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Il sono del Mistral

Stefano Saletti & Piccola Banda Ikona
Languages: Italian, Kurdish, Romance (Other) (Sabir)


Stefano Saletti & Piccola Banda Ikona

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2021
Mediterraneo Ostinato


Dedicato a Hevrin Khalaf, vittima dell'odio e della violenza



Stefano Saletti: vocals, saz, oud, piano
Barbara Eramo: vocals
Pejman Tadayon: ney, daf, backing vocals
Mario Rivera: acoustic bass
Giovanni Lo Cascio: darbouka
Arnaldo Vacca: dumbak, riq, shaker

Questa nuova riflessione sul Mediterraneo abbraccia un mondo intero di immagini, sensazioni, suoni e parole, luoghi. Come e più che in passato, Stefano Saletti & Banda Ikona attraversano uno spazio sempre più denso, in cui non dobbiamo certo cercare i punti di riferimento, come si faceva un tempo, nello stupore e nella curiosità, quando si “contattava” la world music (quando si “contrattava”, allo stesso tempo, la sua forma, la sua definizione, la sua esistenza). Certo, volendo indugiare sullo stile, scopriremmo i modelli della compresenza, direi (con sincero appagamento) gli elementi basilari della contaminazione (etnica?) in musica. Ma la densità dello spazio che delinea “Mediterraneo Ostinato” non ha a che fare propriamente con lo stile, con un’estetica che (pur nella sua innegabile raffinatezza) colpisce perché consapevole, presente, reale, realmente affettiva, effettiva, inevitabile. Tutti noi che ascoltiamo l’album – soddisfatti dalla lettura delle parole che ci regala Saletti nell’intervista – abbiamo a che fare con una densità più di struttura, di sguardo direi. La densità del pensiero dell’osservatore che ammira e frequenta, partecipa, analizza e traduce: cioè lascia passare, condivide e guarda evolvere il suo pensiero, ricondotto alla dimensione di una rappresentazione che non esclude nulla, così come non include tutto. Una rappresentazione che non vuole soddisfare la curiosità (il paradigma è totalmente fuorviante, in musica come in ogni altro ambito), ma piuttosto stimolarla. Così, il pensiero che Saletti esprime nella scrittura dei brani dell’album è fuori dalla gabbia della musica stessa, e si riflette “sull’uman genere” con un concetto musicale che più organico non può essere: punta sulla storia sociale e sulla cultura espressiva di chi vive e ha vissuto nel Mediterraneo, riconducendo il suo discorso alla concretezza e alla politica delle relazioni. Come dice lui stesso nell’intervista: la realtà del racconto sta tutta dentro “un Mediterraneo militante”, che “non si arrende di fronte al pensiero unico dominante”, ma al contrario “affronta a viso aperto le nuove emarginazioni per abbattere il crescente divario tra il nord e il sud del mondo”. In questo quadro si riconosce la necessità di una narrativa articolata in modo tale da rendere la complessità di temi e tensioni così attuali. Non è solo un approccio che vuole includere i tasselli necessari alla descrizione, facendone una composto pesato sulla difficoltà politica di un confronto inevitabilmente sbilanciato. È piuttosto un discorso costruito sulla necessità di una rappresentazione frammentata. Ecco allora che la categoria del “concept” può essere interpretata anche al contrario, senza per questo perdere il valore intrinseco che orienta la scrittura e la rappresentazione: da linea che unisce i brani diviene riflesso delle frammentazioni che compongono l’argomento di cui si parla, ovvero il tema che si suona. Insomma, l’elemento di base – il Mediterraneo, che emerge dall’album come una sacca di voci e suoni allacciati a un sud reale, sofferente e poetico – è contraddittorio (quale “parte” non lo è?) ma non necessariamente disorganico. E da qui l’ulteriore e conclusiva riflessione: cos’è che vogliamo, una musica vera o una musica immaginata? Possibilmente entrambe, perché è proprio questa ambivalenza che Stefano Saletti & Banda Ikona producono con il linguaggio di questo nuovo album. La verità la si è ricercata nei suoni e nei musicisti. Come abbiamo visto, i primi sono il frutto di una lunga ricerca, che ha portato a lavorare nella direzione di una sottrazione quantitativa e non qualitativa (ogni strumento esprime così la massima ampiezza di suono, perché si assicura la “valorizzazione dei singoli interventi”), mentre i secondi sono “navigatori” esperti, tanto competenti in musica quanto sensibili ai temi in questione. L’immaginazione è, come sempre si deve auspicare, il sostegno “ostinato” di ogni nota e ogni sillaba dell’album: “E se la trovi povera, Itaca non t’ha illuso. Reduce così saggio, così esperto, avrai capito che vuol dire un’Itaca”.
blogfoolk

Fermar a sentir il vento mi non poudir andar
Mi sentir il sono del Mistral
Venir commé ouno rayon verdé qué far loumé de mi
Star maréia de la luz

Hevrin, evina min (*)

Forar ouno fouogo dentro qué prendir l'anima de mi
Mi sentir il souono qué mi tocar
Fermar a aspétar il vento qué mi portar fora de aki
Mi sentir il soffio del Mistral

Fermo ad ascoltare il vento non posso andare via
Sento il suono del Maestrale
Arriva come un raggio verde che m'illumina
è il riflesso della luce
S'alza un fuoco dentro che mi ruba l'anima
Sento il sonno che mi sfiora
Fermo ad aspettare il vento spero che mi porti via
Sento il soffio del Maestrale

(*) Hevrin, amore mio

Contributed by Dq82 - 2021/4/4 - 10:28



MURI TURCO-EUROPEI CONTRO I MIGRANTI O CONTRO I CURDI? ENTRAMBE LE COSE PROBABILMENTE

Gianni Sartori

La denuncia era partita dalla copresidente dell’Associazione Göç-Der  di ricerca sulle migrazioni .

Gülşen Kurt sosteneva che “dal 2021 la Turchia sta utilizzando i fondi europei per costruire muri sulla frontiera con l’Iran”.

Muri destinati non solamente a fermare i flussi migratori, ma anche a spezzare i legami tra la popolazione curda del Rojhilat (Kurdistan dell’Est, sotto amministrazione iraniana) da quella del Bakur (Kurdistan del Nord, sotto occupazione turca).

Un medesimo popolo anche qui artificialmente separato dalle frontiere statali. Frontiere che - ricordo - sempre più spesso costituiscono il tragico scenario della morte per assideramento di migranti (in buona parte di origine afgana, numerose le donne) fermati dai soldati turchi e rispediti indietro, nella neve e nel gelo. Oltre che di decine di kolbar (spalloni curdi) attaccati per lo più dai soldati iraniani.

Attualmente del muro sarebbero già stati realizzati due tronconi, in corrispondenza delle province di Van e di Hakkari.

Il primo, costruito dalla società statale TOKI, è lungo circa 45 chilometri e una volta completato dovrebbe raggiungere i 65 chilometri, arrivando quasi alla periferia di Van.

Il troncone di Hakkari, più a sud, attualmente sarebbe lungo 16 chilometri ed è previsto che si prolunghi fino a 28.

Momentaneamente interrotti per le condizioni invernali, i lavori riprenderanno in primavera.

La realizzazione del muro potrebbe fornire qualche ulteriore spiegazione in merito alla destituzione forzata - nell’agosto 2019 - del sindaco, regolarmente eletto, di Van. Poi sostituito da un amministratore imposto con un decreto-legge dal governo turco. Forse un intervento propedeutico alla realizzazione del muro, operazione su cui il nuovo responsabile della municipalità si è mostrato  assolutamente favorevole.

Sopra al muro verranno aggiunti fili spinati ed è previsto anche un fossato di circa 200 chilometri. Oltre a 217 torri di guardia e alcuni avamposti militari.

Per ora tre rifugiati, quelli accertati almeno, sono deceduti cadendo nei fossati già realizzati. Altri cinque, sempre quelli accertati, respinti verso l’Iran dopo esser riusciti a valicare il confine, sono morti congelati. Di altri, scomparsi, si attende il disgelo per ritrovarne i cadaveri.

Va sottolineato che il muro verrebbe finanziato grazie ai fondi europei versati alla Turchia con l’esplicito impegno da parte di Ankara di fermare i flussi migratori verso l’Europa. Quello dei migranti è anche un pretesto, un alibi. Alla Turchia - e indirettamente anche all’Iran - interessa soprattutto frantumare ulteriormente l’unità della Nazione curda (Nazione senza Stato, ma comunque Nazione). Interromperne le relazioni interne: politiche e culturali. Oltre che naturalmente commerciali. Vedi gli attacchi sistematici ai kolbar e al contrabbando, una delle poche alternative alla miseria dilagante in queste zone di confine.

Ovviamente nessuno, tantomeno il popolo curdo, sottovaluta la tragedia epocale dei rifugiati, persone senza statuto giuridico. Hanno suscitato orrore - anche nelle anestetizzate coscienze del mondo “civile” - le immagini dei piedi avvolti in sacchetti di plastica di una donna afgana morta assiderata. Respinta alla frontiera, per proteggere dal gelo le mani dei suoi bambini si era privata di scarpe e calze.

inoltre, così come avviene sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti, molte donne migranti sono state violentate in prossimità di quella turco-iraniana.

E anche quando riescono a raggiungere le grandi metropoli turche, i rifugiati subiscono attacchi di stampo razzista da parte di gruppi nazionalisti e fascisti (come i Lupi grigi).

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 2022/1/31 - 10:44


Mentre i sostenitori di Erdogan tentano di impedire i concerti della femminista Melek Mosso, un medico molestatore rientra al suo posto ospedaliero. Tra le proteste della popolazione.







DONNE IN TURCHIA: NON CERTO ROSE E VIOLE



Gianni Sartori



Ovviamente “tutto il mondo è paese” e non si pretende (tantomeno dall’Italia) di dar lezioni a nessuno, nemmeno alla Turchia.

Tuttavia a volte sembra che in alcuni contesti geopolitici le cose per le donne siano particolarmente difficili.

In questi giorni in Turchia due episodi (ma volendo sarebbero ben di più) sembrano dar conferma ulteriore.

Il 5 giugno Melek Mosso (Melek Davarcı), cantante turca, aveva dedicato un premio (Premio della musica PowerTurk) ricevuto quel giorno alle donne vittime della violenza maschile.



Dichiarando pubblicamente di essere riconoscente a tutte coloro che da secoli ormai "sono state giudicate, assassinate. Ma le nostre voci non saranno mai uccise. Nessuno potrà farmi tacere. Continuerò a parlare, a scrivere, a cantare“.



Quanto basta (e avanza) perché dai sostenitori del partito AKP partisse sui social una campagna per la sospensione di tutti i suoi concerti. E’ risaputo che nel ventennio dominato da Erdogan le violenze contro le donne sono aumentate in maniera esponenziale. Al punto che le militanti femministe parlano, a ragion veduta, di “genocidio delle donne”. E’ lecito pensare che tale situazione venga favorita, alimentata dal clima “culturale” che ha contraddistinto le politiche governative. Ma su questo è stato steso un velo impietoso.

L’interdizione, si prevede, interesserà in particolare le località amministrate dall’AKP. Al momento la boria dei sostenitori di Erdogan si va concentrando sul previsto concerto dell’11 giugno a Tekirdağ Süleymanpaşa per l’annuale “Festival delle ciliegie di Tekirdağ”.





Altra vicenda solo apparentemente diversa.

Decine di donne avevano denunciato le aggressioni sessuali subite dal medico İsmail Hakim, assunto all’ospedale del distretto di Pertek (provincia di Dersim, a prevalenza curda). Il medico, di origini pachistane, era stato anche arrestato, ma per altre ragioni. In quanto sospettato di far parte della confraternita FETÖ (v.Fethullah Gülen). In precedenza veniva ugualmente accusato di analoghe aggressioni nei confronti delle sue pazienti nella provincia di Izmir. Per precauzione era stato trasferito in un ospedale della provincia di Agri. Tuttavia, avendo fatto ricorso, recentemente è rientrato a Pertek. Dove evidentemente la sua presenza non è gradita, viste le mobilitazioni di questi giorni. Oltre alle donne che ne hanno subito le aggressioni, alle manifestazioni partecipano molti altri cittadini e militanti di Ong che ne chiedono le immediate dimissioni.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 2023/6/8 - 09:50




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