di eliminare questi rumori di sottofondo, andato a vuoto, Biermann decise di fare di necessità virtù e registrò le canzoni com'erano, con tutti i rumori; e fu un colpo di genio, dato che la cosa rendeva perfettamente le condizioni particolari in cui l'album era stato registrato, il confino domestico e la clandestinità totale dell'artista. La „naturalità“ totale di tutto ciò non ha cessato di rivelare la sua efficacia a 45 anni di distanza: Chausseestraße 131, si può dire, è nato già come album storico, anche al di là dello stesso, elevatissimo, valore dei testi (la musica ha, come lecito attendersi, un valore secondario, quasi di semplice sottofondo come gli stessi rumori di strada). Lo si potrebbe definire un album per parole, rumori e voce: la voce rauca e sporca di Biermann. Si tratta anche di una testimonianza precisa di un fatto: pur essendo ufficialmente bandito e esiliato in casa, Biermann non era affatto tagliato fuori dagli eventi che riusciva a seguire e a cantare con precisione. Chausseestraße 131, ben oltre le „evoluzioni“ dell'uomo e dell'artista Wolf Biermann nel tempo, ha passato l'esame del tempo e rimane un capolavoro assoluto della canzone d'autore, non soltanto tedesca; un album che ebbe una grande influenza in tutta Europa (ed il suo anno di pubblicazione, il 1968, la dice tutta).

L'album inizia con il grido di Die hab' ich satt! („Mi sono rotto“), scritta alcuni anni prima, nel 1963. La canzone si rivolge a tutti i diversi tipi di persone deboli e vigliacche che sostengono un sistema ingiusto: le „donne che mi accarezzano fredde“, i „falsi amici che mi adulano e che dagli altri si aspettano coraggio mentre loro se la fanno addosso”, la “tribù di burocrati che si mette a ballare con zelo sulla schiena della gente”, gli “insegnanti flagello dei giovani”, i “poeti che si fanno le seghe a poetare sulla patria perduta”, e così via. Si tratta di uno dei commenti più originali e duri sulla Germania Est degli anni '60, ma negli anni della contestazione fu presa come una protesta dal valore universale, cosa del tutto naturale. Das Barlach-Lied (“La canzone di Barlach”) descrive la delusione che aspetta ogni artista non conformista sotto ogni regime oppressivo; si tratta di una canzone poetica che si serve della figura dello scultore Ernst Barlach, perseguitato dai nazisti, per stabilire un contatto con il presente. La vena ironica e sarcastica di Biermann diviene feroce nei tre brani successivi: in Deutschland: Ein Wintermärchen (“Germania: una fiaba invernale"), un testo recitato in diretto riferimento al poemetto di Heinrich Heine, Biermann chiama la Germania il “grasso culone del mondo” (gioco di parole sull'espressione Arsch der Welt, alla lettera “culo del mondo” ma che, come l'espressione italiana “in culo al mondo” significa lontana da ogni cosa, in mezzo al nulla), e Berlino il suo “buco diviso con peli di filo spinato”. Nella Ballade auf den Dichter François Villon (“Ballata sul poeta François Villon”), che inframezza il recitativo, Biermann fa girare il suo alter ego sotto al muro di Berlino per dare noia ai Vopos. Wie eingepfercht in Kerkermauern (“Come murato in galera”) descrive la reclusione domestica e l'esilio interno a Berlino: una canzone particolarmente amara e triste. Nella canzone successiva, Zwischenlied (“Interludio”), Biermann dichiara che, nonostante qualche canzone venata di tristezza, non si sente disperato in questi “tempi belli e commoventi” e, come se volesse rafforzare tale visione, Biermann canta Frühling auf dem Mont Klamott (“Primavera sul monte Klamott”). Da tenere presente, però, che il cosiddetto “Monte Klamott”, nel mezzo di Berlino, è un'altura che è stata formando ammassando l'enorme quantità di macerie della città distrutta dopo la II Guerra mondiale (sull'altura è stato poi costruito un parco). Nel Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg (“Moritat su nonna Meume Biermann di Amburgo”) e nel Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg (“Orazione di nonna Meume, vecchia comunista di Amburgo”), Biermann parla delle sue radici e di come da esse sia stato influenzato; la seconda delle due canzoni presenta l'indimenticabile immagine della vecchia nonna che prega Dio perché faccia vincere il comunismo. Il brano finale dell'album, So soll es sein - So wird es sein (“Così dev'essere, così sarà”), è come una sorta di testamento dell'allora trentunenne Biermann.



Die kalten Frauen, die mich streicheln
die falschen Freunde, die mir schmeicheln
Die scharf sind auf die scharfen Sachen
Und selber in die Hosen machen
In dieser durchgerissnen Stadt
- die hab ich satt!

Und sagt mir mal: Wozu ist gut
Die ganze Bürokratenbrut?
Sie wälzt mit Eifer und Geschick
Dem Volke über das Genick
Der Weltgeschichte großes Rad
- die hab ich satt!

Was haben wir denn an denen verloren:
An diesen deutschen Professoren
Die wirklich manches besser wüssten
Wenn sie nicht täglich fressen müssten
Beamte! Feige! Fett und platt!
- die hab ich satt!

Die Lehrer, die Rekrutenschinder
Sie brechen schon das Kreuz der Kinder
Sie pressen unter allen Fahnen
Die idealen Untertanen:
Gehorsam - fleißig - geistig matt
- die hab ich satt!

Der legendäre Kleine Mann
Der immer litt und nie gewann
Der sich gewöhnt an jeden Dreck
Kriegt er nur seinen Schweinespeck
Und träumt im Bett vom Attentat
- die hab ich satt!

Der Dichter mit der feuchten Hand
Dichten zugrunde das Vaterland
Das Ungereimte reimen sie
Die Wahrheitssucher leimen sie
Dies Pack ist käuflich und aalglatt
- die hab ich satt!

Der Dichter mit der feuchten Hand
Dichten zugrunde das Vaterland
Das Ungereimte reimen sie
Die Wahrheitssucher leimen sie
Dies Pack ist käuflich und aalglatt
- die hab ich satt!
Dies Pack ist käuflich und aalglatt
- die hab ich satt!

envoyé par Riccardo Venturi - 21/1/2009 - 02:48




Langue: italien

Versione italiana di Riccardo Venturi
21 gennaio 2009
MI SONO ROTTO

Di donne che mi accarezzano fredde,
di falsi amici che mi adulano
e che dagli altri si aspettano coraggio
mentre loro se la fanno addosso
in questa città divisa in due
mi sono rotto.

E ditemi, a che cosa serve
quella tribù di burocrati
che si mette a ballare con zelo
sulla schiena della gente,
nella gran ruota della storia?
Mi hanno rotto.

E cosa mai perderemmo
senza quei professori tedeschi
che saprebbero assai meglio le cose
se non si rimpinzassero tutti i giorni?
Servi paurosi, schiavi grassoni,
Mi avete rotto.

E gli insegnanti, flagello dei giovani,
che ritagliano gli studenti a loro immagine
e che sotto ogni bandiera
formano a forza i sudditi ideali?
Obbedienza! Sgobbare bovinamente!
Mi hanno rotto.

Ed il famoso ometto comune
che sempre ha penato senza averne nulla,
e che si abitua ad ogni schifezza,
basta che ci abbia di che campare
(ma, a letto, sogna di fare attentati)?
Mi ha proprio rotto.

E dei poeti che si fanno le seghe
a poetare sulla patria perduta,
e che rimano pure l'inrimabile
ma sempre amici dei potenti?
Sono in vendita come viscide anguille,
Mi hanno rotto.

E dei poeti che si fanno le seghe
a poetare sulla patria perduta,
e che rimano pure l'inrimabile
ma sempre amici dei potenti?
Sono in vendita come viscide anguille,
Mi hanno rotto.
Sono in vendita come viscide anguille,
Mi hanno rotto.

21/1/2009 - 03:53




Langue: français

Version française – MOI, J'EN AI MARRE ! – Marco Valdo M.I. – 2014
d'après la version italienne de Riccardo Venturi d'une
Chanson allemande – Die hab' ich satt! – Wolf Biermann – 1974

Chausseestraße 131 a été le premier album enregistré de Wolf Biermann et a une histoire légendaire : puisque Biermann était banni dans la DDR (République Démocratique Allemande), et donc avait reçu l'interdiction officielle de publier ses chansons, enregistrées dans un studio improvisé dans son appartement. Avec l'aide de quelques amis et de sa mère, il avait réussi à se procurer des appareillages dont un microphone de haute qualité et un enregistreur de studio importé en contrebande de l'Allemagne occidentale, de façon à pouvoir enregistrer ses chansons. L'histoire rapporte même que le microphone était même de qualité trop bonne. Et tellement sensible que pendant que Biermann enregistrait, il captait aussi les bruits de la rue, les automobiles qui passaient et, parfois, même le chant des oiseaux. Après quelques tentatives d'éliminer ces bruits de fond, sans succès, Biermann décida de faire de nécessité vertu et enregistra les chansons comme elles venaient, avec tous les bruits ; et ce fut un coup de génie, vu que le procédé rendait parfaitement les conditions particulières dans lesquelles l'album avait été enregistré, le confinement domestique et la clandestinité totale de l'artiste. La « spontanéité » totale de tout cela n'a pas cessé de montrer son efficience à 45 ans de distance : Chausseestraße 131, peut-on dire, est né déjà album historique, même au-delà de la valeur des textes (la musique a, comme on peut s'y attendre, une valeur secondaire, presque de simple fond comme les bruits de rue). On pourrait le définir comme un album pour mots, bruits et voix : la voix rauque et sale de Biermann. Il s'agit même d'un témoignage précis d'un fait : même en étant officiellement banni et exilé chez lui, Biermann n'était pas du tout coupé des événements qu'il réussissait à suivre et chanter avec précision. Chausseestraße 131, bien au-delà « des évolutions » de l'homme et de l'artiste Wolf Biermann au travers du temps, a passé l'examen du temps et reste un chef-d'oeuvre absolu de la chanson d'auteur, pas seulement allemande ; un album qui eut une grande influence dans toute Europe (et son année de publication, 1968, dit tout).

L'album commence en criant Die hab' ich satt! (« J'en ai marre ! » ), chanson écrite quelques années avant, en 1963. La chanson s'adresse à tous les types de personnes faibles et lâches qui soutiennent un système injuste : les « femmes qui me caressent froides » , les « faux amis qui me flattent et qui attendent des autres du courage tandis qu'eux se tiennent à carreau », la « tribu de bureaucrates qui se mettent à danser avec zèle sur le dos des gens », les « enseignants, fléau des jeunes », les « poètes qui se masturbent à poéter sur la patrie perdue », et ainsi de suite. Il s'agit d'un des commentaires des plus originaux et les plus durs sur l'Allemagne de l'Est des années 60 ; mais aux temps de la contestation, elle fut prise pour une protestation à valeur universelle, chose entièrement naturelle. Das Barlach-Lied (« La chanson de Barlach ») décrit la déception qui attend chaque artiste non-conformiste sous tout régime oppressif ; il s'agit d'une chanson poétique qui illustre de la figure du sculpteur Ernst Barlach, persécuté par les nazis, pour établir une comparaison avec le présent. La veine ironique et sarcastique de Biermann devient féroce dans les trois morceaux suivants : dans Deutschland: Ein Wintermärchen (« Allemagne : un conte d'hiver »), un texte qui fait référence directe au poème d'Heinrich Heine, Biermann appelle l'Allemagne le « gras cul du monde » (joue de mots sur l'expression Arsch der Welt, à la lettre « cul du monde » mais qui, comme l'expression italienne (ou française) « dans le cul du monde », signifie loin de tout, au milieu de nulle part), et Berlin son « trou divisé avec des poils de barbelé ».

Dans la Ballade auf den Dichter François Villon (« Ballade sur le poète François Villon »), qui coupe le récitatif, Biermann promène son alter ego sur le mur de Berlin pour embêter les Vopos. Wie eingepfercht en Kerkermauern (« Comme muré en prison ») décrit la réclusion domestique et l'exil interne à Berlin : une chanson particulièrement amère et triste. Dans la chanson suivante, Zwischenlied (« Interlude »), Biermann déclare que, malgré certaine chanson veinée de tristesse, il ne se sent pas désespéré en ces « temps beaux et émouvants » et, comme s'il voulait renforcer cette vision, Biermann chante Frühling auf dem Mont Klamott (« Printemps sur le Mont Klamott »). Il faut garder présent (à l'esprit), cependant, que ce « Mont Klamott », au milieu de Berlin, est une colline qui a été formée en amassant l'énorme quantité de décombres de la ville détruite après la II Guerre mondiale (sur la hauteur a été ensuite édifié un parc). Dans le Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg (« Moritat sur grand-mère Meume Biermann d'Amburgo ») [Un moritat (de Mori, mortel et Tat, fait) est à l'origine une sorte de complainte médiévale narrant des événements dramatiques, chantée par les ménestrels ou les cantastorie italiens].et dans le Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg (« Oraison de grand-mère Meume, vieille communiste de Hambourg »), Biermann parle de ses racines et de comment elles l'ont influencé ; la deuxième des chansons présente l'inoubliable image de la vieille grand-mère qui prie Dieu pour qu'il fasse gagner le communisme. Le morceau final de l'album, So soll es sein - So wird es sein (« CE DOIT ÊTRE AINSI... CE SERA AINSI ! »), est une sorte de testament de l'alors trentenaire Biermann.

Bien entendu, il ne faut pas prendre Wolf Biermann pour Arletty..., dit Lucien Lane.

Je le pense aussi, quoique... Je crois bien que Biermann n'aurait pas rejeté un peu de gouaille... Mais si tu veux bien me prêter tes oreilles un instant, j'en viens au fond de cette chanson... Du moins, le fond comme je l'ai perçu... Donc, en la traduisant, il m'est revenu à l'esprit une lecture déjà ancienne et une voix que j'avais un peu laissée dans les grands jardins de l'Histoire, celle de Wilhelm Reich... C'est lui qui disait : « Écoute, petit homme ! » – le « légendaire petit homme », dont parle la chanson... Enfin, on dirait une chanson en quelque sorte « reichienne ».

Ainsi Parlaient Marco valdo M.I. et Lucien Lane.
MOI, J'EN AI MARRE !

Des femmes froides qui me câlinent
Des faux amis qui me flattent
Des durs dans leurs revendications
Qui se font dans le pantalon
Dans cette ville en deux parts
- Moi, j'en ai marre !

Et à quoi peut bien servir seulement
Qui poussent avec talent
Le peuple sur le côté
De la grande route de l'Histoire
- Moi, j'en ai marre !

Nous avons tant perdu à cause d'eux,
De ces professeurs allemands - Eux
Qui sauraient sûrement mieux certaines histoires
S'ils ne mangeaient pas toute la journée
Fonctionnaires ! Lâches ! Gras et dégonflés !
- Moi, j'en ai marre !

De ces bourreaux recruteurs, les enseignants,
Qui cassent impitoyablement la tête des enfants
Les pressent sous tous les drapeaux
En sujets idéaux :
Obéissants – appliqués – mentalement blafards
- Moi, j'en ai marre !

Du légendaire « petit homme » 
Qui souffrait toujours et jamais ne gagna
Qui se fit à toutes les choses infâmes
Qui reçoit avec simplicité son bout de lard
Et rêve au lit d'un attentat
- Moi, j'en ai marre !

Des poètes à la main humide
À poéter sur la patrie perdue
À rimer l'irrémédiable
Des chercheurs de vérité qui l'engluent
Achetables et froussards
- Moi, j'en ai marre !

Des poètes à la main humide
À poéter sur la patrie perdue
À rimer l'irrémédiable
Des chercheurs de vérité qui l'engluent
Achetables et froussards
- Moi, j'en ai marre !
Achetables et froussards
- Moi, j'en ai marre !

envoyé par Marco Valdo M.I. - 7/3/2014 - 23:09




Langue: grec moderne

La versione greca interpretata da Maria Dimitriadi (1951-2009)
Greek version performed by Maria Dimitriadi (1951-2009)

Maria Dimitriadi.
Maria Dimitriadi.


Στίχοι: Δημοσθένης Κούρτοβικ / Βολφ Μπίρμαν
Μουσική: Θάνος Μικρούτσικος
Πρώτη εκτέλεση: Μαρία Δημητριάδη
Άλλες ερμηνείες: Βασίλης Παπακωνσταντίνου

Testo originale: Wolf Biermann
Traduzione greca: Demosthenis Kourtovik
Musica: Thanos Mikroutsikos
Prima interprete: Maria Dimitriadi
Altri interpreti: Vasilis Papakonstandinou

ΑΥΤΟΥΣ ΤΟΥΣ ΕΧΩ ΒΑΡΕΘΕΙ

Τις κρύες γυναίκες που με χαϊδεύουν,
τους ψευτοφίλους που με κολακεύουν,
που απ' τους άλλους θεν παλικαριά
κι οι ίδιοι όλο λερώνουν τα βρακιά,
σ' αυτήν την πόλη που στα δυο έχει σκιστεί,
τους έχω βαρεθεί.

Και πέστε μου αξίζει μια πεντάρα,
των γραφειοκρατών η φάρα,
στήνει με ζήλο περισσό,
στο σβέρκο του λαού χορό,
στης ιστορίας τον χοντρό το κινητή,
την έχω σιχαθεί.

Και τι θα χάναμε χωρίς αυτούς όλους,
τους γερμανούς τους προφεσόρους,
που καλύτερα θα ξέρανε πολλά,
αν δεν γεμίζαν ολοένα την κοιλιά,
υπαλληλίσκοι φοβητσιάρηδες, δούλοι παχιοί,
τους έχω βαρεθεί.

Κι οι δάσκαλοι της νεολαίας γδαρτάδες,
κόβουν στα μέτρα τους τους μαθητάδες,
κάθε σημαίας πλαισιώνουν τους ιστούς,
με ιδεώδεις υποτακτικούς,
που είναι στο μυαλό νωθροί,
μα υπακοή έχουν περισσή,
τους έχω βαρεθεί.

Κι ο παροιμιώδης μέσος ανθρωπάκος,
κέρδος ποτέ μα από παθήματα χορτάτος,
που συνηθίζει στην κάθε βρωμιά,
αρκεί να έχει γεμάτο τον ντορβά
κι επαναστάσεις στ' όνειρά του αναζητεί,
τον έχω βαρεθεί.

Κι οι ποιητές με χέρι υγρό,
υμνούνε της πατρίδας τον χαμό,
κάνουν με θέρμη τα στοιχειά στιχάκια,
με τους σοφούς του κράτους τα 'χουνε πλακάκια,
σαν χέλια γλοιώδικα έχουν πουληθεί,
τους έχω σιχαθεί.

Κι οι ποιητές με χέρι υγρό,
υμνούνε της πατρίδας τον χαμό,
κάνουν με θέρμη τα στοιχειά στιχάκια,
με τους σοφούς του κράτους τα 'χουνε πλακάκια,
σαν χέλια γλοιώδικα έχουν πουληθεί,
τους έχω σιχαθεί.
Σαν χέλια γλοιώδικα έχουν πουληθεί,
τους έχω σιχαθεί.

envoyé par Riccardo Venturi - 21/1/2009 - 03:59




Langue: anglais

English Version from stixoi.info
(from Maria Dimitriadi's Greek version)
Versione inglese da stixoi.info
(dalla versione greca di Maria Dimitriadi]

Panos © 05-07-2005

Note. A number of misspellings (and also bad grammar) has been corrected. [CCG/AWS Staff]
I AM BORED OF THEM

The cold women who caress me,
the fake friends who flatter me,
who expect from others bravery
while they wet their own pants
in this city which has been torn into two pieces,
I am bored of them.

And tell me, is it worth a penny
the tribe of the bureaucrats
that sets with extra zeal,
a dance on the people's back,
in history's fast motion setter,
I am bored of them.

And what would we lose without all them,
those German professors
who would know much better,
if they didn't constantly load their stomach,
fearful servants, fat slaves
I am bored of them.

And the teachers, youth's flayer,
cut the students in their size,
They provide every flag's masts,
with ideal subservients,
who are in thought bovine,
but have extra obedience,
I am bored of them.

And the legendary average man,
without a profit but full of doses,
who gets used to every filth,
as long as his bag is full
and in his dreams he seeks revolutions,
I am bored of him.

And the poets with a wet hand
rhapsodize the loss of the fatherland,
they convert zealously phantoms into lyrics,
with the state's wise men they are friends,
like slippery eels have sold themselves,
I am bored of them.

And the poets with a wet hand
rhapsodize the loss of the fatherland,
they convert zealously phantoms into lyrics,
with the state's wise men they are friends,
like slippery eels have sold themselves,
I am bored of them.
like slippery eels have sold themselves,
I am bored of them.

envoyé par Riccardo Venturi - 21/1/2009 - 04:12




Langue: finnois

La versione finlandese da stixoi.info
Finnish version from stixoi.info
ΜάρκοςΤο, Markus Torssonen © 24-11-2008
HEIHIN OLEN KYLLÄSTYNYT

Kylmiin naisiin jotka mua halaavat,
valheystäviin jotka mua imartelevat,
jotka muilta haluavat sankaruutta
ja itse paskovat housuihinsa,
tässä kaupungissa kahtiajakautuneessa,
heihin olen kyllästynyt.

Ja kertokaa mulle onko vitosenkaan arvoinen,
byrokraattien heimo,
joka rakentaa halulla suurella
selkään kansan tanssin,
historian vahvaan liikkeeseen,
siihen olen kyllästynyt.

Ja mitä menetämme ilman noita kaikkia,
saksalaisia professoreita,
jotka paremmin tietäisivät paljon,
elleivät aina vain täyttäisi vatsaansa,
palvelijat pelokkaat, orjat paksut,
heihin olen kyllästynyt.

Ja opettajat nuorison pieksäjät
katkaisevat omiin mittoihinsa oppilaat,
jokaisen lipputangon koristelevat
ihanteelisilla järjestelmillä,
jotka ovat mielessään laiskoja,
mutta omaavat ylimääräistä kuuliaisuutta,
heihin olen kyllästynyt.

Ja paljonpuhuttu tavallinen mies,
tienestejä ei koskaan mutta kärsimyksiä kyllä,
joka tottuu kaikkeen likaiseen,
riittää kun säkkinsä on täynnä
ja vallankumousta unelmissaan hakee,
häneen olen kyllästynyt.

Ja runoilijat kosteine käsineen,
hymnejä värkkäävät isänmaan tuholle,
lämmöllä tekevät aaveista laulunsanoja,
valtionviisaiden kera seurustelevat,
kuin ankeriaat limaiset ovat myyneet itsensä,
heihin olen kyllästynyt.

Ja runoilijat kosteine käsineen,
hymnejä värkkäävät isänmaan tuholle,
lämmöllä tekevät aaveista laulunsanoja,
valtionviisaiden kera seurustelevat,
kuin ankeriaat limaiset ovat myyneet itsensä,
heitä inhoan.
Kuin ankeriaat limaiset ovat myyneet itsensä,
heitä inhoan.

envoyé par Riccardo Venturi - 21/1/2009 - 04:16




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