Di trop che o ai cjaminât
No mi visi nancje il respîr
Di che gnove eternitât
Sot forme di pîs.
Pîs doprâs da stagjons
Cence un inizi e cence une fin,
Pîs a forme di omp
Dismenteât al so destin.
Oh mari, ven…
Soi partide di gnot, tal scûr,
Lassânt il vêl poiât tal liet,
i bregons luncs, i cjavei cûrts,
E il plen di pôre in tal cûr.
Ta sachetis alc di mangjâ,
E tal cjâf me mari ca mi dîs:
“La difference tra lâ e scjampâ
a dipent dai tiei pinsîrs”
Oh mari, ven…
No mi visi nancje il respîr
Di che gnove eternitât
Sot forme di pîs.
Pîs doprâs da stagjons
Cence un inizi e cence une fin,
Pîs a forme di omp
Dismenteât al so destin.
Oh mari, ven…
Soi partide di gnot, tal scûr,
Lassânt il vêl poiât tal liet,
i bregons luncs, i cjavei cûrts,
E il plen di pôre in tal cûr.
Ta sachetis alc di mangjâ,
E tal cjâf me mari ca mi dîs:
“La difference tra lâ e scjampâ
a dipent dai tiei pinsîrs”
Oh mari, ven…
Contributed by DQ82 - 2025/11/20 - 21:55
Language: Italian
traduzione italiana da FB
DA QUANTO HO CAMMINATO
Da quanto ho camminato
Non ricordo neanche il respiro
Di quella nuova eternità
Sotto forma di piedi.
Piedi consumati dalle stagioni
senza inizio né fine,
Piedi a forma di uomo
Dimenticato al suo destino.
Oh madre, vieni…
Sono partita nell’oscurità
Lasciando il velo appoggiato al letto,
Pantaloni lunghi, capelli corti
E il cuore gonfio di paura
Nelle tasche qualcosa da mangiare,
E nella testa la mia mamma che mi dice:
“La differenza fra partire e scappare
dipende dai ciò che pensi”.
Oh madre, vieni…
Da quanto ho camminato
Non ricordo neanche il respiro
Di quella nuova eternità
Sotto forma di piedi.
Piedi consumati dalle stagioni
senza inizio né fine,
Piedi a forma di uomo
Dimenticato al suo destino.
Oh madre, vieni…
Sono partita nell’oscurità
Lasciando il velo appoggiato al letto,
Pantaloni lunghi, capelli corti
E il cuore gonfio di paura
Nelle tasche qualcosa da mangiare,
E nella testa la mia mamma che mi dice:
“La differenza fra partire e scappare
dipende dai ciò che pensi”.
Oh madre, vieni…
Contributed by Dq82 - 2025/11/22 - 20:52
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Zohra
Aperto dallo strumentale “Dentri di un furgon”, il disco entra nel vivo con "Di trop che o ai cjaminat", in cui la protagonista racconta la sua condizione di fuggitiva costretta a travestirsi da uomo per sopravvivere, un destino comune a molte donne sole sulla rotta balcanica. La tensione emotiva resta alta con “Clamimi par non” a cui la Coceancig affida un immaginario dialogo con un trafficante di esseri umani, e le struggenti “Cjare mame” e “Rose Sveade d’Unviâr”. Il vertice del disco arriva con “Silos”, brano che premiato con la menzione per il Miglior Testo al Premio Andrea Parodi 2025 e il cui titolo al grande edificio triestino ottocentesco, un tempo deposito di granaglie e poi luogo di accoglienza per profughi istriani, fiumani e dalmati. Oggi, invece, è un simbolo di degrado e disumanizzazione: uno spazio invivibile, privo di pavimenti e servizi, dove chi giunge lungo la rotta balcanica attende il riconoscimento dormendo nel fango, tra ratti e gelo. Coceancig, però, sceglie una strada diversa dalla semplice denuncia. “Silos” è un dialogo immaginario tra Zohra e Maria, la madre di Cristo: una sovrapposizione potente tra l’Occidente cristiano e la realtà che esso produce e tollera. Così, “Zohra” è anche, e forse soprattutto, una riflessione sulla condizione femminile. La protagonista parte solo perché travestita da uomo: un paradosso doloroso che rivela la negazione profonda dell’autonomia femminile. Completano il disco il canto di speranza “La Liende Dal Silveri” giocata su una raffinata melodia in cui spicca l’intreccio tra archi, corde e voci e la villotta tradizionale “A no‘nd è mai stade ploe”. Ad impreziosire il tutto il booklet con traduzioni, note e riflessioni critiche che trasforma il disco in un oggetto narrativo complesso, quasi un’opera aperta. “Zohra” è, dunque, un disco che attraversa e mette in discussione confini fisici, culturali e morali. È un’opera che non consola e non attenua: illumina, espone, interroga. La scrittura di Coceancig, insieme all’impianto musicale e narrativo, costruisce uno dei lavori più solidi, consapevoli e urgenti della stagione italiana. Come la sua protagonista, questo album non chiede permesso. Cammina. E ci costringe a seguirla.
blogfoolk
In “Di trop che o ai cjaminat” (da quanto ho camminato) c’è una frase molto poetica: “Piedi consumati dalle stagioni / senza inizio né fine / piedi a forma di uomo / abbandonato al suo destino”. In questi verso Zohra cerca di raccontare non solo la fatica e il dolore del cammino attraverso la rotta balcanica, ma anche e soprattutto la sua condizione: Zohra si è dovuta travestire da uomo per poter partire (“Soi partide di gnot, tal scûr / Lassânt il vêl poiât tal liet / i bregons luncs / i cjavei cûrts […]”), perchè le donne da sole non possono farlo; possono farlo in quanto figlie, in quanto mogli e in quanto madri, ma non da sole. Tra le pochissime che ci provano, molte sono costrette al travestimento.
nota.it