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Riccardo Venturi: Micorta per l'estate

GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCG
Language: Italian




[22 giugno 2012]

Galenzana.
Galenzana.


Poiché siamo appena entrati nell'inverno dell'emisfero nord, e scrivo con calato sulla testa un berrettone di lana che sembro ancor di più un orso bruno, desidererei proporVi ciò che scrissi all'inizio dell'estate del 2012. Non saprei dirvi molto su questa cosa, se non che è il secondo degli "autoritratti" che mi sono fatto; il primo risale a molti anni prima, ed avevo scelto di tratteggiarmi mentre ero immerso in vasca da bagno (si chiama, infatti, Autoritratto immerso in una bagnarola e trovò un musicante nella figura di Stefano Mannelli). Per questo secondo e ultimo, invece, presi spunto dai Rombi e milonghe di David Riondino; ma poiché non posso e non devo sentirmi all'altezza, scrissi una micorta al posto di una milonga, anche se poi, in definitiva, il testo non è affatto breve. Così ero quel giorno; oggi, chissà. Ma arriverà, di nuovo, un'estate. Due appunti: nel testo si fa riferimento al mio lavoro di allora, che era guidare ambulanze e altri automezzi sanitari e sociali. E anche a un gatto nero, che non c'è più; inoltre, le ultime due strofe sono un rimescolamento, lessicale e sintattico, delle prime due. Buona lettura, se volete. E' anche il mio modo per farvi gli auguri per "feste" che non esistono. [RV]
Dice un mi' vecchio amico, che mi sono scordato
se faccia il cantautore o il postelegrafonico,
se faccia il dottor angelico oppure il calafato
o sbatta qualche aeroplano su un muro supersonico;

Dice che il qui presente è un orso poco ammaestrato,
qualcosa che inizia con “ciclo”, e forse anticiclonico;
che il qui presente è pazzo; però un pazzo garbato,
con spiraloidi di zolfo e un fondo malinconico.

Mi aggiro per la mia casa cercando una maglietta,
il gatto nero dorme che par quasi una salma;
dovrei mangiare qualcosa, magari una galletta
per prendere le pasticche, e con estrema calma

decido che l'estate arriva in data odierna,
ché poi, va detto, è quella che si dice canonica;
ventun giugno d'un'era sudata e postmoderna,
vorrei prendere un treno, e andarmene a Follonica.

Mi piace pigliare treni che vanno verso il mare,
mi piace anche girare per casa a cercar magliette;
mi piace che dorme il gatto, e starmelo a guardare,
mi piace quest'altra estate, detesto le gallette.

Fra un'ora e un quarto esco e manderò il furgone,
sul tavolo tengo i sigari e il dizionario greco;
gira il ventilatore, l'asfalto nel solleone
emette de' raggi gamma che ci diventi cieco,

e girano anche gli anni, giran le economie,
mi stenderei sul letto a dormì' insieme al gatto;
di tanto in tanto devo chiamare le mi' zie,
poi tanto non le chiamo, gliè che sono distratto.

Si scioglie per il caldo anche la cioccolata,
dovrei rizzammi a mèttila al fresco in frigorifero;
quella superfondente, manco un po' zuccherata,
sembra di buttà giù, più che cacao, Lucifero.

Ma va' a cacào, gli dico; oggi viene l'estate,
sogno di bagnimmàre ma negli anni settanta;
mi viene sì da tuffammi in quell'acque salate
e poi disfàmmi al sole di patatine e fanta.

Ho gran progetti in capo: scrivere una grammatica
del fiorentino parlato e una raccolta di pagine
completamente bianche, da riempir nella pratica
come qualc'anno fa s'empiva di mucillagine

da Muggia fino a Otranto la costiera Adriatica;
grandi manovre, e intanto gira il ventilatore,
l'aria condizionata mi fa venir la sciatica,
e poi mi tocca prendere, quasi a tutte le ore

un balsamo ch'è fatto d'un'essenza aromatica.
Tutto si muta in niente; nel sole si scompone
ogni frammento vigile d'un'esistenza erratica,
e io la fo così, la mia rivoluzione.

Certo che si scolora l'aria nella fornace
e la lentezza invade lesta l'atrio e il ventricolo;
vivo in questa maniera, da sbronzo di Riace
che per mangiare e leggere guida l'autoveicolo.

Qualche volta si perde nelle campagne vuote
e parla coi cipressi o con le vecchie sedute;
qualc'altra poi gli esèrcita una sua innata dote,
quella di ritrovarsi in vite già vissute.

E da quaggiù si vede un frontisterio e un platano,
e scruto domandandomi quanto al di là mi spingo.
Nell'universo fatto d'àtomi che si dilatano
ambisco anch'io ad espandermi, sennò poi mi restringo.

Ma si diceva d'estate; oggi è arrivata e il giorno
dura finché la luce non si va a bere un mojito;
c'è un gran silenzio indomito, nulla si sente attorno,
versione proletaria del respiro infinito.

Versione da cortile dell' illusione distorta
che alcuni chiaman morte, altri immortalità;
io non la chiamo niente, ora chiudo la porta,
mi bevo il sole e rutto placido per la città.

Decido che l'estate arriva in data odierna,
e fra tre mesi decido che ricomincia l'attesa;
nuoto in mezzo al parcheggio, vicino alla cisterna,
palme sono le erbacce, c'è una vicina obesa

che spazza tempo e ride mentre una bimba gioca.
E quell'istante dice: àlzati e vola via,
la vita è meraviglia, e più che altro è poca,
e d'un concerto di luce risuona la periferia.

Dice un mi' vecchio amico, che mi son calafato,
se faccia il dottor angelico oppure il supersonico,
se faccia il cantautore oppure lo scordato
o sbatta qualche aeroplano su un postelegrafonico;

Dice che il qui presente è un orso poco garbato,
qualcosa che inizia con “ciclo”, e forse malinconico;
che il qui presente è zolfo; però uno zolfo ammaestrato,
con spiraloidi di pazzo e un fondo anticiclonico.

2014/12/26 - 21:50




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