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Canto a Stalingrado

Pablo Neruda
Langue: espagnol


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[1942]
Versi di Pablo Neruda, nella raccolta “Tercera residencia (1935–1945)”, pubblicata nel 1947.

Tercera residencia

Un canto necessario, seppur grondante di retorica.
La battaglia di Stalingrado – dal luglio del 1942 alla fine di gennaio del 1943 – fu determinante per l’esito della Seconda guerra mondiale, e lo si sapeva bene già durante le prime fasi del suo svolgimento.

Battaglia di Stalingrado


E Neruda non dimenticava nemmeno che quello dell’Unione Sovietica era stato l’unico governo ad appoggiare apertamente i repubblicani spagnoli contro i golpisti di Francisco Franco, fortemente sostenuti da Germania nazista ed Italia fascista, mentre il resto dell’Europa era rimasta imbelle a guardare l’ascesa del nazifascismo prima, durante e dopo l’inquietante “esercitazione” nella penisola iberica.



Com’è ovvio, in quel momento non rilevava affatto né che, fino a poco prima di quell’epica battaglia, il regime comunista e quello nazista si fossero spartiti – d’accordo, se non d’amore - l’Europa, nè che proprio in Spagna i sovietici e i loro alleati avessero cercato di spazzare via tutte le altre formazioni di sinistra nel corso di una guerra intestina costata molto al bando repubblicano…
En la noche el labriego duerme, despierta y hunde
su mano en las tinieblas preguntando a la aurora:
alba, sol de mañana, lux del día que viene,
dime si aún las manos más puras de los hombres
defienden el castillo del honor, dime, aurora,
si el acero en tu frente rompe su poderío,
si el hombre está en su sitio, si el trueno está en su sitio,
dime, dice el labriego, si no escucha la tierra
cómo cae la sangre de los enrojecidos
héroes, en la grandeza de la noche terrestre,
dime si sobre el árbol todavía está el cielo,
dime si aún la pólvora suena en Stalingrado.

Y el marinero en medio del mar terrible mira
buscando ente las húmedas constelaciones
una, la roja estrella de la ciudad ardiente,
y halla en su corazón esa estrella que quema,
esa estrella de orgullo quieren tocar sus manos,
esa estrella de llanto la construyen sus ojos.
Ciudad, estrella roja, dicen el mar y el hombre,
ciudad, cierra tus rayos, cierra tus puertas duras,
cierra, ciudad, tu ilustre laurel ensangrentado,
y que la noche tiemble con el brillo sombrío
de tus ojos detrás de un planeta de espadas.

Y el español recuerda Madrid y dice: hermana,
resiste, capital de la gloria, resiste:
del suelo se alza toda la sangre derramada
de España, y por España se levanta de nuevo,
y el español pregunta junto al muro
de los fusilamientos, si Stalingrado vive:
y hay en la cárcel una cadena de ojos negros
que horadan las paredes con tu nombre,
y España se sacude con tu sangre y tus muertos,
porque tú le tendiste, Stalingrado, el alma
cuando España paría héroes como los tuyos.

Ella conoce la soledad, España,
como hoy, Stalingrado, tú conoces la tuya,
España desgarró la tierra con sus uñas
cuando París estaba más bonita que nunca,
España desangraba su inmenso árbol de sangre
cuando Londres peinaba, como nos cuenta Pedro
Garfias, su césped y sus lagos de cisnes.

Hoy ya conoces eso, regia virgen,
hoy ya conoces, Rusia, la soledad y el frío.
Cuando miles de obuses tu corazón destrozan,
cuando los escorpiones con crimen y veneno,
Stalingrado, acuden a morder tus entrañas,
Nueva York baila, Londres medita, y yo digo “merde”
porque mi corazón no puede más y nuestros
corazones
no pueden más, no pueden
en un mundo que deja morir solos a sus héroes.

¿Los dejáis solos? ¡Ya vendrán por vosotros!
¿Los dejáis solos?
¿Queréis que la vida
huya a la tumba, y la sonrisa de los hombres
sea borrada por la letrina y el calvario?
¿Por qué no respondéis?
¿Queréis más muertos en frente del Este
hasta que llenen totalmente el cielo vuestro?
Pero entonces no os va a quedar sino el infierno.
El mundo está cansándose de pequeñas hazañas,
de que en Madagascar los generales
maten con heroísmo cincuenta y cinco monos.
El mundo está cansado de otoñales reuniones
presididas aún por un paraguas.

Ciudad, Stalingrado, no podemos
llegar a tus murallas, estamos lejos.
Somos los mexicanos, somos los araucanos,
somos los patagones, somos los guaraníes,
somos los uruguayos, somos los chilenos,
somos millones de hombres.

Ya tenemos por suerte deudos en la familia,
pero aún no llegamos a defenderte, madre.
Ciudad, ciudad de fuego, resiste hasta que un día
lleguemos, indios náufragos, a tocar tus murallas
como un beso de hijos que esperaban llegar.

Stalingrado, aún no hay Segundo Frente,
pero no caerás aunque el hierro y el fuego
te muerdan día y noche.

¡Aunque mueras, no mueres!
Porque los hombres ya no tienen muerte
y tienen que seguir luchando desde el sitio en que
caen
hasta que la victoria no esté sino en tus manos
aunque estén fatigadas y horadadas y muertas,
porque otras manos rojas, cuando las vuestras caigan,
sembrarán por el mundo los huesos de tus héroes
para que tu semilla llene toda la tierra.

envoyé par Bernart Bartleby - 24/3/2015 - 15:40




Langue: italien

Traduzione italiana trovata sul sito del Centro Gramsci di Educazione
CANTO A STALINGRADO

Nella notte il contadino dorme, ma la mano
sveglia, affonda nelle tenebre e chiede all'aurora:
Alba, sole del mattino, luce del giorno che viene,
dimmi se ancora le mani più pure degli uomini
difendono la rocca dell'onore, dimmi aurora,
se l'acciaio sulla tua fronte rompe la sua forza,
se l'uomo rimane al suo posto, ed il tuono al suo posto,
dimmi, chiede il contadino, se la terra non ode
come cade il sangue dei rossi eroi, nell'immensa notte terrestre,
dimmi se ancora sopra l'albero sta il cielo,
dimmi se ancora risuonano spari a Stalingrado.

E il marinaio in mezzo a mare tremendo
scruta le umide costellazioni,
e una ne cerca, la rossa stella della città ardente,
e scopre nel suo cuore quella stella che brucia,
e quella stella d'orgoglio le sue mani vogliono toccare,
quella stella di pianto creata dai suoi occhi.
Città, stella rossa, dicono il mare e l'uomo,
città, chiudi i tuoi raggi, chiudi le tue porte dure,
chiudi città il tuo famoso lauro insanguinato,
e che la notte tremi con lo splendere cupo
dei tuoi occhi dietro un pianeta di spade.

E lo spagnolo ricorda Madrid e dice: sorella,
resisti, capitale della gloria, resisti:
dal suolo si alza tutto il sangue sparso
dalla Spagna, e per la Spagna si solleva nuovamente,
e lo spagnolo chiede, già contro il muro
delle fucilazioni, se Stalingrado vive;
e c'è nel carcere una catena di occhi neri
che bucano le pareti col tuo nome
e la Spagna si scuote col tuo sangue e i tuoi morti,
perché le offristi l'anima tua, Stalingrado,
quando partoriva la Spagna eroi come i tuoi.

Conosce la solitudine, la Spagna:
come oggi conosci la tua, Stalingrado.
La Spagna strappò la terra con le unghie
quando Parigi era bella più che mai.
La Spagna dissanguava il suo immenso albero di sangue
quando Londra, come Pedro Garfias ci racconta,
pettinava le sue aiuole, i suoi laghi di cigni.

Oggi di più conosci questo, forte vergine,
oggi, Russia, conosci di più la solitudine ed il freddo.
Mentre migliaia di obici squartano il tuo cuore,
mentre gli scorpioni con crimine e veleno
accorrono, Stalingrado, a mordere le tue viscere,
New York balla, Londra medita, e io dico "merde"
perché il mio cuore non resiste più
e i nostri cuori non resistono più, non resistono,
in un mondo che lascia morire soli i suoi eroi.

Li lasciate soli? Ora verranno per voi.
Li lasciate soli?
Volete che la vita
precipiti alla tomba, e il sorriso degli uomini
sia cancellato dalla latrina e dal calvario?
Perché non rispondete?
Volete più morti sul fronte dell'Est
finché riempiano tutto il vostro cielo?
Ma allora non vi resta che l'inferno
Già si stanca di piccole prodezze
il mondo, dove in Madagascar i generali,
con eroismo, uccidono cinquantacinque scimmie.
Il mondo è stanco di congressi autunnali,
ancora con un ombrello a presidente.

Città, Stalingrado, non possiamo
giungere alle tua mura, siamo lontani.
Siamo i messicani, siamo gli araucani,
siamo i patagoni, siamo i guaranì,
siamo gli uruguaiani, siamo i cileni,
siamo milioni di uomini.

E abbiamo altra gente, per fortuna, nella famiglia,
ma non siamo ancora venuti a difenderti, madre.
Città, città di fuoco, resisti finché un giorno
arriveremo, indiani naufraghi, a toccare le tue muraglie
con un bacio di figli che speravano di tornare.

Stalingrado, non esiste un Secondo Fronte,
però non cadrai anche se il ferro ed il fuoco
ti mordono giorno e notte.

Anche se muori non morirai!
Perché gli uomini ora non hanno morte
e continuano a lottare anche quando sono caduti,
finché la vittoria sarà nelle tue mani,
anche se sono stanche, forate e morte,
perché altre mani rosse, quando le vostre cadano,
semineranno per il mondo le ossa dei tuoi eroi,
perché il tuo seme colmi tutta la terra.

envoyé par Bernart Bartleby - 24/3/2015 - 15:41




Langue: finnois

Tarduzione finlandese di Pentti Saaritsa
Finnish translation by Pentti Saaritsa
Suomennos Pentti Saaritsa
LAULU STALINGRADILLE

Yössä nukkuu työmies, havahtuu ja upottaa
kätensä pimeyteen kysyen aamunkoilta:
sarastus, huomisen aurinko, saapuvan päivän valo,
kerro minulle vieläkö ihmiskäsistä puhtaimmat
puolustavat kunnian linnoitusta, kerro, aamunkoi
halkaiseeko otsasi teräs sen valtapiirin,
onko ihminen paikallaan, onko ukkonen paikallaan,
kerro, pyytää työmies, eikö multa kuule
miten pisaroi punertuneiden sankareiden veri
maailman yön avaruudessa,
kerro vieläkö kaartuu taivas puun yllä,
kerro vieläkö jylisee ruuti Stalingradissa.

Ja merimies keskellä riehuvaa merta tähystää
etsien märkien tähdistöjen keskeltä yhtä,
roihuavan kaupungin punaista tähteä,
ja löytää sen polttavan tähden omasta sydämestään,
sitä ylpeyden tähteä tahtovat koskettaa hänen kätensä,
sitä itkun tähteä rakentavat hänen silmänsä.

Kaupunki, punainen tähti, kuiskaavat meri ja mies,
kaupunki, sulje jo säteesi, sulje kovat ovesi,
sulje, kaupunki, maineikkaat veriset laakerisi
ja värjyköön yön synkeä säihke
sinun silmissäsi säiläplaneetan takana.

Ja espanjalainen muistaa Madridin ja sanoo: sisko,
kestä, loiston pääkaupunki, kestä vielä:
maasta kurkottaa kaikki Espanjan tuhlattu
veri, ja Espanjan nimeen se nousee uudestaan,
ja espanjalainen kysyy teloitusmuurin juurella
vieläkö Stalingrad elää:
ja vankilassa on mustien silmien ketju
joka poraa seiniä sinun nimelläsi
ja sinun veresi ja vainajasi vavisuttavat Espanjaa
koska sinä, Stalingrad, tarjosit sielusi Espanjalle
silloin kun se synnytti samanlaisia sankareita kuin sinä.

Espanja kyllä tietää mitä on jäädä yksin
niin kuin sinä, Stalingrad, tiedät tänään.
Espanja kaivautui maahan paljain kynsin
kun Pariisi koreili kukkeimmillaan.
Espanja valutti koko valtavan verioksistonsa
kun Lontoo kampasi hiuksiaan, kuten kertoo Pedro
Garfias, nurmikenttineen ja joutsenlampineen.

Tänään sinä jo tiedät sen, väkevä neitsyt,
tiedät jo, Venäjä, mitä on jäädä yksin ja kylmään.
Kun tuhannet haupitsit jauhavat sinun sydäntäsi,
kun rikolliset myrkylliset skorpionit
tunkevat puremaan sinun sisintäsi,
New York tanssii, Lontoo mietiskelee ja minä mutisen »merde«
koska minun rintani pakahtuu, ja meidän
rintamme pakahtuvat, pakahtuvat
maailmassa joka jättää sankarinsa yksin kuolemaan.

Jätättekö heidät yksin? He tulevat kyllä teidän takianne!
Jätättekö heidät yksin?
Tahdotteko että elämä
pakenee hautaan, että saasta ja kärsimys
pyyhkii pois ihmisten hymyn?
Miksette te vastaa?
Haluatteko te lisää vainajia Etelän rintamalle
kunnes ne täyttävät koko teidän taivaanne?
Mutta sitten meille jää enää pelkkä helvetti.
Maailma alkaa väsyä sellaisiin urotekoihin
kun kenraalit Madagaskarilla
tappavat sankarillisesti viisikymmentä apinaa.
Maailma on väsynyt syksyisiin kokouksiin
joissa sateenvarjo johtaa puhetta.

Kaupunki, Stalingrad, me emme pääse
muureillesi, olemme kaukana.
Olemme meksikolaisia, olemme araucoja,
olemme patagonialaisia, olemme guaraneja,
olemme uruguaylaisia, olemme chileläisiä,
meitä on monta miljoonaa.

Olemme onneksi jo samaa perhettä
mutta vielä emme pääse puolustamaan sinua, äiti.
Kaupunki, tulen kaupunki, kestä vielä siihen päivään
kun me kerran tulemme, haaksirikkoiset intiaanit,
painamaan huulemme muureihisi
jotka odottivat meitä kuin omia poikiaan.

Stalingrad, vielä ei ole Toista Rintamaa,
mutta älä sorru vaikka rauta ja tuli
jäytävät sinua yötä päivää.

Vaikka kuolisit, älä kuole!

Sillä ihmisillä ei enää ole kuolemaa
ja kaatumissijoiltaan heidän täytyy jatkaa taistelua
kunnes voitto jää sinun, sinun käsiisi
vaikka ne olisivat uupuneet ja puhkotut ja kuolleet,
koska sitten kun ne vaipuvat, toiset punaiset kädet
kylvävät sankareittesi luut ympäri maailmaa
jotta siemenesi täyttäisivät kaiken maan.

envoyé par Juha Rämö - 1/4/2015 - 15:02




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