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Anaciclosi

Marco Cantini
Langue: italien


Marco Cantini

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2018
La febbre incendiaria
febbre
Liberamente tratto dal romanzo "La Storia" di Elsa Morante
Marco Cantini: voce e chitarra acustica
Sara Benvenuti: voce
Francesco "Fry" Moneti (Modena City Ramblers): violino
Riccardo Galardini: chitarre elettrica e acustica
Lorenzo Forti: basso elettrico
Fabrizio Morganti: batteria
Lele Fontana: hammond
Gianfilippo Boni: piano
Claudio Giovagnoli: sax tenore

Anaciclosi, con Sara Benvenuti, rientra in ranghi molto placati a livello sonoro, con la chitarra classica che detta i ritmi e il flauto che aggiunge qualche nota più acuta.

La descrizione degli ultimi giorni dell’occupazione tedesca dentro Roma città aperta, quando la città diventa un triste luogo per avvoltoi, i soli a nutrirsi a sazietà. Qualche anno dopo, nel 1947, la guerra è finita; ma non la rabbia e la disperazione di Davide, che in un’osteria tiene un lungo discorso sull’anarchia e sulla rivoluzione – che nessuno tra gli avventori ha voglia di ascoltare – denunciando nella sua invettiva il male borghese quale eterna piaga eruttiva che infetta la Storia. Di lì a poco morirà stroncato da un’overdose, nel suo piccolo appartamento, mentre il piccolo Useppe ed il cane Bella lo cercheranno invano.
loudvision.it





Negli alberghi di lusso
requisiti dai comandi del Reich
si svolgevano cene ossessive
tra i vomiti di grasse abboffate
e dalle tavole imbandite
concertarono stragi impunite

Ogni cuore ha una croce
10, 100, 1000 croci con se
da un vassallo di intrallazzo malato
che si sente beatificato
che umiliava la folla nel rango
di fantocci persi nel suo sogno

Roma soffoca di pena,
ed irrompe il polverone della rovina
non avrà più dominio nel mondo
quella morte da scontare vivendo
l'innocenza affamata dall'eco
rantolante in un tempo sfinito
nella nuda pelle del mondo
si distende poi striscia sul fondo
e cancella le tracce sincere
che plasmarono nuove frontiere

Nei quartieri del lutto
rastrellati dai comandi del Reich
pan di segale e segatura
per la fame si elargisce paura
e divora nel rombo remoto
del futuro già morto e ferito

Roma scruta in lontananza
la ferocia dell'umana via speranza
non avrà più dominio nel mondo
quella morte da scontare vivendo
l'innocenza affamata dall'eco
rantolante in un tempo sfinito
nella nuda pelle del mondo
si distende poi striscia sul fondo
e cancella le tracce sincere
che plasmarono nuove frontiere

C'era un ragazzo che alla fine parlò
tra veglia e sonno di filosofia
di date poi conti di spese
elenchi di biancheria
distinguendo intelletto e sostanza
intese Dio e natura
conferendoli a Hegel e Marx
nella nuda memoria
che ha la faccia di un soldato
spappolata sotto il suo stivale
quasi un implorante orgasmo
che ritornava a far male
accanto al letto la solita sedia
con la medicina
polveri e pastiglie eccitanti
da iniettarsi in vena
dove restava un avanzo di Kiev
comprato da un marocchino
l'oppio grezzo color d'ambra scura
nello sguardo di un bambino
con un cane di nome Bella
lo scrutavano dentro casa
quattro occhi troppo piccoli
per contare qualcosa.

envoyé par DQ82 - 29/12/2018 - 17:14


Il discorso di Davide Segre

Ah già, la guerra è finita!» ripeté Davide, in tono polemico, «è tempo di pace, già…» E, così detto, rise sguaiatamente.

«Di queste paci se ne sono fatte centomila! E se ne faranno altre centomila, e la guerra non è mai finita! Usare la parola PACE per certi intrallazzi, è… è pornografia! È sputare sui morti! Ma già, i morti, se ne fa un conto approssimativo, e poi vanno in archivio: pratiche estinte! Per le ricorrenze, dei signori in tight portano una corona al milite ignoto…»

(«Chi è morto giace e chi è vivo si dà pace», proverbiò un piccolo pensionato, ammiccando coi suoi occhietti sanguinolenti, in un modo che non voleva essere ironico, ma anzi compiacente verso Davide).

«Pratiche archiviate!» rinforzò Davide storcendosi, in rivolta. Ma qui lo trattenne il pensiero che se incominciava a questo modo, arrabbiandosi, avrebbe perso la strada fino dal principio. E in un grande sforzo della volontà, fece una specie di salto mentale, che lo portò a uno stato di sdoppiamento ragionante. C’era un Davide Super-Io, che segnava la marcia, e un altro Davide che ubbidiva, anche se perplesso. E continuò:

1) La parola fascismo è di conio recente, ma corrisponde a un sistema sociale di decrepitudine preistorica, assolutamente rudimentale, e anzi meno evoluto di quello in uso fra gli antropoidi (come può confermare chiunque abbia nozioni di zoologia); — 2) simile sistema si fonda infatti sulla sopraffazione degli indifesi (popoli o classi o individui) da parte di chi tiene i mezzi per esercitare la violenza. — 3) In realtà, fino dalle origini primitive, universalmente, e lungo tutto il corso della Storia umana, non sussiste altro sistema fuori di questo. Recentemente, si è dato il nome di fascismo o nazismo a certe sue eruzioni estreme d’ignominia, demenza e imbecillità, proprie della degenerazione borghese: però il sistema in quanto tale è in atto sempre e dovunque (sotto aspetti e nomi diversi, e magari contrarii…) sèmpar e departùt dall’inissio della Storia umana… In questa fase preparatoria della sua problematica impresa, Davide muoveva il capo, alternativamente, in qua e in là, come chiamasse a testimoni dei propri postulati tutti i presenti del luogo. E sebbene, in realtà, del suo discorso (tenuto, fra l’altro, con voce alquanto moderata) emergessero soltanto degli spezzoni, tosto risommersi nella confusione generale, tuttavia, con una specie di sorda fiducia, lui seguitò ancora, per un tratto abbastanza lungo, a parlare secondo l’ordine predisposto: «…che insomma tuta la Storia l’è una storia di fascismi più o meno larvati… nella Grecia di Pericle… e nella Roma dei Cesari e dei Papi… e nella steppa degli Unni… e nell’Impero Azteco… e nell’America dei pionieri… e nell’Italia del Risorgimento… e nella Russia degli Zar e dei Soviet… sèmpar e departùt i liberi e gli schiavi… i ricchi e i poveri… i compratori e i venduti… i superiori e gli inferiori… i capi e i gregari… Il sistema non cambia mai… se ciamàva religion, diritto divino, gloria, onore, spirito, avvenire… tuti pseudonimi… tute maschere… Però con l’epoca industriale, certe maschere non reggono… il sistema mostra i denti, e ce lo stampa ogni giorno, nella carne delle masse, il suo vero nome e titolo… e non per niente, nella sua lingua, l’umanità viene nominata MASSA, che vuol dir materia inerte… E così, ormai ci siamo… questa povera materia de servissio e de fatica, se rende una pasta de sterminio e disintegrassione… Campi di sterminio… il nuovo nome della terra…

“e chi ha creduto», esclamò, alzando la voce di prepotenza, «che quest’ultima fosse una guerra… di rivoluzione, sappia che quel famoso sistema istituito eterno universale della sopraffazione eccetera per definissione si tiene sempre incollato al patrimonio, di proprietà privata o statale che sia… E per definizione è razzista… E per definizione deve produrse e consumarse e riprodurse attraverso le oppressioni e le aggressioni e le invasioni e le guerre varie… non può sortire da questo giro… E le sue pretese «rivoluzioni» si possono intendere solo nel senso astronomico della parola che significa: moto dei corpi intorno a un centro di gravità. Il quale centro di gravità, sempre lo stesso, qua è: il Potere. Sempre uno: il POTERE…

“…E io sono ebreo… ma non era questo, che volevo dire», protestò Davide arrossendo. Si sentiva, difatti, in colpa, quasi sotto l’accusa di aver messo avanti delle questioni sue proprie personali; però in fondo..

“Per chi mi avete preso?!» protestò ancora, con un certo impaccio, ricercando il filo che gli sfuggiva, «razze, classi, cittadinanze, sono balle: spettacoli d’illusionismo montati dal Potere. È il Potere che ha bisogno della Colonna Infame: quello è ebreo, è negro, è operaio, è schiavo… è diverso… quello è il Nemico! tuti trucchi, per coprire il vero nemico, che è lui, il Potere! È lui, la pestilensia che stravolge il mondo nel delirio… Si nasce ebrei per caso, e negri, e bianchi per caso…» (qua gli parve d’un tratto di ritrovare il filo) «ma non si nasce creature umane per caso!», annunciò, con un sorrisetto ispirato, quasi di gratitudine. Dall’alga all’ameba, attraverso tutte le forme successive della vita, lungo le epoche incalcolabili il movimento multiplo e continuo della natura si è teso a questa manifestazione dell’unica volontà universale: la creatura umana! La creatura umana significa: la coscienza. Questa è la Genesi. La coscienza è il miracolo di Dio. È Dio! Quel giorno Dio dice: Ecco l’uomo! E poi dice: Io sono il figlio dell’uomo! E così infine riposa, e fa festa… «Ma la coscienza, nella propria festa, è una, totale: non esistono individui separati, nella coscienza. E nessuna differenza esiste, nella realtà, fra l’una e l’altra creatura umana. Bianchi neri rossi o gialli, femmine o maschi, nascere creatura umana significa essere cresciuti al grado più alto dell’evoluzione terrestre! È questo il segno di Dio, l’unico stemma reale dell’uomo: tutti gli altri stemmi, onori e galloni sono dei brutti scherzi, un de pestilensia: chiacchiere e delirio patacche…» «Ma tu, in Dio ci credi?» lo interruppe un tale Clemente, con una mezza bocca storta, che denotava, già dentro l’interrogazione, un giudizio dispregiativo sull’interrogato. «Eh, beato chi ci crede!» sospirò, in proposito, un ometto dagli occhi sanguinosi…

«Che domanda è questa?! eppure, ritenevo di essermi spiegato», borbottò Davide, «…se CREDO IN DIO?… questa è una domanda sballata in se stessa, uno dei soliti trucchi di parole. Un trucco, come tanti altri».

«Ah. Un trucco».

«Un trucco un trucco. Roba da preti e da fascisti. Parlano di fede in Dio nella patria nella libertà nel popolo nella rivoluzione, e tutte queste loro fedi non sono altro che patacche, truccate per i loro comodi, come le medaglie e le monete. A ogni modo, io sono ATEO, se è questo che volevi sapere».

«Allora, ché sta a parlare tanto di Dio, se nemmanco ci crede!» sbottò per proprio conto il sensale, gonfiando un poco la gota con aria di fastidio.

E Davide: “Credere in Dio… E che Dio sarebbe un Dio che ci si può credere e non credere?! Anch’io, da ragazzino, la intendevo a questo modo, più o meno… Ma non è questo, Dio!… Aspettate! mi viene in mente una volta, poco tempo fa, che un amico mio mi domandò: ‘Tu credi che Dio esista?’ ‘Io credo’, gli risposi pensandoci, ‘che soltanto Dio esiste’. ‘E invece’, disse lui senza pensarci, ‘io credo che tutte le cose esistono, fuorché Dio!!’ ‘Allora’, abbiamo concluso, ‘è chiaro che non siamo d’accordo…’ E invece io dopo ho scoperto che io e lui dicevamo la stessa cosa…» Simile spiegazione dovette suonare agli ascoltatori (seppure alcuno veramente era stato a sentirla) come un quiz indecifrabile. Forse, avranno presunto che si trattasse di una teologia ebraica.

Difatti si dice: Dio è immortale, proprio perché l’esistenza è una, la stessa, in tutte le cose viventi. E il giorno che Credere in Dio… E che Dio sarebbe un Dio che ci si può credere.

La coscienza lo sa, che cosa rimane, allora, alla morte? Nel tutti-uno la morte non è niente: forse che la luce soffre se tu, o io, chiudiamo le palpebre?! Unità della coscienza: questa è la vittoria della rivoluzione sulla morte, la fine della Storia, e la nascita di Dio! Che Dio abbia creato l’uomo, è un’altra delle tante favole, perché invece, al contrario, è dall’uomo che Dio deve nascere. E ancora si aspetta la sua nascita; ma forse Dio non sarà mai nato. Non c’è più speransa nella vera rivoluzione…» «Ma tu, saresti rivoluzionario?» parlò di nuovo Clemente, sempre con quella sua maniera subdola e di malavoglia, che deprezzava la risposta dell’altro già prima di averla udita: «Questa», disse Davide con un risolino amaro, «è un’altra domanda-trucco. Gente come Bonaparte, o Hitler, o Stalin risponderebbero sì… A ogni modo, io sono ANARCHICO se è questo che volete sapere!» Adesso, parlava rissoso, ma non contro Manonera: piuttosto, contro un qualche interlocutore invisibile. A momenti, confondeva la voce rauca e agra di Manonera con quella del proprio Super-Io! «E la sola rivoluzione autentica è l’ANARCHIA! A-NAR-CHIA, che significa: NESSUN potere, di NESSUN tipo, a NESSUNO, su NESSUNO! Chiunque parla di rivoluzione e, insieme, di Potere, è un baro! e un falsario! E chiunque desidera il Potere, per sé o per chiunque altro, è un reazionario; e, pure se nasce proletario, è un borghese! Già, un borghese, perché, oramai, Potere e Borghesia sono inseparabili! La simbiosi è stabilita! Dovunque si trovino i Poteri, là ci cresce borghesia, come i parassiti nelle cloache…» «Eh, quelli tengono i soldi», fece l’oste, in uno sbadiglio, stropicciandosi il pollice contro l’indice della mano destra. «Con la moneta», sopravvenne una voce spensierata, dalla parte dei radioascoltanti, «ci si compra pure la Madonna…» «…e pure il Padreterno», ribadì una seconda voce, più sorniona, dalla stessa parte. «La moneta…» rise Davide. E in una confusa intenzione di spettacolo, con l’aria di un terrorista che scaglia una bomba, si cavò di tasca i due bigliettucci di banca che ci teneva, buttandoli di lato con disprezzo. Però, malgrado il suo slancio, quei pezzetti di carta senza peso cascarono a un passo da lui….

«La moneta», gridò, «è stata la prima buggeratura della Storia!

Fu uno dei primi trucchi di quelli là!» incalzava Davide, «e loro, con questo trucco della moneta, ci hanno comprato la nostra vita! Tutte le monete sono false! È forse commestibile, la moneta? Loro vendono a caro prezzo delle mistificazioni da immondezzaio. A venderlo a peso, un milione vale meno di un chilo di merda…

Nella Comune Anarchica, la moneta non esiste».

E qua, senz’altro, partì a descrivere la Comune Anarchica: dove la terra è di tutti, e tutti la lavorano assieme, spartendosene i prodotti alla pari secondo la legge di natura. Difatti il guadagno, la proprietà, le gerarchie, sono tutte depravazioni contro natura, che di là sono escluse. E il lavoro è una festa dell’amicizia come il riposo. E l’amore è un abbandono incolpevole, libero di ogni egoismo possessivo. I figli — tutti nati dall’amore — là sono figli di tutti. Non ci esistono le famiglie, che in realtà sono il primo nodo dell’imbroglio della società istituita, la quale è sempre un’associazione a delinquere… Là si ignora l’uso dei cognomi, ci si chiama per nome; e in quanto ai titoli e ai gradi, là ci farebbero un effetto tanto ridicolo quanto mettersi un naso finto o una coda di carta. Là i sentimenti sono spontanei, perché il movimento naturale reciproco è la simpatia. E i sensi, guariti del delirio de pestilensia del Potere, ritornano alla comunione con la natura, in una salute inebriante! Là il palato, la vista, l’udito, l’intelletto, sono tutti gradi verso la vera felicità unitaria.

Davide, inghiottendo e ridendo, con disagio, prosegue: «Si racconta che l’uomo, nel principio, rinunciò all’innocenza dell’Eden per la coscienza. E questa scelta richiedeva la prova della Storia, ossia della lotta fra la Rivoluzione e il fantoccio del Potere… finché, da ultimo, il fantoccio ha vinto! respingendo l’uomo ancora più indietro degli animali inferiori!! È a questo, oramai, che si assiste! Difatti tutte le altre specie viventi, almeno, non hanno regredito: sono rimaste dov’erano il primo giorno: nell’Eden, allo stato di natura! Mentre l’umanità lei sola ha regredito! E si è retrocessa non solo dal suo grado storico di coscienza, ma anche dal grado della natura animale. Basta ricapitolare la biologia, e la Storia… Mai, prima, nessuna specie vivente aveva prodotto un mostro al di sotto della natura come quello partorito nell’epoca moderna della società umana

Almeno, i Poteri preborghesi», attaccò, avventandosi, con una smorfia, «togati e imparruccati, in trono, sugli altari e a cavallo, per quanto impestati, forse mantenevano ancora una nostalgia postuma, disémo, della coscienza totale. E per riscattarsi (in parte almeno) della loro vergogna, lasciavano qualche opera vitale, da valercene (in parte almeno) per una restituzione, o una speransa de salute… Insomma, qualche traccia luminosa, prima di putrefarsi, la lasciavano… Ma il Potere borghese, sul suo passaggio, non lascia che una striscia bavosa repulsiva, un pus d’infezione. Dove attacca, riduce ogni sostanza vitale — anzi, perfino ogni sostanza inanimata — a necrosi e marciume, come fa la lebbra… e non se ne vergogna! Difatti la vergogna è ancora un segnale della coscienza — e i borghesi, la coscienza, che è l’onore dell’uomo, l’hanno amputata. Si credono degli esseri interi, mentre sono dei monconi. E la loro massima sventura è questa ignoranza ottusa, impenetrabile…» Era salito a un tono di esibizione irosa, da Pubblico Ministero! né questa certo era la prima volta che lui sosteneva la parte dell’accusa in un simile giudizio anzi, le sue proposizioni odierne erano tutte echi e ritornelli di un inno da lui cantato e ricantato non si sa quante volte, o da sé solo, o coi suoi compagni di lotta, quando, occasionalmente, si sentiva in vena… Solo che la sua contestazione di classe oggi gli si raddoppiava di una passione viscerale e disordinata, che minacciava d’ingolfarlo, e poiché lui tentò di sfogarne l’eccesso con una delle sue solite risate selvagge, questa medesima risata parve ricascargli addosso come una scarica di pugni, rinvigorendo i suoi muscoli per la vendetta. I termini della requisitoria che andava pronunciando non gli sembravano bastanti per inchiodare definitivamente l’imputato: abusati, risaputi… E frugava nella propria inventiva a cercarne dei nuovi, risolutivi per questo scontro estremo; quando la strana invadenza della sua passione lo oltrepassò; e non trovando altro di meglio, la lingua gli si scatenò in una serie di oscenità atroci (di quelle comunemente dette da caserma) piuttosto inconsuete nella sua parlata. Lui stesso, nel proferirle, ne provava stupore, insieme col piacere vorace di violentarsi. E aveva la sensazione stravagante di celebrare una sorta di messa nera. «La natura è di tutti i viventi», si affannò di nuovo a spiegare, con la voce arrochita, «era nata libera, aperta, e LORO l’hanno compressa e anchilosata per farsela entrare nelle loro tasche. Hanno trasformato il lavoro degli altri in titoli di borsa, e i campi della terra in rendite, e tutti i valori reali della vita umana, l’arte, l’amore, l’amicizia, in merci da comprare e intascare. I loro Stati sono delle banche di strozzinaggio, che investono il prezzo del lavoro e della coscienza altrui nei loro sporchi affari: fabbriche d’armi e di immondezza, intrallazzi rapine guerre omicide! Le loro fabbriche di beni sono dei lager maledetti di schiavi, a servizio dei loro profitti… Tutti i loro valori sono falsi, essi campano di surrogati… E gli Altri… Ma si può ancora credere In altri da contrapporre a LORO? Forse le LORO falsificazioni resteranno l’unico materiale della Storia futura. È qui forse il punto cruciale d’inversione senza rimedio, dove i calcolatori scientifici della Storia, anche i migliori, purtroppo, hanno sbagliato il conto (la prognosi infausta del Potere, si capisce, viene rimossa da chi, dentro il pugno chiuso della rivoluzione, nasconde la stessa piaga infetta del Potere, negandone la malignità)! Si diagnosticava il male borghese come sintomatico di una classe (e dunque, soppressa la classe, guarito il male)! mentre invece il male borghese è la degenerazione cruciale, eruttiva, dell’eterna piaga maligna che infetta la Storia… è un’epidemia de pestilensia… E la borghesia segue la tattica della terra bruciata. Prima di cedere il potere, avrà impestato tutta la terra, corrotto la coscienza totale fino al midollo. E così, per la felicità non c’è più speransa. Ogni rivoluzione è già persa!»

Dq82 - 11/2/2019 - 18:44




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