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Deutschland: Ein Wintermärchen

Wolf Biermann
Language: German


Wolf Biermann

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[1967/1968]
Text: Wolf Biermann
Lyrics: Wolf Biermann
Testo: Wolf Biermann
Album: Chausseestraße 131


Chausseestraße 131


chausmikron.


- Die hab' ich satt!
- Das Barlach-Lied
- Deutschland: Ein Wintermärchen (1. Kapitel)
- Ballade auf den Dichter François Villon
- Deutschland: Ein Wintermärchen (Fortsetzung)
- Wie eingepfercht in Kerkermauern
- Zwischenlied
- Frühling auf dem Mont Klamott
- Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg
- Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg
- So soll es sein - So wird es sein


Chausseestraße 131 è stato il primo album inciso da Wolf Biermann e ha una storia leggendaria: poiché Biermann era bandito nella DDR, e quindi aveva il divieto ufficiale di registrare le sue canzoni, mise su uno studio improvvisato nel suo appartamento. Con l'aiuto di alcuni amici e di sua madre, riuscì a procurarsi apparecchiature come un microfono di alta qualità e un registratore da studio contrabbandato dalla Germania occidentale, in modo da poter incidere le sue canzoni. La storia narra però che il microfono fosse di qualità anche fin troppo buona, ed ultrasensibile: in breve, mentre Biermann registrava, captava anche i rumori di strada tipo le automobili che passavano e, a volte, anche il canto degli uccellini. Dopo qualche tentativo di eliminare questi rumori di sottofondo, andato a vuoto, Biermann decise di fare di necessità virtù e registrò le canzoni com'erano, con tutti i rumori; e fu un colpo di genio, dato che la cosa rendeva perfettamente le condizioni particolari in cui l'album era stato registrato, il confino domestico e la clandestinità totale dell'artista. La „naturalità“ totale di tutto ciò non ha cessato di rivelare la sua efficacia a 45 anni di distanza: Chausseestraße 131, si può dire, è nato già come album storico, anche al di là dello stesso, elevatissimo, valore dei testi (la musica ha, come lecito attendersi, un valore secondario, quasi di semplice sottofondo come gli stessi rumori di strada). Lo si potrebbe definire un album per parole, rumori e voce: la voce rauca e sporca di Biermann. Si tratta anche di una testimonianza precisa di un fatto: pur essendo ufficialmente bandito e esiliato in casa, Biermann non era affatto tagliato fuori dagli eventi che riusciva a seguire e a cantare con precisione. Chausseestraße 131, ben oltre le „evoluzioni“ dell'uomo e dell'artista Wolf Biermann nel tempo, ha passato l'esame del tempo e rimane un capolavoro assoluto della canzone d'autore, non soltanto tedesca; un album che ebbe una grande influenza in tutta Europa (ed il suo anno di pubblicazione, il 1968, la dice tutta).

L'album inizia con il grido di Die hab' ich satt! („Mi sono rotto“), scritta alcuni anni prima, nel 1963. La canzone si rivolge a tutti i diversi tipi di persone deboli e vigliacche che sostengono un sistema ingiusto: le „donne che mi accarezzano fredde“, i „falsi amici che mi adulano e che dagli altri si aspettano coraggio mentre loro se la fanno addosso”, la “tribù di burocrati che si mette a ballare con zelo sulla schiena della gente”, gli “insegnanti flagello dei giovani”, i “poeti che si fanno le seghe a poetare sulla patria perduta”, e così via. Si tratta di uno dei commenti più originali e duri sulla Germania Est degli anni '60, ma negli anni della contestazione fu presa come una protesta dal valore universale, cosa del tutto naturale. Das Barlach-Lied (“La canzone di Barlach”) descrive la delusione che aspetta ogni artista non conformista sotto ogni regime oppressivo; si tratta di una canzone poetica che si serve della figura dello scultore Ernst Barlach, perseguitato dai nazisti, per stabilire un contatto con il presente. La vena ironica e sarcastica di Biermann diviene feroce nei tre brani successivi: in Deutschland: Ein Wintermärchen (“Germania: una fiaba invernale"), un testo recitato in diretto riferimento al poemetto di Heinrich Heine, Biermann chiama la Germania il “grasso culone del mondo” (gioco di parole sull'espressione Arsch der Welt, alla lettera “culo del mondo” ma che, come l'espressione italiana “in culo al mondo” significa lontana da ogni cosa, in mezzo al nulla), e Berlino il suo “buco diviso con peli di filo spinato”. Nella Ballade auf den Dichter François Villon (“Ballata sul poeta François Villon”), che inframezza il recitativo, Biermann fa girare il suo alter ego sotto al muro di Berlino per dare noia ai Vopos. Wie eingepfercht in Kerkermauern (“Come murato in galera”) descrive la reclusione domestica e l'esilio interno a Berlino: una canzone particolarmente amara e triste. Nella canzone successiva, Zwischenlied (“Interludio”), Biermann dichiara che, nonostante qualche canzone venata di tristezza, non si sente disperato in questi “tempi belli e commoventi” e, come se volesse rafforzare tale visione, Biermann canta Frühling auf dem Mont Klamott (“Primavera sul monte Klamott”). Da tenere presente, però, che il cosiddetto “Monte Klamott”, nel mezzo di Berlino, è un'altura che è stata formando ammassando l'enorme quantità di macerie della città distrutta dopo la II Guerra mondiale (sull'altura è stato poi costruito un parco). Nel Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg (“Moritat su nonna Meume Biermann di Amburgo”) e nel Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg (“Orazione di nonna Meume, vecchia comunista di Amburgo”), Biermann parla delle sue radici e di come da esse sia stato influenzato; la seconda delle due canzoni presenta l'indimenticabile immagine della vecchia nonna che prega Dio perché faccia vincere il comunismo. Il brano finale dell'album, So soll es sein - So wird es sein (“Così dev'essere, così sarà”), è come una sorta di testamento dell'allora trentunenne Biermann.





Heinrich Heine (1797-1856)
Heinrich Heine (1797-1856)


Nella Chausseestraße 131, assieme al confinato Wolf Biermann, dovevano abitare parecchi colleghi. Nell'armadio ci stava François Villon, come abbiamo già visto all'inizio di questa giratina nel vecchio appartamento berlinese; e c'era anche Heinrich Heine. Bella compagnia, senz'altro; tant'è vero che, a rigore, Herr Biermann ne ha fatta una delle sue, o almeno una delle sue di quand'era giovane. Tenersi in casa due poeti della fatta di Villon e Heine non dev'essere stato per nulla semplice, e ho come il preciso sospetto che anche loro siano finiti, accanto alle automobili che passavano e agli uccellini che cinguettavano captati dal sensibilissimo microfono di casa Biermann mentre registrava “Chausseestraße 131”, nei “rumori di sottofondo” - una delle tante cose per cui questo album è famosissimo. Tant'è che, in questo caso specifico, li ha fatti addirittura duettare (o interagire, come si direbbe adesso). Una delle sue, appunto; e si rimpiange non poco la cosa di quegli anni belli e commoventi.

Il poemetto satirico Deutschland: Ein Wintermärchen di Heine è del 1844. Ospitare in casa Heine poteva essere quasi naturale per Lupo Biermann. Come lui, Heine era di origine ebraica; come lui sapeva bene che cos'era l'esilio (nel 1831, spinto dall'atmosfera mefitica della Restaurazione in Germania, Heine era emigrato in Francia). Come lui conosceva la messa al bando delle proprie opere: nel 1835, un decreto dell'Assemblea Federale tedesca ne aveva proibito la diffusione e la stampa su tutto il territorio tedesco. Alla fine del 1843, Heine tornò brevemente in Germania per far visita a sua madre e al suo editore, Julius Campe; il quale era di Amburgo, come Biermann. Durante il viaggio di ritorno in Francia, Heine scrisse la prima bozza del poemetto, che fu pubblicato nel 1844 da Campe e Hoffmann.

wintermheine


Il modo in cui il poemetto di Heine eluse la censura e il bando delle sue opere è, al tempo stesso, curioso e indicativo della totale stupidità delle “autorità preposte”. Anche perché fu perfettamente legale: in base ai regolamenti sulla censura approvati dalla Conferenza di Carlsbad del 1819, i manoscritti superiori alle venti pagine erano esclusi dal controllo censorio. Quindi Deutschland. Ein Wintermärchen fu regolarmente stampato e pubblicato assieme ad altre poesie, in un volume intitolato Neue Gedichte “Nuove poesie”. La beffa durò poco: il 4 ottobre 1844 il libro fu proibito, e l'intero stock dei volumi stampati fu confiscato in Prussia. Il 12 dicembre 1844 il Kaiser Federico Guglielmo IV emise un decreto di arresto nei confronti di Heine. Andò meglio in altri stati tedeschi, ma il testo fu sottoposto a tagli consistenti.

Si capisce quindi bene come mai il ricorso a Heine e alla sua “fiaba invernale” tedesca sia stato praticamente naturale: talmente tanto, da non cambiarne neppure il titolo. Tale e quale. La medesima satira distruttiva, senza remissione, nei confronti della Germania e della sua storia. Il medesimo rifiuto di sottoporsi al presente e alle sue ordinanze mosse da superiore obbedienza. Qualche differenza, certamente, c'è pure; il testo biermanniano è forzatamente ed infinitamente meno lungo di quello di Heine, per forza di cose. La differenza fondamentale è però un'altra: mentre la “fiaba” heiniana è più che altro un viaggio immaginario e metaforico (pur originato da un breve viaggio reale dopo quindici anni di esilio in terra straniera), quella biermanniana è un viaggio tremendamente reale in una realtà nella quale si trova prigioniero e confinato. Nel dare la qualifica di “fiaba” al suo poemetto, Heine espletava l'ironia dall'esterno; il sarcasmo di Biermann è invece espletato completamente all'interno di una realtà in cui aveva sperato e che lo ha tradito.

Anche tra i non pochi tedeschi che hanno rivolto critiche ed espressioni durissime nei confronti della Germania, sarebbe difficile trovare la crudezza che Biermann usa nella sua “fiaba” moderna. Una crudezza che giunge ad una conclusione terribile: di qualunque colore si ammanti la Germania, bruna o rossa che sia, l'essenza è sempre la stessa, quella della peggiore merda trasformata in oro. Una continuità, insomma. Qui si inserisce il “duetto” col poeta François Villon: la recitazione è divisa infatti in due parti, inframezzate dalla canzone in cui Villon va a prendere per i fondelli le guardie del Muro di Berlino e poi scompare in vomito. [RV]
1. Kapitel

Im deutschen Dezember floß die Spree
Von Ost- nach Westberlin
Da schwamm ich mit der Eisenbahn
Hoch über die Mauer hin

Da schwebte ich leicht übern Drahtverhau
Und über die Bluthunde hin
Das ging mir so seltsam ins Gemüt
Und bitter auch durch den Sinn

Das ging mir so bitter in das Herz
- da unten, die treuen Genossen -
So mancher, der diesen gleichen Weg
Zu Fuß ging, wurde erschossen

Manch einer warf sein junges Fleisch
In Drahtverhau und Minenfeld
Durchlöchert läuft der Eimer aus
Wenn die MP von hinten bellt

Nicht jeder ist so gut gebaut
Wie der Franzose Franz Villon
Der kam in dem bekannten Lied
Mit Rotweinflecken davon

==> Ballade auf den Dichter François Villon


Fortsetzung

Ich dachte auch kurz an meinen Cousin
Den frechen Heinrich Heine
Der kam von Frankreich über die Grenz
Beim alten Vater Rheine

Ich mußte auch denken, was allerhand
In gut hundert Jahren passiert ist
Daß Deutschland inzwischen glorreich geeint
Und nun schon wieder halbiert ist

Na und? Die ganze Welt hat sich
In Ost und West gespalten
Doch Deutschland hat - wie immer auch -
Die Position gehalten

Die Position als Arsch der Welt
Sehr fett und sehr gewichtig
Die Haare in der Kerbe sind
Aus Stacheldraht, versteht sich

Daß selbst das Loch - ich mein' Berlin -
In sich gespalten ist
Da haben wir die Biologie
Beschämt durch Menschenwitz

Und wenn den großen Herrn der Welt
Der Magen drückt und kneift
Dann knallt und stinkt es ekelhaft
In Deutschland. Ihr begreift:

Ein jeder Teil der Welt hat so
Sein Teil vom deutschen Steiß
Der größre Teil ist Westdeutschland
Mit gutem Grund, ich weiß.

Die deutschen Exkremente sind
Daß es uns nicht geniert
In Westdeutschland mit deutschem Fleiß
Poliert und parfümiert

Was nie ein Alchemist erreicht
- sie haben es geschafft
Aus deutscher Scheiße haben sie
Sich hartes Gold gemacht

Die DDR, mein Vaterland
Ist sauber immerhin
Die Wiederkehr der Nazizeit
Ist absolut nicht drin

So gründlich haben wir geschrubbt
Mit Stalins hartem Besen
Daß rot verschrammt der Hintern ist
Der vorher braun gewesen.

Contributed by Riccardo Venturi - 2013/8/19 - 16:12




Language: Italian

Nuova versione integrale di Riccardo Venturi
20 agosto 2013

winterdeu
GERMANIA: UNA FIABA INVERNALE

1° Capitolo

Nel dicembre tedesco scorreva la Sprea
da Berlino Est a Berlino Ovest;
io, in treno, volteggiavo come nuotando
lassù sopra il Muro.

Spaziavo lieve sul reticolato
e sopra i cani segugi;
così strano era il mio stato d'animo,
e pure in testa mi sentivo amaro.

Così amaro mi sentivo il cuore:
laggiù, i fedeli compagni,
quei tanti che la stessa strada
la facevano a piedi, venivano uccisi.

Parecchi gettavano la loro giovane carne
contro ai fili spinati e nel campo minato,
il secchio rimane bucherellato
quando da dietro abbaia un mitra

Non tutti sono robusti
come Franz Villon, il francese
che nella ben nota canzone
se l'è cavata con macchie di vino rosso.

==> Ballata sul poeta François Villon


Continuazione

Pensavo un po' anche a mio cugino,
Heinrich Heine, quello sfrontato
che arrivò dalla Francia passando
il confine sul vecchio padre Reno

Pensavo anche alle tante cose
che sono successe in cent'anni e rotti,
alla Germania che era unita e gloriosa
e che ora è di nuovo divisa a metà.

Embè? Il mondo intero si è
diviso in est e ovest,
ma la Germania, come sempre,
ha tenuto la posizione.

La posizione di culo del mondo,
un culo bello grasso e pesante,
e i peli nella fessura son fatti
di filo spinato, si capisce

Anche il buco del culo, dico Berlino,
si è diviso in due al suo interno;
e così abbiamo sputtanato
la biologia a mo' d'umano scherzo.

E quando ai gran signori del mondo
fa male e stringe lo stomaco,
è in Germania che arriva la scorreggia,
e puzzolente assai. Lo capite:

Ogni parte del mondo ha in questo modo
la sua parte del deretano tedesco,
la parte più grossa è la Germania Ovest,
e a buon motivo, lo so.

La merda tedesca viene ripulita
(e a noi non dà punto fastidio!)
in Germania Ovest con zelo tutto tedesco,
e poi lucidata e profumata.

Un alchimista non ce la farà mai,
ma loro ci sono riusciti:
dalla merda tedesca hanno
tirato fuori oro puro.

La DDR, la mia Patria,
invece sarà sempre pulita:
il ritorno del nazismo
è assolutamente fuori questione.

Ci hanno ripassati così bene
con la dura scopa di Stalin,
che ora ce lo abbiamo graffiato di rosso
il culo che prima era bruno.

2013/8/20 - 11:24




Language: French

Version française – ALLEMAGNE : UN CONTE D'HIVER – Marco Valdo M.I. – 2014

Chanson allemande – Deutschland: Ein Wintermärchen – Wolf Biermann – 1967/1968
Texte et musique: Wolf Biermann
Album: Chausseestraße 131

Heinrich Heine (1797-1856)
Heinrich Heine (1797-1856)


Chausseestraße 131 a été le premier album enregistré de Wolf Biermann et a une histoire légendaire : puisque Biermann était banni dans la DDR (République Démocratique Allemande), et donc avait reçu l'interdiction officielle de publier ses chansons, enregistrées dans un studio improvisé dans son appartement. Avec l'aide de quelques amis et de sa mère, il avait réussi à se procurer des appareillages dont un microphone de haute qualité et un enregistreur de studio importé en contrebande de l'Allemagne occidentale, de façon à pouvoir enregistrer ses chansons. L'histoire rapporte même que le microphone était même de qualité trop bonne. Et tellement sensible que pendant que Biermann enregistrait, il captait aussi les bruits de la rue, les automobiles qui passaient et, parfois, même le chant des oiseaux. Après quelques tentatives d'éliminer ces bruits de fond, sans succès, Biermann décida de faire de nécessité vertu et enregistra les chansons comme elles venaient, avec tous les bruits ; et ce fut un coup de génie, vu que le procédé rendait parfaitement les conditions particulières dans lesquelles l'album avait été enregistré, le confinement domestique et la clandestinité totale de l'artiste. La « spontanéité » totale de tout cela n'a pas cessé de montrer son efficience à 45 ans de distance : Chausseestraße 131, peut-on dire, est né déjà album historique, même au-delà de la valeur des textes (la musique a, comme on peut s'y attendre, une valeur secondaire, presque de simple fond comme les bruits de rue). On pourrait le définir comme un album pour mots, bruits et voix : la voix rauque et sale de Biermann. Il s'agit même d'un témoignage précis d'un fait : même en étant officiellement banni et exilé chez lui, Biermann n'était pas du tout coupé des événements qu'il réussissait à suivre et chanter avec précision. Chausseestraße 131, bien au-delà « des évolutions » de l'homme et de l'artiste Wolf Biermann au travers du temps, a passé l'examen du temps et reste un chef-d'oeuvre absolu de la chanson d'auteur, pas seulement allemande ; un album qui eut une grande influence dans toute Europe (et son année de publication, 1968, dit tout).

L'album commence en criant Die hab' ich satt! (« J'en ai marre ! » ), chanson écrite quelques années avant, en 1963. La chanson s'adresse à tous les types de personnes faibles et lâches qui soutiennent un système injuste : les « femmes qui me caressent froides » , les « faux amis qui me flattent et qui attendent des autres du courage tandis qu'eux se tiennent à carreau », la « tribu de bureaucrates qui se mettent à danser avec zèle sur le dos des gens », les « enseignants, fléau des jeunes », les « poètes qui se masturbent à poéter sur la patrie perdue », et ainsi de suite. Il s'agit d'un des commentaires des plus originaux et les plus durs sur l'Allemagne de l'Est des années 60 ; mais aux temps de la contestation, elle fut prise pour une protestation à valeur universelle, chose entièrement naturelle. Das Barlach-Lied (« La chanson de Barlach ») décrit la déception qui attend chaque artiste non-conformiste sous tout régime oppressif ; il s'agit d'une chanson poétique qui illustre de la figure du sculpteur Ernst Barlach, persécuté par les nazis, pour établir une comparaison avec le présent. La veine ironique et sarcastique de Biermann devient féroce dans les trois morceaux suivants : dans Deutschland: Ein Wintermärchen (« Allemagne : un conte d'hiver »), un texte qui fait référence directe au poème d'Heinrich Heine, Biermann appelle l'Allemagne le « gras cul du monde » (joue de mots sur l'expression Arsch der Welt, à la lettre « cul du monde » mais qui, comme l'expression italienne (ou française) « dans le cul du monde », signifie loin de tout, au milieu de nulle part), et Berlin son « trou divisé avec des poils de barbelé ».

Dans la Ballade auf den Dichter François Villon (« Ballade sur le poète François Villon »), qui coupe le récitatif, Biermann promène son alter ego sur le mur de Berlin pour embêter les Vopos. Wie eingepfercht en Kerkermauern (« Comme muré en prison ») décrit la réclusion domestique et l'exil interne à Berlin : une chanson particulièrement amère et triste. Dans la chanson suivante, Zwischenlied (« Interlude »), Biermann déclare que, malgré certaine chanson veinée de tristesse, il ne se sent pas désespéré en ces « temps beaux et émouvants » et, comme s'il voulait renforcer cette vision, Biermann chante Frühling auf dem Mont Klamott (« Printemps sur le Mont Klamott »). Il faut garder présent (à l'esprit), cependant, que ce « Mont Klamott », au milieu de Berlin, est une colline qui a été formée en amassant l'énorme quantité de décombres de la ville détruite après la II Guerre mondiale (sur la hauteur a été ensuite édifié un parc). Dans le Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg (« Moritat sur grand-mère Meume Biermann d'Amburgo ») [Un moritat (de Mori, mortel et Tat, fait) est à l'origine une sorte de complainte médiévale narrant des événements dramatiques, chantée par les ménestrels ou les cantastorie italiens].et dans le Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg (« Oraison de grand-mère Meume, vieille communiste de Hambourg »), Biermann parle de ses racines et de comment elles l'ont influencé ; la deuxième des chansons présente l'inoubliable image de la vieille grand-mère qui prie Dieu pour qu'il fasse gagner le communisme. Le morceau final de l'album, So soll es sein - So wird es sein (« CE DOIT ÊTRE AINSI... CE SERA AINSI ! »), est une sorte de testament de l'alors trentenaire Biermann.


Dans Chausseestraße 131, chez le confiné Wolf Biermann, habitaient certains collègues. Dans l'armoire, il y avait François Villon, comme l'avons déjà vu au début de cette visite du vieil appartement berlinois ; et il y avait aussi Heinrich Heine. Belle compagnie, sans doute ; c'est tellement vrai que, à la rigueur, Herr Biermann en a fait une des siennes, ou au moins une des siennes du temps où il était jeune. Rassembler dans une maison deux poètes du genre de Villon et de Heine ne doit pas être simple, et j'ai comme le soupçon que même eux ont fini, avec les automobiles qui passaient et les oiseaux qui gazouillaient, captés par le très sensible microphone de Biermann pendant qu'il enregistrait « Chausseestraße 131 », dans les « bruits de fond » - une des multiples choses pour lesquelles cet album est très célèbre. Au point que, dans ce cas spécifique, il les a faits même duetter ( faire un duo ou interagir, comme on dirait maintenant). Une de ces choses, justement qu'on ne regrette pas peu de ces années belles et émouvantes.

Le poème satirique Deutschland : Ein Wintermärchen de Heine date de 1844. Recevoir chez lui Heine était naturel pour le Loup (Wolf) Biermann. Comme lui, Heine était d'origine juive ; comme lui, il savait bien ce qu'était l'exil (en 1831, poussé par l'atmosphère méphitique de la Restauration en Allemagne, Heine avait émigré en France). Commelui, il connaissait la mise au ban de ses œuvres : en 1835, un décret de l'Assemblée Fédérale allemande en avait interdit la diffusion et l'impression sur tout le territoire allemand. À la fin de 1843, Heine retourna brièvement en Allemagne pour rendre visite à sa mère et à son éditeur, Julius Campe, qui était de Hambourg, tout comme Biermann. Pendant le voyage de retour en France, Heine écrivit la première mouture de ce poème, qui fut publié en 1844 par Campe et Hoffmann.

wintermheine


La manière avec laquelle le poème de Heine élude la censure et l'interdiction de ses œuvres est, en même temps, curieuse et indicative de la totale stupidité des « autorités préposées ». Surtout car elle fut parfaitement légale ; sur la base des règlements sur la censure approuvés par la Conférence de Carlsbad de 1819, les manuscrits de plus de vingt pages étaient exclus du contrôle censorial. Donc Deutschland. Ein Wintermärchen fut régulièrement imprimé et publié avec d'autres poésies, dans un volume intitulé Neue Gedichte « Nouvelles poésies ». La plaisanterie dura peu : le 4 octobre 1844, le livre fut interdit, et tout le stock des volumes imprimés fut confisqué en Prusse. Le 12 décembre 1844, le Kaiser Frédéric Guillaume IV décréta l'arrestation de Heine. Ça se passa mieux dans autres États allemands, mais le texte fut soumis à des coupures consistantes. On comprend donc bien combien le recours à Heine et à son « Conte d'hiver » allemand fut pratiquement naturel : tellement, jusqu'à même ne pas en changer le titre. Tel quel. La même satire destructive, sans rémission, vis-à-vis de l'Allemagne et de son histoire. Le même refus de se soumettre au présent et à ses ordonnances d'obéissance. Certes, il y a pourtant quelque différence ; le texte biermannien est forcément et infiniment moins long que celui de Heine, par la force des choses. La différence fondamentale est cependant autre : tandis que le « conte » de Heine est plutôt un voyage imaginaire et métaphorique (bien que résultant d'un bref voyage réel après quinze ans d'exil en terre étrangère), la version de Biermann est un voyage terriblement réel dans une réalité où il se trouve prisonnier et confiné. En donnant le nom de « conte » à son poème, Heine déversait l'ironie de l'extérieur ; le sarcasme de Biermann est par contre contenu complètement à l'intérieur d'une réalité en laquelle il avait espéré et qui l'avait trahi.
Même parmi les rares Allemands qui ont adressé des critiques et des expressions dures à l'Allemagne, il serait difficile trouver la sévérité dont Biermann use dans son « conte » moderne. Une sévérité qui arrive à une conclusion terrible : de quelque couleur se couvre l'Allemagne, qu'elle soit brune ou rouge, l'essence est toujours la même : la pire merde transformée en or. Une continuité, en somme. Ici s'insère le « duo » avec le poète François Villon : le poème est divisé en deux parties, séparées par la chanson où Villon va asticoter les gardes du Mur de Berlin et ensuite disparaît en vomissures. [RV]

Mais qu'a donc fait l'Allemagne de ses grands écrivains, de ses grands poètes... ? Je cite au hasard Heine, Mann, Mann, Mann, Hesse, Brecht, Grass, Enzensberger, Töller, Aub, Tucholsky, Valentin, Kästner, Remarque.... Que fait-elle encore ? Qu'a-t-elle fait de Heine, par exemple ?

Ah, l'humour, l'ironie, la dérision décapante et dénonciatrice d'Heinrich Heine sont tels qu'il ne pouvait en être autrement. Heine disait certaine vérité qu'il ne fallait en aucun cas laisser transparaître... Et plus d'un siècle et demi plus tard, il continue à dévoiler certaine intention profonde, que l'on appelle ici : le « rêve d'Otto ». Je cite le « Conte en hiver » :
« alors ce n’est pas
seulement l’Alsace et la Lorraine, mais la France tout
entière, mais l’Europe et le monde tout entier sauvés, qui
seront à nous ! Oui, le monde entier sera allemand ! J’ai
souvent pensé à cette mission, à cette domination
universelle de l’Allemagne, lorsque je me promenais
avec mes rêves sous les sapins éternellement verts de
ma patrie
... »

En effet, ça ressemble bien au « rêve d'Otto » et ça donne froid dans le dos... Il avait bien raison Heine avec sa Ballade des Tisserands de Silésie et dès lors, nous aussi, tissons le linceul de ce vieux monde mal foutu, oppressant, où la merde et l'or dur se confondent en une divine marchandise, mercantile, patriotique et cacochyme.

Heureusement !

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
ALLEMAGNE : UN CONTE D'HIVER

Chapitre 1.

Sous le décembre allemand coulait la Sprée
D'Est en Ouest, je traversai Berlin
Nageant là sur la voie ferrée
Au-dessus du Mur, un matin.

Je planais léger par-dessus les barbelés
Et au-dessus des chiens dressés
Je ressentis une étrange émotion
Et aussi une amère sensation

Cela m'est entré dans le cœur, aigu
- mes fidèles camarades là en bas -
Tant d'eux, qui par cette même voie
Allaient à pied, furent abattus

Il y en a un qui lança sa jeune chair
Sur les barbelés et le champ de mines
Transpercé le seau se vida
Quand derrière la rafale hoqueta.

Tout le monde n'est pas bâti
Comme le Français François Villon, qui
Dans une chanson connue s'en tire
Avec des taches de vin rouge

==> Ballade sur le Poète François Villon


Suite.

Je pensai soudain à mon cousin.
L'insolent Heinrich Heine s'en revînt un hiver
De France en sautant la frontière
Par-dessus le vénérable père Rhin.

Ça me fit repenser, à tout ce qui
Se passa en une bonne centaine d'années
Quand l'Allemagne glorieusement s'unit
Et à nouveau, s'est scindée

Et puis ? Le monde entier s'est
Entre l'Est et l'Ouest divisé
Dès lors, comme toujours - l'Allemagne
A tenu sa place.

Sa place de cul du monde
Très gras et très important
Dans sa fente, les poils sont de
Barbelés, on se comprend

Berlin, ton trou, mon vieux
Est fendu par le milieu
Voilà bien la biologie
Raillée par l'humaine ironie.

Et quand aux grands de ce monde
L'estomac presse et gronde
Alors, abominablement ça pète et ça pue
En Allemagne. Je vous assure.

Chaque partie du monde aussi a, du reste,
Sa part de la croupe allemande
Le plus gros morceau est l'Allemagne de l'Ouest
À juste titre, je vous l'accorde.

Ce qu'aucun alchimiste n'a accompli
- ils l'ont réussi :
De la merde allemande, c'est sûr
Ils ont fait de l'or pur

La RDA, ma patrie
Elle au moins est propre
Chez elle, le retour du nazisme
Est absolument impossible.

Nous l'avons astiqué, tous à l'unisson
Avec les brosses de Staline et si profond
Que le derrière est rouge saignant
Là où il était brun auparavant .

Contributed by Marco Valdo M.I. - 2014/3/2 - 18:17




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