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Das Gesetz

Kurt Tucholsky
Language: German


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(Bertolt Brecht)
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(Kurt Tucholsky)
Sozialdemokratischer Parteitag
(Kurt Tucholsky)


[1929]
Versi di Kurt Tucholsky, pubblicati sotto uno dei suoi tanti pseudonimi, quello di Theobald Tiger, sul n. 41 dell’Arbeiter Illustrierte Zeitung, 1929.
Musica di Erich Einegg (1898-1966), pianista e compositore.



Una canzone che il grande giornalista ed intellettuale scrisse per la grande Rosa Valetti, la quale solo qualche mese prima era stata tra gli interpreti della prima de “Die Dreigroschenoper“ di Brecht e Weill al Theater am Schiffbauerdamm di Berlino.
La Valetti allora conduceva il “Larifari”, che credo sia stato l’ultimo Kabarett da lei fondato prima dell'esilio e della morte, avvenuta nel 1937.
Di lì a poco il nazismo avrebbe travolto tutto e tutti…
Proprio nel 1929 Tucholsky diede alle stampe il suo capolavoro e testamento politico, il “Deutschland, Deutschland über alles. Ein Bilderbuch von Kurt Tucholsky und vielen Fotografen. Montiert von John Heartfield (“Germania, Germania sopra tutto. Un testo illustrato di Kurt Tucholsky e molte fotografie. Montato da John Heartfield”)



Durante la presentazione del libro a Wiesbaden, l’autore sfuggì miracolosamente ad un’aggressione delle SA…
“Nel 1929 Tucholsky si trasferì in Svezia, dove visse fino alla morte. […] Pacifista radicale attivo sin dal 1913, perse definitivamente le speranze di un rinnovamento della Germania quando, nel 1930, il partito nazista ottenne sei milioni e mezzo di voti.
Negli anni Trenta il più brillante, il più prolifico, il più pagato scrittore e giornalista della Repubblica di Weimar, si ridusse al silenzio [non è proprio vero, che continuò a scrivere sulla Die Weltbühne dell’amico Carl von Ossietzky, ndr]. In Svezia viveva da solo, due matrimoni falliti alle spalle, salute precaria. Nel ’33 i suoi libri furono bruciati nel rogo di maggio, in agosto gli fu tolta la cittadinanza tedesca “per aver danneggiato gli interessi della Germania”, i suoi beni vennero confiscati e la stampa nazista lo definì “quella troia di un letterato ebreo”.
Chiese la cittadinanza svedese e due volte gli fu negata.
Il 19 dicembre del 1935 scrisse nel suo diario:

Il problema Germania per me è risolto. Non odio il mio paese, lo disprezzo…


Aveva sentito alla radio la voce di Hitler e gli era parsa anonima, sgradevole, inquietante; i discorsi del Führer, osservò, non avevano fuoco, calore tensione, umorismo, predicavano solo banalità, erano niente di niente. Göring lo trovava spaventoso, addirittura disgustoso; Goebbels lo aveva soprannominato Propa-gandhi. Tutta la sua lotta tenace contro i soprusi e la violenza era stata inutile, la Germania ormai era in mano di quelli che lui aveva più combattuto. Riconobbe lucidamente che

Hitler è la Germania. Ciò che succede là corrisponde in parte ai più profondi istinti del popolo tedesco. Hitler ha ragione quando dice che l’opposizione sa solo quello che non vuole, ma non sa quello che vuole…




Corsi e ricorsi della storia.
Lo stesso giorno in cui scrisse questa pagina di diario, Kurt Tucholsky si tolse la vita con il veleno. Aveva quarantacinque anni.”

(da “Kabarett! Satira, politica e cultura tedesca in scena dal 1901 al 1967”, a cura di Paola Sorge, Lit Edizioni, 2014)


Un testo che credo molto attuale, anche qui da noi, in questi tempi di “Fertility Day”, di populismo e plebiscitarismo, di carceri piene di ladri di polli e di grossi squali che nuotano e mangiano indisturbati: “Diritto e giustizia son sempre differenti. Ascoltate il grido dell’umanità, scegliete tutti la libertà!”
Mann und Frau und Frau und Mann –
nach dem Happy End fängt ihr Leben erst an ...
Wohnungsnot und Herzensnot
machen manche Ehe tot.

Warum
läßt man sich denn nicht scheiden?
's fehlt an Geld – und der Schmutz und der Schmutz ...
Und so zerrinnt das Leben beiden –
so wie sie, sind hunderttausend ohne Schutz ...

Und unterdes –
da sitzen sie im Reichstagshaus
und knobeln sich neue Gesetze aus;
ein gutes für Scheidung ist nicht dabei –
Hört ihr den Schrei? Hört ihr den Schrei?
Hört ihr den Schrei?
Paragraph 5, Ziffer 4, Absatz 3.

»Hör mal, Willy – jetzt ists aus!
Noch ein fünftes Kind hat keinen Platz im Haus!«
»Heul nicht, Liese, das hat keinen Sinn ...
hier hast du ne Adresse – geh mal hin!«

Die Olsch, die macht das im Tarife –
aber schlecht – und die Frau geht ein.
Dann setzt es anonyme Briefe,
und vier Kinder sind nun ganz allein ...

Und unterdes –
da sitzen sie im Reichstagshaus
und knobeln sich neue Gesetze aus –
Für manche ist die Frau eine Milchmeierei –
Hört ihr den Schrei? Hört ihr den Schrei?
Hört ihr den Schrei?
Paragraph 5, Ziffer 4, Absatz 3.

Kleiner Dieb, der wird gehängt –
großer Verbrecher kriegt noch was geschenkt.
Wer da ausbrennt Kriegessaat –
das nennt der Richter Landesverrat.

Zehntausend warten ungeduldig
in den Zellen, geduckt wie ein Tier ...
Die sind vorm Paragraphen schuldig
– aber Menschen, Menschen wie wir! –

Wach auf, wach auf, Barmherzigkeit!
Ein neuer Ton – eine neue Zeit!
Recht und Recht sind immer zweierlei ...
Hört ihr den Schrei? Hört ihr den Schrei?
Hört ihr den Schrei?
Macht euch frei!
Macht euch frei!
Macht euch frei!

Contributed by Bernart Bartleby - 2016/9/2 - 09:28



Language: Italian

Versione italiana di Francesco Mazzocchi

Ricorda molto quel che anni prima Rosa Luxemburg scriveva in «Die rote Fahne» (la bandiera rossa) del 18 novembre 1918, e che, a poche settimane dal suo assassinio, pare quasi un testamento morale:


Un dovere morale

Per le vittime politiche del vecchio dominio reazionario noi non volemmo alcuna «amnistia», alcuna grazia. Pretendemmo il nostro diritto a libertà, lotta e rivoluzione per quelle centinaia di persone leali e coraggiose, che languivano in penitenziari e carceri, perché sotto la dittatura della sciabola della banda di delinquenti imperialista lottavano per libertà del popolo, pace, socialismo. Ora esse sono tutte libere. Noi siamo nuovamente schierati, pronti alla lotta. Non gli arbitri coi loro complici borghesi ed il principe Max in testa ci hanno liberato, la rivoluzione proletaria ha fatto saltare le porte delle nostre casematte.
Ma un’altra categoria di tristi abitanti di quelle tetre case è stata completamente dimenticata. Nessuno ha pensato finora alle migliaia di pallide, consunte figure, che languirono per anni dietro le mura delle carceri e penitenziari per punizione di reati comuni.
E tuttavia sono infelici vittime dell’infame ordine sociale, contro il quale si volgeva la rivoluzione, vittime della guerra imperialista, del bisogno e della miseria cresciuti ad insopportabile tormento, che per la bestiale macelleria umana in nature deboli, affette da tare ereditarie, ha scatenato tutti i cattivi istinti.
La giustizia di classe borghese s’è dimostrata ancora una volta come la rete, attraverso le cui maglie sgusciano fuori comodamente lucci predatori, mentre piccoli spinarelli vi si dibattono senza aiuto. Gli strozzini di guerra milionari sono andati per lo più impuniti o con multe irrisorie, i piccoli ladri e ladre sono stati puniti con draconiane pene detentive.
Alla fame, tremando dal freddo nelle celle non riscaldate, oppressi nel morale dallo spavento di quattro anni di guerra, questi figli illegittimi della società hanno aspettato grazia, mitigazione.
Hanno aspettato invano. L’ultimo Hohenzoller da buon sovrano aveva dimenticato i miserabili per le preoccupazioni del massacro dei popoli e della spartizione delle corone. Dalla conquista di Liegi per quattro anni non c’è più stata un’amnistia degna di nota, neanche per la festa ufficiale degli schiavi tedeschi, il «compleanno del Kaiser».
Ora la rivoluzione proletaria deve con un piccolo raggio della sua grazia rischiarare la cupa esistenza nelle carceri e penitenziari, ridurre le pene draconiane, eliminare il barbarico sistema disciplinare — catene, pene corporali!! —, migliorare quanto possibile il trattamento, l’assistenza sanitaria, le condizioni di nutrizione e lavoro. È un dovere morale!
Il sistema penale vigente, che tutto emana il brutale spirito di classe e la barbarie del capitalismo, dev’essere una buona volta eliminato radicalmente. Si deve subito metter mano ad una radicale riforma dell’esecuzione della pena. Una completamente nuova, corrispondente allo spirito del Socialismo può certo essere costruita solo sul fondamento d’un nuovo ordine economico e sociale. Delitto come pena hanno radice sempre in ultima linea nelle condizioni economiche della società. E una misura decisiva può senz’altro essere attuata: la pena di morte, questa massima vergogna dell’ultrareazionario codice penale tedesco, deve sparire subito! Perché si esita a farlo nel governo di lavoratori e soldati? Ledebour, Barth, Däumig, il nobile Beccaria, che duecento anni fa ha denunciato in tutte le lingue civilizzate l’empietà della pena di morte, non è vissuto per voi? Non avete tempo, avete mille preoccupazioni, difficoltà, compiti davanti a voi. Certo. Ma prendete in mano l’orologio e guardate quanto tempo occorre per aprire la bocca e dire: la pena di morte è abrogata! O come, tra voi potrebbe esserci anche su questo un lungo dibattito con votazione? Vi invischiereste anche in questo caso nel lungo strascico delle formalità, dubbi di competenze, problemi di timbri e rubriche e ciarpame del genere?
Ah, come questa rivoluzione tedesca è — tedesca! Come è insulsa, pedante, senza slancio, senza splendore, senza grandezza. La dimenticanza della pena di morte è solo un piccolo, singolo segno. Ma come è solito tradirsi proprio in simili piccoli tratti l’intimo spirito del tutto! Si prenda un qualsiasi libro di storia della grande Rivoluzione Francese, si prenda l’asciutto Mignet. Si può leggere questo libro altro che col polso che batte e la fronte che brucia, si può metterlo giù, una volta aperto in un punto qualsiasi, prima che col fiato sospeso si sia sentito risuonare l’ultimo accordo del possente avvenimento? Come una sinfonia di Beethoven è salito nel gigantesco, una tempesta rintronante sull’organo dei tempi, grande e splendida nell’errore come nella riuscita, nella vittoria come nella sconfitta, nel primo ingenuo giubilo come nell’ultimo sospiro che si spegne. Ed ora da noi in Germania? Ad ogni passo, nel piccolo come nel grande si sente: Sono ancora i vecchi bravi compagni dei tempi della Socialdemocrazia tedesca beatamente assopita, per i quali il libretto del partito era tutto, l’essere umano e lo spirito niente. Ma non dimentichiamo: la storia del mondo non si fa senza grandezza spirituale, senza pathos morale, senza gesti nobili.
Liebknecht ed io abbiamo, nel lasciare gli spazi ospitali, dove abbiamo risieduto ultimamente — lui i suoi fratelli di prigionia rapati a zero, io le mie care povere prostitute e ladre, con le quali io ho passato la vita tre anni e mezzo sotto un solo tetto -, noi abbiamo loro promesso solennemente, quando ci accompagnavano con tristi sguardi: Noi non vi dimenticheremo!
Noi dal consiglio esecutivo dei lavoratori e dei soldati esigiamo un’immediata mitigazione del destino dei prigionieri in tutti gli istituti di pena della Germania!
Noi esigiamo l’eliminazione della pena di morte dal codice penale tedesco!
Sangue nei quattro anni della strage dei popoli imperialista è scorso a fiumi, a torrenti. Ora ogni goccia della preziosa linfa deve essere custodita con riverenza in coppe di cristallo. L’energia rivoluzionaria più spietata e l’umanità più generosa — questo solo è il vero respiro del Socialismo. Un mondo dev’essere rovesciato, ma ogni lacrima che è scorsa anche se poteva essere asciugata, è un’accusa, ed una persona che per affrettarsi ad un compito importante schiaccia un povero verme per brutale mancanza d’attenzione, commette un delitto. R. L.

LA LEGGE

Uomo e donna e donna e uomo –
dopo il lieto fine comincia la loro vita dapprima con...
Bisogno dell’abitazione e bisogni del cuore
fanno secco qualche matrimonio.

Perché
poi non si dovrebbero sciogliere?
manca il denaro – e la sporcizia e la sporcizia...
E così la vita scorre via ad entrambi –
così come loro, centomila sono senza protezione...

E intanto –
là siedono nel palazzo del Reichstag
e si giocano a dadi nuove leggi;
ma non ce n’è una buona per la separazione –
Sentite il grido? Sentite il grido?
Sentite il grido?
Articolo 5, comma 4, capo 3.

«Senti, Willy – adesso basta!
per un quinto figlio ancora non c’è posto in casa!»
«Non urlare, Liese, non ha senso...
qui hai un indirizzo – e vacci! »

La vecchiarda, quella lo mette nel conto –
ma male – e la donna entra.
Poi ci si mettono lettere anonime,
e quattro bambini adesso sono completamente soli...

E intanto –
là siedono nel palazzo del Reichstag
e si giocano a dadi nuove leggi –
Per alcune la donna è una latteria –
Sentite il grido? Sentite il grido?
Sentite il grido?
Articolo 5, comma 4, capo 3.

Piccolo ladro, quello viene impiccato –
grande criminale riceve ancora qualcosa in regalo.
Chi qui brucia la semente di guerra –
quello il giudice lo chiama alto tradimento.

Diecimila aspettano impazienti
nelle celle, umiliati come animali...
Quelli davanti agli articoli sono colpevoli
– ma uomini, uomini come noi! –

Svegliati, svegliati, misericordia!
Un nuovo sentire – un nuovo tempo!
Giustizia e giustizia sono sempre a due facce...
Sentite il grido? Sentite il grido?
Sentite il grido?
Liberatevi!
Liberatevi!
Liberatevi!

Contributed by Francesco Mazzocchi - 2022/3/3 - 12:59




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