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A la matina bonora

anonimo
Lingua: Italiano



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Saluteremo il signor padrone
(Giovanna Daffini)
Bella Ciao
(anonimo)
Mama mia, mi sun stufa
(anonimo)


Durante l’Ottocento erano sorte in tutto il nord Italia (e quindi anche in Friuli) molte filande, dove veniva effettuata l'ultima fase del processo di lavorazione della seta, che comprendeva anche l'immersione dei bozzoli in bacinelle d'acqua molto calda.

Le filandiere (dette in friulano bigatis) si occupavano di questa operazione per 11 -12 ore al giorno rovinandosi le mani e soffrendo pene insopportabili; erano inoltre malnutrite e lavoravano in ambienti malsani. Questo tipo di lavoro era svolto quasi esclusivamente dalle donne che, fin da bambine, venivano sfruttate, maltrattate ed umiliate dal padrone e dai sorveglianti, che le punivano severamente, multandole e sottoponendole a violenze di vario genere.

Le lavoratrici erano coscienti della loro condizione sociale ed erano consapevoli dello sfruttamento a cui erano sottoposte; questo ci viene testimoniato dalla durezza di alcuni regolamenti, che reprimevano ogni forma di ribellione, ma soprattutto possiamo ricavarlo dai canti di lavoro.I libri di storia, fin dall'antichità, non si sono quasi mai occupati della vita delle masse anonime, nonostante esse abbiano costituito le fondamenta della nostra civiltà. Anche loro fanno parte della storia, tutti quanti ne fanno parte, dal grande condottiero allo zappatore, dall'imperatore al servo della gleba.

Ed è proprio dai canti che noi possiamo capire la sofferenza, la povertà ed il destino del 'popolo': i canti di lavoro costituiscono infatti una fonte storica importante per conoscere la vita della masse operaie e contadine tra l'800 e il '900: si tratta per lo più di fonti orali, recentemente rivalutate attraverso incisioni e trascrizioni.

Questi canti si sviluppavano come un lamento e una protesta contro i padroni, che non ascoltavano i gemiti dei loro operai. Oggi questi canti ci servono per capire e conoscere la vita che facevano gli uomini, le donne e i bambini, che per vivere dovevano lavorare in condizioni impossibili.

Abbiamo analizzato in particolare i canti delle lavoratrici della seta e delle mondine del Nord Italia. Queste giovani operaie cantavano quasi sempre per sentire meno la fatica. Cantavano durante le pause, per stare in allegria, quando andavano o ritornavano dal lavoro e, se la casa era molto lontana, cantavano prima di addormentarsi sui miseri pagliericci. Cantavano quindi per dare ritmo al lavoro, per esprimere la nostalgia per la propria casa e i propri affetti, cantavano anche per incitare alla rivolta. I canti erano quindi espressione del loro mondo e della loro cultura ed esprimevano spesso una speranza per una vita migliore.Cantando insieme, capivano anche di essere unite e accomunate dalle stesse idee e aspirazioni.

Cominciamo dalla vita delle filandiere, le instancabili lavoratrici delle filande; queste donne dovevano sopportare turni massacranti di 12 ore al giorno: si svegliavano che era mattina presto e il paese era ancora immerso nel buio, (cfr. "A la matina bonora") e ritornavano quando ormai il sole era calato; avevano le mani distrutte per il lavoro pesante, soprattutto le maceratrici (scuinere) che dovevano tenere le mani immerse per ore e ore in recipienti di acqua bollente (cfr. "A la matina bonora"; "Inno delle tessitrici"). Quando tornavano a casa dalla stagione lavorativa erano in uno stato pietoso, consumate e sciupate nel fiore della gioventù (cfr. "Mama mia, mi sun stufa" "Amore mio non piangere"

"Povre filandere" è un canto di denuncia sulla propria condizione fisica di vittima condannata a non avere mai bene. "O mamma mia, tegnìm a cà" è un canto di protesta contro la filanda considerata una prigione. Le ragazze invocano le madri perché venisse risparmiato loro il lavoro devastante della filanda; tuttavia la miseria generale della classe contadina non consentiva altre scelte.

Inoltre il posto di lavoro era malsano e puzzolente e alcuni canti affermano che tutte le filandiere puzzavano ed erano consumate dal lavoro. Erano schiave, incatenate come cani al loro destino (cfr. "Son passata da Garlate" " Mamma mia mi son stufa" " Mamma mia tegnim a ca'").

Una situazione analoga era quella delle mondine, cioè coloro che estirpavano le erbacce che infestavano le risaie: esse dovevano stare per ore e ore immerse nell'acqua fangosa e malsana delle risaie, dove insetti e zanzare le divoravano, mentre il loro padrone stava a guardarle con il suo bastone in mano; inoltre se le mondine interrompevano per un attimo il lavoro, il bastone non sarebbe servito solo a sorreggere il padrone, ma anche a picchiare le operaie (cfr. "Bella ciao delle mondine"; "Saluteremo il signor padrone").

Il lavoro delle mondine era massacrante, erano sottoposte a turni disumani e ricevevano duri trattamenti e un misero salario (cfr."Saluteremo il signor padrone"). L'ultimo pensiero del canto però viene dedicato alla speranza per il futuro, quando sarà possibile lavorare in libertà, veramente unite contro i soprusi dei padroni (cfr. "Bella ciao delle mondine").

Ma le mondine e le filandiere non erano sempre delle donne sottomesse, erano spesso degli "spiriti liberi". A quanto si deduce dal Regolamento di lavoro della filanda di Brazzano, le filandiere erano abituate a bere, a rivoltarsi contro i sorveglianti e a cospirare contro il loro padrone. L’articolo 15 in particolare mette in luce tutti i comportamenti sovversivi messi in atto dalle operaie e per i quali spesso c’era anche la prigione.Lo spirito combattivo emerge anche dal testo de "La lega", nel quale le operaie espongono la loro rabbia e la loro volontà di unirsi per essere libere, denunciando i padroni superbi e gli operai crumiri. "La Lega (Sebben che siamo donne)" fa capire che le operaie, nonostante la loro condizione di "donne", considerate quindi inferiori nella società del tempo, non hanno paura perché hanno delle "belle buone lingue" , cioè sanno bene difendersi con le parole; il loro obbiettivo è di lavorare unite in libertà.Queste donne quindi, anche se distrutte dal lavoro, sapevano come farsi ascoltare, con messaggi forti, che però venivano troppo spesso ignorati dai padroni o per i quali talvolta le operaie dovevano pagare le dure conseguenze.
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A la matin bonora
si sente a süpelar
saranno le filere lera
saranno le filere lera
e a la matin bonora
si sente a süpelar
saranno le filere lera
che vanno a lavorar.

O giovanotti carise vurì fare l’amor
andee dalle filere lera
andee dalle filere lera
o giovanotti carise vurì fare l’amor
andee dalle filere lera
non ste guardaghe le man.

Non ste guardaghe le man
non ste guardaghe i color
l’è ‘l füm de la caldera lera
l’è ‘l füm de la caldera lera
non ste guardaghe le man
non ste guardaghe i color
l’è ‘l füm de la caldera lera
li dis che ‘l ghe fa mal.

inviata da donquijote82 - 6/1/2014 - 14:20




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