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De rerum natura Liber V, 1283-1307

Tito Lucrezio Caro / Titus Lucretius Carus
Lingua: Latino


Lista delle versioni e commenti



[I secolo a.C / 1st Century b.C. / 1er siècle a.Ch.]
De rerum natura 1283-1307

Il poema lucreziano in un manoscritto augustiniano del 1483.
Il poema lucreziano in un manoscritto augustiniano del 1483.
Non è qui, naturalmente, questione di addentrarci nella natura ritmica della poesia classica, e ancor di meno sul suo legame comunque indissolubile con la musica; se almeno un'intera parte della poesia antica era fin nel suo nome connessa con il canto e con l'accompagnamento musicale (sto ovviamente parlando della poesia lirica, destinata alla recitazione con la lira o altro strumento consimilare), si deve comunque ricordare che ogni tipo di componimento in versi era recitato ad alta voce (la lettura silente e personale cominciò a diffondersi in periodi molto tardi) ed anche che la natura prosodica stessa delle lingue classiche era basata su accenti non percussivi ma tonali, quindi musicali, e che la versificazione e la recitazione obbedivano a criteri di canto, o di cantillazione. Lo stesso nome della “poesia” è diviso, sia in greco classico che in latino, tra la “creazione” (ποίησις, da ποιέω “faccio, creo, compongo”) e il “canto” (lat. carmen, da *casmen, *cans-men, ove è evidente la radice del verbo cano). Questa premessa vale, come è lecito, per ogni brano di poesia classica che viene inserito in questo sito.

Troppo lungo, e forse inutile, sarebbe introdurre dettagliatamente il De rerum natura di Lucrezio; descritto usualmente come “poema didascalico di natura epico-filosofica”, appartiene ad un genere arduo per la modernità (che ne ha avuto un esempio recente paragonabile solo con la Piccola cosmogonia portatile di Queneau), che lo trova di lettura assai impegnativa (senza naturalmente contare il latino in cui è scritto, non da principianti per usare un eufemismo). In questo poema il filosofo e poeta latino si fa portavoce delle teorie epicuree riguardo alla realtà della natura e al ruolo dell'uomo in un universo atomistico, materialistico e meccanicistico: si tratta di un richiamo alla responsabilità personale, e di un incitamento al genere umano affinché prenda coscienza della realtà, nella quale gli uomini sin dalla nascita sono vittime di passioni che non riescono a comprendere. Il De rerum natura ha una enorme portata anche per il fatto che segna una sorta di rottura e di inversione nella concezione dell'evoluzione umana nella storia: se prima di Lucrezio si tendeva a considerare la storia umana ed il presente come una decadenza, un continuo regresso (re-gressus, cammino all'indietro) a partire da una mitica “età dell'oro” di epoche remote e perdute, con Lucrezio la storia dell'uomo viene considerata come un'ascesa, un cammino in avanti (pro-gressus). E si tratta di un cambiamento epocale.

Dal De rerum natura ho voluto estrapolare un breve brano, dal Libro V, dove si parla dell'origine della guerra. Se ne parla in termini assai cupi, e sono toni del tutto in linea con lo spirito dell'opera (“Oh misere menti degli uomini, oh animi ciechi! / In quale tenebrosa esistenza e fra quanto grandi pericoli / Si trascorre questa breve vita!” - II, 14-16). E' l'ideale epicureo di Lucrezio, e la sua fondamentale distinzione e contrapposizione tra ratio (la comprensione, la chiarezza, la conoscenza, la verità) e religio (l'ottundimento, l'ottenebrazione, la bovina ignoranza). Chiaro che tradurre questi due termini come “ragione” e “religione” non sarebbe propriamente corretto; ma è un fatto che, ad esempio, il significato di “religione” in senso moderno è diretta conseguenza del suo significato antico di “accettazione per fede”, di rifiuto della conoscenza in favore di verità “rivelate”. Per Lucrezio, occorre trattare la struttura fondamentale del cielo per capire i principi delle cose, e si tratta di spiegare razionalmente i fenomeni naturali senza considerare l'intervento degli Dei o con la convinzione che l'uomo sia lo scopo ultimo della volontà degli Dei. La guerra rientra a pieno titolo in questo desiderio di conoscenza e di analisi: perché è nata, e come si è evoluta nel terrore.

Siamo ovviamente lontanissimi dalla guerra non solo come fondamentale atto “eroico” della natura umana, ma anche come assoluta normalità (così come essa era stata considerata per secoli, per millenni). Una vera “pace”, per migliaia di anni non è mai esistita, né esisteva ai tempi di Lucrezio; la “pace”, intesa come armonia celeste, era casomai la prerogativa dell' “Età dell'oro” di cui sopra, un'epoca per sempre perduta. Con Lucrezio, la rotta si inverte: se ancora la pace non diventa e non può diventare un'aspirazione se non a livello personale (tenendosi fuori dalle contese terrene, come preconizzato dall'ideale epicureo che falsamente viene associato nella vulgata con un vuoto “godimento dei piaceri”), sicuramente la guerra perde tutto il suo connotato eroico e di condizione normale dell'uomo, per essere ricondotta alla sua natura reale.

Il De rerum natura fu composto nel I secolo avanti Cristo. Della vita di Tito Lucrezio Caro si sa pochissimo; dovette essere nato a Pompei, o a Ercolano, nel 94 a.C. e morto attorno al 50. Una tradizionale leggenda volle che fosse morto suicida, impazzito dopo aver bevuto un filtro d'amore. Il manoscritto completo del poema fu scoperto nel 1417 dall'umanista Poggio Bracciolini in un non meglio precisato monastero tedesco, ma almeno delle sue parti erano probabilmente già note in epoche precedenti. [AT-XXI]
[1283] Arma antiqua manus ungues dentesque fuerunt
et lapides et item silvarum fragmina rami,
[1285] et flamma atque ignes, postquam sunt cognita primum.
Posterius ferri vis est aerisque reperta.
Et prior aeris erat quam ferri cognitus usus,
quo facilis magis est natura et copia maior.
Aere solum terrae tractabant, aereque belli
[1290] miscebant fluctus et vulnera vasta serebant
et pecus atque agros adimebant. Nam facile ollis
omnia cedebant armatis nuda et inerma.
Inde minutatim processit ferreus ensis
versaque in opprobrium species est falcis aënae,
[1295] et ferro coepere solum proscindere terrae
exaequataque sunt creperi certamina belli.
Et prius est armatum in equi conscendere costas
et moderarier hunc frenis dextraque vigere
quam biiugo curru belli temptare pericla.
[1300] Et biiugos prius est quam bis coniungere binos
et quam falciferos armatum escendere currus.
Inde boves lucas turrito corpore, taetras,
anguimanus, belli docuerunt vulnera Poeni
sufferre et magnas Martis turbare catervas.
[1305] Sic alid ex alio peperit discordia tristis,
horribile humanis quod gentibus esset in armis,
[1307] inque dies belli terroribus addidit augmen.

inviata da L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 6/2/2017 - 09:01




Lingua: Italiano

Traduzione italiana.

È ripresa da questa pagina del sito "Latinovivo". Del poema di Lucrezio sono presenti le seguenti traduzioni italiane integrali:


- La Natura, Versione di Camillo Giussani, Milano, Mondadori, 1949.

- La Natura, traduzione di e note di Balilla Pinchetti, Collana BUR n.603-605, Milano, Rizzoli, 1953. - Introduzione di Luca Canali, Collana Classici, BUR, 1976.

- Della Natura, Versione, introduzione e note di Enzio Cetrangolo, con un saggio di Benjamin Farrington, Collana Le voci del mondo, Firenze, Sansoni, 1969.

- Della natura delle cose, traduzione di Alessandro Marchetti, Collezione di poesia, Torino, Einaudi, 1975.

- La Natura, a cura di Armando Fellin, revisione critica di Antonio Barigazzi, Collezione Classici Latini n.18, Torino, UTET, 1976 [I° ed. 1963].

- La natura delle cose, traduzione di Luca Canali, introd. di Gian Biagio Conte, testo e commento a cura di Ivano Dionigi, Collana Classici, Milano, 1990, ISBN 978-88-17-18706-0. - BUR, 1994-2016.

- La natura delle cose, A cura di Guido Milanese, Introduzione di Emanuele Narducci, Collana Oscar classici greci e latini, Milano, Mondadori, 1992.

- De rerum natura, traduzione di Renata Raccanelli, note di Carlo Santini, a cura di Alessandro Schiesaro, Collana I Millenni, Torino, Einaudi, 2003, ISBN 978-88-06-16692-2.
Armi furono in antico le mani, le unghie e i denti
e i sassi, e inoltre i rami spezzati nelle selve,
poi fiamme e fuoco, da quando se n'ebbe la prima conoscenza.
In séguito fu scoperta la forza del ferro e del bronzo.
E l'uso del bronzo fu conosciuto prima di quello del ferro,
in quanto la sua natura è più malleabile e di più esso abbonda.
Col bronzo lavoravano il terreno, e col bronzo agitavano
flutti di guerra e spargevano ferite devastatrici
e depredavano greggi e campi. Infatti tutto quel ch'era nudo
e inerme cedeva facilmente a quelli ch'erano armati.
Poi a poco a poco si fece strada la spada di ferro
e divenne obbrobriosa la foggia della falce di bronzo,
e col ferro incominciarono a solcare il suolo della terra
e furono uguagliati i cimenti della guerra dall'esito incerto.
E montare armato sui fianchi del cavallo e guidarlo
col morso e combattere con la destra, è uso più antico
che tentare i rischi della guerra su un carro a due cavalli.
E due cavalli si usò aggiogare prima che quattro
e prima che salire armati sui carri muniti di falci.
Poi ai bovi lucani dal corpo turrito, spaventosi,
con la proboscide serpentina, i Punici insegnarono a sopportare
in guerra le ferite e a scompigliare le grandi schiere di Marte.
Così la triste discordia produsse, l'una dopo l'altra,
cose fatte per incutere orrore alle genti umane in armi,
e di giorno in giorno fece crescere i terrori della guerra.

inviata da L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 6/2/2017 - 09:13




Lingua: Francese

Version française — DE LA NATURE DES CHOSES — LA GUERRE — Marco Valdo M.I. — 2023
d’après la traduction italienne reprise du site “Latinovivo”
des vers 1283-1307 du Livre V de De rerum natura — Lucrèce (Titus Lucrecius Carus) — ca. -50

HANNIBAL ET LE BŒUF LUCANIEN <br />
 Jacopo Ripanda — 1509
HANNIBAL ET LE BŒUF LUCANIEN
Jacopo Ripanda — 1509

« aux bœufs lucaniens, redoutables, au corps tourmenté,
À la trompe serpentine, les Puniques ont appris à supporter
Les blessures de guerre et à défaire
Les grandes armées de Mars. »


Il serait trop long, et peut-être inutile, d’introduire en détail le De rerum natura de Lucrèce. Usuellement décrit comme un « poème didactique de nature épico-philosophique », il appartient à un genre difficile pour la modernité (dont un exemple récent ne peut être comparé qu’à la Petite Cosmogonie portative de Queneau), qui le trouve d’une lecture très difficile (sans parler du latin dans lequel il est écrit, pas pour les débutants, pour ne pas dire plus). Dans ce poème, le philosophe et poète latin se fait le porte-parole des théories épicuriennes concernant la réalité de la nature et le rôle de l’homme dans un univers atomistique, matérialiste et mécaniste : c’est un appel à la responsabilité personnelle, et une incitation au genre humain afin qu’il prenne conscience de la réalité, dans laquelle les hommes, dès leur naissance, sont victimes de passions qu’ils n’arrivent pas à comprendre. Le De rerum natura a une portée énorme aussi par le fait qu’il marque une sorte de rupture et d’inversion dans la conception de l’évolution humaine dans l’histoire : si avant Lucrèce, on tendait à considérer l’histoire humaine et le présent comme une « décadence », une régression continue (re-gressus, retour en arrière) par rapport à un « âge d’or » mythique d’époques révolues et perdues, avec Lucrèce, l’histoire de l’homme est considérée comme une ascèse, un voyage en avant (pro-gressus). Et c’est un changement épochal.

Du De rerum natura, j’ai voulu extrapoler un bref passage, du livre V, où on parle de l’origine de la guerre. On en parle en termes très sombres, et ce sont des tonalités tout à fait en ligne avec l’esprit de l’œuvre (« Oh misérable esprit des hommes, oh âmes aveugles ! / Dans quelle existence lugubre et au milieu de quels grands dangers / Cette courte vie se passe ! » — II, 14-16). C’est l’idéal épicurien de Lucrèce, et sa distinction et son opposition fondamentales entre la ratio (compréhension, clarté, connaissance, vérité) et la religio (abrutissement, obscurcissement, bovine ignorance). Il est clair que traduire ces deux termes par “raison” et “religion” ne serait pas strictement correct ; mais c’est un fait que, par exemple, la signification de “religion” au sens moderne est une conséquence directe de sa signification ancienne d'"acceptation par la foi », de rejet de la connaissance en faveur des vérités “révélées”. Pour Lucrèce, il faut traiter de la structure fondamentale du ciel pour comprendre les principes des choses, et il s’agit d’expliquer rationnellement les phénomènes naturels sans considérer l’intervention des dieux ou avec la conviction que l’homme est le but ultime de la volonté des dieux. La guerre s’inscrit pleinement dans cette volonté de connaissance et d’analyse : pourquoi elle est née, et comment elle a évolué vers la terreur.

Nous sommes évidemment très loin de la guerre, non seulement comme acte “héroïque” fondamental de la nature humaine, mais comme normalité absolue (comme elle a été considérée pendant des siècles, pendant des millénaires). Une vraie “paix” n’a jamais existé pendant des milliers d’années, et n’existait pas au temps de Lucrèce ; la “paix”, entendue comme harmonie céleste, était plutôt la prérogative de l'"Âge d’or » susmentionné, une époque pour toujours perdue. Avec Lucrèce, le cours s’inverse : si la paix ne devient pas encore et ne peut devenir une aspiration, si ce n’est au niveau personnel (en se tenant à l’écart des querelles terrestres, comme préconisé par l’idéal épicurien, qui se trouve faussement associé dans la vulgate à une vide « jouissance des plaisirs »), la guerre perd sûrement toute sa connotation héroïque et sa condition humaine normale, pour être ramenée à sa réelle nature.

Le De rerum natura a été composé au 1ᵉʳ siècle avant notre ère. On sait très peu de choses sur la vie de Titus Lucretius Carus ; il a dû naître à Pompéi, ou Herculanum, en — 94 et mourir vers — 50. Une légende traditionnelle veut qu’il se soit suicidé, ayant perdu la raison après avoir bu un philtre d’amour. Le manuscrit complet du poème a été découvert en 1417 par l’humaniste Poggio Bracciolini dans un monastère allemand non spécifié, mais il est probable qu’au moins certaines parties étaient déjà connues à une époque antérieure. [AT-XXI]
DE LA NATURE DES CHOSES — LA GUERRE

Les mains, les ongles et les dents furent les armes d’autrefois
Comme les pierres et les branches des arbres des bois,
Les flammes et le feu, dès le moment où on les maîtrisa.
Par après, le fer et l’airain furent découverts.
Plus malléable et plus abondant en terre,
On usa de l’airain avant le fer.
Avec l’airain, on travaillait la terre, et l’airain faisait
De vastes blessures et suscitait des vagues de guerriers ;
Ils pillaient les troupeaux et les champs. Ceux qui étaient
Nus et sans défense cédaient à ceux qui étaient armés.
Puis, en douce, s’imposa l’épée de fer
Et la faux d’airain fut reniée,
Et le fer commença à labourer la terre
Et les épreuves incertaines de la guerre se sont imposées.
On monta d’abord armé sur le dos du cheval pour le guider
Avec le mors et combattre avec la droite avant d’affronter
Les risques de la guerre sur un char à deux chevaux.
On attela deux chevaux avant d’en atteler
Quatre et de monter des chars armés de faux.

Puis aux bœufs lucaniens, redoutables, au corps tourmenté,
À la trompe serpentine, les Puniques ont appris à supporter
Les blessures de guerre et à défaire
Les grandes armées de Mars. Ainsi de tristes discordes
Inculquèrent l’horreur aux humains en armes,
Et de jour en jour firent croître les terreurs de la guerre.

inviata da Marco Valdo M.I. - 6/3/2023 - 10:13


Fra le recenti traduzioni in Italiano del De Rerum Natura, mi permetto di segnalare la mia, pubblicata nel 2001 da Bonanno Editore - Acireale, col titolo Il "Poema della Natura", volume che accompagna l'altro su I "Templa serena" e il pessimismo di Lucrezio - echi lucreziani nella letteratura.
La traduzione del poema latino è metricamente regolare, vale a dire, musicale, fluida, limpida e puntualmente fedele al testo latino, in un linguaggio elegante, ma non aulico, cioè obsoleto.

Enrico Fichera P.za Sgriccio 14 Biancavilla (CT) - 8/3/2017 - 10:20




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