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Lou pan crousià

Li Troubaires de Coumboscuro


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Tra de record
(Li Troubaires de Coumboscuro)
Lampedusa
(Davey Long)
Hilhas n'aimetz pas tan los òmis
(Anonymous)


[1988]
Dramma musicale di Sergio Arneodo
A musical drama by Sergio Arneodo
Drame musical de Sergio Arneodo
Sergio Arneodon musiikkidraama

Esecuzione dei brani musicali / Musical performance / Exécution musicale :
Li Troubaires de Coumboscuro / Società Corale Città di Cuneo / Lou Teatre Coumboscuro / Archi dell'Amadeus Orchestra
Jump Edizioni Musicali OC005, 1989

Sergio Arneodo (1927-2013)
Sergio Arneodo (1927-2013)
Lou Pan Crousià



Li Troubaires de Coumboscuro nella formazione storica (con Clareto Arneodo).
Li Troubaires de Coumboscuro nella formazione storica (con Clareto Arneodo).


Nella vasta produzione teatrale di Sergio Arneodo, ci sono alcuni drammi pastorali che, pur richiamandosi a temi e ambientazioni usuali, si mantengono attuali, rigenerandosi proprio grazie al divenire del tempo. Tra queste c‘è senz’altro “Lou pan crousià”, un “concept” come si direbbe oggi, una tra le migliori intuizioni che il suo genio ci ha lasciato. È proprio questo testo, con le musiche che lo hanno accompagnato nel 1988, che il Teatre Coumboscuro e gli artisti che ruotano attorno ad esso, hanno scelto per ricordare e celebrare il "Magistre" Arneodo nel decimo anno dalla sua scomparsa.

"Lou pan crousià" è la storia di Vincén, del suo ritorno da un lontano "mas" / fattoria della Crau al borgo natale. Un viaggio estenuante, viaggio clandestino con il pericolo della neve. Al contrario ci sarebbero mille ragioni per rimanere laggiù, il suo lavoro di “rafi” – garzone – con le tremila pecore, i rapporti consolidati nel tempo con le persone che vivono in quella fattoria. Ma la ragione che fa decidere Vincén ad intraprendere l’avventura più terribile, ad attraversare il colle battuto dalla valanga è quella promessa fatta al padre morente: posare sull’altare della messa di mezzanotte "lou pan crousià". Ma vi è una seconda ragione: la sua casa in quei giorni si è trasformata in un vero natale, quello del primo figlio, e la moglie Annéto con la nuova creatura lo stanno aspettando.

Il pane sacrale

L’incisione della croce sulla forma del pane è pratica utile alla lievitazione, diffusa in molti paesi. In quelli di fede cattolica affonda le radici nelle tradizioni più antiche, un misto di leggenda e miracolo, legate alla benedizione di Santa Chiara, in cui l’imposizione delle mani della santa rivelò, sulla superficie dei pani, il simbolo della croce. Per i nostri montanari la croce è simbolo di pena, viatico per povere genti, che fino a tempi non lontani, “passaven la bercho”, cioè, valicavano i cresti dei monti per emigrare in Provenza, nella speranza di conquistare il pane, quel pane che con il disperato lavoro sulla terra natìa spesso non riuscivano ad avere.

"Lou pan crousià" ci presenta, forte, il tema dell’emigrazione, come nella più stretta attualità, o come succede dai tempi più antichi – visto che i migranti fanno parte da sempre della storia dell’uomo. In questa vicenda, nel dramma dell’emigrazione, c’è il punto d’unione di valori spirituali e culturali che dalla terra d’origine il montanaro, l’uomo, porta con sé in una diversa dimensione, talvolta disperdendoli, talaltra conservandoli in maniera ossessiva, con fare al limite della gelosia. Anche qui una lucida anticipazione dei tempi negli scritti di Sergio Arneodo. - Cuneocronaca, dicembre 2022

Della ricca produzione musicale dei Troubaires de Coumboscuro (sia d'autore che tradizionale) vorrei presentare questo «long play» o meglio «concept album» (come si diceva qualche annetto fa) che mi sembra abbastanza CCG-compatible (a parte un brano, alquanto guerrafondaio, peraltro già presente sul sito). Trattasi di una storia, ai tempi molto diffusa, di emigrazione stagionale: i nostri contadini emigravano oltralpe per mancanza di lavoro e tornavano d'inverno a stagione finita. Qui le montagne sono impietose, belle d'estate me letali nella stagione fredda. Stagione che non necessariamente coincideva con l'inverno, come ben appresero i nostri soldati che nel giugno del 1940 furono inviati ad "invadere" la Francia (la pugnalata alla schiena) attraverso i valichi alpini ed oltre duemila tornarono congelati.

Lou pan crousià.
Lou pan crousià.


Ora, non è che là i nostri paesani fossero accolti proprio a braccia aperte, taluni episodi lo documentano, comunque il disco sorvola su questi aspetti e si sofferma invece sulla difficoltà del rientro, in piena tempesta, del protagonista Vincén, ma vediamo cosa dice la cover del LP:

Alla "ruhà" (borgata) d'Esquiar, nel cuore della montagna provenzale, Annéto, giovane "novio" (sposa) attende trepidante, il primo figlio. E' inverno, i giorni del solstizio, prossimi a Natale, s'abbuiano sulla montagna innevata. Vincén, suo marito è in Provenza, emigrato per lavoro nella lontana Crau, secondo la consuetudine. Lei si strugge nella attesa: "Despiei que sies parti / ai tojour un pau languì..." "da quando sei partito, ti ho sempre sospirato"... E Vincén tornerà per Natale : lo sospinge l'attesa della nuova vita, che sta per sbocciare. Nella bisaccia porta "Lou pan crousià", il pane fatto da lui a forma di croce, che ogni anno viene deposto davanti al Gesù del presepio. Ma l'alto passaggio di Col Tourrét minaccia di volgere in dramma, soltanto l'intervento del Cielo salverà Vincén dalla valanga, poichè il pane a croce deve posarsi ancora una volta sull'altare della ruhà d'Esquiar.

Ma i motivi di interesse potrebbero essere altri, ad esempio riascoltare la voce di Clareto Arneodo, la cantante solista del gruppo, o fare un bagno ristoratore di 35 minuti nella cultura musicale alpina franco-provenzale già descritta nel loro primo album (Lou Parour) in cui si legge:

Musica della Provenza Alpina (Lou Parour, 1981)

Le musiche che il Centro Prouvençal Coumboscuro propone in questo disco spaziano in un'area soprafrontaliera, ricoprente i due versanti dell'arco alpino sud-occidentale, tra il Nizzardo e il Monviso. Le valli interessate sono: Pés (Pesio), Vermenanho (Vermenagna), Esturo (Stura di Demonte), Grano (Grana), Varacho (Varaita), e oltralpe, Vesubie, Tinéé (Nizzardo), Var.

In questa terra - né italiana, né francese, ma solo occitana - s'é condensata un'originale esperienza storica che dai secoli del Medioevo in poi ha generato una forte civiltà autoctona. Questa nazione parla ancora oggi il provenzale d'Oc, lingua dei trovatori e del poeta Mistral, qui strettamente incorporata nel presistente linguaggio alpino.

Come tutte le civiltà autentiche la Provenza alpina ha espresso nei secoli la sua voce attraverso il canto e la musica. Non si tratta di motivi corali di largo movimento, da rendersi a più voci, secondo una consuetudine anche troppo invalsa : sono melodie monodiche, spesso ritmate su tempi vivaci e contrastanti. La strumentazione vi può avere larga parte e svolgervi un ruolo espressivo fondamentale.

In quel disco si trattava di rielaborazioni di brani tradizionali, con l'aggiunta di composizioni dei membri del gruppo, mentre nel caso di Lou Pan Crousià sono tutte composizioni recenti ma lo "stampo" è quello tradizionale (e pochi sono i compositori in grado di farlo).

Nel riquadro in alto trovate il link all'intero album; sotto, insieme ai testi in franco-provenzale e relative traduzioni, trovate gli 8 link per l'ascolto parziale. Scusate se i "video" sono volutamente scarni: la musica, secondo me, si ascolta - non "si guarda". [Gianfranco, 6-10-2019]

Li Troubaires de Coumboscuro: Lou Pan Crousià (1989)

pancrou2023.


1. Aqui li journs
2. Countino d'esper
3. Li rochos di Baus
4. Neuch al jas
5. Chamino, Vincén!
6a. Iraz e Gaauzens
6b. Massas e Brans
7. Priero
8. Aquesto Neuch

Li Troubaires de Coumboscuro

Mauro Arneodo : voce, tastiere, fisarmonica
Dario Bertano : chitarra
Clareto Arneodo : voce
Marco Ficarra : violino, chitarra elettrica, tastiere
Davi Arneodo : flauti traverso-dolce-galoubet, pianoforte

Lou Teatre Coumboscuro : Pauleto Arneodo, Pauleto Luciano, Frederi Arneodo

Roberto Chiriaco : basso elettrico
Valeriano Rovera : batteria
Angelo Vinai : clarinetto
Marco Lovera : trombone
Francesco Segreti : chitarra ritmica

Societa' Corale "Citta' di Cuneo", direttore Andrea Bissi
1. Aqui li journs



Aqui li journs se pausen court,
La fréit es ariba,
Coumo pan dins lou fourn
La terro s'es taisa:
Despi que li escabots
Al temp bestourn
S'endràien per li quiòts
Trist de l'outoùrn.

A la roulha d'Esquiàr sout la faudo d'un arc i-a fremos e minas, de viéis ensuemihas, i-a Anneto que s'espero 'na novo flour sus terro : un journ i òure mai chaut que ven Vincén de Crau, per veire lou pichot sourire dins lou cros.

2. Countino d'esper



Balarino touto bianco,
volo volo dins lou ciel,
pauso-te soubre la bancho,
cuento-me lou temp nouvèl.

Ballerina bianca bianca, / vola vola nel cielo, / posati accanto a me, / narrami del tempo nuovo.

Un silenci trop grand aquest séro,
la nuéch gemìs e trobo ren qui la counsoùlo.

Un silenzio troppo profondo questa sera si consuma / la notte geme non trova chi la consoli.

Despiéi que sies parti
ài toujour un pan languì
dins li journs de bel souléi
lou quiàr linde de ti uéis.

Dopo che sei partito / ho sempre sospirato un poco / nei giorni di sole chiaro / la luce pura dei tuoi occhi.

Un silenci trop grand aquest séro,
la nuéch gemìs e trobo ren qui la counsoùlo.

Un silenzio troppo profondo questa sera si consuma / la notte geme non trova chi la consoli.

Despi temp, l'outourn passa,
l'uvern trasso la néu claro,
s'i quiòt qu'avihen pastura
lou silcnci grand s'ajaro,
sus la mountanho souléto
dindio pus la sounaiéto.

Da tempo, passato l'autunno, / l'inverno segna la candida neve, / sui pianori che avevamo pascolato / il silenzio si adagia immenso, / sulla montagna solitaria / non rintocca più il campano.

Lou temp carésso la man,
la flamo dindoùlo pianét,
gardo, a la pouncho de l'an,
lou suemiliàr de toun fihét.
Sus la mountanho souléto
dindo pus la sounaiéto.

Il tempo accarezza la mano / la fiamma oscilla, breve, / vigila all'aprirsi dell'anno / il sogno del tuo bambino / sulla montagna solitaria / non rintocca più il campano.

Lis estellos fan barrièro
sus l'emhroùho de la nuéch,
trassa dins la founsour nièro
Jaque Nostre s'enrého dréch.
Sus la mountanho souléto
dindo pus la sounaiéto.

Le stelle fanno baluardo / al limitare della notte, / disegnato nella profondità nera del cielo / San Giacomo, il nostro, s'insolca lontano. / Sulla montagna solitaria / non rintocca più il campano.

Sus l'ère linde uno prièro
passo esclento 'ma uno grimo
d'angelét, briho a la cimo
de l'oumbroùr, se perd sus terro.
Sus la mountanho souléto
dindo pus la sounaiéto.

Sull'arco puro una preghiera / passa limpida come una lacrima / d'angioletto, brilla in cima / all'ombra, si perde sulla terra. / Sulla montagna solitaria / non rintocca più il campano.



3. LI ROCHOS DI BAUS (LE RUPI DEL BAUS)


Es lou mistral enferouni que boufo
per li deserto auturo e dins li bàisso,
es lou mistral enferouni qu'estoufo
li gémi de la terrò e dcrén làisso.

E'il maestrale inferocito che soffia, / sulle alture deserte e nelle convalli, / è il maestrale scatenato che soffoca / i gemiti della terra e nulla lascia.

Pastre, embarro lou mantèl!
Li rochos di Baus
soun bianchos de luno,
lou diable a l'enquiàus
sout terro s'entruno.

Pastore chiuditi nel mantello! / Le rupi dei Baus sono bianche di luna, / il diavolo al riparo / si appiatta sotto terra.

Pastre, embarro lou troupèl!
Li rochos di Baus
soun bianchos de mort,
lou diable a l'enquiàus
ié sécho i remors.

Pastore rinchiudi il gregge! / Le rupi dei Baus / sono pallide di morte, / il diavolo nascosto / vi annienta ogni rimorso.

Es lou mistral enferouni que boufo
per li deserto auturo e dins li bàisso,
es lou mistral enferouni qu'estoufo
li gemi de la terro e derén làisso.

E'il maestrale inferocito che soffia, / sulle alture deserte e nelle convalli, / è il maestrale scatenato che soffoca / i gemiti della terra e nulla lascia.


4. NUECH AL JAS (NOTTE ALLO STAZZO)


Nuéch de silenci al jas,
lou drai s'envai, s'envén,
lou drai es jamai las;
la pasto à soun creissént,
la cuécho a la panièro,
Celendos es sus la terro :
porto lou pan Vincén!

Notte di silenzio alo stazzo, / il drago va e viene, / il drago non e' mai stanco, / la pasta lievita, / i pani sono sulla grata, / Natale e' sulla terra / porta il pane Vincén!

Deman es como encuéi,
semenço porto bruéi,
l'efant se fai mina,
lou bruéi se créis en bia,
mina se charjo d'an
lou bia se pasto en pan.

Domani è come oggi, / il seme accestisce, / il bambino si fa ragazzo, / il germoglio cresce in grano, / il ragazzo si carica d'anni, / il grano s'impasta in pane.

Sus lou chamin di reires
anen, gent per reveire
uno fremo e un fihét,
un pais que duèrm quiét
Celendos es sus la terro:
porto lou pan Vincén!

Sul sentiero degli antenati / andiamo, o gente, per rivedere / una donna ed un bambino, / un paese che dorme in silenzio: / Natale è sulla terra : / porta il pane Vincén!



5. CHAMINO, VINCEN! (CAMMINA VINCENT!)


Chamino que chamino, Vincenét
la terro te s'enquino.
l'auro pousso ti piha
sus lou draiòu bourcu de Col Tourrét.

Cammina, cammina Vincén / la terra ti si inchina / il vento spinge i tuoi passi sul / sentiero aspro di Col Tourrét.

Chamino que chamino, Vincenét
la terro te s'enquino
es dur de guiàs lou sol,
li estellos dances sus lou Col Turret.

Cammina, cammina Vincén / la terra ti si inchina / il suolo e' duro di ghiaccio / le stelle danzano sul Col Tourrét

Chamino que chamino, Vincenét
la terro te s'enquino
lou temp jamais s'arrèsto
es nuéch de festo sus lou Col Tourrét.

Cammina, cammina Vincén / la terra ti si inchina / il tempo non si arresta mai / e' notte di festa al Col Tourrét



6a. IRATAZ E GAAUZENS (Bertrand de Born - II CANZO)


Iratz e gauzens m'en partray,
S'ieu ja la vei, l'amor de lonh;
Mas non sai quoras la veyrai,
Car trop son nostras terras lonh:
Assatz hi a pas e camis,
E per aisso non suy devis...
Mas tot sia cum a Dieu platz!

Dolente e gioioso me ne partirò, / Se mai io lo veda, l'amore lontano; / Ma non so quando lo vedrò. / Poiché le nostre terre sono lontane; / Sono numerosi i passaggi e le strade, / E perciò non sono un buon profeta... / Ma tutto sia come a Dio piace.

6b. MASSAS E BRANS (Jaufre Rude] - III VIATOR AMOR)

Massas e brans, elms de color,
Escutz tranchar e desguarnir
Veirem a l'entrar de l'estor
E maintz vassals ensems ferir,
Don anaran arratge
Chaval dels mortz e dels nafratz;
E quant er en l'estorn entratz,
Chascus hom de paratge
No pens mas d'asclar chaps e bratz,
Que mais val mortz que vius sobratz.

Mazze, spade ed elmi variopinti, / E scudi li vedremo infranti e distrutti / All'inizio dell'assalto / E molti guerrieri urtarsi l'un l'altro, / Errando per il carnaio / I cavalli dei morti e dei feriti; / E quando nella mischia / Sarà entrato ogni uomo d'alto lignaggio, / Egli non penserà che a infrangere teste e braccia, / Perché un morto vale di più di un prigioniero.



7. PRIERO (PREGHIERA)


Dai barris peiroùs sus l'auro s'envèllo
per crèsi e sarét uno douço musico,
sarvans e faiétes fan danço nouvello,
la novo lusour jo soutouro l'antico.

Dagli abissi pietrosi sull'aura si effonde / per creste e dossi una dolce musica, / silvani e fatine intrecciano una nuova danza, / la nuova luce già sotterra l'antica.

Tout long la quintano un besèl d'anhelél
dindano. dindano li suèmi estousséro,
la luno jo escrìou sus la néu di sarréts
l'estorio d'un ome, l'estorio pus véro.

Giù per il vicolo un belato d'agnello / culla e riculla i sogni stasera, / già la luna scrive sulla neve dei dossi / la storia dell'uomo, la storia più vera.

E l'auro s'en porto dal soum de milo ans
la libro prièro de reire e vivents:
que l'uèrge a Celendos redoune lou pan
crousia de la man sancto de nosto gent.

E il vento si porta via dal profondo di mille anni / la libera preghiera di antenati e di viventi: / che l'orzo a Natale restituisca il pane / fatto a croce dalla mano santa della nostra gente.


8. AQUESTO NEUCH


Aquesto nuéch ài vist
lou lume dins la vòuto,
lou viei Vincén cuentàr l'estorio
dal luénh Deiniàl passa
de noste pan crousia.

Questa notte ho visto / il lume nella stalla, / il vecchio Vincén narrare la storia / dell'antico Natale / del pane a croce.

Aquesto nuéch ài vist
un fihét que piourravo,
sa Maire que lou dindanavo,
e ié ensuhavo
la grimo que toumbavo.

Questa notte ho visto / un bambino piangere, / sua madre lo cullava / e gli asciugava / la lacrima che cadeva.

Contributed by gianfranco - 2019/10/6 - 11:04


Ma guarda che ti trovo qua:

"Forse non interesserà a nessuno (tranne che a Marco Sopegno, che d'altronde mi ha fornito l'album e i testi); ma, d'altronde, oggi è una giornata in cui il puzzo di morte va cacciato con qualcosa di vita, qualcosa qualsiasi.
Questi sono i testi di un album dei Troubaires de Coumboscuro, "Lou Pan Crousià", seguiti da una traduzione. Spero che piacciano a chi avrà voglia di leggerli."

(Riccardo Venturi)

B.B. - 2019/10/6 - 15:15


ora bisognerebbe chiedere a RV di raccontarci della "balarina" e del vecchio Vincent

ciao gianfranco

ps per il puzzo mi sembra che la situazione non sia migliorata...

2019/10/6 - 19:20


Carissimo Gianfranco, sicuramente non mancherò. Ho avuto qualche giorno di incasinamenti vari (tra cui un attaccone di sciatica vagante, visto che è cominciato a sinistra e poi, come impone la moda attuale, si è buttato a destra). Il puzzo di morte, concordo, gode in compenso di ottima salute; ma non ci lasceremo sopraffare. Ti ringrazio, personalmente e a nome di tutto il sito, per avere inserito questa pagina che, ripeto, non mancherò certo di "rielaborare" un po' dato che mi riporta a tempi internetticamente molto antichi, epoche passate, connessioni a pagamento con la TUT e bollette astronomiche (nel 1998 me ne arrivò una bimestrale di tre milioni e duecentomila lire, se legge qualche "millennial" sappia come funzionava nella preistoria). Marco Sopegno, piemontese DOC, era uno dei vecchi amici di una congrega di scioperati che, all'epoca, davano vita a dei "Newsgroup Usenet" e a delle "Mailing list" che periodicamente si riunivano per autentiche orge culinario-musicali (dette "Piole") nei posti più improbabili (tipo una bettola nel porto industriale di Livorno, tra acciughe, fiaschi di vino, schitarrate e quant'altro); come accade praticamente sempre, ogni cosa ha il suo tempo e, per un motivo o per un altro, ci siamo persi tutti di vista. Ma il ricordo permane e, come tutti i ricordi, ha il vizio di ricomparire quando meno te lo aspetti. Peraltro, come forse avrai notato, un brano di quest'album, Massas e brans, era già presente nel sito, addirittura nelle cosiddette "CCG primitive" (vale a dire le 603 canzoni della primitiva raccolta del 2003, che ha dato origine a questo sito). Insomma, ci sarà da lavorarci un po'. Per ora, ancora grazie di tutto, Gianfranco. Saluti cari.

Riccardo Venturi - 2019/10/7 - 06:38


buongiorno Riccardo e grazie della risposta, in attesa di un tuo completo ristabilimento, vorrei provare ad anticipare qualche considerazione relativa alla vicenda narrata nell'album.
Dalle note del forum/blog che riporta:

[...] Vincent e' esistito sul serio, e la storia del disco e' sostanzialmente vera (chissà quante altre ce ne sono state, di simili).
La raccontava spesso il vecchissimo Vincent a quel bambino (...non andava ancora a scuola) che lo aiutava nella stalla durante la mungitura. Naturalmente il vecchio raccontava la sua storia in forma di favola, popolandola di spiriti e demoni che spingevano la valanga e il maestrale. I piccoli montanari della borgata lo ascoltavano, il vecchio Vincent, fissandolo con gli occhi sgranati.
Il bimbo che aiutava Vincent a "governare" le vacche era Sergio Arneodo.
Poi l'Arneodo inizio' a sua volta a raccontare la semplice storia di quel viaggio che tanto lo aveva affascinato. Fino a farne un lavoro teatrale (se noti un poco la struttura teatrale e' rimasta nel disco) e quindi l'album, con l'aiuto di figli e parenti.[...]

Ne deduco che la sera nella stalla o nel fienile (la stalla era più calda, riscaldata, come ben si sa, dal bue e dall'asinello) si succedevano i (soliti) racconti dei vecchi allo scopo non già si "intrattenimento" degli astanti (grandi e piccoli) ma per una sorta di "doposcuola" e "passaggio" della cultura popolare fra le generazioni, il che dava luogo alla "tradizione" che come ben mi insegni, oltre che "tradimento" era proprio una (si direbbe oggi) "trasmissione seriale dei dati" dal vecchio al nuovo...
Ora secondo me, non è che proprio le creature pendessero ad "occhi sgranati" dalle sue labbra, ma forse per quietare i monelli scatenati era necessario ricorrere (come in tutte le altre regioni) ad abili sotterfugi, quali quello di condire le storie con spiritelli, effetti speciali, streghe (masche) o creature misteriose (la séhégogga valdostanaa) ed altre varianti locali. Di lì ad infilare il fosco guerriero medievale e company il passo era breve. Le creature, soggiogate e incantate da tanta dovizia di personaggi misteriosi smettevano di distruggere le poche suppellettili e si sedevano ad ascoltare.
Logico che questi racconti, ripetuti per i lunghi inverni montani, con aggiunte sempre di nuovi e più cruenti dettagli, restassero impressi nel ricordo del Decano di Coumboscuro (deceduto ad 86 anni nel 2013)

https://www.coumboscuro.org/sancto_luc...


del quale non posso vantare che una conoscenza superficiale, in quanto mi recai poche volte, diciamo dal 1998 in poi a Santo Lucio di Coumboscuro, (abbastanza difficoltosa da raggiungere sia a piedi che in auto, specie al buio) sia per visitare il museo che per qualche concerto serale...

Di Sergio Arneodo, oltre ai dischi del gruppo mi resta una copia del libretto "Vento di Montagna" del 1951, che contiene sette brevi storie (novelle) di carattere montanaro, tutte tristi, con tragica morte dei protagonisti (una anticipa il dramma del Vajont) e che senz'altro è stato ispirata da quei racconti e dalle esperienze giovanili.
Non saprei cosa altro aggiungere, gli chiesi indicazioni circa la partecipazione di FdA al lavoro dei Troubaires ma si tenne sul vago. Su qualche locandina dei concerti espresse perplessità circa gli sviluppi dalla musica tradizionale che si stava evolvendo (con esiti infelici, sia a mio che suo avviso, se non mortali,) verso la world music se non la new-age o balle simili.

Dato che ho inserito il modo +v ("Verbose") aggiungerò questo (a mia eterna infamia)

prima di leggere la storica frase:

PS: la ballerina bianca e' un uccelletto ancora oggi comune nei prati alpini, in italiano dovrebbe chiamarsi cutrettola [...]

io pensavo che la balarina fosse una graziosa fanciulla bianco-vestita alle prese di una di quelle vorticose danze occitane di gruppo (mi sembra la farondulo o rigodon, ma sono passati 20 anni e non ricordo bene) con effetto finale tipo "colpo di frusta" che, ad esempio nell'agosto del 1999 a Piano Quinto, fecero "volare" un paio di ballerini contro le casse degli altoparlanti, fortunatamente senza (gravi) conseguenze (per le casse e per le persone)
Non ricordo il nome del ballo, sul tubo ho trovato solo questo,che ci mostra la piazzetta del paese:

https://youtu.be/qzGVx1LeDgk

ti saluto, Riccardo e tanti auguri

gianfranco, 7 ott.2019

2019/10/7 - 11:18


Ciao Gianfranco,

la ballerina bianca è il mio volatile totemico, perchè ne ho diverse con cui sono entrato ormai in confidenza e non scappano nemmeno più se mi avvicino, quando pascolano sul trifoglio all'inizio dell'estate.
Il suo nome comune è batticoda e non cutrettola, che comunque è un uccelletto della stessa famiglia...

B.B.(irdwatcher) - 2019/10/7 - 12:59


Grazie all'intervento del B.rave B.irdWatcher è stata chiarito il problema annoso della ballerina, ed anche quale sia stato il ballo su citato, trattandosi della "farandole" ballo medioevale di corte poi scaduto a divertimento della gleba, vediamo qui un esempio:

https://youtu.be/8IoNy8l6AIA

vorrei infine tornare al discorso delle riunioni serali nelle stalle, di cui si ha qualche traccia nella letteratura, oltre che in qualche brandello del dna dello scrivente.
Leggiamo dal libro "Vento di Montagna", di Sergio Arneodo, pagina 69:

E' stato una sera, nella stalla di Montrin.
C'eravamo tutti e si stava un po' stretti e quasi rintanati negli angoli, piuttosto oscuri per via della lucerna che mandava un po' di luce, a sprazzi.
Così si stava al buio per forza o anche a bella posta, chi ci aveva piacere; ch'era una buona occasione per trovarsi vicini senza dar nell'occhio a nessuno.
Si stava sulla paglia, negli angoli bui, ad osservare le macchie chiare ed incerte delle vacche muoversi ogni tanto al di là della lucerna, e si ascoltava il tinnire delle catene ed i loro colpi sordi sull'asse della mangiatoia; e ben spesso, quando una bestia incominciava a sfregarvi su le corna o a soffiare un'onda di fiato caldo contro le pietre del muro, bisognava chiamarla per farla star giù : e quella allora si voltava a guardarti con occhi gravi, enormi.
S'era dunque nella stalla di Montrin. dove si stava un po' stretti perchè c'eravamo tutti, o quasi; e si stava distesi sulla paglia negli angoli un pò bui, per via della scarsa fiamma della lucerna.

e ancora dal libro "Vivere e morire a testa alta" di Aldo Quaranta, capo partigiano:

Le osterie, dove si incontrano i vecchi della valle ed i militari, e le stalle dove i soldati anche non invitati, vanno la sera a vegliare per tentare le ragazze - due ritrovi dove tra il calore, il vino o la speranza di un amore l'animo è facilmente preso da dolci sentimenti di pace e di avversione alla guerra - sono i luoghi dove la gente del paese, a poco a poco, "lavora" il soldato littorino tanto da spingerlo a disertare...

quindi le stalle, oltre che rifuglio per il bestiame, anche ritrovo dei paesani, scuola di vita e anche "casa di appuntamenti"...
ma un'altra funzione, meno documentata: insieme all'osteria, al luogo di lavoro e poche altre occasioni di socializzazione è "la bottega di artigiano" dove la musica ed il canto popolari vengono forgiati, levigati, cesellati nel corso di lunghi anni, o meglio di lunghi inverni di montagna.

gianfranco 07 ott.2019

2019/10/7 - 22:15




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