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L'Eliogabalo

Emilio Locurcio
Lingua: Italiano


Emilio Locurcio



Monologo di apertura: Tutto quel che mi è stato tolto lo rivoglio


Tutto quello che mi è stato tolto, io lo rivoglio. Non scherzo. Questa notte, mentre la pioggia (…) lucente, sulla ringhiera del balcone, mentre io ho un violento desiderio di uscire da questa città, ora. Appena tutti gli amici (...) dormono dentro stanze gelate e ormai vanno avanti e indietro per le piazze. I furgoni spenti degli angeli, con materiali stellari scarichi. Stanotte hanno riaperto le cattedrali, dopo tanto tempo. La poca gente che incontro sorride misteriosamente, i loro occhi brillano nel buio come enormi diamanti. Stanotte sono illuminati gli ultimi piani dei palazzi. Io credo qualcosa stia cadendo e a mia insaputa.

La veglia (Autoritratto dentro stanze elettroniche / Giovanna Labbromorto)


L'alba entra dalla finestra e io la guardo dal mio letto
Mi alzo, vado in bagno, mi guardo allo specchio e rifletto
Una sirena, all'improvviso, riempie il cielo con unghiate di suono
Si va, si va dentro le fabbriche a forgiare il medesimo abbandono

Poi alle cinque torno con Piero, oggi ride perché è la sua festa
Per la prima volta, giù alla mensa, ha rifiutato il cibo, in segno di protesta
Aspettiamo in un bar che venga la notte, con le sue promesse di tenerezza
Anche se in fondo agli occhi più non riusciamo a nascondere la stanchezza

Poi ecco la notte farsi avanti, accordando i dolci strumenti
Le balere, i cabaret sghignazzano nel buio, promettendo nuovi divertimenti
Incontro Giovanna, stropicciata contro un muro, dentro la sua lucida miseria
Vado in giro a cercare quelle donne che non mi hanno voluto per la mia cattiveria

Mio padre lavora giù al mercato per gli ebrei, lucida le loro casseforti
Giù in piazza la radio della polizia ha intercettato una trasmissione per i morti
L'assassino si toglie la parrucca e la maschera che lo rendevano tanto bello
Nel ripostiglio di un benzinaio, al buio, si affila già un altro coltello

È notte, tu dormi nel mio letto con un uomo
Ho un gusto acido di lacrime dentro la bocca

Entro dentro cattedrali enormi, devastate da simboli nazisti
E scopro che in ginocchio sulle panche ci sono ladri, acrobati e musicisti
Stringono fra le mani coltelli e carabine, ma sono arrivati troppo tardi
Cavalli, dentro la sagrestia, mangiano oro zecchino, aprono casse di petardi

Le fabbriche delle armi vanno di notte e di giorno ad un ritmo frenetico
Gli operai bendati imparano a memoria un canto cibernetico
Le palestre sono aperte, dentro fascisti adolescenti lavano armi e croci
Il grammofono della morte grida dalle mie pareti, ma io non risponderò mai alle sue voci

Dentro le fogne, sotto il marciapiede bagnato, la gente scorre verso il mare
Giovanna sconta con il cuore la certezza che non ce la faremo mai ad arrivare
Mentre dormo accanto, con la luce accesa e il vino che trabocca
Sento Piero piangere nell'ascensore e urlando in fondo alla bocca

Quel cappotto pieno di stelle, che mi han regalato, non serve a niente, mi fa solo paura
Ora il cielo, caduto sul pavimento, manda un odore putrido di risciacquatura
Scoppiano le strade, in mezzo ai quartieri, la finestra non si può aprire
Perché arrivano, è giornata feroce, la gente è pronta a impazzire

È notte, tu dormi nel mio letto con un uomo
Ho un gusto acido di lacrime dentro la bocca

Ma un mattino, come obbedendo a una musica strana
Cominciammo a pensare al profumo di una terra lontana
Pieni d'illusioni, finalmente andavamo via
A scaldarci al vino dolce dei chilometri su ogni ferrovia

Potrei raccontarvi delle cose su Giovanna Labbromorto
Del periodo in cui si è stati insieme, il '58
Quando ci si amava fin dentro le ossa
E la pasta ai ceci e il minestrone
Le lunghe passeggiate nell'immondezzaio comunale
A cercare abiti colorati da indossare
O le poesie scritte con il rossetto sui tram
O quel brutto figlio che abbiamo bruciato dentro la stufa
Primi che partissi per il militare

Giovanna Labbromorto era un po’ brutta, ma mi piaceva
Perché scopriva tutto l'amore dalle giornate
E inventava grandi uomini stupendi
Che regalava alle amiche, ridendo
E poi andava con qualche camionista
Con un sacchetto di mele e la schiena bianca piena di cicatrici
Non serviva, non ha importanza
Era bello perché dopo era gonfia di idee
E continuava il gioco del nostro amore malato

Giovanna Labbromorto usciva solo quando c’era la luna piena
Quando la gente cade in ginocchio e scoppiano in silenzio i limoni
E allora si parlava su una vita da vivere finalmente tutta intera
Si parlava dei soliti furti compiuti nei supermercati per i dolci buoni
E la bellissima auto rubata al direttore del liceo
Quel sabato che voleva andare in campagna e invece ci andammo noi
Con la voglia d’amore fino a sanguinare
E le bottiglie del suo buon vino

Giovanna Labbromorto un giorno rimase senz’acqua
Senz’acqua negli occhi, senz’acqua nei reni
Senz’acqua lungo tutta la carne
Lo si vedeva benissimo quel corpo senza sugo:
Il seno accennato e appena un po’ di fianchi
Il maglioncino logoro e la pelle trasparente
Finita, finita, dentro una camera ammobiliata
Più brutta del solito, così sporcata di lacrime
E gli occhi sfondati dal buio

E così Giovanna Labbromorto finì, lasciando un fracasso di stelle
Dentro un corpo, un metro e settanta, su un letto sudato
E una lunga fila di camionisti e direttori di liceo vennero a vedere
A toccare le dita così finte, a cercare diamanti dietro quel fango, tutti molto tristi
Ma io, stando un po’ male e spaventato da quell'amore così immobile, la vestii bene di bianco...
E bruciai tutto dentro la stufa

Il viaggio (A scaldarci al vino dolce dei chilometri)


Ma un mattino, come obbedendo a una musica strana
Cominciammo a pensare al profumo di una terra lontana
Pieni d'illusioni, finalmente andavamo via
A scaldarci al vino dolce dei chilometri su ogni ferrovia

Dal finestrino del treno scivolavano via città, paesi e volti
Volti cari passavano davanti e ora facevo i confronti
Legami affettuosi, tenuti a mente come piccoli sortilegi
Ora niente, in un passato senza difetti e senza pregi

Parole di ragazzi, conosciuti una sola notte, dentro la stazione
Quando, il mattino dopo, il loro treno andava in un'altra direzione

Dal finestrino del treno
Ora decifravo la mia vita
Ad ogni galleria
M’aggrappavo al vetro con le dita

Andavamo attraverso scompartimenti devastati
Inciampando sopra bagagli ormai dimenticati

Alberi, gelati dalla neve, scorrevano via dal finestrino
Poi qualcosa di tenero e caldo mi venne vicino
Qualcuno che mi toccava con la mano per capire chi ero
La luna per un attimo illuminò un sorriso talmente vero
D'una creatura che abbracciai, obbedendo a un impulso così dolce
Mentre qualcuno diceva: "Sentite come ogni musica si distorce"
Lei prese le mie mani e se le portò alle guance, adagio
La sensazione di quel calore mi addolcì il cuore, come uno strano contagio

Mentre intorno a noi tutto rallentava nel buio di quel vagone
E io capivo che finalmente entravamo in un'altra costellazione
Infatti scendemmo, all'improvviso, sopra uno strano altipiano
Un paese circondato da quattro precipizi, un posto fuori mano

Dove la gente, intorpidita dal caldo, aspettava quieta la sera
Per iniziare i giochi floreali di maggio, le danze alla primavera
Quell'aria densa, tutto intorno, di campagna e di vendemmia
Quel disordine festante che rendeva l'ordine una bestemmia

E mentre i trattori trasportavano il carro dei re Magi
Guidati da una stella che luccicava, gonfia di dolci presagi
Io già correvo frenetico a corteggiare le ragazze dei dintorni
Immersi in un'atmosfera in cui ogni divieto perdeva i suoi contorni

Eccomi lì a condurre, con qualche ingenuo inganno, in un prato o in un fienile
Oppure a parlare fino all'alba sulla pietra gelida di qualche cortile
Mentre fisarmoniche scordate, sassofoni impazziti, cominciavano a darsi da fare
Per radunare la gente dopo cena in qualche piazza ad ascoltare
I rumori delle cucine, le risate, le fontane o le cicale
Dentro una notte così bella, in cui il ricordo del giorno faceva solo male

Siamo giunti in uno strano paese...

Io ti porterò giù, più giù, più giù
Dove faremo progetti folli e incredibili, ma così belli
Da restituire dignità ai nostri nervi ed abbattere quei cancelli
Cresciuti durante gli anni dell’obbedienza
Quando credevamo che sapere fosse abbastanza
Che il solo rifiuto bastasse per far parte dei puri
Mentre i cancelli di un tempo diventavano muri

Io ti porterò giù, più giù, più giù
Dove la scelta di esser veramente liberi ci renderà così diversi!
Incomprensibili agli altri, persino ai nostri amici
Quelli che parlavano di ritrovarsi ed ora ci vedono felici
Alla ricerca delle nostre parti mancanti, di un segno
Dei nostri gesti importanti, scontati o risaputi
Noi che non abbiamo più ritegno
Forti dei giochi appena riavuti

Io ti porterò giù, più giù, più giù
Dove scoprirò ed accetterò i miei bisogni
E te li verrò a dire. I miei bisogni ridicoli o sconvolgenti
T’amerò e te lo farò capire
Con tutti i mezzi impossibili
Tutte le parole impronunciabili
Con tutte le carezze più imbarazzanti
Per farti far le tenerezze
Quando hai pudore nel farti avanti
Appena i gesti rifiuteranno le parole
E le nostre immaginazioni avranno finalmente
Un valore

La visione (La primavera feroce / La scelta di essere veramente liberi / Eliogabalo imperatore / La gente in strada)


Ehi!! C'è nell'aria qualche strano incantesimo!? Una sorta di febbre, innumerati campi, le strade di fuoco! La gente scopre che nel cielo quest'anno apparirà una primavera feroce e si abbandona ad una frenesia dolcissima, mentre esplodono nell'aria petardi, castagnole, mani frenetiche, battiti, ritmo! Nervosi, l'aria penetra nelle narici, come una pozione meravigliosa… o rigenerante.

Dalle viscere della terra si sprigionarono degli strani vapori
E, come per incanto, apparvero le roulotte dei comici e degli attori
Che come grappoli d'uva nera, fin troppo fermentata
Zampillavano fuori dai solchi, in preda ad una gioia scatenata

Vennero verso il paese sfarcendo ritmi, profumi e canzoni
Annunciando alla gente che aveva inizio la più strana di tutte le rivoluzioni:
Il popolo sarà sovrano, avremo tutti pani e giochi
Gonfieremo la notte con tanghi e tarantelle e la luce dei fuochi

La lotteria degli zingari indicò Eliogabalo come nuovo imperatore
Lo festeggiarono giù al mercato al suono di mazurche e pianole
E da quel momento le sorti del paese furono affidate alle carte e all'astronomia
Le bancarelle del porto vendevano menta e formule di magia

Perché L’Eliogabalo dimenticò il passato, spazzò via il futuro!
E tutto intorno al presente, in silenzio, costruì un enorme muro!
Dicendo alla gente: "Non sporgetevi a vedere le carte, predicono un brutto male
Non pensate più al domani, da oggi sarà carnevale!"

E per dimostrarlo prese un ballerino e disse: "Ecco il nuovo capo dei carabinieri!"
Insegno alla polizia i poeti, i pittori fiamminghi e gli antichi misteri!
Trasferì i soldati dall'accademia militare all'accademia di belle arti!
Dove le loro divise scoppiarono in mille colori dalle mani dei sarti!

Carabinieri radiosi murati, costumi teatrali
In caserma celeste a progettare carri armati a pedali

E quando Eliogabalo entrò nelle cattedrali
Cacciò via i sacerdoti e fece salire i matti a parlare
Da altari ormai vuoti e allora...

Secoli di prediche furono coperti da parole divertenti, frasi rituali cancellate da poesie riverenti, il calice stracolmo di cioccolatini e confetti, ma il vino rimase. La gente dichiarò: "Adesso sì che preferiamo le chiese alle nostre case!"

E quando le ballerine presero per sempre il posto dei chierichetti
E sui sacri affreschi del duecento comparvero dei grandi fumetti
Allora la gente, lo giuro, cominciò a divertirsi sul serio!
Se ne fregò del bene e del male ed imparò a vivere con un suo criterio!

I quartieri illuminati con un immenso braciere
La festa impazza, i canti sventolati come bandiere
La gente pone il cielo, il sole e la luna
Riempie le strade con in mano le carte della fortuna

- Volete essere governati dalla logica o dalla magia?
- La magia, la magia, la magia, vogliamo l'albero della cuccagna, dell'arte
- Ah! Volete essere governati dalla scienza o dall'incantesimo?
- L'incantesimo! L'incantesimo! L'incantesimo! I riti della terra, il carnevale, che la magia ci tenga a battesimo!
- Ma allora è davvero una rivoluzione questa! Incredibile

L'attesa (La morte di Eliogabalo / Avvertenze / Finalino per altri inizi)


È morto l’imperatore, è morto da maiale
Buttato nelle fogne con un gran gesto teatrale
Ma se l’era costruita lui addosso questa scena
Come un attore pazzo che ti vuol far pena

È morto l’imperatore, lavato con funerali atroci
Hanno spento intorno le luci e interrotto le voci
Ma in quel silenzio improvviso fu chiaro per tutti
Che quel pazzo al potere lasciava i suoi dolci frutti
Nel cuore caldo di quanti sentivano il bisogno
Di illudersi che la vita è l’inizio di un sogno

I sacerdoti trasportano su un carro il suo corpo
La festa diventa cenere, l’aria si gonfia di sporco

E lo trascinano per il paese, indicandolo al popolo terrificato
E gridano: “Era il diavolo, ma vedete, noi l’abbiamo ammazzato!”
E vanno verso le case dei padroni che si affacciano per applaudire
La stagione della follia si spegne, ecco, sta per finire

È morto l’imperatore contadino, con addosso pochi stracci
Nel buio, sopra un palco, abbandonato dai suoi personaggi
È morto l’imperatore, in mezzo a galline, pernacchie e piume
Ma con pelle abbronzata da polvere d’oro e acqua di fiume

E, nonostante il fetore del letame, profuma ancora di rosmarino
Il viso, mangiato dalla morte, luccica come quello di un bambino

È morto l’imperatore, è morto dentro una latrina
Quando la gente se ne è accorta, non era neanche mattina
E già le voci si rincorrevano nei mercati a raccontare lo scempio
La radio scandiva: “Bifolchi, pezzenti, vi serva da esempio!”

Ma quando il nuovo governo segò in due l’albero della cuccagna
La gente smontò le sue cascine e salì sulla montagna
E per sette anni rimase in miniera a estrarre il diamante
Con cui fabbricò catene di luce ed armi di una bellezza abbagliante

Poi l’asfalto scoppia all’improvviso
Mostrando il suo enorme sorriso
Un azzurro insopportabile che divori subito lo sfacelo
Guardate, la gente cade e cade finalmente dentro al cielo

Qualcuno grida: “Ecco la fine del mondo, ecco il giudizio!
Ma voi state calmi, state calmi... è appena l’inizio!”

I quartieri illuminati con l’immenso braciere
La festa impazza e canta e sbatte il vento con le bandiere
La gente pone il cielo, la terra, il sole la luna
Riempie le strade, con in mano le carte della fortuna.



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