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Ritmo delle scolte modenesi [O tu qui servas armis ista moenia]

anonimo
Lingua: Latino


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1. La Reverdie, Bestiarium, 1996


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[IX Secolo / 9th Century]



I brani musicali altomedievali di cui sia pervenuta la notazione originale sono, comprensibilmente, pochissimi; si conteranno sulle dita di due mani, se non proprio di una. Tra questi, il Ritmo delle scolte modenesi, indicato sovente con il suo primo verso, O tu qui servas armis ista moenia (“Tu, che in armi difendi queste mura”) è tra i più antichi e noti. Si tratta di un'anonima composizione lirica in latino risalente agli ultimi anni del IX secolo, scritta per incoraggiare le sentinelle (scolte) che montavano di guardia sulle mura, appena costruite, della città di Modena.

Premesso che la notazione neumatica di un brano di una tale antichità presenta notevoli difficoltà di interpretazione, stemperate un po' dal carattere della musica dell'epoca, standardizzata in elementari e ben conosciuti canoni, occorre dire che l'anonimo poemetto messo in musica è letterariamente assai notevole, e che fa peraltro a pezzi il diffuso luogo comune che, nei cosiddetti e lontanissimi “anni bui” dell'alto Medioevo fosse andata del tutto perduta ogni reminiscenza e influenza della cultura e della poesia classica. Si tratta infatti di una composizione che mostra una decisa influenza della poesia virgiliana e classica in generale, redatta in un latino relativamente raffinato e, comunque, lontanissimo sia dalla barbarie dei documenti giuridici e notarili dell'epoca, sia dal latino ecclesiastico e monastico, lingua d'uso e letteraria del periodo. Il testo presenta comunque diverse interpolazioni (vv. 11-16, 25-26, 30-34).

Considerato un vero e proprio gioiello della poesia latina altomedievale, il Ritmo delle scolte modenesi fu rinvenuto alla luce nella Cattedrale di Modena, in un codice miscellaneo del secolo XI attualmente denominato Isidori Mercatoris Decretalium Collectio (Biblioteca Capitolare di Modena, Ord. I, n° 4). Lo scopritore fu Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), vignolese di nascita, il grande erudito settecentesco considerato dai più come il padre della storiografia italiana. Il Muratori pubblicò il Ritmo dapprima nelle Antiquitates Italicae Medii Aevi, facendolo risalire all'anno 924. Il filologo berlinese Ludwig Traube (1861-1907) lo pubblicò in seguito nei Monumenta Germaniae Historica tra i componimenti dell'età Carolingia; il Traube fu il primo a spostare indietro la presunta composizione del carme, vale a dire al biennio 899-900, anni in cui Modena riuscì a resistere alle incursioni ungariche grazie alle sue forti mura, alla vigilanza del suo corpo di scolte e all'intercessione del santo patrono della città, san Geminiano.

Del canto ebbe ad occuparsi diffusamente, in tempi più recenti il grande filologo e critico letterario Aurelio Roncaglia (1917-2001, modenese di nascita e figlio del musicologo Gino Roncaglia) -Il “canto delle scolte modenesi”, 1948, in “Cultura Neolatina, 8, pp. 5-46, 205-222-; basandosi sulla datazione del codice di rinvenimento, alcuni filologi, tra cui Edelestand Pontas du Méril (1801-1871) e Domenico Comparetti (1835-1927), vollero collocare la composizione nel X secolo (ca. 924-934), concordando quindi con la primitiva datazione del Muratori; Aurelio Roncaglia e il latinista americano Peter Godman concordando invece con il Traube e lo collocano decisamente nel IX. Anche Roncaglia e Godman, però, convengono che il testo contenga diversi inserimenti posteriori. Peter Godman (Latin Poetry of the Carolingian Renaissance, 1985, Norman, University of Oklahoma Press) definì la composizione di una “bellezza incantevole”; sempre che se ne nutra passione, o che semplicemente s'apprezzi quel che rimane della musica e dei canti di quelle lontane epoche, ritengo che altro non si possa che esser d'accordo con lui, sebbene -come già accennato- la struttura melodica del canto non presenti niente di assolutamente originale (cosa d'altronde impossibile data la sua natura di canto liturgico). La salmodia liturgica respingeva di per sé ogni pretesa d'arte: altro non era che mezzo di preghiera, linguaggio collettivo di recitazione e lettura. La bellezza del canto deriva in gran parte dalle nostre moderne e legittime suggestioni di fronte alla musica di un'epoca tanto remota e premonodica.

Ma che cos'è esattamente il Ritmo delle scolte modenesi? Un canto religioso o un canto di soldati? Sicuramente entrambe le cose. L'accademico e filologo cremonese Francesco Novati (1859-1915), che fu allievo di Alessandro D'Ancona (1835-1914) e le cui interpretazioni, di conseguenza, risentivano del clima tardoromantico dell'epoca, affermò che il canto doveva essere stato scritto da un monaco, all'interno della sua cella, ascoltando l'eco delle cantilene delle guardie di ronda sulle mura di Modena. Tale interpretazione romantica è stata naturalmente superata (anche perché basata su purissime congetture e suggestioni); è, anzi, verosimile che l'origine del canto risalga a modelli esattamente contrari. I canti delle scolte, secondo Alfred Jeanroy (1859-1953, in Les origines de la poésie lyrique en France au Moyen Âge, Honoré Champion, Paris, 1904), trovavano fin dai secoli precedenti i loro modelli nei canti religiosi, ed in particolare nei canti e negli inni mattutini. Dovette, afferma il Jeanroy, avvenire anche una sorta di contaminazione con le aubades, i canti della separazione degli amanti all'alba; talché i canti di scolta sarebbero il risultato di una fusione tra canti religiosi e canti decisamente profani. Che però, nel nostro canto modenese, tale fusione sia avvenuta per mano assai colta, è innegabile. Dell'influenza virgiliana e classica si è già detto, ed anche delle sue caratteristiche linguistiche; ma il testo presenta anche un uso assai sapiente della metrica classica, quantitativa, che s'incontra necessariamente con quella oramai accentuativa essendo andata perduta all'epoca ogni traccia della quantità sillabica. Il testo risulta quindi essere in trimetri giambici classici, ma corrispondenti ad un quinario piano unito a un senario sdrucciolo. Comunque la si metta, un'opera coltissima che del “buio” affibbiato all'alto Medioevo dal (tardo) romanticismo ha assai poco.

Ciononostante, a mio parere, dal Ritmo delle scolte modenesi promana comunque un senso di paura e di affidarsi alla protezione divina contro orde minacciose e barbariche. Accettando come epoca della composizione gli ultimi anni del IX secolo, gli avvenimenti dell'epoca lo giustificano; proprio in quegli anni, tra le altre cose, le mura di Modena -città di pianura- erano state edificate e rinforzate proprio per far fronte alla minaccia delle scorrerie Magiare, e negli stessi manoscritti contenenti il canto delle scolte sono conservate preghiere di supplica per la salvezza dalle razzie ungariche. Nel canto rientrano quindi sia la tradizione ecclesiastica delle veglie liturgiche, sia quella militare delle cosiddette vigiliae murorum (cioè, le sentinelle). Prima che gli uomini fossero inviate ai pericolosissimi turni di guardia notturni, era consuetudine celebrare delle messe; quindi non è improbabile che il canto sia stato composto proprio come canto liturgico nonostante la sua più che possibile derivazione, o contaminazione, profana.

Il contesto storico del canto appare da diversi particolari presenti nel testo. Il poeta, ad esempio, invoca la benedizione di Cristo, della Vergine e di San Giovanni Evangelista, che pone precisamente gli eventi a Modena. Una cappella dedicata a Santa Maria e San Giovanni Evangelista era stata consacrata in città il 26 luglio 881; le mura di Modena, antichissima città di origine etrusca che proprio in quel periodo si stava riaggregando attorno alla sede vescovile dopo il suo pressoché totale abbandono tra il V e il VII secolo (dovuto alle disastrose inondazioni dei fiumi Secchia e Panaro), erano state fatte costruire e rinforzare dal vescovo longobardo Leodoino, ed erano state consacrate nell'anno 891. La cappella di Santa Maria e San Giovanni Evangelista si trovava esattamente accanto ad una porta cittadina, dove probabilmente le scolte si radunavano e si univano ai religiosi nel canto di tale inno. Il poeta cita due episodi dell'antichità classica per incoraggiare le guardie: la guerra di Troia, e come la città si salvò mentre Ettore montava di guardia, ed il celeberrimo episodio delle sacre oche del Campidoglio che avevano difeso Roma dai Galli (episodio riportato da Virgilio e da Servio). I versi 11 e 12 del canto sembrano essere un'invenzione dell'autore basata probabilmente sulla lettura di Servio eseguita da Isidoro di Siviglia, che ne copiò e tramandò l'opera.

Il testo, come detto, contiene numerose interpolazioni, aggiunte e correzioni. Dopo la parola finale Romulea del verso 10 si legge scritto, con differente mano: Eius clangore Marcus consul Manlius / Excitus primus vir bello egregius, due versi ai quali il medesimo amanuense aggiunge in fondo al foglio altri quattro versi conseguenti. Alla stessa mano si deve la parola greca teothocos (per il corretto theotocos, Θεοτόκος, madre di Dio, la Madonna; un termine tipicamente bizantino), scritta nel corpo del testo principale sopra un rasura. Accanto al verso 22, una terza mano aggiunge un richiamo a due fogli seguenti, sui quali si trovano alcuni versi inneggianti alla protezione e alla difesa dagli Ungari. Si tratta palesemente di versi scritti per farne un'aggiunta all'inno delle scolte. Di tutte queste interpolazioni e aggiunte testuali si è voluto qui rendere conto aggiungendole con differente indentatura al testo principale, laddove presenti; si tratta di aggiunte che formano il carattere del canto e che ne precisano il contesto storico del periodo.

L'aggiunta più interessante, come detto, è quella relativa all'invocazione al santo patrono di Modena, San Geminiano, figura storica e vescovo di Modena (312-397). Secondo una leggenda sviluppatasi circa una cinquantina d'anni dopo la sua morte, San Geminiano avrebbe infatti salvato la città dall'invasione degli Unni di Attila, avvolgendo Modena in una fitta coltre di nebbia che avrebbe impedito ai barbari di vedere la città, e inducendoli a passare oltre. Storicamente, però, non risulta che Attila sia mai sceso a sud del Po. Dopo avere espugnato e distrutto Aquileia il 18 luglio 452, il re Unno si diresse verso il Po e, seguendone la riva settentrionale, arrivò fino a Pavia e Milano, saccheggiandole. Al termine dell'estate del 452 le forze Unne si erano spostate verso Mantova; fu proprio presso il fiume Mincio che Attila ricevette la famosa ambasceria dell'imperatore Valentiniano III, guidata dal papa Leone Magno in persona. Modena e Parma non furono mai “visitate” da Attila, ma le leggende fiorirono comunque. A Parma, il ponte più meridionale sulla Parma, situato fuori dalle mura, si chiama fin dal XIII secolo Ponte Dàttaro, denominazione derivata da Pons Attilae “Ponte di Attila”. Si tratta evidentemente di una delle diverse tracce lasciate nei toponimi dal passaggio successivo degli Ungari, identificati con gli Unni, che rinverdirono la fama del “Flagello di Dio”. Anche nel Ritmo delle scolte modenesi, la rievocazione di Attila serve ad introdurre la menzione degli Ungari.

Una delle incursioni ungariche, come già accennato, avvenne proprio nel territorio modenese, ed emiliano in genere, proprio tra l'899 e il 900. In seguito all'incoronazione imperiale di Arnolfo di Carinzia, re dei Franchi Orientali (21 febbraio 896), costui strinse un'alleanza ancor più fattiva con gli Ungari, con cui già dall'892 aveva stipulato un patto contro le popolazioni della Moravia. Il principato Moravo fu annientato dagli Ungari; sul suo territorio fu creata una zona di confine, corrispondente all'Austria di oggi. In seguito a ciò, gli Ungari si resero conto della ricchezza dei territori occidentali, e decisero di farne preda e bottino.

Nell'anno 899, vale a dire solo tre anni dopo l' “Occupazione della Patria” nell'896, la honfoglalás dell'odierna Ungheria, gli Ungari accolsero ben volentieri la nuova richiesta di aiuto di Arnolfo di Carinzia, che dopo essere stato incoronato a Roma doveva regolare i conti col suo avversario, Berengario I. Nella primavera dell'899 arrivò quindi nella Pianura Padana un esercito di cinquemila cavalieri Ungari che cominciò a devastare e a saccheggiare la regione, lasciando letteralmente terra bruciata. Berengario, avendo subito un'autentica disfatta presso la Brenta (la Battaglia della Brenta avvenuta il 24 settembre 899), si era rinchiuso dentro Pavia coi resti del suo esercito cristiano e italico, virtualmente dissolto. Le popolazioni rimasero indifese contro le scorrerie ungariche. Verso la metà del mese di dicembre morì l'imperatore Arnolfo di Carinzia, proprio mentre gli Ungari passavano il Po presso Pavia (nel luogo chiamato proprio da loro Popula Pagana). Procedendo sulla riva destra, gli Ungari arrivarono sotto le mura di Piacenza, di cui saccheggiarono i sobborghi senza entrare in città, salvata dalla sua cinta muraria. Gli Ungari presero poi la Via Emilia dirigendosi verso Parma, anch'essa risparmiata grazie alle sue mura. Reggio Emilia subì invece una bruttissima fine ; rimase ucciso anche il vescovo Azzone. Gli Ungari arrivarono sotto Modena probabilmente alla fine di gennaio dell'anno 900.

La Leggenda di San Geminiano è qui l'unica fonte storica di questo episodio, ed è a tale riguardo assai poco eroica. Racconta infatti che, all'arrivo delle orde ungatiche, il vescovo Leodoino, il suo clero e tutti i fedeli, comprese le famose scolte incoraggiate nel Ritmo, se la diedero letteralmente a gambe abbandonando al proprio destino sia la chiesa in cui era sepolto San Geminiano, sia gran parte del tesoro della chiesa. A questo punto, prosegue la leggenda, gli Ungari sarebbero rimasti per qualche ora nella città deserta; entrati nella chiesa di San Geminiano, avrebbero poi lasciato la città senza torcere un capello a nessuno, grazie all'intercessione del Santo.

La leggenda agiografica, naturalmente, tende a glorificare l'opera miracolosa del Santo a scapito delle bassezze umane (un tratto presente nel canto, nel quale si dice che le sventure sarebbero meritate). In realtà ci si può ragionevolmente chiedere a che cosa dovessero allora servire le possenti mura fatte erigere dal vescovo Leodoino, se i barbari entrarono tanto facilmente e senza combattere; e a che cosa servissero proprio le scolte modenesi che vigilavano dall'alto delle mura implorando contro gli Ungari la protezione di San Geminiano, fuggite assieme alla popolazione senza nemmeno prendere le sacre reliquie del santo e tutto il tesoro della chiesa. Storicamente sembra assai più corretto ipotizzare che, invece, le mura di Modena assolsero bene al loro compito protettivo, come quelle di Piacenza e di Parma. La narrazione leggendaria è stata però comunemente e tradizionalmente accettata. Un fatto assolutamente storico è che però gli Ungari assalirono il contado modenese e, soprattutto, l'abbazia di Nonantola, uno dei più importanti monasteri dell'Italia settentrionale; l'abate Leopardo si salvò fuggendo, ma la maggior parte dei monaci trovò una morte orribile e l'edificio fu dato alle fiamme, assieme alla preziosa biblioteca.

In epoca moderna, il Ritmo delle scolte modenesi fu studiato per la prima volta in modo diffuso, e pubblicato a stampa, soltanto nel 1909 dal grande filologo e romanista Giulio Bertoni, anch'egli modenese (1878-1942) nell'opera: Il “ritmo delle scolte modenesi”, Modena, G. T. Vincenzi e Nipoti. L'opera fondamentale di Aurelio Roncaglia, Il canto delle scolte modenesi, fu pubblicata in volume nel 1948 dalla STEM, la Società Tipografica Editoriale Modenese poi fusasi con la casa editrice Mucchi. A due anni dopo (1950) risale lo studio musicologico di Giuseppe Vecchi, Il canto delle scolte modenesi: la notazione musicale, pubblicato dalla medesima STEM e dedicato all'interpretazione ed alla resa della notazione neumatica del canto presente nel manoscritto. Un breve accenno al canto si trova anche nella Breve storia della musica di Massimo Mila (edizione originale: Milano, Bianchi-Giovini, 1946; poi nella PBE Einaudi, 1a ed. Torino 1963, p. 30). Il grande e severo musicologo antifascista inserisce il Ritmo delle scolte modenesi nel capitoletto dedicato alla “Canzone profana in latino” nell'Alto Medioevo, rimarcando la scarsissima sopravvivenza di tali canzoni in lingua latina. Del canto, Massimo Mila nota il nobilissimo aspetto letterario, ma anche l'intonazione melodica assolutamente embrionale. Si tratta ovviamente della necessaria considerazione di un musicologo rispetto all'aspetto melodico di un canto risalente ad un'epoca tanto lontana.

Del Ritmo delle scolte modenesi si conoscono due incisioni moderne: La prima è quella dell'ensemble polifonico italiano La Reverdie, pubblicato nell'album Bestiarium nel 1996. Il canto è qui affidato a voci femminili. La seconda è quella del gruppo francese Skarazula, pubblicata nel 2012 nell'album Samhain. Entrambe le versioni presentano un testo notevolmente abbreviato, una cernita dei 36 versi del testo originale e delle interpolazioni: da segnalare però che entrambe presentano quattro versi dall'interpolazione relativa alle razzie Ungare, percepita evidentemente come il carattere fondamentale del canto. [RV]


1 O tu qui servas armis ista moenia,
2 Noli dormire, moneo, sed vigila!

3 Dum Haector vigil extitit in Troia,
4 Non eam cepit fraudulenta Gretia.

5 Prima quiete dormiente Troia
6 Laxavit Synon fallax claustra perfida.

7 Per funem lapsa ocultata agmina
8 Invadunt urbem et incendunt Pergama.

9 Vigili voce avis anser candida
10 Fugavit Gallos ex arce Romulea.

Eius clangore Marcus consul Manlius
Excitus primus vir bello egregius

Umbone gallum iam in summo positum
Ictum in preceps deturbat miserrimum.

Avis haec vigil salus viri plurima
Capitolinis, sed Gallis nequissima.

11 Pro qua virtute facta est argentea
12 Et a Romanis adorata ut dea.

13 Nos adoremus caelsa Christi numina:
14 Illi canora demus nostra iubila,

15 Illius magna fisi sub custodia,
16 Haec vigilantes iubilemus carmina:

17 Divina mundi, rex Christe, custodia,
18 Sub tua serva haec castra vigilia.

19 Tu murus tuis sis inexpugnabilis,
20 Sis inimicis hostis tu terribilis.

21 Te vigilante nulla nocet fortia,
22 Qui cuncta fugas procul arma bellica.

Confessor Christi, pie Dei famule,
Geminiane, exorando supplica,

Ut hoc flagellum, quod meremur miseri,
Celorum regis evadamus gratia.

Nam doctus eras Attile temporibus
Portas pandendo liberare subditos.

Nunc te rogamus, licet servi pessimi,
Ab Ungerorum nos defendas iaculis.

Patroni summi exorate iugiter
Servis puris implorantes Dominum.

23 Tu cinge nostra haec, Christe, munimina,
24 Defendens ea tua forti lancea.

25 Sancta Maria, mater Christi splendida,
26 Haec, cum Iohanne, teothocos, impetra,

27 Quorum hic sancta venerantur pignora
28 Et quibus ista sunt sacrata numina.

29 Quo duce, victrix est in bello dextera
30 Et sine ipso nihil valent iacula. –

31 Fortis iuventus, virtus audax bellica,
32 vestra per muros audiantur carmina,

33 Et sit in armis alterna vigilia,
34 Ne fraus hostilis haec invadat moenia.

35 Resultet haecco comes: – eia, vigila! –,
36 Per muros: – eia, – dicat haecco – vigila!»

inviata da Riccardo Venturi - 24/5/2021 - 20:35




Lingua: Italiano

In Italicum sermonem vertit / Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös: Riccardo Venturi, 24/25-5-2021

Ritmo delle scolte modenesi
O tu che in armi difendi queste mura

1 O tu che in armi difendi queste mura,
2 Tu non dormire, mi raccomando, ma vigila.

3 Fino a che Ettore stette vigile in Troia
4 Non poté espugnarla la Grecia sleale.

5 Non appena Troia s'abbandonò al primo sonno,
6 Sinone, l'imbroglione, sbloccò il perfido nascondiglio.

7 I soldati che vi eran celati, calati da una fune,
8 La città invadono e danno alle fiamme Pergamo.

9 Con voce vigilante, un'oca candida
10 Scacciò via i Galli dall'arce Romulea.

Al suo starnazzo, primo si destò il console
Marco Manlio, uomo di gran virtù bellica

E coll'ombone dello scudo colpì a capofitto
Un miserabile Gallo che aveva raggiunto la sommità.

Per i Capitolini quell'oca fu la salvezza,
Ma per i Galli fu una terribile rovina.

11 Per la sua fedeltà le fu eretto un simulacro argenteo
12 E i Romani la adorarono come dea.

13 Noi adoriamo Cristo come Dio altissimo
14 Ed a lui eleviamo il nostro giubilo in forma di canto,

15 Al riparo sotto la sua grande custodia
16 Giubiliamo cantando mentre montiamo la guardia :

17 Cristo Re, divino custode del mondo,
18 Sotto la tua protezione prendi questa città.

19 Sii per chi ti è fedele muraglia inespugnabile,
20 Sii per i nemici un nemico terribile.

21 Se tu farai da guardia, nessuna forza potrà nuocerci,
22 Tu che da lassù metti in fuga tutte le armi guerriere.

Confessore di Cristo, devoto servo di Dio,
Tu, Geminiano, supplica con le tue preghiere

Affinché a questo flagello, che pur meritiamo miseri,
Possiamo scampare grazie al Re del Cielo.

Infatti fosti capace, già ai tempi di Attila,
Di spalancar le porte e liberare i sudditi.

Adesso ti imploriamo, sebbene servi pessimi,
Che tu ci difenda dai dardi degli Ungari.

Supplicate sempre i puri servi di Dio
Implorando grazie al Signore.

23 Tu cingi, Cristo, questi nostri baluardi,
24 E difendile con la tua forte lancia.

25 Santa Maria, fulgida madre di Cristo,
26 Tu, Madre di Dio, implora queste cose, e con te Giovanni,

27 Voi, le cui sacre reliquie si venerano in questa città
28 E a cui sono consacrate queste immagini.

29 Sotto la Sua guida, la destra in guerra è invitta,
30 Senza di Lui, inutili sono i dardi.

31 Gioventù forte, ardita e audace in guerra,
32 Si odano i tuoi canti per le mura.

33 Vigilate in armi turno dopo turno,
34 Affinché l'orda nemica non penetri dentro queste mura.

35 Risuoni il grido di guardia: Forza, vigila ! -
36 E per le mura se n'oda l'eco: Forza, vigila!

25/5/2021 - 23:13




Lingua: Inglese

In Anglicum sermonem vertit / Versione inglese / English version / Version anglaise / Englanninkielinen versio: A. Z. Foreman


Note. The version underneath does not include the interpolated verses. It is an artistic translation by a skilled poetry translator. I keep here the translator's personal layout of the poem. [RV]


Song of the Watchmen of Modena

Good men who guard those walls tonight with arms,
I warn you: do not sleep. Stand watchful guard.
While Hector stood his watch, Troy still stood free
And did not fall to any scheme of Greece.
But as Troy slept in the early morning's peace,
Sinon unlocked the gift horse of defeat.

The horde slipped down a rope in dark concealed,
Stormed into Troy and raped her to debris.
And the watchful voice of the white goose redeemed
Rome's citadel and forced the Celts to flee.
For this they made her a silver effigy
And adored the bird as a Roman deity.

But let us worship Christ's divinity
And pay to Him our tuneful jubilee.
Trusting in Him, His guardianship supreme,
Let us sing Him this wakeful hymn with cheer
"Christ, King of all things, guardian godhead, keep
This faithful city in Thy watchful care.

Be to Thy people a bulwark none may breach,
The fearsome enemy our enemies fear.
Within Thy care no power can do us harm
For Thou wilt drive all hostile force afar.
Keep these our walls O Christ, under Thy care
With the protection of Thy mighty spear.
And Glorious Mary, mother of Lord Jesus
With Saint John's aid entreat our victory,
You whose most holy relics we revere,
To whom we consecrate this chapel here."
Swords under Christ's command strike victory.
Without Him, of what use can weapons be?

Brave, good young men, bold in your strength of arms
Let the ramparts sound with song from wakeful hearts;
And take your turns to stand at arms on guard
That no foe's ploy may breach these walls of ours.
Let the echo sound along the walls "Stand guard!"
Let it resound "Comrades, stand watchful guard!"

inviata da Riccardo Venturi - 28/5/2021 - 08:58




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