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Sfinita

Ductia
Language: Italian


Ductia

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Fuggono
(Ziringaglia)
Qui si compie la mia storia
(Ogam)
Per quanto si muore
(Modena City Ramblers)


2002
Corpo di guerra

CorpoGuerra


Già dopo la vicenda del Kosovo era nata l'esigenza di far ascoltare la nostra voce contro gli orrori della guerra e commissionammo allo scrittore marchigiano Lucilio Santoni un'opera letteraria da mettere in musica per crearne una compilation. Oggi, dopo le note vicende delle torri gemelle a New York e della guerra in Afghanistan, ci sembra più che mai opportuno lavorare su un progetto che esprima la nostra ambizione alla pace. Le atrocità della guerra a volte sembrano cosi lontane dalle nostre case, mediate come sono dai grandi mezzi di comunicazione di massa, tanto che passano attraverso la nostra coscienza senza lasciare traccia. Abbiamo volutamente, proprio per questo motivo, preso un momento storico del nostro territorio marchigiano risalente al 1943, l'eccidio partigiano di Montalto di Cessapalombo, in provincia di Macerata, fatto ancora tragicamente vivo nella memoria di qualcuno dei suoi protagonisti, per meglio ricreare il dolore di chi vive in un territorio martoriato dalla guerra. Sul testo di Santoni stanno lavorando i gruppi musicali Gang, Ginevra di Marco, Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso, Ductia, Ziringaglia, Ogam e Rossana Casale. La produzione musicale sarà convogliata in un CD la cui uscita è prevista per Maggio 2002 e verrà integrata nello spettacolo multimediale "Corpo di guerra", che verrà presentato in prima nazionale il 27 Giugno 2002 nello stesso luogo dell'eccidio, all'interno del programma del festival Terra di Teatri dell'Assessorato ai Beni Culturali della provincia di Macerata. La regia dello spettacolo è di Giorgio Felicetti e Paola Ciccarelli. Le immagini fotografiche e video sono curate da Pino Bianco.


CORPO DI GUERRA

In quelle immagini, in quel film da semplice operatore, da aspirante giornalista spintosi fin lì per brama di carriera, ella sta ripiegata sul fianco sinistro. Le ginocchia in flessione, mentre le braccia sono quasi dritte. Aspetta. Sembra aspettare. Ma non la morte, ch'è lì vicina e quasi tangibile - oh che bella la morte, col suo riposo infinito, con le celesti praterie e la visione del Signore - ella sembra aspettare direttamente la resurrezione della carne. Giace con tutte le dita delle mani slogate. Gliele avevano ritorte e quasi frantumate affinché non potesse usarle per difendersi, per scacciare da sé quegli orrendi soldati resi goffi dai pantaloni abbassati, simili a pinguini in calore. Giace lei, ora, legata al suolo da filamenti di sangue e liquidi organici. Nel film non si vedono gli occhi, coperti dai lunghi capelli, ma immaginiamo che li tenga chiusi per non vedere l'orrore del proprio corpo, o forse per stanchezza, o magari per quella infantile, antica paura dei topi. Anche se lì non pare un posto da topi... troppo affollato e troppo di passaggio. In tredici secondi, tanto dura il film, passano otto persone accanto al corpo di lei. E non si possono fermare, certo, perché tutt'intorno scoppiano le granate. L'operatore cerca di raccogliere qualche parola da quella bocca. Ma vediamo la mandibola in posizione innaturale. La corona dei denti, aperta per sempre, non nasconde un buco profondo dal quale fuoriesce l'abisso della vita, viene sputato fuori da una tosse emorragica, insieme a vomito e poltiglia infetta. Ma non fa schifo, neppure l'operatore prova disgusto e anzi affonda i piedi in quella pozzanghera che non è d'acqua piovana. L'articolazione dei suoni in forma di parole ha bisogno di ben altro apparato fonatorio che non quell'ammasso di lingua e palato, di labbra e gengive. No, impossibile la parola. Anche lei non prova schifo, per se stessa e per ciò che la circonda. Magari la disturba dare uno spettacolo così miserando di sé. Immagina una scena da macelleria. In effetti è quasi nuda. Per la precisione le rimane indosso un indefinibile brandello di stoffa intorno alla vita e i residui di una camicia sopra le spalle. Le natiche sono graffiate brutalmente ma la linea sinuosa del corpo è intatta. Bella. L'operatore cerca di non soffermarsi sulla parte bassa del corpo, ma pochi fotogrammi sono sufficienti per intuire la violenza avvenuta fra quelle gambe, piegate ma non troppo, corrose dall'umana tortura, ora chiuse intorno al luogo che ha fornito piacere, chiuse per sempre. Lui, si sofferma invece sulla schiena, per pudore, e allora vediamo spuntare sotto gli stracci la forma delle scapole. Vediamo alcune vertebre che a causa della curvatura del dorso spingono la pelle in più punti. Alcuni di questi fotogrammi, tanto veri da sembrare costruiti, potrebbero far parte di un servizio di moda. Intanto dall'altra parte della schiena immaginiamo due seni martoriati, e poi li vediamo, negli ultimi secondi, ammassati verso terra. Vediamo il ventre. Respira, sì respira. È viva, questo già lo sapevamo. Ora sappiamo che ha sperimentato le passioni assolute, nella crudeltà. Non ci resta niente da capire, niente da ascoltare, un silenzio. Meglio non sentire, non provare nulla: parlare del tempo e del fine settimana. Oggi sarà una bella giornata, si prevedono code in autostrada. La primavera è esplosa e sta per riversarsi nell'estate. Spero che anche voi abbiate delle ferie lunghe e serene. Dopo un anno di duro lavoro, in fabbrica o in ufficio, a scuola o al ministero, godetevi il verde dei prati e l'azzurro del cielo. Ella avrà un nome, e forse quel nome la contiene tutta, avrà un uomo o magari più uomini, qualcuno che vorrebbe amarla, magari anche nella melma purulenta in cui si trova vorrebbe abbracciarla, vorrebbe guardarla negli occhi e baciarla mescolando la propria saliva a quei liquidi infetti provenienti dalle cavità più recondite del suo corpo. Qualcuno vorrebbe forse sporcarsi con le croste e le deiezioni sparse sul corpo di lei, magari con le mani pulirle, magari deponendo un po' di saliva sul polsino della camicia e poi sfregando delicatamente sulle ferite per disinfettarle. Vorrebbe forse dirle ti amo, sei bella come la luna quando la luna è piena. Ti amo, voglio portarti con me nel posto più lontano dalla follia della guerra. E intanto le accarezzerebbe le dita slogate, la vestirebbe con i propri pantaloni e la propria giacca. Piangerebbe per quel supplizio che lei ha subito e tutto ciò rafforzerebbe il suo amore per quella carne inguaribilmente viva, condannata alla vana attesa della resurrezione. Trecentoventicinque fotogrammi, tanto dura il film nell'orologio dei vostri occhi, sembrano registrare il martirio. Ma così non è. Perché voi siete lontani, siete immersi nell'assenza, non siete da nessuna parte. Voi potete anche provare rabbia, volendo, o addirittura commuovervi, ma rimanete e rimarrete assenti, precipitati in un'altra lingua e in un'altra abitudine, collocati in un'aria spenta da cimitero. Avete nelle orecchie il racconto della felicità, il ricordo di quando si parte la mattina e si carica il bagagliaio per la montagna. Arrivate forse alla nostalgia, come esperienza ultima che ci è concesso di provare. E allora chiedete a lei, in quei tredici secondi, di aiutarvi a vivere. La implorate che vi faccia toccare con mano quella carne che a voi è sconosciuta. Le domandate se sia possibile entrare in quel martirio. Ma non è possibile. Ella invece è lì. Sta facendo notte e non parla, non vede, forse non ascolta, forse solo l'olfatto le porta l'acre odore della propria esistenza, ma vive, gettata come un escremento, vive e dovrebbe provare pietà per voi che le chiedete ciò che lei non può darvi. Ella invece non chiede nulla, anzi offre il proprio sacrificio, offre la propria sconcia sacralità carnale. Ecco la guerra degli umani. Ecco il turpe inganno, sembra voler dire il suo corpo vittima della depravazione. Guardatelo in tutta la sua impudicizia e procedete alla vostra masturbazione di rito. Poi dimenticate tutto. Non abbiate paura e dimenticate ciò che vi si è presentato come nuda esistenza. Al termine dei tredici secondi voltatevi dall'altra parte, guardate attraverso la finestra, sulla strada. Vi saranno altre donne e altri uomini, impegnati nella battaglia quotidiana, corpi dotati di una bellezza feroce e bestiale, specchi di voi stessi. Non dimenticateli. Li vedrete passeggiare nella vostra anima, li vedrete coperti di urina e di sterco, li osserverete versare sangue scuro, a fiotti, poi si uniranno a voi e andrete ad accecarvi dritti verso i raggi del sole, privati persino di un nome, in cerca del nulla e della sua pace. Il film è finito. Tredici secondi sono passati. Un'eternità trascorsa senza parole e senza sguardi. Ella è stata la testimonianza, per sempre vivente, del dolore estremo di non poter morire. Voi siete stati testimoni della condanna totale, marchiata sui vostri corpi, di non poter vivere.

artenomade.com

Gang: Il tempo in cui ci si innamora - Aprile
Ziringaglia: Fuggono - Non parla
Vittorio Nocenzi: Una cosa sola - Le fughe, i ritorni
ginevra Di marco: Corpo di guerra (1) (Madre Severa) - Corpo di guerra (2)
Ductia: La brezza tra gli ulivi - Sfinita
Ogam: L'altrove - Qui si compie la mia storia

Siete venuti qui per solidarietà
per alleviare un po’ la sofferenza
tra noi e tutt’intorno a voi
nubi di polvere fiumi di lacrime,
quant’amarezza e dolor
ma non avete visto la mia città
non avete ancora visto la mia città
ed io sfinita qui stesa su un fianco
somiglio appena a quella che c’era in me
no, non copritemi, non nascondetemi
voglio mostrare qui a tutti la mia città
ma non avete visto la mia città
non avete ancora visto la mia città
non avete visto niente della mia città
voi non avete visto la mia città
Ma non avete visto la mia città
non avete ancora visto la mia città
non avete visto niente della mia città
voi non avete visto la mia città

Contributed by DoNQuijote82 - 2013/6/21 - 12:24




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