Langue   

(זינג מײַן פֿידעלע (בערלין 1990

Mishke Alpert [Michael Alpert] / מישקע אַלפערט
Langues: yiddish, hébreu


Liste des versions



Zing mayn fidele (Berlin 1990)
[1990]
Dall’album “Song of the Lodz Ghetto”, con la formazione dei Brave Old World. Registrato a Lormont, nei pressi di Bordeaux nel 2004.
Testo yiddish e traduzione inglese trovati su Yom Hashoah Holocaust Memorial Service, 1999 - The personal story of Henry Landsberger

“A sweet diaspora song haunted by memory and longing”. Michael Alpert

Michael Alpert
Michael Alpert
“Cantare «come mai nessuno prima» è l’ambizione e la scommessa di Michael Alpert, ricercatore, cantante e musicista. Vera star del revival musicale ebraico, ne è stato fra i pionieri con i gruppi Kapelye, Brave Old World e Khevrisa, ed è la mente musicale del progetto klezmer del violinista Itzhak Perlman (In the Fiddler’s House, Emi). Nato in America nel 1955, Michael vive a cavallo tra due generazioni e due universi: figlio di immigrati dalla Bucovina (non lontano da casa di Beyle), è cresciuto in un mondo di anziani, che parlavano yiddish, bevevano liquori dai nomi misteriosi, e raccontavano di un mondo irrimediabilmente perduto. Il fatto di non aver vissuto il trauma della Shoah ha certo facilitato il dilagare, nel giovane Alpert, di un fascino incontenibile per tutto ciò che proveniva da o si trovava nell’Europa dell’Est: «Da bambino scoprii la radio a onde corte, che ascoltavo di nascosto, la notte, per captare i suoni che arrivavano dalla Bulgaria, dalla Romania, dalla Polonia (terre per lui mitologiche, ndr) e imparare le lingue».

Le lingue: l’yiddish a casa, lo spagnolo nei sobborghi della nativa Los Angeles, poi il tedesco e il polacco parlati dai familiari, e il russo al liceo; Alpert ne parla 17 o 18, compresi rumeno, ceco, lituano, ungherese e serbo-croato. Da liceale sceglie di trascorrere un anno in Yugoslavia, e viaggia in Bulgaria. Nei primi anni Settanta si avvicina alla musica folk e, con un gruppo di musiche e danze popolari polacche compie il primo ambito viaggio in Polonia. Nell’estate del 1974, l’incontro – nell’improbabile scenario d’una piazza di Varsavia gremita di folla per un discorso di Brezhnev – con un vecchio ebreo che parlava yiddish lo convince definitivamente: «La alte heym, l’antica patria, era lì, a portata di mano. Da lì provenivano i nostri padri, lì avevamo vissuto: in queste terre meravigliose, gremite di spettri ebraici!». La ricerca di Alpert è scevra di romanticismo: sin da giovanissimo si rende conto che l’unico modo per andare oltre il passato consiste nel conoscerlo da vicino: è capace di parlare per ore delle differenti tipologie somatiche dei polacchi, delle sottigliezze lessicali di lingue impronunciabili, e a New York, dove risiede, è il beniamino dei portinai del suo stabile, tutti di origine serba o ucraina. «È andata così, e sono diventato uno fra i pochissimi esponenti del revival musicale ebraico che avesse messo piede in Europa orientale». L’esperienza è stata bene accolta in America, dove si è inserito sin dalla fine degli anni Settanta in un gruppo di coetanei impegnati a «riprendersi» lingua e cultura yiddish: una «famiglia» di giovani che si incontravano per cena, ogni shabbat. È nata così la prima canzone, Klaybt zikh tsunoyf (del 1983), dedicata al gruppo, alla gioia di ritrovarsi a conquistarsi il passato per inventare insieme il futuro: klaybt zikh tsunoyf, mayne shvester un briderlekh, un lomir zikh reyen, vos mir zaynen yidelekh… Riuniamoci, fratelli e sorelle, e siamo felici di essere ebrei. Basta coi pianti, i cuori feriti, siamo una famiglia! A questa sono seguite molte altre, dedicate a eventi come il disastro di Chernobyl e la caduta del Muro.”
(“Suoni di yiddishland”, di Francesco Spagnolo, da Dust)
כ'האָב געשפּילט דאָ אין דײַטשלאַנד שױן עפֿטערע מאָל,
הַמַּבְדִּיל, הַמַּבְדִּיל בֵּין קֹדֶשׁ לְחוֹל
נאָר איך שװער בײַ מײַן מוזע, טאָ הערט װאָס איך זינג,
אַז קײן מאָל איז מיר געװען לײַכט דאָ, און גרינג.
איך זע אײַך בײַ נאַכט אין פֿאַררײכערטע קנײפּיעס
רײדנדיק יונגיטשקע רײד פֿונעם הײנט,
כ'האַלט שטאַרק פֿון מײַן ייׅחוס, נאָר כ'בין אײַך מקנא,
איר, הײַנטיקע קינדער פֿון נעכטיקן פֿײַנט.
װײַל אײַך איז די צוקונפֿט, אײן לאַנד און אײן שפּראַך
בעת מיר האַלטן שטומערהײט דאָ...

...דעם נעכטנס אַ װידערקול תּמיד פֿאַראַן,
זכרונו לברכה: בײַ איטלעכן שפּאַן,
נאָר נאָך אַלץ, אױ, פֿאַרבינדן זיך, אונדזערע צװײ פֿעלקער,
אַ פֿאַרבאָטענע ליבע, פֿון רשעים געשטערט,
צי ליבע, צי שׂינאה, זי הערשט װי בַשערט,
פֿאַרשאָלטן פֿון מענטש און פֿון בורא.

טאָ זינג מײַן פֿידעלע, שפּיל, מײן פֿירעלע
װי פֿריׅער האָט ניט געשילט קײנער
און שפּיל מיר צו אַ רײן גלות־לידל
מיט אַ בענקשאַפֿט אַ רײנער.

כ'האָב שטענדיק אין זינען די אײגענע ייׅחוס,
אַפֿילו בײם װאַלגערן אין לױטערן אַצינד,
װײַל װען נישט די מלחמות, פּאָגראָמען, רציחות
װאָלט איך אױכעט געװעזן אײראָפּעס אַ קינד.
ס'איז שױן אונדזער אַ װעלט, דאָ פֿאַרגאַנגען אין פֿלאַמען,
אָפּגעזונדערט די צװײַגן פֿון ייׅדישן בױם,
נאָר נאָך אַ מאָל בױט מען אױף מױערן, צאַמען,
פֿאַריאָגן די, נעבעך, װאָס זוכן אַ הײם.
אױף ס'נײַ טרײַבט איר יענע אַװעק פֿון די טירן,
מע יאָגט זײַ שױן װידער פֿון נעכט פֿון קרישטאַל
אױ, װאָס פֿאַר אַ חוצפּה, אַזױ זיך צו פֿירן,
מיר זאָלן אין אײך דען צוזעצן די גאַל?

איר פֿרעסט אױף שױן װידער די אײגענע קינדער,
פֿאֵר מערדער איר מאַכט זײַ, פֿאַר בלוטיקע הינט,
און זײַערע רציחות קוקט איר אָן װי בלינדע,
ביז גאַנץ אײראָפּע איז װײ און איז װינט.

טאָ זינג מײַן פֿידעלע, שפּיל, מײן פֿירעלע
װי פֿריׅער האָט ניט געשילט קײנער
און שפּיל מיר צו אַ רײן גלות־לידל
מיט אַ בענקשאַפֿט אַ רײנער.

envoyé par Bartleby + CCG/AWS Staff - 1/2/2011 - 09:32




Langue: yiddish

La trascrizione in caratteri latini.

Sottoposta a una revisione per alcune non conformità YIVO. Sembra restare particolarmente ostica la trascrizione "tsh" al posto di quella inglesizzante "tch".
ZING, MAYN FIDELE (BERLIN 1990)

Kh'ob geshpilt do in Daytshland shoyn eftere mol,
Hamavdil, hamavdil beyn koydesh lekhol,
Nor ikh shver bay mayn muze, to hert vos ikh zing,
Az keyn mol iz mir geven laykht do, un gring.
Ikh ze aykh bay nakht in farreykherte knaypyes
Reydndik yungitshke reyd funem haynt,
Kh'halt shtark fun mayn yikhes, Nor kh'bin aykh mekane,
Ir, hayntike kinder fun nekhtikn faynt.
Vayl aykh iz di tsukunft, Eyn land un eyn shprakh
Bes mir haltn shtumerhayt do...

... Dem nekhtns a viderkol tomid faran,
Zikhroyne levrokhe: bay itlekhn shpan,
Nor nokh alts, oy, farbindn zikh, undzere tsvey felker,
A farbotene libe, fun reshoim geshtert,
Tsi libe, tsi sine, zi hersht vi bashert,
Farsholtn fun mentsh un fun boyre.

To zing, mayn fidele, shpil, mayn fidele
Vi frier hot nit geshilt keyner
Un shpil mir tsu a sheyn goles-lidl
Mit a benkshaft a reyner.

Kh'ob shtendik in zinen di eygene yikhes,
Afile baym valgern in loytern atsind,
Vayl ven nisht di milkhomes, pogromen, retsikhes
Volt ikh oykhet gevezn Eyropes a kind.
S'iz shoyn undzer a velt, do fargangen in flamen,
Opgezundert di tsvaygn fun yidishn boym,
Nor nokh a mol boyt men uf moyern, tsamen,
Faryogn di, nebekh, vos zukhn a heym.
Af s'nay traybt ir yene avek fun di tirn,
Me yogt zay shoyn vider durkh nekht fun krishtal
Oy, vos far a khutspe, azoy zikh tsu firn,
Mir zoln in aykh den tsuzetsn di gal?

Ir frest uf shoyn vider di eygene kinder,
Far merder ir makht zay, far blutike hint,
Un zayere retsikhes kukt ir on vi blinde,
Biz gants Eyrope iz vey un iz vind.

To zing, mayn fidele, shpil, mayn fidele
Vi frier hot nit geshilt keyner
Un shpil mir tsu a sheyn goles-lidl
Mit a benkshaft a reyner.

envoyé par CCG/AWS Staff - 5/6/2013 - 03:11




Langue: anglais

Versione inglese
SING, MY FIDDLE (BERLIN 1990)

I've played here in Germany many's the time,
He who divides the sacred from the worldly,
But I swear by my muse, mark well what I sing,
That not once has it been easy to be here.
I see you at night in smoky hangouts,
Talking youthful talk of today
I'm proud of my heritage, yet I envy you,
today's children of yesterday's enemy,
Because yours is the future, one land and one language,
while we are left here, speechless...

... Yesterday's echo forever at hand,
Of blessed memory at every turn.
Yet something still draws together, our two peoples;
A forbidden love, disrupted by evildoers,
Be it love or hate, it is as if fated,
Cursed by human beings and the Creator.

So sing, my fiddle, Play, my fiddle,
Like no one who has played before.
And play me a sweet Diaspora song,
With a longing that's pure.

My own heritage is ever on my mind
Even as I traverse the bright present,
Because if not for the wars, Pogroms, slaughter,
I too would have been Europe's progeny.
Our world has already gone done in flames here,
Branches severed from the Jewish tree,
Yet again walls and fences are being built,
And you persecute those poor souls seeking a home.
You drive them anew from your gates,
Hunting them through nights of broken glass.
What chutzpa you have to act like that --
Are we supposed to forgive you?

Again you devour your own children,
Turning them into murderers, bloodthirsty dogs.
Then turning a blind eye to their crimes
Until all of Europe has been laid waste. . .

So sing, my fiddle, Play, my fiddle,
Like no one who has played before.
And play me a sweet Diaspora song,
With a longing that's pure.

envoyé par Bartleby - 1/2/2011 - 09:32




Langue: italien

Versione italiana di Francesco Spagnolo da dust.it
CANTA, VIOLINO MIO (Berlino 1990)

Vago per il Polenmarkt,
scuro è il cielo su Berlino.
Un ebreo fra turchi, polacchi e zingari,
un ebreo d’America, giunto sin qui.
Vi sono angeli caduti, poveretti,
vi sono oggi profughi d’un tipo nuovo.
Comprano e vendono –
non gli importa chi io sia.
Perché i venditori di ieri
sono gli acquirenti di domani.
Ma anche noi eravamo qui
nemmeno troppo tempo fa,
a offrire la stessa merce.

E allora canta, violino mio,
suona, violino mio,
come mai ha suonato nessuno.
E suonami una dolce canzone della diaspora,
con nostalgia, ma che sia pura.

Ho suonato tante volte, qui in Germania –
hamavdil, hamavdil beyn keydesh lekhol
Ma vi giuro sulla mia Musa,
e sentite bene come canto,
mai mi è stato facile d’essere qui.
Vi vedo nella notte dei locali fumosi,
parlate la giovane lingua dell’oggi.
Sono fiero della mia stirpe,
eppure v’invidio,
voi figli d’oggi del nemico di ieri.
Perché vostro è il futuro,
una terra e una lingua,
mentre noi stiamo qui, senza parole…

… L’eco di ieri è sempre vicina,
zikhroyne livrukheh a ogni angolo.
Eppure qualcosa ancora avvicina
i nostri popoli;
un amore proibito, dilaniato dai malvagi.
Che sia amore, che sia odio,
è come predestinato,
maledetto dagli uomini e da Dio.

E allora canta, violino mio,
suona, violino mio,
come mai ha suonato nessuno.
E suonami una dolce canzone della diaspora,
con nostalgia, ma che sia pura.

La mia stirpe mi è sempre dinnanzi,
anche quando solco il presente luminoso,
perché senza le guerre,
i pogrom, i massacri,
sarei stato anch’io un figlio d’Europa.
Svanito è il nostro mondo,
scomparso nelle fiamme,
strappati i rami dall’albero ebraico.
Ma di nuovo si erigono muri e steccati,
e voi perseguitate chi cerca una patria.
Ancora li cacciate dai vostri portali,
inseguendoli nelle notti di cristallo.
Con che faccia agite così –
e noi dovremmo perdonarvi?

E ancora una volta divorate i vostri figli,
ne fate assassini, cani assetati di sangue,
e allontanate i vostri occhi ciechi dai loro crimini,
affinché l’Europa sia dispersa nel vento.

1/2/2011 - 12:18


6 giugno 2013, ore 3.15 del mattino: dopo circa 4 mesi termina la ricostruzione totale della Sezione Yiddish. In giornata vorrei scrivere qualcosa "in margine" a questa autentica avventura, nel senso letterale del termine.

Riccardo Venturi - 6/6/2013 - 03:17


IN MARGINE

Stanotte, dopo circa quattro mesi di lavoro, è stata terminata la ricostruzione totale della “Sezione Yiddish” di questo sito. Queste sono alcune annotazioni a margine, naturalmente offerte in libera lettura; pregherei comunque di leggerle a chi si trovasse in futuro a inserire canzoni (e traduzioni) in questa lingua. La prima parte di queste annotazioni riguarda infatti problemi che si possono definire “tecnici”.

1. Criteri

Lo yiddish è scritto, da sempre, esclusivamente in lettere ebraiche (ma con modalità molto diverse da quelle dell'ebraico biblico e moderno). L'uso di presentare i testi (specialmente poetici) in traslitterazione latina è assai diffuso, ma è scorretto e irrispettoso: nessuno si sognerebbe di presentare canzoni in russo o in greco, solo per fare un esempio, esclusivamente in trascrizione. In questo sito la canzone è quindi presentata nell'alfabeto originale, e le trascrizioni -pur sempre presenti- sono in secondo piano.

Durante questa ricostruzione della sezione Yiddish è stato purtroppo sperimentato che i testi presenti in Rete nella grafia ebraica originale sono molto scarsi; si è quindi provveduto a ritrascriverli in caratteri ebraici. In diversi casi, probabilmente, si tratta della prima volta in assoluto in cui determinati testi vengono mostrati nella loro forma propria.

Qui è entrata in ballo l'estrema difformità delle trascrizioni: quelle effettuate (più o meno) secondo le norme fissate dall'Istituto Scientifico Yiddish di New York (il “misterioso” YIVO spesso nominato nella Sezione) permettono una ritrascrizione relativamente agevole, ma ci sono stati casi di trascrizione “tedeschizzante” o, comunque, non a norma, che hanno posto numerosi problemi. Il controllo è stato comunque fatto letteralmente parola per parola, servendosi principalmente dei seguenti strumenti online:

Yiddish Dictionary Lookup
Yiddish Dictionary Online

Il ricorso agli strumenti online (e cartacei) si è rivelato assolutamente necessario per stabilire l'esatta grafia del lessico di origine ebraica, che in Yiddish mantiene la grafia non fonetica, e svocalizzata, della lingua di origine. Nei casi dubbi si è ricorso senz'altro al dizionario ebraico Prolog/Giuntina (che ha risolto più d'una “gatta da pelare”).

Ovviamente, è possibile che siano sfuggiti alcuni errori; ma, in generale, il controllo è stato capillare e ripetuto fino a tre volte. In questo modo, CCG/AWS diventa uno dei rarissimi siti al mondo che offre una silloge di canzoni in yiddish tutte nel testo originale anche dal punto di vista grafico. Naturalmente, osservazioni e migliorie saranno sempre bene accette da chiunque.

Per la maggior parte delle canzoni, che erano state fornite di una traduzione inglese, è stata effettuata una traduzione italiana “ex novo” direttamente dal testo originale. Le traduzioni inglesi presenti hanno spesso intendimenti d'arte e sono fatte per essere a loro volta cantate, e quindi sono in realtà degli adattamenti; particolare cura, quindi, è stata messa nel presentare le canzoni secondo la dizione originale. Eventuali traduzioni artistiche italiane sono comunque sempre state inserite.

2. Criteri per gli inserimenti futuri

Per quanto riguarda i futuri inserimenti in questa sezione (che si auspicano numerosi) dovranno essere seguiti dei criteri di massima, per evitare eventuali altre “ricostruzioni” di questa estensione.

Per prima cosa, si prega chiunque di non inserire canzoni “in blocco”, ma una alla volta. Questo permetterà di reperire l'eventuale testo in caratteri ebraici in Rete, oppure di ritrascriverlo se non è reperibile, in modo che la canzone sia già presentata nella sua forma definitiva in tempi rapidi.

La canzone non anonima deve essere attribuita in primo luogo all'autore del testo. Se non lo si conosce, l'attribuzione andrà all'autore della musica; soltanto se tali dati sono ignoti (e in alcuni casi particolari) l'attribuzione andrà all'interprete. In nessun caso, comunque, l'attribuzione andrà fatta a nome di cantanti o gruppi dei quali si è reperito un dato album, senza aver prima controllato gli autori effettivi.

Per le trascrizioni in caratteri latini, questo sito si è uniformato alla norma YIVO; qualsiasi trascrizione non conforme verrà comunque modificata in tale senso.

3. Considerazioni varie

Fatte le debite annotazioni “tecniche”, vorrei parlare di ciò che è stato vissuto durante questi mesi di lavoro su questa sezione, perché non è una cosa comune.

E' stata una vera e propria immersione, parola per parola, in una lingua che ha subito uno sterminio. E' impossibile considerare lo yiddish come una lingua qualsiasi; ed anche il rispetto filologico più rigoroso assume in questo caso una valenza molto diversa.

Un rispetto filologico, peraltro, necessariamente relativo: essendo stata necessaria, in moltissimi casi, la ricostruzione del testo in grafia ebraica, questa è stata condotta secondo delle normative standard fissate da un'Istituto, ma che possono non corrispondere all'effettiva grafia dell'autore. Quello che è il “testo originale” è in realtà conservato in manoscritti non accessibili direttamente; nel caso di parecchie “canzoni del ghetto” i testi venivano semplicemente composti e imparati a memoria. In realtà, i testi qui presentati sono semplicemente stati restituiti nell'attuale grafia standard fissata in tempi recenti (nel Dopoguerra) da un'autorità linguistica. Si tenga anche presente che, in tempi storici, lo Yiddish aveva numerose frammentazioni locali e dialettali; una canzone scritta in yiddish polacco è diversa da una scritta in yiddish russo; durante la ricostruzione, hanno “lavorato” a pieno regime anche i dizionari polacchi, russi e rumeni.

L'operazione compiuta qua dentro è quindi, in molti casi, arbitraria; ciononostante, intende comunque restituire i testi alla loro veste propria. E' fuori di ogni ragionevole dubbio che non siano stati composti in una qualsiasi trascrizione; si tratta quindi, comunque, della restituzione di una realtà storica.

Affrontare questa sezione significa, per chi la cura, immergersi in una delle principali tragedie della Storia. Una tragedia espressa direttamente da chi doveva viverla in condizioni spaventose; si tratta, probabilmente, della sezione di questo sito con il maggior numero di autori vittime di deportazione e liquidazione. Autori fondamentali come Mordekhai Gebirtig o Hirsh Glik hanno subito questa sorte assieme a tutti gli altri; ed è una cosa che pesa su quel che si fa. Non siamo davanti a canzoni che “raccontano storie”, ma alle tremende storie vissute da chi le scriveva e cantava. Storie tremende, ma non di rado espresse con accenti che, accanto al desolato lamento per una triste sorte, non rinunciavano alla satira, all'ironia, alla critica e alla speranza. E, soprattutto, alla lotta.

Sarebbe sbagliato, come spesso si tende a fare, considerare i testi in yiddish come esclusiva espressione di “ebraismo”, seppure sia una cosa forzatamente presente. In yiddish si esprimeva la voce di un popolo in tutti i suoi aspetti, alcuni dei quali lontanissimi dagli aspetti religiosi e spirituali. In yiddish, come si vede perfettamente da questa sezione (e va riconosciuto al principale contributore, Alessandro/Bartleby/Bernart, di averlo messo benissimo in luce con le sue scelte), è stato espresso di tutto. Non c'è solamente l'Olocausto, il ghetto e il campo di concentramento, che pure è il nucleo principale; c'è l'emigrazione, c'è lo sfruttamento sul lavoro, c'è la critica sociale, c'è la Resistenza. C'è il comunismo e c'è l'anarchismo; una componente importante dell'anarchismo si è espressa in yiddish. Ricostruire questa sezione ha significato ricostruire e mettere in luce tutti questi aspetti. Ci sono i ghetti, i pogrom, Auschwitz e Ponary; ma ci sono anche gli sweatshops newyorkesi, c'è la fabbrica Triangle e il suo incendio, ci sono le canzoni partigiane.

C'è il Sionismo, certamente, come c'è la lotta di classe internazionalista e la volontà di persone che volevano vivere nel loro ambiente senza emigrare in Palestina. C'è la religiosità come c'è l'agnosticismo e l'ateismo. Lo sterminio nazista ha rappresentato l'estinzione di una lingua e di una cultura variegata ad ogni livello. Rendersene conto, anche attraverso queste canzoni, deve preservare da ogni indulgenza verso ogni tipo di fascismo; ed è anche la migliore risposta che si può dare a chi, specialmente in Israele o comunque sia legato a Israele e alle sue attuali politiche, si serve dell'Olocausto per giustificare le proprie azioni, respingere ogni critica e distribuire a piene mani etichette di “antisemitismo”. Nessuna indulgenza, quindi, verso i cosiddetti “negazionisti”; se è vero che, come diceva Raoul Vaneigem, “niente è sacro e tutto si può dire”, ciò non significa dare credito alle folli panzane di certa gente. Le cose, invece, dovrebbero essere chiare; anche per preservare l'Olocausto dal servire come strumento di oppressione, e dall'assurgere a una sorta di religione indiscutibile e, per così dire, “standardizzata” e, di conseguenza, svuotata di ogni senso. Queste canzoni sono la voce diretta di chi ha vissuto, sulla propria pelle, uno sterminio scientifico e programmato; chiedono di essere ascoltate e proiettate nel presente, ma non di servire come giustificazioni per altre oppressioni ed altri stermini.

A tale riguardo, volutamente è stata lasciata come ultima canzone della ricostruzione (זינג מײַן פֿידעלע (בערלין 1990 di Michael Alpert, in margine alla quale sono scritte queste annotazioni. E', questa, una canzone importantissima per vari motivi, anche al di là del suo valore intrinseco. Si tratta di una canzone moderna (è del 1990), scritta e cantata in yiddish da un autore nato a Los Angeles che ha voluto recuperare non soltanto le proprie radici europee, ma confrontarsi con la Germania che proprio in quell'anno viveva la sua riunificazione, e con un'Europa nella quale fascismi e stermini stavano rinascendo (la guerra jugoslava sarebbe scoppiata l'anno successivo). Lasciandola per ultima, e inserendo queste annotazioni in margine ad essa, è stato inteso “fare il punto” e stabilire una continuità.

La Sezione Yiddish non si ferma in realtà qui. Terminata la ricostruzione andrà ovviamente avanti nel tempo, e a partire da subito. Un'ulteriore revisione e ricostruzione è stata già avviata per le traduzioni in yiddish presenti nel sito (tra le quali, è bene ricordarlo, c'è anche quella dell' “Internazionale”). Spero che mi siano scusate le mie eccessive “pignolerie” e puntualizzazioni, che possono essere scarsamente interessanti per la maggior parte di chi legge. Saluti a tutti.

Riccardo Venturi - 6/6/2013 - 12:08


Grazie Riccardo per questo tuo lavoro titanico e prezioso.
Al di là degli aspetti tecnici, tutti pienamente condivisibili, la tua celebrazione di questa lingua sterminata (prima con l'eliminazione di quanti la parlavano, poi con la privazione della sua dignità di lingua dotata di un suo specifico alfabeto) mi ha davvero commosso e mi ha fatto percepire tutta la passione ma anche la fatica e il dolore con cui ti sei immerso nelle storie in yiddish raccolte sulle CCG/AWS e finalmente ora restituite ai loro protagonisti, con il rispetto che meritano.

Tornando per un momento ai criteri d'inserimento, penso che attribuire la canzone in primo luogo all'autore del testo potrebbe (e dovrebbe) essere un criterio generale, non solo per l'yiddish... Fino ad oggi però è invalsa invece una certa libertà, che il sottoscritto ha per giunta rivendicato in più occasioni e su cui l' "Amministrazione" ha lasciato correre, nonostante i richiami all'ordine di qualcuno...
Che si fa? Il rigore vale per l'yiddish in quanto lingua del tutto particolare oppure, secondo te, sarebbe da estendersi a tutti gli inserimenti, almeno per il futuro (voglio dire, senza imbarcarsi in faticose ristrutturazioni)?

Saluti

Bernart - 6/6/2013 - 15:28


La tua osservazione, Bernart, sinceramente me la aspettavo e non c'è nulla da dire: è giusta. Se è possibile seguire i criteri indicati per una singola sezione (in fondo si tratta "soltanto" di 54 canzoni, alla data di oggi...), ovviamente uniformare tutto un sito di quasi ventimila canzoni a tali criteri sarebbe, attualmente, al di là delle possibilità umane. A meno che il ricchissimo webmaster (:-PPP) non voglia fornire a tutti un vitalizio mensile come quello concesso dal Re Sole al famoso Du Cange per la stesura del Lexicon Mediae et Infimae Graecitatis, per la quale impiegò tutta la vita (sull'ultima scheda del manoscritto, l'autore scrisse una nota assolutamente commovente). Direi che, per il futuro, si potrebbe raccomandare questo criterio (senza imporlo, e considerando le varie situazioni); per il passato, resterà tutto così com'è a meno di altre "ricostruzioni" di sezioni (ad esempio, prima o poi ho in mente di dare una ripassata consistente alla sezione in ebraico, che è in condizioni abbastanza pietose). Per lo yiddish, però, le cose sono possibili e i criteri andranno seguiti; per forza di cose, oramai su questo sito si può lavorare solo "a fette". A volte penso davvero a che cosa abbiamo fatto, qua dentro, in dieci persone o poco più...

In conclusione (ma, qui dentro, una "conclusione" in realtà non può esistere...), hai centrato il bersaglio quando hai parlato di fatica e dolore; le storie raccontate in queste canzoni, che siano in un ghetto, in un campo di sterminio o uno sweatshop ad ammazzarsi per un dollaro al giorno, sono durissime. Devo confessare il senso di "essere preso dentro" che mi ha accompagnato in questi mesi. In un'altra vita, però, mi piacerebbe dar conto anche di tante altre canzoni in yiddish; quelle allegre, ironiche, tenere, cattive e a volte persino comiche da far sbellicare dal ridere. In questa vita non ce la farò, purtroppo. Ecco, quel che il nazifascismo ha fatto si riassume in questo: è stato eliminato tutto. Io non tendo alla mitizzazione; in yiddish, come in qualsiasi altra lingua, è stato espresso tutto e il contrario di tutto. Ad un certo punto, tutto questo è stato interrotto. Sono stati interrotti i Caini così come gli Abeli. I chassidim ultrareligiosi come gli anarchici. I sionisti così come gli ebrei inorriditi dal sionismo, ed erano moltissimi. Tutti, senza distinzione.

Riccardo Venturi - 6/6/2013 - 15:46


Secondo me il criterio di attribuire all'"autore del testo" va benissimo per la sezione yiddish ma non puó essere generale. Per esempio non vorrete mica attribuire la canzone La prière a Francis Jammes?

il Webmaster - 6/6/2013 - 15:51


E' vero anche questo, ma vedo nel sito molte canzoni attribuite a poeti come Paul Éluard, Goytisolo eccetera. C'è anche da considerare una cosa: poniamo che "La prière", ad un certo punto, sia stata interpretata da Fabri Fibra. Cosa facciamo, la attribuiamo a Fabri Fibra? E se il "Diciotto di novembre" di Theodorakis fosse stata attribuita a Albano? Insomma, dopo aver fissato i "criteri" sono anche il primo a dire che bisogna vedere caso per caso...ovvero un ginepraio da cui non usciremo mai. Troppo tardi, mi sa, per stabilire nel database un sistema di rimandi...

Riccardo Venturi - 6/6/2013 - 16:11


Un bel ginepraio davvero, comunque il sistema di rimandi c'è già, quando metti un link ad un altro autore o ad un'altra canzone, cosa che viene presa in considerazione per presentare le "canzoni correlate". Certo che a rifarlo da zero il database potrebbe essere strutturato diversamente (ad esempio inserendo in campi separati l'anno di composizione, gli album...) ma siccome nessuno di noi ha un vitalizio...

il webmaster - 6/6/2013 - 16:17


Nessuno di noi ha un vitalizio e, inoltre, siamo rimasti gli unici al mondo a non accettare nessuna forma di pubblicità, assieme alla "Settimana Enigmistica". Caro webmaster, comincia a istruire tua figlia sull'uso del sito, qui si andrà a essere transgenerazionali... :-PP

Riccardo Venturi - 6/6/2013 - 16:33




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