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Ottave in rima per Lorenzo Bargellini detto "Mao"

Anonimo Toscano del XXI secolo
Lingua: Italiano (Toscano Fiorentino)




Se 'un tu ci avevi casa e manco i'lesso
C'era Lorenzo che lui ci pensava,
E 'un ve lo dico, ma succedeva spesso
Che lui per tutti si mobilitava.
La testa no non ce l'aveva rasa,
E lo chiamavan Mao o i' Capellone,
E lui co' i' Movimento per la Casa
Era dovunqu' 'e c'era la tensione.

Se c'era una famiglia disfrattata,
Oppur se c'era una occupazione,
Correva sì con l'aria trafelata
A battagliar per quella situazione.
Co' i' motorino e colla cannottiera,
Oppure colla tuta militare,
Dei senza casa era la bandiera,
L'amico ed il compagno tuttofare.

Lottava da quand'era ragazzino,
Nella Firenze degli annisettanta,
Già co' capelli lunghi e piccolino
E allora la violenza gli era tanta.
Ma lui non si lasciò mai impressionare
Da cariche e dai brutti manganelli,
E per decenni ha avuto a seguitare,
Credeva lui in un mondo di fratelli.

Non c'erano stranieri e né italiani
Ma solo i proletari e gli oppressi,
Con quella grande faccia e colle mani
Contro quelli ch'eran sempre gli stessi.
Palazzinari e speculatori,
Gli sfruttatori in giacca e cravatta,
Le banche e tutti quanti lorsignori
Che non ti lascian manco una ciabatta.

Lui unn'era pe' la “casa agli italiani”,
Come que' fascistacci che c'è ora,
La casa gli è pe' tutti e anche i' domani
E que' nazisti vada alla malora.
Lo odiavano anche quelli d'i' Comune,
I' sindaco piddino e gli assessori,
E lui faceva a i' tiro alla fune
Coi poliziotti e gli sgomberatori.

Firenze bella e Firenze dannata,
Ridotta a una vetrina per i ricchi,
Firenze espulsa e già sgomberata
A suon di sbirri e cariche e di picchi.
I' Ponte Vecchio dato a' miliardari,
La gente massacrata dagli affitti,
Consorterie di palazzinari,
Nababbi indiani in Palazzo Pitti.

Firenze in mano a questi manìaci
Che sgomberan persino i bambini,
Come per i' giardino de' Nidìaci
Svenduto a una banda d'assassini.
Firenze co' massoni e “La NAZI-one”,
Firenze, àrtro che “Angeli del Bello”,
Ché i' solo angelo a lor disposizione
E gliè ma l'angelo d'i' manganello.

Lottava ancor Lorenzo Bargellini,
Quando l'ha colto una morte sì gretta.
Ci s'è rimasti come de' cretini
Alla notizia vile e maladetta.
Ciaveva poco più cinquantott'anni,
Passati a reclamà' casa e diritti,
A fa' a' signori sempre de' gran danni
E a occupare i palazzi sfitti.

Ed or ch'è morto ci hanno pur provato
A fàgni i “coccodrilli” e i lagrimoni,
Gl' ipocriti renziani e i' padronato,
Giornali di regime e istituzioni.
E ci han provato a fàgni i “ricordi”,
Però noi 'un ci si sogna di cascàcci,
A que' tromboni rimaniamo sordi,
'Un ciàbbino nemmen da riprovàcci.

Lo abbiamo accompagnato in tremila
Da San Marco infino a Santacroce,
Tutta un'altra Firenze che ora sfila
Con una sola anima e una voce.
Accompagnato sotto la calura,
Tremila che gridavan sotto i' sole,
Trecento o poco più pe' la Questura
Che 'un sa contà, oppure proprio 'un póle.

Nipote gli era lui d'i' Bargellini,
I' sindaho detto “dell' Alluvione”,
Lui prese un'altra strada, e co' tapini
Lottò tutta una vita a profusione.
E noi continueremo la su' lotta
Senza paura e né compromissione,
A accompagnallo 'e s'era una frotta,
E sì gni s'è rifatta un'alluvione!

Lorenzo Bargellini ci ha insegnato
A non chinare i' capo a' potenti,
E tutti noi ormai 'e s'è imparato:
Non trattative ma càrci ne' denti.
Concludo con il dir che della sorte
s'illustra ognora il curioso fatto:
'E lo chiamavan “Mao” ed in sua morte
Trovato, udite, fu proprio da i' Gatto.

Non è pe' di' facezie o bischerate,
Ma gliè segno di una continuazione,
Gliè segno d'un futuro e non mollate
La lotta pe' cambià la situazione.
Sembra di rivedèllo ancora in piazza,
Ché queste sono storie mai finite,
In mezzo alla gente che s'incazza,
Ché i gatti ci hanno sempre sette vite.



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