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L'otto marzo

Dina Boldrini
Lingua: Italiano


Lista delle versioni e commenti


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Pubblicata nel 1973 interpretata dal Trio Emiliano (Marino Piazza con Dina e Adelmo Boldrini)



Testo tratto da "Quello del Cantastorie"

Questa canzone canto
con tanta cordialità
la festa della donna
è l’8 Marzo si sa.
Noi stiamo sempre uniti
in tutto il mondo vogliam
pace, lavoro e libertà
per tutta l’umanità.

È l’Otto Marzo
festeggiamolo insieme così
noi donne unite
vogliam dire ai capi così
mai più guerre
solo pace lavor libertà
i nostri figli
un dì lor diran
in pace coi popoli noi siam.

Perché su questa terra
odio dobbiam crear?
siamo tutti fratelli
noi ci dobbiam amar.
Specie noi buone mamme
sappiamo quale dolor
ci vuol vent’anni
allevar un figliol
carne non più da cannon.

È l’Otto Marzo
festeggiamolo insieme così
noi donne unite
vogliam dire ai capi così
mai più guerre
solo pace lavor libertà.
I nostri figli
Un dì lor diran
in pace coi popoli noi siam

9/6/2021 - 23:14



Lingua: Italiano

Questi i versi iniziali di Vogliam la pace: riecheggiante una suo precedente testo sull’8 marzo, attesta la sua battaglia civile per la pace e l’affermazione della parità di genere

dall'Enciclopedia delle donne
VOGLIAM LA PACE

Questa canzone canto
con tanta cordialità,
un inno alla pace
tutti vogliamo innalzar;
noi siamo tutti uniti,
in tutto il mondo vogliam
pace, lavoro e libertà
per tutta l’umanità.

Vogliam la pace
e cantiamo insieme così
noi tutti uniti
vogliamo dire ai capi così:
mai non più guerre
solo pace, lavoro e libertà,
i nostri figli un dì lor diran
in pace coi popoli siam.

9/6/2021 - 23:41


LIBERTA’ PER LA PRIGIONIERA POLITICA CURDA ZEYNAB JALALIAN




Gianni Sartori




Riproduco interamente l’appello di Amnesty Intarnational per la prigioniera politica curda Zeynab Jalalian, riprendendo anche parte di alcuni dei miei interventi degli anni passati, rimasti, ca va sans dire, inascoltati, ma che possono rendere l’idea di quale calvario abbia subito questa donna curda.




“Zeynab Jalalian, 41 anni, è un’attivista curda iraniana che si batte per l’emancipazione delle donne e delle ragazze della sua minoranza oppressa. A causa delle sue attività sociali e politiche è detenuta ingiustamente già da 15 anni. Sta scontando l’ergastolo nella prigione di Yazd, nell’omonima provincia, a 1400 km dalla sua famiglia, residente nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, il che rende estremamente difficili le visite dei suoi anziani genitori. È stata ripetutamente sottoposta a torture e maltrattamenti.




È in carcere dal marzo 2008, quando è stata arbitrariamente arrestata da agenti della sicurezza. Giudicata colpevole del reato di “inimicizia contro Dio” (moharebeh) e condannata a morte in relazione alle sue attività nell’ala politica del Partito per la vita libera del Kurdistan (Pjak), un’organizzazione armata. Le sue attività riguardavano l’emancipazione delle donne curde e l’autodeterminazione dei curdi. Nel dicembre 2011, a seguito di un provvedimento di clemenza della Guida suprema, la sua condanna a morte è stata commutata in ergastolo.




Zeynab Jalalian è una delle donne detenute da più tempo per motivi politici e deve essere scarcerata immediatamente”.




Nel novembre 2020 scrivevo “Non dico che l’abbiano creato e fatto circolare appositamente, ma sicuramente il Covid-19 si sta rivelando alquanto funzionale al potere(…)




nell’eliminazione fisica dei soggetti “non produttivi” (…), delle minoranze comunque scomode (…) e ovviamente dei prigionieri politici. Emblematico che in Turchia siano stati rimessi in libertà (anche se provvisoria) fior fiore di delinquenti mentre rimanevano in galera i militanti curdi e della sinistra rivoluzionaria turca”.




Citando come caso esemplare proprio quello della ella prigioniera politica curda Zeynab Jalalian di cui mi ero già occupato qualche mese prima in occasione del suo sciopero della fame (estate 2020) per essere riportata nella prigione di Khoy.

Il 10 ottobre 2020,malata appunto di Covid19, erastata trasferita dalla sezione femminile della prigione di Kermashan alla prigione di Yazd. In soli sei mesi questo era il quarto suo trasferimento.

Militante per i diritti delle donne, Zeynab Jalalian veniva arrestata nel 2008, stata duramente picchiata dai militari che l’avevano catturata sulla strada tra Kermanshah e Sanandaj.

Nel gennaio 2009 era stata condannata a morte dal tribunale “rivoluzionario” di Kermanshah (un processo durato pochi minuti, senza prove sostanziali nei suoi confronti) per presunta appartenenza al PJAK (Partiya Jiyana Azad a Kurdistane – Partito per una vita libera in Kurdistan), accusa da lei sempre rigettata. Tra l’altro, stando alle sue dichiarazioni, sarebbe stata ripetutamente torturata proprio come ritorsione per il suo rifiuto di autoaccusarsi pubblicamente di appartenenza al PJAK.

Due anni dopo la sua pena venne convertita in ergastolo dalla corte d’appello, presumibilmente anche per le proteste internazionali.

Dell’ennesimo trasferimento era riuscita a informare i familiari nel corso di una brevissima telefonata – due minuti – durante la quale li informava di essere stata nuovamente minacciata di torture.

Prima di Kermanshah, per circa tre mesi era stata rinchiusa in un carcere a oltre mille chilometri di distanza da dove vivono i suoi parenti. Con tutte le immaginabili difficoltà per poterla visitare. Prima ancora, fino all’aprile 2020, si trovava nella prigione di Qarchak a Varamin, non lontano da Teheran e a Khoy.

Nel corso di tali trasferimenti era stata contagiata dal virus e – a causa delle catene – aveva riportato ferite ai polsi e alle caviglie. Ferite che – non essendo mai state curate – le stavano causando infezioni e acute sofferenze.

All’epoca soffriva di gravi infezioni, di problemi renali e stava perdendo la vista. Oggettivamente un soggetto a rischio in quanto il Covid19 risulta particolarmente pericoloso per la vita delle persone già colpite da altre patologie.

Tuttavia le autorità carcerarie iraniane rifiutavano qualsiasi visita specialistica così come non consentivano che potesse venir curata fuori dal carcere.

In compenso, come ad altri prigionieri politici, le veniva offerta la possibilità di un pubblico pentimento (alla televisione). In cambio, forse, di cure più adeguate.

Qualche mese dopo, nel febbraio 2021, raccoglievo altre informazioni che confermavano quanto temevo. Ossia che loStato iraniano di fatto applicava nei confronti di Zeynab una subdola forma di tortura. Venivano sistematicamente rifiutate quelle cure indispensabili che avrebbero potuto lenire le sue soffernze, contenere perlomeno i sintomi delle varie patologie croniche da cui è affetta. Sempre ricattandola con la possibilità – peraltro ipotetica – di ottenerle in cambio di una pubblica confessione (di quali colpe non è ben chiaro) alla televisione. In sostanza veniva ulteriormente punita per essersi rifiutata di fare “autocritica”, esprimendo pentimento per la sua passata militanza politica, e di collaborare con i servizi segreti.

La politica repressiva nei confronti di Zeynab si era mantenuta inalterata nel tempo, anche dopo che aveva contratto il coronavirus e che gli esami medici avevano confermatola presenza di inquietanti macchie scure nei suoi polmoni.

Inoltre, come già detto,le veniva regolarmenterifiutato il trasferimento in una prigione più vicina al domicilio della famiglia (a sua volta sottoposta a ritorsioni e rappresaglie) nella provincia dell’Azerbaijan iraniano.

Dopo uno sciopero della fame veniva nuovamente trasferita in una prigione della provincia di Kerman, in completo isolamento per tre mesi e senza possibilità di contatti con i familiari.

Già allora in un comunicato, Amnesty International denunciava che “questo rifiuto intenzionale delle cure mediche le sta causando forti dolori, in quanto già sofferente di gravi problemi di salute, tra cui difficoltà respiratorie come conseguenza del Covid-19”. Per cui l’organizzazione umanitaria ne richiedeva l’immediata scarcerazione.




Sul caso era intervenuto nel 2016 anche il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite che si occupa delle detenzioni arbitrarie. Sostenendo che “anche qualora le attività di Zeynab Jalalian avessero goduto del sostegno del PJAK, non esiste alcuna prova che lei sia mai stata coinvolta, direttamente o indirettamente, nel braccio militare del PJAK”.



Si arrivava così al dicembre 2021 quando ormai da mesi
non si avevano più notizie certe in merito alla sua situazione sanitaria. Le vaghe informazioni filtrate dal carcere sembravano confermare il progressivo deterioramento della sua salute e i ripetuti, punitivi, ulteriori trasferimenti da un carcere all’altro. Alla fine del 2021 pareva fosse stata trasferita dal carcere di Yazd a quello di Kirmaşan per poi tornare a Yazd.
Da parte sei familiari e di alcune organizzazioni umanitarie la richiestaalmeno di una visita per potersi rendere conto di persona della situazione.

Scoppiava intanto la ribellione di massa del 2022 per la morte di Jina Amini (ostinatamente ricordata sui media con il solo nome persiano – imposto d’ufficio – di Masha). Apparve con chiarezza evidente quale fosse la reale situazione delle donne in Iran e di quelle curde in particolare. Anche se la cosa non avrebbe dovuto apparire come una novità

(v. http://uikionlus.org/donne-e-curdi-le-...).




In questo contesto, nelle manifestazioni di piazza, negli appelli…) il nome di Zeynab Jalalian è stato spesso evocato, ricordato. Finora purtroppo senza grandi risultati. La prigionerà curda rimane in carcere e le notizie sul suo stato di salute (sempre più deteriorato) non sono certo incoraggianti.
Doveroso quindi firmare l’appello di Amnesty International per la sua scarcerazione. Immediata.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 8/3/2023 - 18:19


LIBERTA' PER  ZEYNAB JALALIAN

Gianni Sartori

Da anni una coraggiosa donna curda subisce violenze fisiche e psicologiche nelle carceri iraniane. Per la sua scarcerazione, oltre a Amnesty International, è intervenuta la deputata Cansu Özdemir




La deputata di Amburgo Cansu Özdemir (di sinistra) ha aspramente condannato il trattamento a cui - da anni ormai - viene sottoposta la prigioniera politica curda Zeynab Jalalian (detenuta a Yazd in Iran) chiedendone l’immediata scarcerazione (richiesta più volte avanzata anche da Amnesty International).

Secondo l’agenzia curda Kurdpa, in diverse occasioni sarebbe stata sottoposta a maltrattamenti e torture (stando alle informazioni fuoriuscite dalle carceri da parte di altri prigionieri politici).





Recentemente Zeynab (41 anni, da 16 in prigione) era stata ricattata affinché “confessasse”(davanti a una telecamera della televisione statale) reati inesistenti e mostrasse “pentimento” per poter accedere alle indispensabili cure mediche che le vengono regolarmente negate.

In sostanza le veniva chiesto di collaborare con il regime di Teheran.

Anche nell’ultima settimana sarebbe stata maltrattata da un funzionario del Ministero della Sanità iraniano durante l’ennesimo interrogatorio.

 Nonostante la costante pressione psicologica e i maltrattamenti subiti, la donna avrebbe rigettato l’offerta in quanto “non ho nulla di cui pentirmi”.

Già in precedenza esponenti dei Servizi segreti iraniani avevano tentato di estorcerle una “confessione” in cambio del trasferimento in un carcere meno lontano da Maku dove vivono i suoi familiari ( a loro  volta sottoposti a minacce e repressione).

Condannata a morte nel 2009 per “inimicizia nei confronti di Dio” in quanto appartenente al PJAK (Partiya Jiyana Azad a Kurdistanê), la sua pena venne successivamente mutata in ergastolo.



Come già denunciato*, Zeynab è gravemente ammalata. Soffre in particolare di problemi respirator (anche per i continui trasferimenti, oltre che per la mancanza di cure adeguate. Con danni polmonari permanenti, oltre alla rottura di polsi e  caviglie (sempre, presumibilmente, per la brutalità di interrogatori e trasferimenti).

Più recentemente le sue condizioni si sono aggravate con problemi cardiaci, intestinali e renali. A causa dei colpi subiti alla testa la sua vista è molto peggiorata .

Gianni Sartori

nota 1: https://www.rivistaetnie.com/continua-...

Gianni Sartori - 7/12/2023 - 19:45




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