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Mitt var starfið

Theodóra Thoroddsen
Language: Icelandic


Theodóra Thoroddsen

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[1914]
Þula eftir Theodóru Thoroddsen
Ljóðið að ofan birtist í Mánaðarritinu árið 1914
"Þula" di Theodóra Thoroddsen
Pubblicata nel "Mánaðarritið" (Rivista Mensile) nel 1914
A "þula" by Theodóra Thoroddsen
Published 1914 in "Mánaðarritið" (Monthly Review)
"Þula" de Theodóra Thoroddsen
Publiée en 1914 par "Mánaðarritið" (Revue Mansuelle)
Theodóra Thoroddsenin "þula"
Julkaistiin vuonna 1914 kuukausilehdessä "Mánaðarritið"

Syngur / Canto / Singing / Chante / Laulaa: Bára Grímsdóttir
Album / Albumi: Funi, 2004



Nata il 1° luglio 1863 in una sperduta fattoria islandese, Kvennabrekka á Dölum (significa alla lettera: “Collina delle donne nelle valli”), Theodóra Friðrika Guðmundsdóttir era la figlia di un pastore luterano e membro dell'Alþingi, zio materno del poeta Matthías Jochumsson (l'autore del Þjódsöngur Íslendinga, l'inno nazionale islandese scritto nel 1874 in occasione del millenario della colonizzazione dell'isola). Sua madre, Katrín Ólafsdóttir dóttir Sívertsens, era invece originaria dell'isola di Flatey (“isola piatta”). Ultima di quindici figli (di cui solo tre sopravvissero all'infanzia), Theodóra studiò alla Scuola Femminile di Reykjavík, dove si diplomò, all'età di sedici anni, nel 1879. Sposò poco dopo un giovane avvocato, Skúli Thoroddsen, che in seguito divenne sýslumaður di Ísafjörður (“Fiordo dei Ghiacci”; una carica più o meno equivalente al presidente di una provincia). La coppia ebbe tredici figli. Nel 1893 il marito fu sollevato dall'incarico, ma la coppia rimase a Ísafjörður (uno dei centri abitati più isolati dell'intera Islanda) dove aprì una piccola attività commerciale, una specie di emporio. Nel 1901, infine, si trasferirono a Bessastaðir (allora centro autonomo, ora un quartiere periferico di Reykjavík) e poi a Reykjavík centrale nel 1908.

Theodóra scriveva poesie fin da bambina. In particolare, era diventata abilissima nella composizione di þulur. Le þulur (singolare: þula) sono composizioni popolari enumerative che affondano la loro origine nella più remota antichità germanica (se ne trova una anche tra i carmi dell'Edda, la Rígsþula), ma che solo in Norvegia (“thyle”) e in Islanda sono sopravvissute. Si tratta di canti in origine rituali basati su artifici metrici (come l'allitterazione) in ausilio della memoria, di argomenti vari (mitologici, sacri, storici). In tempi moderni, una þula può svariare dalla canzone fiabesca per l'infanzia al canto di protesta. Le þulur di Theodóra Thoroddsen, pubblicate prima in vari giornali e riviste e poi in volume nel 1916, ottennero immediatamente un successo enorme in Islanda: per l'ultima volta sono state ripubblicate addirittura nel 2000. Theodora ebbe una vita molto lunga: morì il 23 febbraio 1954 all'età di novantuno anni.

Tra le þulur di Theodóra se ne trovano moltissime che prendono in considerazione il lavoro, le fatiche e lo sfruttamento della donna; in un paese dove, attualmente, le donne godono di assoluta parità, non bisogna dimenticare comunque che tutto questo ha richiesto una lunga strada. La presente composizione, tra quelle di Theodóra, è tra le più celebri: parla di una (probabilmente giovanissima) rammendatrice. La vita di una ragazzina, che vorrebbe giocare e raccogliere fiori, e che è invece costretta dal bisogno a sgobbare duro: occuparsi di bambini, pulirli, pettinarli; e rammendare buchi negli abiti e nelle calze. Delle rammendatrici si è persa forse la memoria ai tempi nostri; ma nelle società tradizionali (non solo rurali, ma anche cittadine), dove tra le classi popolari un abito o un paio di calze erano beni preziosi che dovevano durare pressoché all'infinito, il rammendo era un'attività necessaria. Uno dei “lavori manuali e donneschi” (riprendo tale definizione dalla pagella elementare di mia madre) che si portava via, spesso, l'adolescenza delle ragazze e la vita delle donne che, inoltre, dovevano accudire caterve di figli propri e, non di rado, anche altrui. Si tenga anche presente che il rammendo non era cosa da poco: doveva essere eseguito alla perfezione, “neanche vedersi”. Un rammendo fatto male provocava una cosa sola: un altro bel buco poco dopo. E si immaginino gli abiti e i calzettoni islandesi, fatti per essere portati in un paese dove non fa propriamente molto caldo a meno che non si calpesti un vulcano che spunta sotto i piedi. Oppure, a meno che una donna non fosse costretta, dopo una vita del genere durante la quale le era stato ripetuto che -essendo donna- “non aveva nessuna qualità” e che era fatta solo per rammendare calzettoni, ad augurarsi che il diavolo se la portasse via. Ma, tanto, sarebbe stata costretta a rammendare anche all'inferno. E si capisce come mai, durante il famoso “Sciopero delle donne” (il primo nella storia dell'umanità, se si esclude quello di Lisistrata...) che avvenne in Islanda il 24 ottobre 1975 per reclamare pari diritti reali, durante il corteo molte donne inalberassero cartelli con la foto di Theodóra Thoroddsen, contenenti suoi versi. La poetessa delle þulur nata oltre un secolo prima sulla “Collina delle Donne”.[RV]
Mitt var starfið hér í heim
heita og kalda daga,
að skeina krakka og kemba þeim
og keppast við að staga.

Ég þráði að leika lausu við
sem lamb um grænan haga,
en þeim eru ekki gefin grið
sem götin eiga að staga.

Langaði mig að lesa blóm
um langa og bjarta daga,
en þörfin kvað með þrumuróm:
Þér er nær að staga.

Heimurinn átti harðan dóm
að hengja á mína snaga,
hvað ég væri kostatóm
og kjörin til að staga.

Komi hel með kutann sinn
og korti mína daga,
ég held það verði hlutur minn
í helviti að staga.

Contributed by Riccardo Venturi (Rikarður V. Albertsson) - 2019/10/22 - 12:03




Language: Italian

Þýtt hefur á ítölsku / Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Venturi (Rikarður V. Albertsson), 22-10-2019 12:10

LA MIA FATICA

La mia fatica in questo mondo,
facesse caldo o freddo,
era pulire bambini e pettinarli
e sgobbare a rammendare.

Smaniavo di giocare libera
come un agnello nel verde prato,
ma non viene data pace
a chi deve rammendare i buchi.

Smaniavo di raccogliere fiori
nelle giornate lunghe e chiare,
ma il bisogno diceva con voce tonante:
Tu devi rammendare.

La gente aveva un duro giudizio
da appendere alle mie grucce:
che non avevo nessuna qualità,
e che ero fatta per rammendare.

Venga il diavolo col suo coltello
e tagli i miei giorni,
penso che avrò in sorte
di rammendare all'inferno.

2019/10/22 - 12:11




Language: English

Þýtt hefur á ensku / Traduzione inglese / English translation / Traduction anglaise / Englanninkielinen käännös: YouTube video
(Með nokkrum leiðréttingum eftir Rikarði V. Albertssyni / Con qualche correzione di RV / With some adjustments by RV / Avec quelques corrections par RV / Joillakin korjauksilla Riccardo Venturilta)
MY JOB

My job was in this world
hot and cold days,
to wipe and comb children
and work hard at darning.

I yearned to play freely
like a lamb in the green pasture,
but they are not granted peace
who are supposed to darn holes.

I longed to pick flowers
during the long and bright days,
but need said with a voice of thunder:
You should be darning.

The world had a hard judgment
to hang on my coathooks,
how I was bereft of qualities
and suited to darning.

Come the Devil with his knife
and cut short my days,
I think it will be my lot
to darn socks in Hell.

2019/10/22 - 12:18




Language: English

Traduzione inglese 2 / English translation 2 / Traduction anglaise 2 / Ensk þýðing 2 / Englanninkielinen käännös 2: bandcamp
MY WORK

My work, in a world of
hot and cold days,
was to clean and comb kids
and to toil away darning.

I longed to play freely
like a lamb in a green meadow,
but those who have holes to darn
are not shown any mercy.

I longed to read the flowers
on long, bright sunny days,
but necessity ordered in a thunderous voice:
"You should be darning."

The world had a heavy doom
to hang upon my hook.
Of qualities I was void
and for darning I was born.

Should death come with his knife
and shorten my days
I think it will be my fate
to darn away in hell.

Contributed by Juha Rämö - 2019/11/12 - 11:09




Language: Finnish

Traduzione finlandese / Finnish translation / Traduction finnoise / Finnsk þýðing / Suomennos: Juha Rämö

MINUN LEIVISKÄNI

Minun leiviskäni tässä maailmassa,
niin kesät kuin talvetkin,
oli pitää lapset tällättyinä ja kammattuina
ja parsia parsimasta päästyäni.

Halusin leikkiä vapaana
kuin lammas vihreällä laitumella,
mutta rauhaa ei ole suotu sille,
jonka tehtävänä on parsia.

Halusin poimia kukkia
pitkinä ja valoisina päivinä,
mutta velvollisuus kutsui ukkosen äänellä:
on aika parsia.

Tuomio, jonka maailma
ripusti naulakkooni, oli kova:
toistaitoinen ihminen,
joka on kuin luotu parsimaan.

Ja kun paholainen tulee puukkoineen
päättämään päivieni kulun,
luulen, että osani on
parsia sukkia helvetissä.

Contributed by Juha Rämö - 2019/11/12 - 11:10




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