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A canzona di u trenu (o U trenu di Bastia)

Maria Felice Marchetti
Language: Corsican


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[1880-90 ca]
Autrice di questo canto di maledizione fu tale Maria Felice Marchetti, non vedente, albergatrice in quel di Acqua Nera, nei pressi del comune corso di Cervioni.
Nel repertorio di Jean Tavera, Antoine Ciosi, César Vezzani, Fior di Machja, A Cirnea, Tino Rossi, Charles Rocchi e molti altri.
Testo trovato sul sito dell’ ADECEC, Association pour le Développement des Etudes Archéologiques, Historiques, linguistiques et Naturalistes du Centre-Est de la Corse.

Una canzone che - se si vuole - si colloca a metà strada tra il luddismo inglese d’inizio 800 e l’odierna rivolta contro la TAV in Val di Susa...

Quando, intorno al 1880, il governo francese fece iniziare il completamento della tratta ferroviaria sul versante orientale della Corsica - quella che unì Bastia prima a Ghisonaccia e quindi a Porto Vecchio, giù verso Bonifacio - i binari furono piantati a poca distanza dall’albergo di Maria Felice Marchetti, punto di sosta sia per le comuni diligenze che per le carrozze dei più ricchi, e gli affari dell’ostessa in poco tempo rovinarono, sicchè lei al treno e a chi l’aveva voluto indirizzò la sua maledizione in forma di canto.



E si tratta di un vero e proprio furioso anatema, in cui la nostra - ormai in età forse troppo avanzata per rifarsi una vita - invita il proprio factotum, tal Angelino, ad accogliere il treno dei ricchi - che solo loro al tempo ci avevano gusto a viaggiarci e se lo potevano permettere - non a colpi di fucile, bensì di mitragliatrice e di cannone. Farli tutti a pezzi, quei ricchi affamatori e il loro treno, bisognava!
Poi l’ostessa se la prende con l’a lei sconosciuto inventore e promotore di quell’ammasso di ferraglia e gli augura il peggiore dei mali che potessero capitare allora per un contadino, la filossera delle vigne: “che a quella brutta ghigna gli venga la filossera e gli caschino tutti i capelli, peggio della tigna!”. La filossera, e non la peste o un altro brutto male, perchè il parassita in questione, in quegli anni, aveva assestato un brutto colpo all’economia locale, costringendo un quarto della popolazione di Cervioni - che allora non faceva più di 2.000 abitanti - ad emigrare verso Bastia, la Francia o i territori d’oltremare.



E ancora, Maria Felice, schiumando dalla rabbia, s’immagina un’inondazione che inghiotta il treno a Casamozza, snodo tra la linea orientale e quella verso Ajaccio, e che faccia crollare tutti i ponti sulla linea. E che siano pure maledetti tutti i proprietari, già ricchi di loro, che si sono ulteriormente arricchiti vendendo a prezzi spropositati i terreni dove ora passa la ferrovia.
Ma la nostra non è ancora paga, e invita l’Angelino ad andare a prendere il bugliolo della latrina per andare a farne dono in faccia al capotreno!
Poi, appagata nella sua collera, l’autrice va a spiegare la situazione in cui il treno l’ha precipitata ed il da farsi: non si vende più nulla, nè pane nè vino... bisognerà pensare a liquidare l’attività, disfarsi delle scorte e delle bestie, purchè nulla cada in mano a chi - personificato in un tale Micaellu - ha saputo trarre vantaggio dalla nuova situazione.
Alla fine la sfortunata si augura soltanto di ritirarsi a vivere in un posto isolato - Monte Ritondu è sulle montagne della Corsica centrale - dove dimenticare la sofferenza per il torto subìto (pare invece che Maria Felice Marchetti abbia poi vissuto in una casa popolare di Cervioni...).




Il canto fu poi appreso e, nella tradizione orale, modificato dai migranti stagionali che dall’Appennino toscano andavano in Corsica per lavorare come carbonai. Ecco perchè alcune strofe si trovano anche nella tradizione dei canti popolari della provincia di Pistoia. Si veda la proposito Lamento del carbonaro di Caterina Bueno.

“Un brano molto sentito in Toscana, perché arrivato dalla ricerca che Caterina Bueno effettuò, di pari passo con gli altri ricercatori dislocati in varie parti d’Italia, negli anni ’60 e ’70, è “E lu trenu di Bastie”.
Però… però tutti ne ricordano la sua versione (io ne ho una degli anni ’70 con le voci originali delle Casciane). Utilizzato poi in vari “surrogati” (cioè senza che nessuno si prendesse la briga di risalire alle fonti) è diventato un motivetto senza troppe pretese e di cui si è sempre detto “di vaga provenienza còrsa”…
Cercando (ormai la ricerca è molto facilitata!) mi imbatto subito in tantissime notizie e versioni dell’originale còrso e… mi trovo, fatte le debitissime distanze, davanti a un brano che potrebbe agganciarsi alle odierne contestazioni della Val di Susa!”
(Francesca Breschi, del Quartetto Vocale di Giovanna Marini, su Perunaltracittà, Laboratorio politico Firenze)




Chissà che rabbia sarebbe di nuovo montata alla Maria Felice se avesse saputo che la ferrovia orientale corsa che tanto danno le aveva procurato, distrtutta dai tedeschi nel 1943, sarebbe stata da allora e per sempre abbandonata! Lo chansonnier e umorista corso Austinu Pasqualini detto Tintin, originario di Saliceto, ci scrisse su una canzone che è l’attualizzazione della maledizione ottocentesca e l’occasione per estenderla ai politici della sua epoca.
U trenu chì và in Bastia
Hè fattu per li signori ;
Pienghjenu li carritteri
Suspiranu li pastori ;
Per noi altri osteriaghji
Sonu affani è crepacori.

Anghjulì lu mio Anghjulinu
Pensatu n’aghju una cosa,
Quand’ellu passa lu trenu
Tirali una mitragliosa,
È li sceffi chì sò nentru
Voltali à l’arritrosa.

Ci vogliu piazzà un forte
In paese di Cervioni,
È nantu ci vogliu mette
Più di trecentu cannoni ;
Quand’ellu passa lu trenu
Spianalli li so vaggoni.

À ch’hà inventatu lu trenu
Hè statu una brutta ghigna.
Li ghjunga u filosserà
Cum’ell’hè ghjuntu à la vigna,
Li caschinu li capelli
Incù la più forte tigna

Ch’ellu ti sia cuncessu
Tuttu l’oru di la Spagna,
Le pecure di lu Niolu
È l’oliu di la Balagna,
U vinu di Cervioni
È d’Orezza la castagna

Ch’ellu piovi mesi interi
È po empiene una pozza
Ch’ellu s’anneghi lu trenu
À l’entre di Casamozza
Micca pè li passageri
Ma per quellu chì li porta.

Di lu caminu di ferru
Si ne falinu li ponti ;
Tandu li pruprietarii
Poranu fà li so conti,
Chì per dà la signatura
Elli eranu tutti pronti.

Anghjulì lu mio Anghjulinu
Datti un pocu di rimenu,
Vai è feghja issu catinu
S’ellu hè viotu o s’ellu hè pienu,
Ch’avimu da prisentallu
À lu sceffu di lu trenu.

Ùn si vende più furaggi
Pocu pane è micca vinu,
Passanu le settimane
Senza vende un bichjerinu,
Chì ci avimu più da fà
In piaghja lu mio Anghjulinu.

Anghjulì le nostre chjose
Suminemule à granone
Chì lu ladru di lu trenu
Ùn cunsuma chè carbone
Avà ci tocca à piglià
Un’altra decisione.

Anghjulì lu mio Anghjulinu
Preparemu la mubiglia
È po mettila in vittura
Incù tutta la famiglia
Chì lu ladru di lu trenu
Da noi solli ùn ne piglia.

Anghjulì le nostre mule
Portemule à lu macellu
Chì lu ladru di lu trenu
Passa è vene da per ellu.
Hé cuntentu Micaellu
Ch’hà impiegatu lu fratellu.

Micaellu di lu trenu
Si n’hà fattu un forte dolu,
U vegu falà in panchetta,
Ellu sempre marchja solu ;
Hà una forte cantina
Ci hà impiegatu lu figliolu.

Mi vogliu fà una casetta
Vicin’à Monte Rutondu,
Ch’ell’ùn abbianu sentoru
Mancu s’o sò à stu mondu ;
Ci vole ch’o mi ramenti
Chì lu dulore hè prufondu.

Contributed by Bernart Bartleby - 2016/1/9 - 16:16




Language: Italian (Toscano, Pistoiese)

Come si è detto, il canto fu poi appreso e, nella tradizione orale, modificato dai migranti stagionali che dall’Appennino toscano andavano in Corsica per lavorare come carbonai. Ecco perchè alcune strofe si trovano anche nella tradizione dei canti popolari della provincia di Pistoia.
Si veda anche al proposito il Lamento del carbonaro di Caterina Bueno.
Il testo che segue è quello raccolto a Campo Tizzoro (Pistoia) da Sergio Gargini nel maggio 1978 dalle voci di Anna Buonuomini di Campo Tizzoro e Luisa Sabatini di Granaglione (Bologna). Testo e musica sono stati trascritti da Simone Faraoni. Compare in “Canti popolari della provincia di Pistoia”, incisione discografica e testi a cura di S. Landini e M. Landini, Pistoia 1978.
E’ così riportato su Il Deposito
MA LU TRENU DI BASTIE

Ma lu trenu di Bastie
fatto gli è per li signori
piangano li carrettieri
si lamentano i pastori.

Juccumero juccumero juccumero juccumè
Juccumero juccumero juccumero juccumè

Agnulina mia Agnulina
voglio dirtela una cosa
quando passa lu trenu
tiragli una mitragliosa
e la gente che sta dentro
morirà dallo spavento.

Juccumero juccumero juccumero juccumè
Juccumero juccumero juccumero juccumè

Donne corse state allegre
ch'è sbarcato li lucchesi
hanno fogli e passaporti
per girar tutti i paesi.

Juccumero juccumero juccumero juccumè
Juccumero juccumero juccumero juccumè

Non piangete donne corse
se i lucchesi se ne vanno
preparate le fascette
gli zitelli nasceranno.

Juccumero juccumero juccumero juccumè
Juccumero juccumero juccumero juccumè

Mamma mia voglio marito
io zitella un vo' più stare
mamma cercami un partito
io mi voglio maritare

Juccumero juccumero juccumero juccumè
Juccumero juccumero juccumero juccumè
Juccumero juccumero juccumero juccumè
Juccumero juccumero juccumero juccumè

Contributed by Bernart Bartleby - 2016/1/9 - 16:33




Language: Corsican

La versione parodistica dello chansonnier e umorista corso Austinu Pasqualini detto Tintin, originario di Saliceto, che all’inizio degli anni 60 raccontava dello smantellamento della ferrovia orientale corsa, praticamente mai più utilizzata dopo i gravi danneggiamenti subiti durante la seconda guerra mondiale.
Interpretata, tra gli altri, da Antoine Ciosi nel suo EP del 1969 intitolato “Corsica u mio paese”.

U TRENU DI BASTIA

O lu trenu di Bastia
Si ne parte à la ferraglia
U imbarcanu pezzu à pezzu
In batellu per l' Italia
Ci resterà in suvenire
Qualchì pezzaciu di raglia

Di la gara di Bastia
Ne feremu un munimentu
A ci lasceremu arritta
Perchè ci para lu ventu
L'hà dumandata un ministru
Omu di grande talentu.

I ponti ne serveranu
Per li posti à lu cignale
Osinnò per piglia frescu
Quand'omu si sente male
Pianteranu appena l'acqua
Qunadu Golu hè in tempurale

Si volenu piglià tuttu
I treni cù li battelli
I nostri ministri corsi
Ci ghjocanu à l'appiatelli
Ci prumettenu le cose
Cum'è i calci à i zitelli

È noi li stemu à sente
Cù la bocca spalancata
È pò li femu l'evvive
Tuttu un ghjornu è una nuttata
Elli partenu cuntenti
Fendusi una risata.

Contributed by Bernart Bartleby - 2016/1/9 - 18:37


Su Youtube si può ascoltare la versione toscana, sotto il titolo "Iuccumere", tratta dall'LP "Il Tempo Delle Ciliegie"- Cartacanta - 1980. Questa versione è stata successivamente ripresa da Banditaliana, sempre col titolo "Iuccumere", nel CD "Acqua, foco e vento" del 2003.

Cristina - 2016/2/1 - 23:02




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