Et moi je plains tout le monde,
Mes deux yeux ne sont plus pleins
Car ils ont perdu leur bombe.
Dans un malheur comme le mien
Je me lève dès le matin,
Je m'en vais d'village en village,
L'un me donne un bout de pain,
L'autre un morceau de fromage.
Et quelques fois, par hasard,
Je me moque du mercier
Et de toutes ses cassettes,
Je n'use point de papier,
Encore moins de lunettes.
J'ai pour peigne mes dix doigts,
J'ai mon chien et mon bâton,
Mes deux compagnons fidèles,
L'un me mène à tâton,
L'autre au bout d'une ficelle.
N'aimeriez-vous pas bien mieux
Si jamais me venait un fils
Dans cette agréable vie,
Je prierais bien le Bon Dieu,
Aussi la Vierge Marie
Qu'ils lui crèvent les deux yeux
Contributed by Riccardo Venturi - 2019/10/29 - 15:13
Riccardo Venturi, 29-10-2019 15:21

Sono cieco, mi si compiange
E io compiango tutti quanti,
I miei occhi non sono più pieni,
Ché non sono più rotondi.
In una disgrazia come la mia
Sono in piedi già dal mattino,
Me ne vo di paese in paese,
Chi mi dà un tozzo di pane,
Chi un pezzo di formaggio
E qualche volta, per caso,
Che mi frega del merciaio
E delle sue scatolette,
Non adopero la carta
E ancor meno gli occhiali.
Per pettine ho le mie dieci dita
Ho il mio cane e il mio bastone,
I miei due compagni fedeli,
Uno mi mena a tastoni,
L'altro al guinzaglio d'uno spago.
Non potreste preferire
Se per caso avessi un figlio
In questa piacevol vita,
Pregherei il buon Dio
E pure la Madonna
Che gli trapassino gli occhi
Riccardo Venturi, 29-10-2019 15:59
I am blind, others pity me
Yet I pity all the others,
My eyes are no longer full,
They've lost their roundedness.
In a tragedy like mine
I rise up in the morning
The I wander on from village to village,
The one gives me a piece of bread,
The other, a chunk of cheese,
And, sometimes, on occasions
I don't care for the peddler
And for all his small boxes,
I have no need of paper
And I don't use glasses.
I have for comb my ten fingers,
I have my dog and my stick,
My two faithful companions,
The one leads me by feeling the ground,
The other at the end of a string.
Would you not like better
If ever a son came to me
In this pleasant life,
I would pray the holy God
And also the Virgin Mary
That they pierce his two eyes
Polskie tłumaczenie: Krzysiek Wrona
Polish translation by Krzysiek Wrona
Traduction polonaise de Krzysiek Wrona
Krzysiek Wronan puolankielinen käännös
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Jestem ślepcem, budzę litość
I lituję się nad wami
Puste miejsca oczu moich
Co straciły dawno krągłość
Zważ, że w moim położeniu
Idź już, cóż cię to obchodzi
Świeca jest bezużyteczna
Budzę się z samego rana
Włóczę się z wioski do wioski
Ktoś mi wciska piętkę chleba
A ktoś inny ser przynosi
Przez przypadek się przydarzy
Idź już, cóż cię to obchodzi
Skrawek boczku lub słoniny
Nie obchodzą mnie handlarze
Ich stragany i towary
Nie jest mi potrzebny papier
A tym bardziej okulary
Miast grzebienia mam swe palce
Idź już, cóż cię to obchodzi
Za chusteczkę zaś rękawy
Mam psa swego i swój kostur
Moich wiernych towarzyszy
Jeden tłucze mnie po głowie
Drugi szarpie koniec sznurka
Czy nie lepiej mieć kompanów
Idź już, cóż cię to obchodzi
Zdanych na tę parę oczu
Gdyby syn mi się przytrafił
W moim życiu tak wspaniałym
Prosiłbym dobrego Boga
Wznosił modły do Dziewicy
By mu wzrok odjęli razem
Idź już, cóż cię to obchodzi
Aby został ślepym dziadem
Contributed by Krzysiek - 2019/11/10 - 22:57
Riccardo Venturi - 2019/10/29 - 16:24
La rassegnazione di questo disgraziato mendicante è davvero stupefacente. I ciechi vagabondi suscitarono un po' ovunque canzoni popolari animate spesso da sentimenti anche uni opposti agli altri e, nel pieno rispetto di questa tradizione, i Malicorne propongono in questo caso un testo proveniente dal Bas-Poitou e una musica da un'altra provincia. L'hanno fatto spesso. La melodia in questione è quella di "Amour et Mantille", originariamente cantata in berrichon ovvero la langue d'oïl medioevale parlata nella regione del Berry, che suppongo a ben ragione essere la più amata da Gabriel Yacoub. Questo struggente lamento, raccolto all'inizio del 1900, è quasi sicuramente opera di un qualche letterato e sarà stato poi venduto, come spesso accadeva, dai venditori di canzoni nel diciannovesimo secolo. Marie la interpreta con una voce cristallina che unita agli ultrasuoni del dulcimer elettrico ci trasporta in uno stato onirico. Voce e musica vennero registrate contemporaneamente e a luci spente, le poche note di organo furono aggiunte in seguito e in fase di missaggio vennero fatte apparire e scomparire. Una vera magia sonora all'ascolto.
Quasi 40 anni dopo, Marie non è più così bella come allora, (maledizione!!). Dopo Malicorne non ha neppure proseguito una carriera musicale. Ma provate a fermarvi ad ascoltare al minuto 49:30 del loro Concert exceptionnel aux Francofolies de la Rochelle in Bretagna: l'accompagnamento discreto di Hughes De Courson alla tastiera e due tocchi di dulcimer di Laurent Vercambre senza più riccioli e senza neanche le scarpe, più un filo della sua voce davanti alla platea totalmente ammaliata e ammutolita. Più di 5 minuti in cui il tempo si immobilizza, quanti di quelli che salgono su un palco oggi potrebbero permetterselo? Se l'intenzione è che la gente abbia scarpe belle lucide, bisogna scrivere istruzioni ben precise sulle confezioni. Per far risplendere altre parti di sé invece c'è bisogno di canzoni così. Viva Malicorne.
Flavio Poltronieri
Flavio Poltronieri - 2019/10/29 - 17:29
Riccardo Venturi - 2019/10/29 - 17:58
Lorenzo - 2019/10/29 - 18:06
Passerai una serata veramente emozionante se ti guardi il concerto intero.
Flavio Poltronieri - 2019/10/29 - 18:40
Riccardo Venturi - 2019/10/29 - 18:47
Li ho anche registrati a Milano, al Teatro Cristallo il 26 ottobre del 1979, in quel periodo naturalmente non proponevano questa chanson de colporteur ma la chasse gallery, alexandre, la danse des damnés, jean des loups però non mancarono l'écolier assassin e le prince d'orange. Con loro c'era addirittura Brian Gulland al basson che io ricordavo nei fantastici Gryphon....ah, che tempi gloriosi: ero sempre innamorato e quando (spesso) la sera si andava ad ascoltare un concerto dovevi scegliere tra John Martyn, Bert Jansch, Ornette, Stivell, Don Cherry, John Renbourn, Embryo, Fairport Convention, Inti Illimani, Dollar Brand, Richard Thompson....
Aiuto!!!!
Flavio Poltronieri - 2019/10/29 - 19:28
Luneux, -euse, adj. Éclairé par la lune. (Soirées étoilées, ou luneuses, ou éclairées par les rayons bleus des lampes électriques) (Mille,Barnavaux,1908, p. 266)
il titolo in italiano andrebbe inteso quindi come "ILLUMINATO DALLA LUNA", nel testo è il protagonista medesimo che si presenta immediatamente come CIECO.
P.S. Ma davvero pensate che a qualcuno interessino tutte 'ste informazioni?
(Un dubbioso) Flavio Poltronieri
Flavio Poltronieri - 2019/10/30 - 22:00
Riccardo Venturi - 2019/10/30 - 22:29
W l'Anarchia!
(e anche la poesia)
concludi tu con un'altra terzina in rima
e finiamola così
Flavio Poltronieri - 2019/10/30 - 22:40
Jestem ślepym łysym starcem
Starym księżycowym dziadem
Widzę więcej niż niejeden
Który dzisiaj dzierży władzę
Dziś już ludzie nie szanują
Idź już, cóż cię to obchodzi
Tych co widzą sercem głębiej
Krzysiek - 2019/11/10 - 23:05
Riccardo Venturi - 2020/9/22 - 09:54
Flavio Poltronieri - 2020/9/22 - 11:28
Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.

Canzone popolare francese / A French traditional folksong / Chanson traditionnelle française / Ranskalainen kansanlaulu
Canto / Singing / Chant / Laulaa: Marie Yacoub
Album / Albumi: Almanach
A parte il recente escamotage dell'islandese, era un bel po' di tempo che non tornavo agli amatissimi Malicorne. Ci torno rivolgendomi ancora all'Almanach del 1973, con una canzone popolare probabilmente originaria dei dintorni di Angoulême, quindi della Charente. Vi si parla di un mendicante cieco; ed è, ovviamente, una canzone tristissima. I Malicorne, va detto, avevano una tendenza piuttosto spiccata per le storie tristi; ma, del resto, riprendendo e reinterpretando à leur façon tutto un patrimonio di canzoni e ballate popolari tra il medioevo e, in grandi linee, l'età barocca, è difficile aspettarsi grandi gioie e allegrie in una società rurale dove le condizioni di vita non erano certo ispiratrici di felicità. Oltre a ciò, la canzone popolare tradizionale, in ogni paese, predilige comunque le storie tristi, i fattacci di cronaca, gli amori finiti male, e la miseria. Miseria nera e senza remissione. E così, perlomeno fin quando i Malicorne si indirizzarono a quel repertorio, fu tutto un profluvio di tristi nozze, di studenti assassini, di locande sanguinose, di fidanzate ammazzate alla vigilia delle nozze, di disertori fucilati, di innamorati impiccati e via discorrendo. Sono questi gli argomenti usuali delle ballate popolari autentiche, e le eccezioni non sono moltissime. La malattia, l'infermità e la mendicità (il cieco, il lebbroso, lo storpio) vi hanno ovviamente la loro bella parte; così per Le luneux che vado a proporre alla vostra gentile attenzione.
Devo fare, a questo punto, un inciso. Quando reperisco una canzone su YouTube, vado sempre a vedere i “commenti degli utenti”, specialmente se la canzone in questione risale a qualche tempo fa. E' sempre interessante, e anche istruttivo, leggere i commenti, ovvero le percezioni, che una data cosa provoca nella cosiddetta “era digitale”. Nella fattispecie, di fronte ai Malicorne che, quarantasei anni fa, interpretano a modo loro (ed inserita in tutto il loro discorso musicale e culturale, figlio degli anni '70) una canzone del genere, molti commenti indicano una percezione che, invece, è figlia di questo tempo. E' un tempo, questo, in cui la carogneria generalizzata, la vuotezza pneumatica dei cervelli, l'odio per ogni cosa che sia “diversa”, la riduzione a macchinette da social e quant'altro, provocano come contrappasso tutta una serie di ciance a base di “magia”, “poesia”, “visioni interiori”, “meditazioni” e chi più ne ha, più ne metta. Così, nei commenti presenti nel video utilizzato per questa canzone, non manca veramente nulla al riguardo: si va dalle immancabili “magiche atmosfere” alla “vera poesia da non dimenticare”, dall' “ode alla magia della visione interiore” alle “fragranze evocate” (fragranze de che? Di formaggio, verrebbe da dire, visto che nel testo viene nominato...) all' “ode alla meditazione e alla libertà del viaggiare”.
Ai nostri commentatori contemporanei sfugge però una cosa fondamentale: questa è una canzone che parla di un disgraziato. O meglio, è un disgraziato che parla, un disgraziato nero. Certo, la bellezza rarefatta dell'arrangiamento e la voce di Marie Yacoub sono, come dire, un po' fuorvianti. Le luneux è la canzone di uno dei tanti relitti umani che hanno attraversato le epoche arrivando, naturalmente, alla nostra. E' certamente una canzone tristissima; ma, a differenza di altre, possiede un'ironia graffiante, distruttiva. Sembra un rovesciamento totale: di fronte all'indifferenza travestita da “carità”, ché tanto t'importa un fico (tu t'en moques...), il mendicante cieco della canzone mette di fronte a tutti i presupposti “vantaggi” della sua condizione: è lui che compiange tutti quanti, quelli che ci vedono. Se ne va di paese in paese col cane che lo guida e un bastone; qualcuno gli butta qualcosa da mangiare (un pezzo di pane o di formaggio, qualche volta di lardo...); non ha bisogno di niente, né di vestiti, né di carta e né -naturalmente- di occhiali... Insomma, come dire, una vita piacevole e meravigliosa -e, aggiungeremmo noialtri, senza essere costretto a sgobbare e vivendo della famosa “carità”. Che c'è di meglio? Il protagonista si augura persino che, putacaso gli venisse di fare un figliolo, la Madonna gli facesse scoppiare gli occhi trasformandolo in un vecchio cieco...
E' la sua risposta alla sua disgrazia e a chi gli fa la “carità” fregandosene altamente. Pare dire: non mi compiangete tanto, ché in fondo non siete meno disgraziati di me. Qui siamo tutti quanti dei disgraziati, solo che a me è toccata la sventura di essere cieco e me ne approfitto per quel che posso. Si tratta, quindi, di una canzone di disperazione generalizzata, e di una canzone terribile nella sua ironia devastante. Se proprio si ha voglia di “meditazione”, come gli utenti di YouTube, occorrerebbe secondo me meditare su questo, viste le reazioni che abbiamo ai giorni nostri verso chi è infermo, sventurato, disabile, povero in canna e affamato. In mezzo a tutta questa “poesia”, bisognerebbe ripensare -che so io- a quelli che calpestano i panini destinati ai Rom. Il cieco della canzone lo sa benissimo in che condizione vive; non gli resta che uno sberleffo, e di quegli sberleffi che arrivano. Ci potrebbe essere, infine, un'interpretazione parallela e altrettanto terribile: che la canzone non sia “scritta” dal cieco, nonostante la prima persona, ma dagli “altri”. Gli “altri”, i “normali” che, in una vita di stenti, di fame e di sgobbo, arrivano a invidiare il cieco che, perlomeno, ha un buon pretesto per non dover faticare. E' una considerazione di cui tenere conto.
Un'ultima osservazione sul termine luneux. Non lo si vada a cercare nei comuni dizionari francesi, non lo si troverebbe. “Ad sensum” si interpreta come sinonimo di “cieco”; ma la cosa deve essere un po' spiegata per cogliere meglio cosa esattamente voglia dire. Derivato evidente di lune, ha una connotazione decisamente mistica: il senso profondo sembra rimandare piuttosto a “indovino”. Fin dalla più remota antichità, l'associazione tra i ciechi e la divinazione è comunissima: si pensi a Tiresia, l'indovino omerico che è, appunto, cieco (e cieco è, tradizionalmente, anche Omero). Il cieco ha “la luna dentro”: qualcosa che rischiara e che gli fa avere un sesto senso, la chiaroveggenza. Ai ciechi, girovaghi o meno, nelle campagne si chiedeva non di rado una preveggenza: sui raccolti, su una malattia, su un matrimonio. Era un modo, pure quello, per guadagnarsi una moneta, una gallina, un pezzo di pane o una zuppa calda. O un sacco di legnate se la preveggenza era infausta, o non andava a buon fine. [RV]