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Footsteps

Pearl Jam
Language: English


Pearl Jam

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1992
Jeremy/Footsteps
Jeremy

Nell’ottobre del 2013, Chris Cornell è ospite del Late Night Show di Jimmy Fallon. Nel backstage, il cantante racconta alla telecamera del progetto Temple of the Dog, la band provvisoria che fece da spartiacque tra la fine dei Mother Love Bone e l’inizio dei Pearl Jam. Fa un effetto strano rivedere oggi QUELL’INTERVISTA, e non solo perché Cornell non è più tra noi. Quel filmato, che pare il classico “contenuto extra” scartato perché fuori tema o non di generale interesse, è in realtà una chicca preziosa, perché Cornell ricostruisce per la prima volta la strana genesi di Footsteps/Times Of Trouble, la canzone che visse due volte. Una canzone nata dallo stesso riff di chitarra, ma sviluppata in contemporanea da due gruppi diversi: i Temple Of The Dog e i Pearl Jam. Una canzone, quindi, intrecciata in modo inestricabile con uno dei crocevia della musica americana.

Quella stessa sera, sul palco di Jimmy Fallon, Cornell canterà proprio Footsteps, in compagnia degli Avett Brothers.

I Temple Of The Dog erano nati dall’esigenza di Cornell di scendere a patti con la morte di un amico, Andy Wood dei Mother Love Bone, stroncato dalle conseguenze di un’overdose di eroina nel 1990. Subito dopo il fattaccio, i Soundgarden ripartono per la seconda tranche del tour di Louder Than Love, e Chris, per sublimare il lutto, scrive due canzoni dedicate ad Andy: Say Hallo 2 Heaven e Reach Down. Una volta rientrato a casa, le fa ascoltare all’amico bassista Jeff Ament, rimasto orfano della sua band, appunto, i Mother Love Bone. Ament, colpito da quelle canzoni, aveva proposto a Cornell di farne un intero album, quello che avrebbe poi visto la luce il 16 aprile 1991.

Nello stesso periodo, Stone Gossard, ex chitarrista e fondatore dei Mother Love Bone, dopo mesi di oblio stava finalmente ricominciando a scrivere pezzi e a recuperare vecchi demo lasciati in un cassetto: poco più che riff di chitarra, piccole basi da cui ripartire. A un certo punto gli viene l’idea di dare completezza a quei riff. Allora chiama Mike McCready, ex chitarrista di una metal band di nome Shadow. Quindi, convinto dallo stesso McCready, ricontatta anche Jeff Ament, il suo vecchio compagno di band con cui, ultimamente, l’amicizia si era un po’ affievolita. A completare la formazione in queste incisioni, alla batteria, sarebbero entrati Matt Cameron dei Soundgarden e Chris Friel. Nell’agosto del 1990, tutti insieme vanno ai Reciprocal Studios di Seattle per incidere dodici pezzi strumentali. Cinque di questi sarebbero finiti su un demo (poi conosciuto come The Gossman Project) che Gossard e Ament avrebbero portato a Los Angeles, dove i due erano andati alla ricerca di un cantante e un batterista. Fortuna vuole che, sulla loro strada, si materializzasse Jack Irons, ex Red Hot Chili Peppers. Gossard e Ament l’avrebbero voluto come batterista, ma lui aveva appena accettato di andare in tour con i Redd Kross. Irons però fa di meglio: spedisce quel demo a La Mesa, contea di San Diego. Era sicuro che, su quelle canzoni, l’unica voce che calzasse a pennello fosse quella di Eddie Vedder, un ragazzo che cantava in una piccola band di nome Bad Radio e che, per unire il pranzo con la cena, faceva la security in un hotel e lavorava part-time in una stazione di servizio. Quando ascolta per la prima volta quella cassetta, Eddie istintivamente si tuffa in mare con la tavola da surf, e, dopo circa un’ora, corre a casa della sua fidanzata, e butta giù delle parole da cantare su quei pezzi strumentali.

Pochi giorni dopo, Eddie è già su un volo diretto a Seattle per incontrare Stone e Jeff. Era il 23 ottobre del 1990. Ai London Bridge Studios si accavallano due sessioni di registrazione epocali di due band diverse, che per caso condividono gran parte della line-up in comune: da un lato i Temple Of The Dog, dall’altro i Mookie Blaylock, i futuri Pearl Jam, ora con Dave Krusen alla batteria. Da una parte Chris Cornell, dall’altra Eddie, the new kid in town. Durante uno di quegli incroci, il ragazzo da San Diego se ne sta seduto in un angolo a osservare Cornell mentre prova un pezzo dal titolo Hunger Strike. Notando le difficoltà del cantante nel passaggio del ritornello dal tono più alto a quello più basso, Eddie si permette di intervenire, cantando la strofa più bassa, e lasciando – naturalmente – tutti di stucco. In quella canzone doveva esserci anche la sua voce, capisce subito Chris.

Ma è Times Of Trouble ad avere il destino più curioso. Nella versione dei Temple Of The Dog, incisa per il primo e unico omonimo album della band, Gossard è alla chitarra elettrica, McCready in acustico; la batteria di Chris Friel e il basso di Ament sono in perfetta simbiosi, e il tutto è accompagnato dal pianoforte. Voce e parole sono di Cornell, e il testo è chiaramente riferito ad Andy Wood (When the spoon is hot/ and the needle’s sharp”, “Don’t try to do it/Don’t try to kill your time”).



Ma quella stessa canzone finisce anche nel demo che Vedder aveva rispedito a Seattle, dopo aver inciso la sua voce sulle strumentali di Gossard e Ament. Si tratta del demo poi ribattezzato Momma-Son, contenente tre canzoni: Dollar Short, che nella nuova versione s’intitolava Alive; Agytian Crave, che ora si chiamava Once; e proprio Times Of Trouble, che, dopo il trattamento Vedder,era diventata Footsteps. Non è più una canzone per Andy, a questo punto, bensì il terzo episodio di una mini-trilogia: uno straziante blues carcerario che Eddie stesso avrebbe descritto come «ambientato in prigione, mentre si attende una sentenza di morte». La canzone non passerà la selezione per Ten, ma sarà utilizzata come b-side del singolo Jeremy. Anni più tardi, dopo essere già diventato un piccolo classico dei live, il pezzo finirà nella raccolta Lost Dogs.

L’album dei Temple Of The Dog sarebbe stato concluso, incisioni e mix compresi, in soli quattordici giorni: e neanche tutti di fila, solo nei week end. Diverso tempo dopo quell’ottobre del 1990, Chris Cornell avrebbe sentito alla radio per la prima volta Footsteps. Gli ricordava qualcosa. Qualcuno gli disse che era una canzone dei Pearl Jam, e lui cadde dalle nuvole. Non sapeva che quel pezzo avesse una doppia identità.
Storie di grandi canzoni: Footsteps dei Pearl Jam di Valeria Sgarella
Don't even think about reaching me.
I won't be home.
Don't even think about stopping by.
Don't think of me at all.

I did what I had to do.
If there was a reason, it was you.

Aaah, don't even think about getting inside
Voices in my head. Ooh, voices.
I got scratches all over my arms.
One for each day since I fell apart.

Ooh, I did, oh, what I had to do.
f there was a reason it was you.

Footsteps in the hall... It was you, you.
Ooh, pictures on my chest...
It was you. It was you...

Ooh, I did a what I had to do.
Oh, and if there was a reason...
Oh, there wasn't no reason. no.
And if there's something you'd like to do.
Oh, just let me continue to blame you.

Footsteps in the hall... It was you, you.
Ooh, pictures on my chest... It was you, you. Oh

Contributed by Dq82 - 2021/4/4 - 18:37



Language: Italian

Traduzione italiana rivista e corretta a partire quella di PJ Online

I passi che risuonano nel corridoio sono quelli del condannato a morte che si dirige all'esecuzione (Dead Man Walkin') o quelli del secondino che viene a prenderlo.

Oggi sono trent'anni dalla pubblicazione di Ten. Questa canzone non faceva parte di Ten, è stata pubblicata come lato B del singolo Jeremy, ma risale allo stesso periodo.
PASSI

Non pensarci nemmeno di venirmi a cercare
Non sarò a casa
Non pensarci nemmeno a farmi visita
Non pensare affatto a me


Ho fatto quello che dovevo fare
E se c'era una ragione, la ragione eri tu

Non pensateci nemmeno ad entrare
Voci che mi risuonano nella testa. Ooh, voci
Ho le braccia piene di graffi
Uno per ogni giorno da quando sono andato a pezzi

Ooh, ho fatto quello che dovevo fare
E se c'era una ragione, la ragione eri tu

Passi nel corridoio, eri tu, tu
Ooh, immagini sul mio petto [1]
Eri tu. Eri tu.

Ooh, ho fatto quello che dovevo fare
Oh, e se c'era una ragione
Oh, non c'era una ragione, no
E se c'è qualcosa che vorresti fare
Oh, lasciami solo continuare a dare la colpa a te

Passi nel corridoio... eri tu, tu
Ohh, immagini sul mio petto... eri tu, tu, oh
[1] potrebbero essere foto che il protagonista in cella si stringe al petto o, più probabilmente, metaforicamente i ricordi di quello che ha fatto (è la terza canzone della trilogia in cui l'assassino aspetta la sua condanna a morte) che pesano sul suo petto, cioè sul suo cuore, sulla sua coscienza. Se vogliamo andare a cercare il secondo significato di chest invece di petto potrebbe essere "scrigno" (certo non cassettone) e il significato sarebbe comunque simile, immagini che rimangono nello scrigno dei suoi ricordi.

Contributed by Lorenzo Masetti - 2021/8/27 - 21:38


Qui "Footsteps" dalla cassetta originale in cui Vedder registrò la voce sopra il demo registrato da McReady, Gossard e Ament per tre canzoni: Alive, Once e Footsteps. Una settimana dopo Vedder era nella band. Incredibile come le canzoni suonino già come nella versione definitiva, specialmente "Alive".

2021/8/27 - 22:18




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