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Frühling auf dem Mont Klamott

Wolf Biermann
Language: German


Wolf Biermann

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Related Songs

Diavolo nero
(Aldo Granese & la Diaspora Band)
So soll es sein - So wird es sein
(Wolf Biermann)
Das Barlach-Lied
(Wolf Biermann)


[1967/1968]
Text und Musik: Wolf Biermann
Lyrics and Music: Wolf Biermann
Testo e musica: Wolf Biermann
Album: Chausseestraße 131


Chausseestraße 131


chausmikron.


- Die hab' ich satt!
- Das Barlach-Lied
- Deutschland: Ein Wintermärchen (1. Kapitel)
- Ballade auf den Dichter François Villon
- Deutschland: Ein Wintermärchen (Fortsetzung)
- Wie eingepfercht in Kerkermauern
- Zwischenlied
- Frühling auf dem Mont Klamott
- Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg
- Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg
- So soll es sein - So wird es sein


Chausseestraße 131 è stato il primo album inciso da Wolf Biermann e ha una storia leggendaria: poiché Biermann era bandito nella DDR, e quindi aveva il divieto ufficiale di registrare le sue canzoni, mise su uno studio improvvisato nel suo appartamento. Con l'aiuto di alcuni amici e di sua madre, riuscì a procurarsi apparecchiature come un microfono di alta qualità e un registratore da studio contrabbandato dalla Germania occidentale, in modo da poter incidere le sue canzoni. La storia narra però che il microfono fosse di qualità anche fin troppo buona, ed ultrasensibile: in breve, mentre Biermann registrava, captava anche i rumori di strada tipo le automobili che passavano e, a volte, anche il canto degli uccellini. Dopo qualche tentativo di eliminare questi rumori di sottofondo, andato a vuoto, Biermann decise di fare di necessità virtù e registrò le canzoni com'erano, con tutti i rumori; e fu un colpo di genio, dato che la cosa rendeva perfettamente le condizioni particolari in cui l'album era stato registrato, il confino domestico e la clandestinità totale dell'artista. La „naturalità“ totale di tutto ciò non ha cessato di rivelare la sua efficacia a 45 anni di distanza: Chausseestraße 131, si può dire, è nato già come album storico, anche al di là dello stesso, elevatissimo, valore dei testi (la musica ha, come lecito attendersi, un valore secondario, quasi di semplice sottofondo come gli stessi rumori di strada). Lo si potrebbe definire un album per parole, rumori e voce: la voce rauca e sporca di Biermann. Si tratta anche di una testimonianza precisa di un fatto: pur essendo ufficialmente bandito e esiliato in casa, Biermann non era affatto tagliato fuori dagli eventi che riusciva a seguire e a cantare con precisione. Chausseestraße 131, ben oltre le „evoluzioni“ dell'uomo e dell'artista Wolf Biermann nel tempo, ha passato l'esame del tempo e rimane un capolavoro assoluto della canzone d'autore, non soltanto tedesca; un album che ebbe una grande influenza in tutta Europa (ed il suo anno di pubblicazione, il 1968, la dice tutta).

L'album inizia con il grido di Die hab' ich satt! („Mi sono rotto“), scritta alcuni anni prima, nel 1963. La canzone si rivolge a tutti i diversi tipi di persone deboli e vigliacche che sostengono un sistema ingiusto: le „donne che mi accarezzano fredde“, i „falsi amici che mi adulano e che dagli altri si aspettano coraggio mentre loro se la fanno addosso”, la “tribù di burocrati che si mette a ballare con zelo sulla schiena della gente”, gli “insegnanti flagello dei giovani”, i “poeti che si fanno le seghe a poetare sulla patria perduta”, e così via. Si tratta di uno dei commenti più originali e duri sulla Germania Est degli anni '60, ma negli anni della contestazione fu presa come una protesta dal valore universale, cosa del tutto naturale. Das Barlach-Lied (“La canzone di Barlach”) descrive la delusione che aspetta ogni artista non conformista sotto ogni regime oppressivo; si tratta di una canzone poetica che si serve della figura dello scultore Ernst Barlach, perseguitato dai nazisti, per stabilire un contatto con il presente. La vena ironica e sarcastica di Biermann diviene feroce nei tre brani successivi: in Deutschland: Ein Wintermärchen (“Germania: una fiaba invernale"), un testo recitato in diretto riferimento al poemetto di Heinrich Heine, Biermann chiama la Germania il “grasso culone del mondo” (gioco di parole sull'espressione Arsch der Welt, alla lettera “culo del mondo” ma che, come l'espressione italiana “in culo al mondo” significa lontana da ogni cosa, in mezzo al nulla), e Berlino il suo “buco diviso con peli di filo spinato”. Nella Ballade auf den Dichter François Villon (“Ballata sul poeta François Villon”), che inframezza il recitativo, Biermann fa girare il suo alter ego sotto al muro di Berlino per dare noia ai Vopos. Wie eingepfercht in Kerkermauern (“Come murato in galera”) descrive la reclusione domestica e l'esilio interno a Berlino: una canzone particolarmente amara e triste. Nella canzone successiva, Zwischenlied (“Interludio”), Biermann dichiara che, nonostante qualche canzone venata di tristezza, non si sente disperato in questi “tempi belli e commoventi” e, come se volesse rafforzare tale visione, Biermann canta Frühling auf dem Mont Klamott (“Primavera sul monte Klamott”). Da tenere presente, però, che il cosiddetto “Monte Klamott”, nel mezzo di Berlino, è un'altura che è stata formando ammassando l'enorme quantità di macerie della città distrutta dopo la II Guerra mondiale (sull'altura è stato poi costruito un parco). Nel Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg (“Moritat su nonna Meume Biermann di Amburgo”) e nel Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg (“Orazione di nonna Meume, vecchia comunista di Amburgo”), Biermann parla delle sue radici e di come da esse sia stato influenzato; la seconda delle due canzoni presenta l'indimenticabile immagine della vecchia nonna che prega Dio perché faccia vincere il comunismo. Il brano finale dell'album, So soll es sein - So wird es sein (“Così dev'essere, così sarà”), è come una sorta di testamento dell'allora trentunenne Biermann.





Il Großer Bunkerberg di Berlino, appena cominciato a formarsi nel 1949. Fu poi chiamato, come altri cumuli di macerie delle città tedesche, Mont Klamott.
Il Großer Bunkerberg di Berlino, appena cominciato a formarsi nel 1949. Fu poi chiamato, come altri cumuli di macerie delle città tedesche, Mont Klamott.


Di „Monti Klamott“ ce ne sono parecchi, nelle città tedesche. Ufficialmente hanno altri nomi; ad esempio, quello, enorme, di Berlino di cui si parla in questa canzone, si chiama ufficialmente Großer Bunkerberg: è la montagna artificiale costruita sgomberando tutte le macerie della città distrutta dopo la II guerra mondiale. Il significato della denominazione originale è volutamente ambiguo: lo si potrebbe intendere, infatti, sia come „Grande montagna dei rifugi antiaerei“, sia come „Montagna del Grande Bunker“. Accoglie, infatti, anche i resti del famoso bunker dove Hitler e tutto l' „immortale terzo Reich“ ebbero fine dopo dodici anni di follia, riducendo la Berlino „millenaria“, tutta la Germania e tutto il mondo a un cumulo di rovine. Non è vero che i tedeschi non sono capaci di ironia; poco tempo dopo che le montagne di macerie erano spuntate in tutte le città tedesche, esse furono ribattezzate ovunque Mont Klamott, fondendo la parola Klamotte „coccio“ in una specie di espressione francesizzante che, a Berlino, aveva un valore particolare dato che in rovine era andata tutta la città storica costruita in stile sei e settecentesco francese (in un'epoca in cui il francese era talmente diffuso presso la corte Prussiana, da mettere in pericolo l'essenza stessa della lingua tedesca). Nulla di nuovo sotto il sole: persino nella Roma antica si era formato un monte ottenuto coi cocci della lavorazione dei vasi: il Mons Testaceus, che vuol dire proprio „Monte di cocci“ come il Monte Klamott di Berlino: l'attuale Monte Testaccio, insomma. Solo che, a Berlino, non si trattava affatto di vasi.

Wolf Biermann presentò questa canzone, nell'album Chausseestraße 131, dopo l' „Interludio“ in cui quasi si scusava per qualche canzone un po' amara e triste composta peraltro in „grandi tempi, belli e commoventi“; ritornò qui a qualche anno addietro, quando si era appena trasferito ad Est e tutto sembrava rifiorire nella pace e nella speranza di tempi nuovi. Sul monte delle macerie, il Monte Klamott, stavano stendendo i prati e piantando gli alberi; è diventato, dopo sessanta e rotti anni, un bellissimo parco che non rivela più la sua origine.

Il monte Klamott, oggigiorno.
Il monte Klamott, oggigiorno.


Ma erano ancora gli anni '50, quando i prati erano ancora „umidi e morti“ e la guerra era ancora troppo vicina, nonostante i giovani, com'era allora Wolf Biermann, sentissero „nuove forze“ e „sentissero salire poderose linfe vitali“. La vita non soltanto sembrava poter rifiorire, ma gli „ideali di pace e d'amore“ erano ben presenti. Così dunque va letto questo finto quadretto idilliaco: con nostalgia, senz'altro, ma con il presente bene davanti agli occhi, soprattutto sul lato della disillusione e del tradimento di quegli ideali trasformatisi rigorosamente in burocrazia, in oppressione, in un altro regime. La canzone, quindi, rischia di trasformarsi immediatamente, anch'essa, in amara e triste nonostante le dichiarate intenzioni dell'autore. Riporta ai vent'anni, e quando le canzoni riportano ai vent'anni è sempre probabile che nascondano una disillusione. [RV]
1.
Der Winter lag im Sterben, wir lebten immernoch,
Aus Mietkasernen dampfte ein warmer Nebel hoch.
Die Schornsteine erbrachen den gelben fetten Rauch,
und aus den Hinterhöfen stieg zart ein Frühlingshauch.
Da ging ich mit der Dicken die ersten Kätzchen pflücken
trotz Magistratsverbot zum Mont Klamott.

2.
Wir krochen durch Gestrüpp durch und latschen über Gras,
zum Liegen war'n die Wiesen uns noch zu tot und naß.
Die Apfelsinensonne schwann groß im Hundeblau,
da wurde uns so mächtig und wurde uns so flau.
Wir fühlten neue Kräfte, gewaltig stiegen Säfte,
wir waren wieder flott am Mont Klamott.

3.
Wir küßten uns im Gehen und küßten uns im Stehen,
wir sahen 'ne Menge Leute und wurden selbst gesehen.
Ich rollte meine Schöne die steilen Hänge rauf,
Sie kreischte und ich lachte, sie fiel, ich fing sie auf.
Mensch, waren das Genüsse und schmeckten uns're Küsse,
wie Ananaskompott, am Mont Klamott

4.
Und als wir oben standen, die Stadt lag fern und tief,
da hatten wir vom Halse, den ganzen deutschen Mief
Ich legte meine Hände auf ihren warmen Bauch
und sagte :"Süße Dicke, fühlst Du den Frühling auch?"
Die Tauben und die Spatzen, die ersten Knospen platzen
auf Trümmern und auf Schrott, am Mont Klamott.

5.
Wir saßen auf dem Kericht vom letzen großen Krieg,
Die Dicke sprach von Frieden, ich hörte zu und schwieg.
Wir saßen, bis die Sonne im Häusermeer absoff,
sahen zu, wie da der Westen die rote Farbe soff.
Auf Kirchen und auf Schloten, die selben roten Pfoten,
wir danken Marx und Gott am Mont Klamott.

Contributed by Riccardo Venturi - 2013/8/19 - 12:35




Language: Italian

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
19 agosto 2013
PRIMAVERA SUL MONTE KLAMOTT

1.
L'inverno stava morendo, ma noi vivevamo ancora,
sui casermoni fumava una calda nebbia alta.
Le ciminiere vomitavano fumo giallo e grasso,
e dietro, dai colli, saliva tenue un alito di primavera.
Allora andavo con la mia ragazza a cogliere i primi fiorellini,
nonostante il divieto comunale, sul Monte Klamott.

2.
C'infilavamo nella sterpaglia ciabattando sull'erba,
stavan stendendo i prati, erano ancora troppo umidi e morti.
Il sole arancione sguazzava grandioso in un cielo da cani,
ma per noi si faceva così poderoso e languido.
Sentivamo nuove forze, salivan potenti le linfe vitali,
eravamo di nuovo allegri sul Monte Klamott.

3.
Ci baciavamo camminando e ci baciavamo da fermi,
vedevamo un sacco di gente e anche la gente ci vedeva.
Giù per i ripidi pendii facevo a rotoloni con la mia bella,
lei strillava e io ridevo, lei cascava e io la riacchiappavo.
Cavolo, era una goduria, e i nostri baci sapevano
di composta d'ananas lassù sul Monte Klamott.

4.
E quando stavamo lassù, la città era lontana e giù in basso,
ci eravamo sbarazzati di tutto il puzzo di merda tedesca,
posavo le mie mani sul suo ventre caldo
e dicevo: „Amore mio, la senti anche tu la primavera?“
I colombi e i passerotti, i primi bocci spuntano
sulle macerie e sui rottami, sul Monte Klamott.

5.
Sedevamo sui rifiuti dell'ultima grande guerra,
la ragazza parlava di pace, io la ascoltavo zitto.
Stavamo là finché il sole non si affogava nell'oceano di case
osservando come l'occidente si beveva il rosso.
Sulle chiese e sui camini le stesse zampe rosse,
dicevamo grazie a Dio e a Marx sul Monte Klamott.

2013/8/19 - 14:57




Language: French

Version française – PRINTEMPS SUR LE MONT KLAMOTT – Marco Valdo M.I. – 2014
d'après la version italienne de Riccardo Venturi d'une Chanson allemande – Frühling auf dem Mont Klamott – Wolf Biermann – 1967/1968

Le Großer Bunkerberg de Berlin, lorsqu'il venait de se former en 1949. Ensuite, il a étè appelé Mont Klamott à l'instar d'autres tas de décombres dans les villes allemandes.
Le Großer Bunkerberg de Berlin, lorsqu'il venait de se former en 1949. Ensuite, il a étè appelé Mont Klamott à l'instar d'autres tas de décombres dans les villes allemandes.


Chausseestraße 131 a été le premier album enregistré de Wolf Biermann et a une histoire légendaire : puisque Biermann était banni dans la DDR (République Démocratique Allemande), et donc avait reçu l'interdiction officielle de publier ses chansons, enregistrées dans un studio improvisé dans son appartement. Avec l'aide de quelques amis et de sa mère, il avait réussi à se procurer des appareillages dont un microphone de haute qualité et un enregistreur de studio importé en contrebande de l'Allemagne occidentale, de façon à pouvoir enregistrer ses chansons. L'histoire rapporte même que le microphone était même de qualité trop bonne. Et tellement sensible que pendant que Biermann enregistrait, il captait aussi les bruits de la rue, les automobiles qui passaient et, parfois, même le chant des oiseaux. Après quelques tentatives d'éliminer ces bruits de fond, sans succès, Biermann décida de faire de nécessité vertu et enregistra les chansons comme elles venaient, avec tous les bruits ; et ce fut un coup de génie, vu que le procédé rendait parfaitement les conditions particulières dans lesquelles l'album avait été enregistré, le confinement domestique et la clandestinité totale de l'artiste. La « spontanéité » totale de tout cela n'a pas cessé de montrer son efficience à 45 ans de distance : Chausseestraße 131, peut-on dire, est né déjà album historique, même au-delà de la valeur des textes (la musique a, comme on peut s'y attendre, une valeur secondaire, presque de simple fond comme les bruits de rue). On pourrait le définir comme un album pour mots, bruits et voix : la voix rauque et sale de Biermann. Il s'agit même d'un témoignage précis d'un fait : même en étant officiellement banni et exilé chez lui, Biermann n'était pas du tout coupé des événements qu'il réussissait à suivre et chanter avec précision. Chausseestraße 131, bien au-delà « des évolutions » de l'homme et de l'artiste Wolf Biermann au travers du temps, a passé l'examen du temps et reste un chef-d'oeuvre absolu de la chanson d'auteur, pas seulement allemande ; un album qui eut une grande influence dans toute Europe (et son année de publication, 1968, dit tout).

L'album commence en criant Die hab' ich satt! (« J'en ai marre ! » ), chanson écrite quelques années avant, en 1963. La chanson s'adresse à tous les types de personnes faibles et lâches qui soutiennent un système injuste : les « femmes qui me caressent froides » , les « faux amis qui me flattent et qui attendent des autres du courage tandis qu'eux se tiennent à carreau », la « tribu de bureaucrates qui se mettent à danser avec zèle sur le dos des gens », les « enseignants, fléau des jeunes », les « poètes qui se masturbent à poéter sur la patrie perdue », et ainsi de suite. Il s'agit d'un des commentaires des plus originaux et les plus durs sur l'Allemagne de l'Est des années 60 ; mais aux temps de la contestation, elle fut prise pour une protestation à valeur universelle, chose entièrement naturelle. Das Barlach-Lied (« La chanson de Barlach ») décrit la déception qui attend chaque artiste non-conformiste sous tout régime oppressif ; il s'agit d'une chanson poétique qui illustre de la figure du sculpteur Ernst Barlach, persécuté par les nazis, pour établir une comparaison avec le présent. La veine ironique et sarcastique de Biermann devient féroce dans les trois morceaux suivants : dans Deutschland: Ein Wintermärchen (« Allemagne : un conte d'hiver »), un texte qui fait référence directe au poème d'Heinrich Heine, Biermann appelle l'Allemagne le « gras cul du monde » (joue de mots sur l'expression Arsch der Welt, à la lettre « cul du monde » mais qui, comme l'expression italienne (ou française) « dans le cul du monde », signifie loin de tout, au milieu de nulle part), et Berlin son « trou divisé avec des poils de barbelé ».

Dans la Ballade auf den Dichter François Villon (« Ballade sur le poète François Villon »), qui coupe le récitatif, Biermann promène son alter ego sur le mur de Berlin pour embêter les Vopos. Wie eingepfercht en Kerkermauern (« Comme muré en prison ») décrit la réclusion domestique et l'exil interne à Berlin : une chanson particulièrement amère et triste. Dans la chanson suivante, Zwischenlied (« Interlude »), Biermann déclare que, malgré certaine chanson veinée de tristesse, il ne se sent pas désespéré en ces « temps beaux et émouvants » et, comme s'il voulait renforcer cette vision, Biermann chante Frühling auf dem Mont Klamott (« Printemps sur le Mont Klamott »). Il faut garder présent (à l'esprit), cependant, que ce « Mont Klamott », au milieu de Berlin, est une colline qui a été formée en amassant l'énorme quantité de décombres de la ville détruite après la II Guerre mondiale (sur la hauteur a été ensuite édifié un parc). Dans le Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg (« Moritat sur grand-mère Meume Biermann d'Amburgo ») [Un moritat (de Mori, mortel et Tat, fait) est à l'origine une sorte de complainte médiévale narrant des événements dramatiques, chantée par les ménestrels ou les cantastorie italiens].et dans le Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg (« Oraison de grand-mère Meume, vieille communiste de Hambourg »), Biermann parle de ses racines et de comment elles l'ont influencé ; la deuxième des chansons présente l'inoubliable image de la vieille grand-mère qui prie Dieu pour qu'il fasse gagner le communisme. Le morceau final de l'album, So soll es sein - So wird es sein (« CE DOIT ÊTRE AINSI... CE SERA AINSI ! »), est une sorte de testament de l'alors trentenaire Biermann.
PRINTEMPS SUR LE MONT KLAMOTT

1.
L'hiver reposait dans sa mort, nous vivions encore,
Des casernes de location, un brouillard chaud suintait
Les cheminées vomissaient leur grasse fumée jaune,
Et des arrières-cours une légère bouffée de printemps montait.
Avec la Grosse, j'allais cueillir là les premiers chatons
En dépit des municipales interdictions
Sur le Mont Klamott

2.
On se traînait dans la broussaille et on marchait sur l'herbe,
Pour nous étendre, les prés étaient encore trop morts et trop humides.
Le grand soleil orange rutilait dans le gris-bleu,
Là nous étions si puissants et nous étions si faibles.
On se sentait de nouvelles forces, la sève coulait abondamment,
Nous étions encore ardents
Sur le Mont Klamott.

3.
On s'embrassait en marchant, on s'embrassait sans cesse,
On voyait un tas de gens et eux aussi nous voyaient
On se roulait avec ma belle sur les pentes abruptes,
Elle criait et je riais, elle tombait, je la rattrapais.
C'était délicieux et nos baisers avaient, oui, mon gars,
Le goût de la compote d'ananas,
Sur le Mont Klamott

4.
Et quand on était en haut, la ville apparaissait lointaine et basse,
Là, on échappait à toute la puanteur allemande.
Je mettais mes mains sur son ventre content
Et je disais : « Douce Grosse, sens-tu aussi le printemps ? »
Les pigeons et les moineaux, les premiers bourgeons surgissaient
Des décombres et de la ferraille,
Sur le Mont Klamott.

5.
Nous étions assis sur le terril de la dernière guerre.
Ma Grosse parlait de paix, j'écoutais et je me taisais.
Jusqu'à ce que dans le lac de maisons, le soleil s'enfonce, assis à deux,
On regardait l'Ouest absorber la couleur rouge.
Sur les églises et sur les cheminées, les mêmes pattes rouges,
On rendait grâce à Marx et à Dieu
Sur le Mont Klamott.

Contributed by Marco Valdo M.I. - 2014/3/4 - 22:01




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