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A greva di i pialinchi

Léon Camugli
Lingua: Italiano (Ligure Bonifacino / Bonifacio Ligurian)


Lista delle versioni e commenti



[1911]
Testo in ligure bonifacino di Léon Camugli
Sull'aria di "Sambre et Meuse"
Paroles en ligurien bonifacin de Léon Camugli
Sur l'air de "Sambre et Meuse"

Incisione: Associazione "I Gargarozzi"
Album: Bunifazziu in cantu

ouvon


U sciü Andrià, la pietrificazione e lo sciopero dei braccianti
di Riccardo Venturi


Bonifacio: la Fontana di Longone (Lungùn) agli inizi del XX secolo.
Bonifacio: la Fontana di Longone (Lungùn) agli inizi del XX secolo.


La città di Bonifacio, nell'estremo sud della Corsica (la Sardegna dista soltanto 12 miglia, con lo stretto detto, appunto, Bocche di Bonifacio), ha una storia millenaria. Sembra che il luogo dove sorge, un porto e una rocca naturali e pressoché inespugnabili, fossero abitati già 6500 anni fa; ma il nome di “Bonifacio”, secondo la tradizione, è dovuto a a Bonifacio II di Toscana, marchese di Lucca, che nell'anno 833 vi fondò un villaggio a difesa dalle incursioni dei Saraceni. Fatto sta che i primitivi abitanti di Bonifacio furono toscani: coloni lucchesi e pisani, che vi portarono, presumibilmente, il loro antichissimo dialetto toscano. Per due secoli, come altre parti della Corsica, Bonifacio appartenne alla Repubblica di Pisa; fino al 1490, quando la città passò sotto il controllo della Repubblica di Genova; una leggenda narra che i genovesi entrarono in città approfittando di un matrimonio e dello stato di ebbrezza della popolazione. Fatto sta che, con la conquista genovese, tutti gli abitanti di origine toscana furono espulsi e dovettero, dopo secoli, rifare il viaggio verso le terre dei loro avi destinando così alla scomparsa quello che doveva essere il più antico dialetto toscano mai esistito. Il quale fu sostituito da un parlare ligure della Riviera di Ponente, dato che i nuovi coloni provenivano in massima parte dalle coste tra Savona e Taggia; un dialetto ligure, ovviamente, del XV secolo. Il quale, totalmente isolato dalla Liguria, si è mantenuto praticamente tale e quale fino ad oggi, parlato ancora da un centinaio di bonifacini e, probabilmente, compreso da una metà della popolazione della bellissima cittadina. Bonifacio, con tutta la Corsica, passò alla Francia nel 1768; e, da allora, a Bonifacio la situazione linguistica divenne realmente variopinta. Tutta la popolazione parlava il bonifassin, ma nel contado si parlava già il còrso meridionale che, come è ovvio, riempiva il dialetto ligure di prestiti. La lingua ufficiale dello stato era però il francese, e nel bonifacino comparvero ben presto anche parole francesi. Oggi, come detto, solo una ristrettissima minoranza dei bonifacini, forse un centinaio di persone, è ancora capace di parlarlo speditamente; altre poche centinaia, sui 2700 circa abitanti, lo capiscono più o meno; ma a Bonifacio si parla còrso e, più che altro, francese. Ma il bonifacino non è ancora morto; ed è, senz'altro, una specie di ligure "fossile", un genovese di sei secoli fa ancora parlato da qualcuno nell'era di Internet.

Bonifacio.
Bonifacio.


Questo per quanto riguarda, in sintesi, la storia di Bonifacio e dei suoi linguaggi. Però, ora, si va a raccontare un'altra storia, avvenuta nei primi mesi di centodue anni fa, tra il gennaio e il marzo del 1911. E non è una storia molto comune.

All'inizio del XX secolo, tale André Serra, detto U sciü Andrià (“il sor Andrea”), un bonifacino di qualche cultura e autore di parecchie opere tra cui una “Storia di Bonifacio”, dopo essere stato -a suo dire- ufficiale della Guardia Papale in Vaticano si ritirò nella sua città natale. Nella sua proprietà, detta “La Pomposa”, creò anche un museo paleontologico; era nato il 13 agosto 1849 e di lui si sapeva, in realtà, che aveva fatto una certa carriera come funzionario della Compagnia Ferroviaria Parigi-Lione-Marsiglia, dalla quale fu messo in pensione come Funzionario Scelto di 4a Classe. Come un impiegato delle ferrovie fosse potuto diventare Guardia Papale, rimane un mistero; fatto sta che André Serra, ritiratosi in pensione, iniziò a scrivere come un forsennato. Terminata che fu la sua “Storia di Bonifacio”, della quale si parlerà meglio dopo, si diede da fare per pubblicarla; ma non aveva il denaro sufficiente per farla stampare da un editore. Fece il giro dei suoi amici e conoscenti “nelle diverse classi della società bonifacina”, chiedendo contributi per la pubblicazione della sua opera; ma tutto quel che ricevette furono dei...consigli. A piene mani, ma senza il becco di un quattrino. Si sfogò il buon sor Serra, in francese: "Ces gens de bon sens, d'esprit, d'honneur (...) M'ont dit qu'il n'y a point de plaisir que l'on ne fasse plus volontiers à un homme que celui de lui donner... un conseil ! Et des conseils, Dieu sait si j'en ai reçu !"

Ma era un tipo ostinato, e riuscì comunque a pubblicare la sua opera. Nella prefazione, si rivolse così ai suoi lettori: “Credo che non rimpiangerete i cinquanta soldi che questo librò vi è costato; ma quando lo avrete letto, se riterrete che stoni nella vostra biblioteca, potrete sempre andare a venderlo a Parigi sui Lungosenna...” Della “Storia di Bonifacio” non rimangono oggi che poche copie; è un libro raro. L'autore vi compie un autentico miscuglio, un'accozzaglia di dati provenienti a volte da fonti storiche, ma più spesso da storie e leggende, mettendo in mezzo Bonifacio, Roma antica, i papi, tirate filosofiche sulla vita e sulla morte, e, dulcis in fundo, la pietrificazione. André Serra scrisse molte altre opere introvabili, di cui però possediamo i titoli: ”Dizionario medico-scientifico”, “Gli addii” (poesie), “Gli Inferi” (poesie), “Filosofia: fondamento dell'anima”, “Le ore della vita”; “Raccolta poetica”; “Il bimbo sventurato” (dramma in tre atti e tre quadri), “Lettera ai morti”, “Corso di mitologia, filosofia, fisica e pietrificazione”.

La pietrificazione era il cavallo di battaglia di André Serra; verso il 1908, sotto la Loggia di Bonifacio, si era messo a tenere conferenze sul seguente tema: ”La trasformazione in pietra dei resti di vegetali e animali”; il 13 giugno 1909, davanti a un uditorio esterrefatto, aveva tenuto una concione (in francese) sulla Pietrificazione umana; ne possediamo ancora il testo integrale. Al tempo stesso, però, André Serra coltivava profondi ideali di giustizia e si dava da fare anche per difendere gli interessi dei lavoratori; fu così che, il 21 agosto 1910, a tale personaggio si deve la fondazione del primo sindacato di Bonifacio e dell'intera Corsica meridionale: il Syndicat Mutualiste d'Ouvriers de Bonifacio. Il sindacato fu costituito assieme al fabbro Joseph Lombardo e al muratore Constantin Milano.

Ben presto, il “Sindacato Mutualista degli Operai di Bonifacio” riscosse un notevole successo tra i lavoratori della cittadina; le riunioni si tenevano in casa di André Serra, in rue du Corps-de-Garde. Furono organizzate parecchie manifestazioni, durante le quali gli operai sfilavano in città preceduti dalla bandiera rossa. Oggi, di quel sindacato non resta che un timbro con il motto “Tutti per uno” sormontato da due mani che si stringono; e una canzone, intitolata A greva di i pialinchi, quella che forma l'oggetto di questa pagina, da cantarsi sull'aria del “Régiment de Sambre et Meuse”. La canzone, di recente, è stata incisa su CD da un gruppo locale, l'Associazione “I Gargarozzi”.



Nei primi mesi del 1911, 425 lavoratori agricoli e braccianti del contado di Bonifacio, stanchi dei salari da fame si erano riuniti organizzati proprio dal Sindacato di André Serra, ed erano scesi in sciopero (termine per il quale il dialetto bonifacino usa la parola francese, greva). Ben presto erano stati raggiunti nell'agitazione dagli operai della locale fabbrica di tappi; il 28 febbraio 1911, un'autentica folla per le dimensioni di Bonifacio si radunò quindi vicino alla fontana di Longone (Lungùn), un nome che aveva provocato parecchie e fantasiose ipotesi etimologiche ma che, al sottoscritto, suona assai familiare: all'isola d'Elba, infatti, il vero nome di quella che oggi è Porto Azzurro, era Portolongone. E non è improbabile che, tra gli antichi toscani di Bonifacio, ci fosse pure qualche elbano. I lavoratori in sciopero si presentarono, secondo le testimonianze rigorosamente in bonifassin, ”cu asi, pulitrici e asinini, carghi di ferri da travaggià, di bariloti e di catini”; insomma erano arrivati direttamente dai campi con gli asini carichi e gli attrezzi da lavoro, “Con asini, asine e asinelli, carichi di attrezzi da lavoro, di barilotti e cesti da soma”.

Erano i pialinchi, ovvero i braccianti, i lavoratori agricoli (da piale, vale a dire la piccola parcella di terra lavorata). E non scherzavano per niente: prese la parola un rappresentante, dichiarando quanto segue: ”I poveri ne hanno abbastanza di essere schiavi di tutta questa banda di ricconi (…) Non vogliamo più mangiare acciughe, vogliamo carne e maccheroni, e vogliamo bere buon vino e non l'acqua della fontana di Longone!” Continuò un altro: ”I sindacati sono stati formati per difendere le nostre rivendicazioni, e se il salario delle giornate di lavoro non aumenterà, noi non pagheremo più le tasse e i contributi!”. Chiedevano un aumento di cinquanta “patacconi” a giornata, vale a dire circa tre franchi; quel che ottennero furono dieci patacconi in più. Si rimisero al lavoro, dopo quello sciopero di zappatori e di fabbricatori di tappi per le bottiglie di vino che non potevano bere. Sembra che dopo la prova di forza, il Sindacato di André Serra continuò ancora per un certo tempo a far sentire la propria voce; quanto a lui, U sciü Andrià, qualcuno gli andò a dire che, pur sempre, aveva una tenuta agricola ed era pure lui un padrone. Rispose, unico fra tutti, aumentando il salario dei suoi lavoratori ai cinquanta “patacconi” a giornata richiesti.

A lungo mantenne il suo fantasioso “museo paleontologico” nella sua tenuta della Pomposa; era un piccolo edificio con il tetto a punta che fu gravemente danneggiato durante la II guerra mondiale. La cosa stupefacente erano i “reperti” che vi erano ospitati: sassi. Di tutte le dimensioni. Dai ciottoli ai pietroni, etichettati a formare una “storia della pietrificazione” di Bonifacio e dintorni: così i sassi più piccoli erano “foglie e insetti pietrificati”, mentre quelli più grossi potevano nascondere qualche antenato trasformato in pietra, magari il bisnonno Giuseppe o la trisavola Franca Maria. Agli ingressi, si trovavano delle colonnine sormontate da grosse pietre di forma fallica, che rappresentavano, naturalmente, la “madre Terra”!

La canzone sullo sciopero dei braccianti di Bonifacio del 1911 fu scritta da Léon Camugli, sul quale non eravamo mai riusciti a trovare notizie più precise fino al 18 gennaio 2024, quando ci ha scritto sua nipote, Catherine Camugli Gallardo, comunicandoci alcune notizie biografiche su suo nonno, scomparso nel 1920 per le conseguenze di una ferita riportata in guerra. Léon Camugli, all’anagrafe Arthur Léon Dominique Camugli, era nato nel 1885 a Bonifacio, dove morì nel 1920 di cancrena. Era figlio di Barthélémy Camugli (1859-1903), pasticciere, e di Julie Lavigne (1859-1945). Nel box biografico si trova l’intera comunicazione di Catherine Camugli Gallardo con ulteriori e interessantissime notizie.
Irinu ün bellu pocu di pialinchi
Chè purévinu furmà ün battaggiùn
Ghin'ira quatru céintu vintizzinqui
Davanti a funtana di Lungùn
Cun asi, pulitrücci é asinini
Carghi di ferri da travaggià
Di bariloti é di catini
Si mittivinu tütti a cantà.
A povérailla n'un io issi serva
Di tütta a banda di ricùn
Si mittiremu tütti in greva
Se n'un ni dannu zinquanta pattacùn.

Postu chè avura tüttu accrésci
Per fina u pan é u savùn
Ché n'un si pio ciü manggia pésci
E chè u vin va déji pattacùn
N'un cunvégni a manggià séimpri ancciuvi
Vuremu carni é macarùn
E bévi ün gottu di vin o duvi
Invecci d'egua di Lungùn.

A povérailla n'un io issi serva
Di tütta a banda di ricùn
Si mittiremu tütti in greva
Se n'un ni dannu zinquanta pattacùn.

U ricu n'un s'introscia mai
Ma quandu ciovi é quandu fannu i trùn
Nuvi atri poviri disgrazziai
S'agrunccièmu dréinta u baracùn;
Vurèmu ün bellu fasciu di légni
Per metti dréinta u camïn
Avura ché l'invernu végni
Bisogna ascadassi ün tantïn.

A povérailla n'un io issi serva
Di tütta a banda di ricùn
Si mittiremu tütti in greva
Se n'un ni dannu zinquanta pattacùn.

N'un si pio avé ün pocu d'ioru
Ni véindinu quéllu di cutùn
E inveci di scarpi di siora
Ni dannu di scarpi di cartùn;
I Sindicati sù stai furmai
Per fa valé i nosci raggiùn
Se n'un accréscinu i giurnai
N'un paghiremu ciü cuntribuzziùn.

A povérailla n'un io issi serva
Di tütta a banda di ricùn
Si mittiremu tütti in greva
Se n'un ni dannu zinquanta pattacùn.

inviata da Riccardo Venturi - 25/6/2013 - 12:29




Lingua: Italiano (Ligure Bonifacino / Bonifacio Ligurian)

A grèva d'i Piallinqui: La redazione originale della "Canzonetta bonifacina".

Quello che segue è il "foglio volante", datato 28 febbraio 1911, che reca il testo della "Greva di i pialinchi" di Léon Camugli nella sua redazione originale. Come si può vedere, la grafia utilizzata è molto diversa da quella attuale del bonifacino, che è stata rimodellata su quella del ligure (e, in particolare, proprio del genovese); si tratta qui di una grafia "francesizzante". Il testo stampato, come si può vedere, contiene probabilmente alcuni errori che sono stati corretti a mano. Così come la maggior parte dei fatti contenuti in questa pagina, il testo proviene dal Blog des Bonifaciens et des amis de Bonifacio di François Canonici; sembra sia stato fatto pervenire da André Serafino. [RV]

"LE TEXTE ORIGINAL DE "A GREVA DI I PIALINCHI" de 1911


Notre ami M. André Serafino nous a fait parvenir le texte original de la chanson bonifacienne désormais célèbre "A Greva di i Pialinchi" écrite en 1911 par Léon Camugli. Cette chanson figure dans le répertoire (qui va bientôt s'enrichir) du groupe "I Gargarozzi" avec d'autres textes comme "E mortu l'asetu" et de nombreuses chansons souvent écrites par notre talentueux poète Cyprien Dimeglio. En lisant ce texte, on se rend compte combien la langue bonifacienne a évolué depuis, dans le bons sens s'entend, du moins dans le domaine de l'écriture. A cette époque il n'existait aucune règle et les "U" devenaient "OU" (Bounifazinca au lieu de Bunifazinca); le nom Pialinchi" s'écrivait "Piallinqui"; "Patacun" devenait "Pattaquoun" etc. On ne faisait pas la différence de prononciation entre le "ü" avec tréma (comme dans "üga"qui se prononce "à la française" c'est-à-dire "u" comme "union") et le "u" sans tréma qui doit se prononcer "ou" (on écrit "pialincu" et l'on prononce "pialincou"). Aujourd'hui, grâce à l'ouvrage de Jean-Marie Comiti ("Bunifazziu e a se lenga") et aux efforts de tous ceux qui ont tenté de créer de nombreux textes en langue bonifacienne (écrits, poésies, chansons etc), à l'action de l'association culturelle "Di Ghi Di Sce" (qui a organisé récemment un "Cunfruntu" Corso-bonifacien des plus intéressants dans le cadre d'une "Stonda" animée par Alain Dimeglio, on peut au moins se rendre compte que le bonifacien est une belle langue et qu'elle a ses règles. Comme la langue corse. Pour le reste, il est vrai qu'à partir du moment où une langue n'est plus parlée à la maison ou dans la rue et que, de surcroît, elle n'est pas enseignée, la mission devient plus difficile. Il faut bien en convenir. En tout cas, le bonifacien n'est pas, comme on a pu l'entendre sur les ondes d'une radio et même fréquemment lorsque l'on se rend en dehors de notre cité: "un mélange de sarde, d'italien et de napolitain avec un peu de corse". Ceux qui affirment de telles inepties font preuve d'ignorance. Quand on ne comprend pas une langue on préfère la rejeter, la marginaliser, la minimiser voire même la railler. Comme l'écrit Jean-Marie Comiti les particularités linguistiques du bonifacien ne sont autres que l'aboutissement de l'évolution du ligure médiéval importé par les Génois lors de la fondation de la colonie bonifacienne. Nos compatriotes et amis du collectif "Parlemu corsu" ont fait l'effort récemment de venir au devant des Bonifaciens (dont beaucoup parlaient fort bien le corse d'ailleurs) et ils ont constaté combien la langue bonifacienne était riche et harmonieuse et qu'elle était bien loin de ce "charabia" dont font allusion certains lorsqu'ils évoquent le bonifacien. Pour en revenir au motif de c ette chanson "A Greva di i Pialinchi" on note que les journaliers réclamaient "cinquante sous" en plus sur leur salaire. Finalement, ils n'en auront obtenu que ...dix."
greva

inviata da Riccardo Venturi - 25/6/2013 - 14:11




Lingua: Italiano

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
25 giugno 2013

I pialinchi di Bonifacio: "...con asini, asine e asinelli, carichi di attrezzi da lavoro, di barilotti e di cesti da soma..."
I pialinchi di Bonifacio: "...con asini, asine e asinelli, carichi di attrezzi da lavoro, di barilotti e di cesti da soma..."

Immagine ripresa dal Blog des Bonifaciens et amis de Bonifacio di François Canonici.
LO SCIOPERO DEI BRACCIANTI

Erano un bel po' di braccianti
che potevano formare un battaglione,
ce n'erano quattrocentoventicinque
davanti alla fontana di Longone,
con asini, asine e asinelli,
carichi di attrezzi da lavoro,
di barilotti e di cesti da soma
e si misero tutti a cantare:

I poveri non devono essere schiavi
di tutta la banda di ricconi,
ci metteremo tutti in sciopero
se non ci danno cinquanta patacconi.


Dato che ora tutto aumenta,
persino il pane e il sapone,
e che non si può più mangiare pesci
e che il vino costa dieci patacconi,
non se ne può più di mangiare sempre acciughe,
vogliamo carne e maccheroni
e bere un gotto di vino o due
invece dell'acqua di Longone

I poveri non devono essere schiavi
di tutta la banda di ricconi,
ci metteremo tutti in sciopero
se non ci danno cinquanta patacconi.


Il ricco non si sporca mai di fango,
ma quando piove e quando fanno i tuoni
noialtri poveri disgraziati
ci rintaniamo dentro la baracca;
vogliamo un bel fascio di legna
da mettere dentro il caminetto,
ora che viene l'inverno
bisogna riscaldarsi un pochettino.

I poveri non devono essere schiavi
di tutta la banda di ricconi,
ci metteremo tutti in sciopero
se non ci danno cinquanta patacconi.


Non si può avere un poco d'olio,
ci vendono quello di cotone
e invece delle scarpe da signori
ci danno le scarpe di cartone;
i sindacati sono stati formati
per far valere le nostre ragioni,
se non ci aumentano il salario giornaliero
non pagheremo più contributi.

I poveri non devono essere schiavi
di tutta la banda di ricconi,
ci metteremo tutti in sciopero
se non ci danno cinquanta patacconi.

25/6/2013 - 14:35


Sono Francesco Canonici autore di tutti gli articoli publicati sul vostro sito. (Blog des Bonifaciens et amis de Bonifacio). Sono stato sorpreso di vedere questo suggeto perche non mi avevate contatato pè l'autorizatione come si faci abitualmente. Ma non importa...
Pero, complimenti à Riccardo Venturi per la magnifica traduzione del poeme e canzone "A greva di i Pialinchi" di Bonifaziu
Tanti saluti di cuore

Canonici François - 22/11/2013 - 15:02


Je suis François Canonici de Bonifacio. J'ai été surpris de lire cet article dans votre site que j'ai visité par hasard.
je ne vous fais pas de reproche mais je pense que vous auriez pu me contacter avent cette publication. Mais ce n'est pas grave.
je tiens à Féliciter Riccardo Venturi pour son travail de traduction.
Votre site est très intéressant.
Sincères salutations
François Canonici

François Canonici - 22/11/2013 - 15:07


Carissimo sig. Canonici,

Naturalmente lei ha ragione sul fatto che avremmo potuto contattarla prima di redigere questa pagina; e me ne scuso sia personalmente, sia a nome del nostro sito. In pratica, però, questo sito si occupa di un numero enorme di canzoni e altri testi, per cui spesso procediamo senza previi contatti ma comunque sempre stabilendo dei link con la fonte, e citandola continuamente (come avrà potuto vedere). Non è nostra intenzione rubare il lavoro degli altri, ma anzi cercare di metterlo in risalto e farlo conoscere quanto più possibile. Ciò detto, grazie ancora per tutte le notizie che abbiamo reperito da Lei e da altri, e per averci voluto scrivere con delle belle parole.

Cher Monsieur Canonici,

Naturellement vous avez raison quand vous dites que nous aurions pu vous contacter avant la publication de cette page; et je vous demande pardon à mon nom et au nom de notre site. Mais, en effet, ce site travaille avec une quantité énorme de chansons et de textes différents, et nous omettons souvent de contacter les auteurs avant de publier une page. Cependant, nous établissons toujours des liens avec la / les source/s, en la/les nommant partout dans la page, comme vous avez vu ici. Ce n'est pas notre intention de voler le travail des autres, mais, au contraire, nous désirons le mettre en évidence et le faire connaître le plus possible. Cela dit, nous vous remercions encore pour toutes les informations que nous avons appris de Vous et d'autres personnes, et pour nous avoir écrit des si beaux mots.

Riccardo Venturi (CCG/AWS Staff) - 22/11/2013 - 18:04


Buon giorno signor Venturi, sono a commentare il suo blog per chiederle se fosse possibile avere il suo contatto per avere informazioni in merito al dialetto Bonifacino e le sue origini per un approfondimento di studi linguistici
Sono ad estendere la richiesta anche al sig. Canonici qualora dovesse leggere il commento.
Con infinita gratitudine per lo sforzo che fate per mantenere viva questa lingua!
(simona)

Carissima Simona, per quel che mi riguarda può contattarmi presso la mia casella di posta (k.riccardo@gmail.com) o a quella del sito (info@antiwarsongs.org). Un saluto e un ringraziamento per le sue belle parole! [RV]

18/4/2016 - 09:56


Complimenti! Finalmente un po di storia Bonifacina/Genovese.

Pier Bruno Berengan - Genova (Pegli) - 23/1/2017 - 09:32


Alla pagina è stato finalmente aggiunto il video dell'interpretazione della canzone da parte dei Gargarozzi di Bonifacio, che permette di ascoltarla.

Riccardo Venturi - 16/3/2017 - 14:14




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