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Fiume

Massimo Priviero
Language: Italian


Massimo Priviero

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Un album che parla di emigrazione, un vero e proprio concept-album che omaggia storie di vita degli Italiani di ieri e di oggi, parlando di rinascita, di rinnovamento, di forza.

Un uomo ritorna, ormai anziano, nel pezzo di terra istriano che da bambino aveva dovuto lasciare insieme alla madre. Quanto era avvenuto in quelle terre negli anni della sua infanzia è ben noto. Suo padre non era riuscito ad andarsene in tempo, in difesa ostinata di una piccola attività con la quale dava da vivere alla moglie e al figlio. E la vita di chi all’epoca visse sfollato in Italia fu difficile. Anche per una sorta di diffidenza, diciamo di tipo storico e politico, che spesso circondava questi esuli italiani. Una frase del padre accompagnerà quest’uomo per tutta la sua vita, ritornando anche nel momento in cui, dopo tanto tempo, egli decide di tornare là dove era partito.

Nell’appartamento giusto alla porta accanto del condominio dove io vivevo, abitava uno stra- no tipo che conduceva una vita molto riservata e che aveva un cognome assai strano rispetto a quelli che erano e sono comuni nel nordest d’Italia. Il signor Kerbavich tuttavia non era slavo come apparentemente poteva denunciare il suo cognome ma viceversa era assolutamente italiano e viveva lì insieme a una madre ormai parecchio anziana. Da quel che mi era noto, non aveva mai messo su una famiglia sua. Capitò un giorno, potevo avere una ventina d’anni, che per una qualche ragione mi fossi ritrovato davanti all’ingresso di casa mia senza la chiave e co- stretto ad attendere, in un pomeriggio d’inverno, che rientrassero verso sera i miei genitori e mia sorella. Quando, dopo aver salito insieme le scale, mi vide indugiare e smadonnare davanti alla porta senza alcuna possibilità di entrare, mi invitò da lui a prendere un caffè anche per inganna- re il tempo d’attesa. Fu così in quel paio d’ore che finì col raccontarmi, spesso con occhi parec- chio commossi, la sua storia di esule scappato da Fiume ormai una trentina d’anni prima. In real- tà, storie come la sua erano diffuse quanto spesso taciute. Il mondo di quel tempo guardava a questa gente con sospetto se non addirittura con una sorta di disprezzo. Le due grandi chiese dominanti, se così possiamo dire, quella cattolica e quella comunista, avevano strane ma coin- cidenti ragioni per rimuovere le vicende che giravano intorno a questa gente che spesso era stata sfollata e viveva in paesi di costa adriatica. Allo stesso modo i crimini commessi dal regime di Tito, foibe comprese, erano argomenti sui quali era meglio sorvolare sia per ragioni di tipo i- deologico che per motivi di equilibri politici internazionali, se così si può dire. La storia ha poi mo- strato al di là di ogni ragionevole dubbio quanto certi crimini non siano avvenuti solo per una reazione, in clima di guerra e di fine conflitto, a scapito della parte fascista che aveva invaso ed era stata giustamente sconfitta. Molte vittime avevano avuto semplicemente la colpa di essere italiane e di essersi trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato, se così la vogliamo metter giù. In tutto questo, e decidendo di non entrare in valutazioni storiche e politiche che meritereb- bero ben altro approfondimento, “Fiume” vuole semplicemente essere la storia di un italiano. Niente di più e niente di meno. Il signor Kerbavich, come aveva fatto suo padre, non aveva nel- la sua giovinezza alzato alcuna bandiera che non fosse coincisa col proprio desiderio di una vita onesta nella città dove era cresciuto. E, per quanto questa cosa ad un certo punto della sua vita fosse diventata del tutto drammatica per la “scomparsa” di suo padre, una volta lasciata la sua terra aveva ostinatamente ed anche orgogliosamente seguitato a sentirsi italiano.
Massimo Priviero

Ricordo quel giorno come fosse ieri
Quando al porto di Fiume la nave arrivò
Per mano a mia madre sul molo lì in piedi
Mio padre diceva presto vi rivedrò
Lui aveva un negozio in centro al paese
Vendeva le stoffe da qualche anno ormai
Da quel che successe era passato un mese
Che entrarono in tre a dirgli tu te ne vai
Io ero solo un bambino e stavo dietro al bancone
E li vidi parlare davvero un bel po’
Di quel che si dissero non seppi mai bene
Ma questa parole mio padre gridò
Non sono fascista non son partigiano
Mettetevi in testa son solo italiano
Son nato e vissuto nella mia città
E se mi cercate sappiate qua
Sfollati in Italia in un posto di costa
Di mio padre notizie non ne avemmo più
Per viver mia madre fu una brava sarta
Lei sapeva di stoffe da quand’era laggiù
Sai c’era anche gente che ci guardava male
E diceva da dove vengon questi qua
Come mai non sapete di quello che accade
Che il paradiso in terra lo stanno a far là
Di lì a qualche anno fui uomo anche io
Ma pace nel cuore io mai la trovai
Capitava che a volte dicessi al buon Dio
Fai che quelle parole io non le scordi mai
Non sono fascista non son partigiano
Mettetevi in testa son solo italiano
Son nato e vissuto nella mia città
E se mi cercate sappiate son qua
Sono tornato a Fiume soltanto anni fa
Come chi in fondo al viaggio torna a casa sua
Senza rendermi conto quando fui là
Dissi questa parole all’anima mia
Non sono fascista non son partigiano
Mettetevi in testa son solo italiano
Son nato e vissuto nella mia città
E se mi cercate sappiate son qua
Non sono fascista non son partigiano
Mettetevi in testa son solo italiano
Son nato e vissuto nella mia città
E se mi cercate son tornato qua

Contributed by dq82 - 2017/9/15 - 11:49




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