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Patagonia de fuego. Cantata

Sergio Castro
Lingua: Spagnolo



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(Quinteto Negro La Boca)
Éste y aquél
(Osvaldo Bayer)


‎[2002]‎
Parole e musica di Sergio Castro
Con la collaborazione di Osvaldo Bayer e Rafael Amor.‎
Ispirata al libro di Bayer intitolato “Los vengadores de la Patagonia trágica”, quattro volumi scritti ‎tra il 1972 ed il 1974, da cui l’autore trasse anche la sceneggiatura del celebre e vietatissimo “La ‎Patagonia rebelde”, film di Héctor Olivera con alcuni dei più grandi interpreti del cinema argentino, ‎Héctor Alterio, Luis Brandoni, Federico Luppi e Pepe Soriano.‎
Testo trovato su Pacoweb





Questa cantata racconta del più grande massacro di cui il Governo argentino sia ‎mai stato responsabile, esclusi ovviamente lo sterminio dei nativi e gli oltre 30.000 scomparsi nel ‎corso dell’ultima dittatura (1976-1983).‎



Anche in Argentina il primo dopoguerra fu assai turbolento e sanguinoso.‎
Mentre da noi la crisi economica sfociava nel cosiddetto “Biennio rosso” (cui sarebbe presto seguito ‎l’“ordine” fascista), in Argentina la diminuizione delle esportazioni aveva causato un crollo dei ‎prezzi, quindi dei salari, e un aumento della disoccupazione. Il fatto poi che il presidente Hipólito ‎Yrigoyen, un radicale eletto nel 1916, avesse inizialmente agito in favore dei lavoratori aveva ‎irritato non poco i settori conservatori. Già nel gennaio del 1919 a Buenos Aires uno sciopero di ‎operai metallurgici, indetto da un sindacato di matrice anarchica, era sfociato in un bagno di sangue ‎quando i manifestanti erano stati attaccati dall’esercito e da militanti di estrema destra appartenenti ‎alla tristemente nota Liga Patriótica Argentina, i quali colsero anche l’occasione per aggredire la ‎comunità ebraica della città (non è un caso che l’antisemitismo violento sia rimasto fino a tempi ‎recenti un pericoloso flagello in Argentina). ‎
Il bilancio della cosiddetta “Semana Trágica” fu di 150/700 morti (a seconda della fonte).‎




Poco tempo dopo, nella provincia patagonica di Santa Cruz furono gli operai del settore laniero ad ‎entrare in sciopero contro la giornata lavorativa di 12/16 ore ed i salari da fame. Anche in questo ‎caso la protesta era diretta da anarcosindacalisti come lo spagnolo Antonio Soto. Quello sciopero ‎dava molto fastidio, soprattutto perché da quelle parti i latifondi, il bestiame ed i centri di ‎produzione laniera erano quasi interamente in mano al capitale straniero, inglese e nordamericano in ‎particolare.‎
Il governatore della provincia, tal Falcón, e i fascisti della Liga Patriótica Argentina provarono ‎prima di assassinare i leader della protesta, poi cercarono e trovarono lo scontro armato con i ‎lavoratori, invocando quindi l’intervento di Buenos Aires contro i “banditi anarchici” che ‎infestavano la regione. ‎



Il presidente Yrigoyen a quel punto destituì Falcón inviando sul posto un suo fedelissimo, il ‎capitano Ángel Ignacio Yza, che riuscì a trovare un accordo con gli scioperanti che ne accoglieva in ‎gran parte le richieste.‎
Mentre i soldati facevano ritorno alla capitale e alla Sociedad Obrera si festeggiava il trionfo della ‎lotta, padroni e fascisti iniziarono la loro rappresaglia. Approfittando delle divisioni interne al ‎sindacato, che comunque riuscì ad isolare le frange più violente (tra queste, l’italiano Alfredo Fonte, ‎detto “El Toscano”), i padroni lanciarono una potente campagna di stampa in cui si denunciava il ‎pericolo anarchico e, contemporaneamente, fecero arrivare nella provincia centinaia di crumiri e ‎provocatori professionisti.‎
Il conflitto si acutizzò.‎
Ad un anno dal primo grande sciopero, il 24 attobre del 1921 la polizia chiuse le sedi sindacali, ‎arrestò, torturò e deportò molti leader operai. Così fu proclamato un nuovo sciopero, ma questo di ‎autodifesa, con il sollevamento in armi dei lavoratori di quasi tutte le estancias della provincia, che ‎furono in gran parte occupate.‎




Il presidente Yrigoyen inviò nuovamente le truppe al comando del tenente colonnello Héctor ‎Benigno Varela il quale – non si sa se di sua iniziativa o per ordine del Governo – stabilì subito la ‎fucilazione per quanti non recedessero dallo sciopero in atto.‎
Non si trattò di una semplice minaccia, né Varela stabilì un termine per la resa: cominciò a fucilare ‎e basta. ‎
L’ultima colonna di operai in sciopero, quella guidata da José Font, meglio conosciuto come “Facón ‎Grande”, fu intercettata nella zona di Puerto Deseado intorno al 20 di dicembre del 1921. Ci fu uno ‎scontro a fuoco a seguito del quale le truppe furono costrette ad un momentaneo ritiro. Varela finse ‎di voler trattare le condizioni della resa ma quando Facón Grande e i suoi deposero le armi li fece ‎tutti fucilare.‎
La campagna militare terminò con un bilancio impressionante: 1.500 scioperanti e loro ‎simpatizzanti erano stati sommariamente trucidati.‎




Padroni e fascisti, riuniti nel capoluogo della provincia, tributarono a Varela una festa senza ‎precedenti, che coincise con i festeggiamenti del Primo dell’Anno 1922… A Río Gallegos le uniche ‎a non festeggiare furono le prostitute del locale bordello, che tutte rifiutarono i loro servizi ai ‎militari al grido di “Asesinos!”‎

Sull’orribile mattanza cadde un velo di oblìo, anche perché non furono molte le organizzazioni a ‎solidarizzare con gli anarchici.‎



I quali – capito come tirava il vento – decisero di farsi giustizia a modo loro:‎
‎- Varela fu assassinato nel 1923 da un anarchico tedesco di nome Kurt Gustav Wilckens;‎
‎- Wilckens fu a sua volta assassinato in carcere da tal Pérez Millán Témperley, un soldato di Varela;‎
‎- Témperley, grazie ai sotterfugi di conservatori e fascisti, venne fatto passare per insano di mente e ‎scampò il carcere, essendo internato in una clinica psichiatrica;‎
‎- lì, nel 1925, Témperley fu ucciso da un internato, tal Esteban Lucich, la cui mano si dice fosse ‎stata armata da un anarchico di origine russa, Germán Boris Wladirimovich, anch’egli ospite della ‎struttura sanitaria. Wladirimovich fu arrestato e ferocemente torturato, ma non ammise mai nulla e ‎morì qualche tempo dopo a causa delle sevizie subite. (fonte: es.wikipedia)
[Texto nº 1]
Hacia el año 1920, la Patagonia Santacruceña era una tierra poblada por peones de distintas ‎nacionalidades, que habían llegado a las desoladas distancias patagónicas en busca de trabajo, ya ‎sea en los puertos, en los poblados o en el campo; y por poderosos latifundistas y comerciantes en ‎su mayoría extranjeros que se van a convertir desde principios del siglo XX en los dueños de la ‎riqueza en el sur argentino.
El mundo festeja el fin de la Primera Guerra, pero aquí, baja el precio de la lana, se caen los ‎salarios, aumentan los desocupados y un alarmante horizonte parece divisarse. Las huelgas ‎patagónicas de los años 20,la Patagonia Trágica de los años 20,entre olvidos y memorias, silencios ‎y palabras, algo tenga quizá, para enseñarnos... ‎

Viento del sur

Viento del sur, que hable tu voz
que tu memoria, vuele hasta el mar
se que te duele poder recordar
lo que muy pocos, quieren recordar,
sé que quisieras, quitar de tu piel
viejos odios que ayer, viste derramar
flameaste banderas de lucha y dolor
lloraste abrazado a tu tierra sin sol
viento del sur, desnúdate aquí
y deja soltar, tu memoria al país
vamos a aprender desde el corazón
algunas lecciones para amar la paz

En Santa Cruz

Qué habrá pasado en esta tierra
qué habrá pasado...
que historia silenciada
que soles sin ventanas
las manos temblorosas
de esta Patagonia
que esquiva la memoria
por el dolor supone
vamos a remover
la quietud de la tierra
para comprender
qué vive en nuestras venas
en Santa Cruz país
que hable una verdad
los inocentes tengan paz
Y los que no... vean la luz


[Texto nº 2]
Es la noche del 19 de octubre de 1920,el gobernador interino de Santa Cruz, Correa Falcón, ordena ‎el allanamiento y detención de todos los obreros reunidos en Asamblea en la Sociedad Obrera de ‎Río Gallegos.
Antonio Soto, Martínez, Ulacia, Fernández, serán los dirigentes detenidos aquella noche.
Inmediatamente, con su local clausurado y sus dirigentes presos, la Sociedad Obrera decreta un paro ‎general en todo el Territorio. Desde el río Santa Cruz al sur, columnas de peones marchan hacia Río ‎Gallegos. Exigen la inmediata libertad de los presos, mejoras en los salarios y condiciones de ‎trabajo. La primera Huelga Patagónica ha comenzado.....‎

La peonada (zamba)

Cuando la peonada no agacha el lomo
y dale que dale que dale toda la jornada,
somos bandoleros locos anarquistas
y enseguida vienen...con la policía
Cuando la peonada anda a la intemperie
y empieza a decir que el frío le duele
somos bandoleros, locos anarquistas
y enseguida viene...la caballería
porque la peonada no compra conciencias
ni se anda luciendo, con las apariencias
un poco de cielo suele ser bastante
digo cielo y pan, y salario que alcance
Porque la peonada anda así sencilla
que nadie se pase de sus manos limpias
cuando el día cae, sobre las espaldas
solo allí se sabe cuanto vale el alma
Que si la peonada cuando se va al pueblo
a gastarse en vino, el último domingo
somos bandoleros que tiran el sueldo
a nadie le importa cuánto vale el cuero.‎


[Texto nº 3]
Los últimos meses del año 20 parecen una eternidad, condiciones para resolver el conflicto, se ‎rechazan por ambas partes, las pérdidas por la huelga comienzan a sentirse. Los patrones piden a ‎bs.as. se refuercen las milicias y se sofoque a los rebeldes. El verano patagónico presagia un ‎invierno duro. Enero de 1921, enviado por el gobierno central en bs.as, llega por primera vez a ‎Santa Cruz, el teniente coronel, Héctor Benigno Varela; el 16 de febrero de 1921, con la mediación ‎de Varela y del nuevo gobernador Iza, se levanta la primera huelga. Esta vez los patrones serán los ‎que ceden. Es el triunfo de los huelguistas, pero también será el camino hacia la derrota...‎

Por las buenas o por si no

A ver señor comisario, a ver señor comandante
si pone en vereda a estos petulantes
que están alterando el orden social
nosotros hemos ganado, esta tierra lejana y sola
y no vamos a permitir, que unos pocos bandoleros
en el nombre de la patria, la vayan a destruir
Nosotros somos los dueños, de la tierra y la autoridad
a ver señor coronel, le exigimos interceder
por las buenas o por si no,
como lo prefiera Ud.‎


[Texto nº 4]
Los poderosos critican al gobierno, critican a Varela, las pérdidas fueron muchas, hombres, ‎animales, alambrados. Posterior al "arreglo" de la primera huelga, comenzaron a llegar a Santa Cruz ‎peones que no pertenecían a la Federación Obrera. Serán los llamados "obreros libres" contratados ‎por estancieros y comerciantes. Los convenios firmados no se respetan, para julio de 1921 los ‎peones de la Federación comienzan a quedar cesantes. EL CONFLICTO VUELVE A NACER. Las ‎cartas anuncian al Ministerio del Interior que la situación es insostenible...
en los albores de octubre el paro en muchas estancias era TOTAL. Por ellas andará el gallego Soto ‎convenciendo a la peonada que no había que dividirse, que había que federarse, que no había que ‎rendirse...que no había que rendirse...‎

Espérame mujer

Me tengo que ir
no puedo quedarme mujer
la noche se viene
y es muy probable que
estén cerca
me tengo que ir
me encuentran culpable mujer
que van a saber, ese comisario y el juez
que uno se cansa, del viento
que sopla al revés
no llores que pronto
los voy a venir a buscar
dile a nuestro pequeño
que su padre ya viene
que bien pronto ya viene
que muy pronto ya vuelve
con la libertad.‎

Importa esta razón

Que triunfará la justicia
mi esperanza no es otra
que si aquello nos apunta
pueda volverse paloma
siguen callando y callando
sin saber que el silencio
por culpa de la inocencia
Se vuelve un grito al desierto
faltan apenas segundos
el escuadrón es certero
ya no me importa morir
sin en esta tierra se queda
esta razón de seguir


[Texto nº 5]
El 28 de octubre de 1921, la Federación Obrera decreta la segunda huelga general. Hay que plantar ‎el trabajo. El acuerdo no se ha cumplido. Los diarios en Bs.As. hablan de "catástrofe en Santa ‎Cruz".todo el sur se paraliza, desde la estancia Bella Vista, el gallego Soto encabezará el ‎movimiento.
Cientos de hombres marcharán por las soledades patagónicas sumando peones, carreteros, ‎esquiladores, cocineros, alambradores. De ellos será el camino y la lucha. Hacendados con sus ‎familias huían hacia Río Gallegos, en sus relatos cundía el miedo y el desprecio. Son las 5 y 40 del ‎día 9 de noviembre de 1921: el regimiento 10 de caballería al mando del teniente coronel Varela, ‎desembarca en Punta Loyola, al sur de Santa Cruz y es como si todo estuviera escrito...‎

A resistir

Compañeros a resistir, en nuestras filas va la verdad
Unidos jamás nos podrán vencer,
La huelga no se puede detener
Compañeros todos de pié
La tropa se viene con hambre a matar
Ellos jamás podrán entender,
Todo esto que pasa, no quieren mirar
Compañeros a caminar
A todos los campos a repartir
La fuerza al camino de la libertad
Llegó la hora de comenzar
Compañeros a resistir

Toque de queda

Todos pueden ser anarquistas,
todos serán sospechosos
no se puede andar rotoso en la ciudad
vamos a limpiar las calles,
de este olor a bolchevique
vaya la patrulla y guarde,
y no le mezquine al sable
hay muchos amigos de Soto,
mensajeros y huelguistas
que odian a la policía y a esta sociedad
se prohíben las reuniones,
que nadie ande por la noche
que no haya una puerta abierta
y pobre del que se atreva, a desobedecer
a desobedecer.‎


[Texto nº 6]
‎"...resuelvo proceder con toda rapidez desprendiendo tres comisiones hacia las estancias donde ‎están los revoltosos: Tapi Aike, Fuentes del Coyle, Primavera, Punta Alta, Cifre ...".
Así, con esa orden militar, el 11 de noviembre del 21 comienza la represión en Santa Cruz.
Uno a uno esos peones aprendices de combatientes irán pagando cara su osadía. Desde el Cifre, ‎lugar de la primera ejecución hacia adelante con la pena de muerte impuesta en todo el territorio, las ‎columnas militares recorrerán la meseta patagónica en busca de sus presas.‎

Yo pregunto

Quién no se atreva a contar la verdad......
no podrá florecer en sus hijos la paz
aunque duela saber lo que aquí sucedió
yo pregunto lo que haya que preguntar

un campesino muere en Santa Cruz
quién lo ha matado, en nombre de qué
que nueva bandera quiso levantar
yo pregunto lo que haya que preguntar

viva la huelga! hay que resistir
no tiren, no tiren, hay niños aquí
ningún anarquista sobrevivirá?
Yo pregunto lo que haya que preguntar

En Puerto Deseado, allá en San Julián
en la Patagonia del frío y del mar
la fuerza, la lucha, el poder, la ambición
yo pregunto lo que haya que preguntar

un diario obrero denuncia al patrón
tiembla la cima desde el socavón
la patria de arriba o la patria de abajo?
Yo pregunto lo que haya que preguntar

Cantos del cielo

Compañeros
Debemos informar
Que treinta camaradas han caído
Pero todavía quedamos muchos
compañeros
nos pesa informar que allá en Puerto Deseado
se cae el cielo y hay tristeza en este diciembre
Compañeros, a esta dura lucha le respondemos
Que no podrán enrejar al cielo


[Texto nº 7]
Es la noche del 6 de diciembre de 1921. Aquella Asamblea en Lago Argentino parecía interminable, ‎los huelguistas discuten. Las milicias se preparan para el final. Los fogones se apagan lentamente ‎como demorando la luz del nuevo día.
Los peones se han rendido, están en fila. Uno a uno. Callados. En fila.
El Capitán Viñas Ibarra se pasea por la fila lentamente: ¡ Dónde está Antonio Soto, carajo!
Mugrientos y callados esperan el final. No se sabe cuantos peones fueron ajusticiados. Tal vez, ‎simplemente tal vez.
Aquella estancia de La Anita se quedó con sus nombres frente al paisaje mas hermoso del mundo.‎

Facón Grande

El cielo de jaramillo, lo vio caer de rodillas
con cuatro fuegos y afuera, se regocija Varela
como pudiste creerle, lo de tehuelches fue grave
vale un soldado la muerte, de treinta, cuarenta o cincuenta

lo vieron morir de rodillas, no quiso verse caído
al cielo de jaramillo, la tierra pudo abrazarlo
a facón grande viviendo, por sus hermanos en nuestros sueños
pero andarás con tu nombre, del brazo de la justicia
te ha traicionado Varela, no pudo con tu bandera
la lucha no ha terminad, está tu facón en camino
pues tu corazón entrerriano, es de este sur
sigue vivo.‎

Marche Antonio Soto

Llevas en tus manos otra historia
el silencio de la gloria de los desconocidos
algún día romperás con la indiferencia
que el tiempo no ha perdido
algún día volverás
en el silbido del viento
sureño del 21
cuando todo era un sueño
de sudor y pan

Marchas todavía despertando la conciencia
desde abajo, desde el puerto y hasta el campo
no hay alambre que detenga, tu razón
de la pobreza, tu razón de la grandeza

marche, marche Antonio Soto,
por el sur a la cabeza
de los rotos militantes,
huelguistas a la fuerza

marche, marche Antonio Soto
con la luz de la otra historia
dónde no hay chapas de bronce
que deslumbren la memoria
siga, siga, Antonio Soto
en la columna van doscientos
van trescientos, van millones


[Texto nº 8]
Buenos Aires. Enero de 1923, un hombre espera en una esquina de la calle Fitz Roy. Todavía el ‎reloj no ha marcado las 8 de una mañana que promete incendiarse de sol.
Hoy es el día. Lo sabe Kurt Gustav Wilkens.
Lo espera paciente. Pensando en el sur. En los 1500 peones que ya no están y que nunca conoció. El ‎comandante Varela sale de su casa y camina por la vereda. Bs. As. Se estremece.‎

En la calle Fitz Roy

Se muere Varela, en esta mañana
El sol pica fuerte y parece este enero
Un juez implacable dictando sentencia

Se muere Varela en la calle Fitz Roy
Irónicamente en la calle Fitz Roy
Como un aire helado, profetizador

El viento del sur, memoria indeleble
Sabrá repartir, la nueva a la tierra
Para que la tierra le diga a Ramón,
Que ha muerto Varela,
Le cuente a Medina, a Pintos y a Leiva
Que ha muerto Varela, en la calle Fitz Roy

Un árbol lo mira, callado y testigo
No quiere abrazarlo, su sombra le niega
Un sol anarquista le enciende la cara


[Texto nº 9]
Las huelgas patagónicas campesinas de los años 20 han terminado.
En Santa Cruz un silencio recorre los campos y las calles.
En Río Gallegos y en Puerto Santa Cruz, la alta sociedad levantará su copa en honor a los ‎vencedores. En los banquetes se brindará por la patria y se cantará el himno nacional.
Aún así el paso del tiempo, sabio e incontrolable nos enseñará el camino...‎

Unidos

Amarás tu tierra,
cuando estés atento
al tiempo que te dio
el origen
amarás tu tierra,
cuando no haya sombras
en el horizonte, en tu mirada

hay un país de amor
en nuestros sueños
esperando tus manos, la semilla
germinando una nueva claridad
la historia enseñándonos el rumbo
para no equivocar mas el camino
por sobre todas las cosas unidos
la libertad es la única conciencia
de los pueblos que aman su bandera

inviata da Bernart - 8/4/2013 - 14:14



Patagonia rebelde

di h., da A noi piace…

‎Io non so se immenso sia un aggettivo appropriato per definire un libro, ma so, che il libro di ‎Osvaldo Bayer, Patagonia rebelde, lo è: immenso. Una storia nella storia. Il racconto di ‎un lungo sciopero insurrezionale che si concluse nella tragedia di 1500 operai rurali fucilati negli ‎anni ’20 dall’esercito argentino e sepolti nelle fosse comuni; e la storia dello stesso libro, ‎perseguitato, sequestrato, un libro che ha rischiato di scomparire per sempre negli anni ’70, come ‎avvenne per molti uomini e donne nell’Argentina della dittatura militare.‎

‎ Ma procediamo con ordine e con le presentazioni. Osvaldo Bayer è uno scrittore, sceneggiatore e ‎giornalista argentino. Si è dedicato alla storia sociale del suo paese riscattando dall’oblio storie ‎dimenticate di anarchici, gauchos ribelli, bandoleros e sognatori. “Senza di lui” scrisse ‎Osvaldo Soriano “sarebbe stato più facile dimenticare”. Nel 1974 Bayer fu condannato ‎a morte dall’Alleanza Anticomunista Argentina, la Tripla A, una banda di assassini ufficiali ‎comandati da Lopez Rega. Gli diedero 24 ore di tempo per abbandonare il paese.‎

Osvaldo decise di restare e con molto coraggio misto a incoscienza invitò i militari che lo avevano ‎condannato a morte a un dibattito pubblico presso la Facoltà di Filosofia. Non si presentò nessuno, ‎capì che era meglio sparire. Alcuni amici anarchici lo aiutarono a nascondersi. Lo ospitò un ‎anarchico vecchio stampo, che non comprava i giornali, non aveva la radio né la televisione, perché, ‎diceva: “qui non entrano le notizie della borghesia”. A suo modo un grande.‎

‎ Nel febbraio 1975 Osvaldo Bayer stanco della sua vita da recluso lasciò l’Argentina e si rifugiò in ‎Germania. Dopo pochi mesi abbandonò l’esilio tedesco illudendosi che le annunciate elezioni nel ‎suo paese portassero più democrazia e libertà, ma tre settimane dopo il suo ritorno a Buenos Aires ‎ci fu il golpe militare e per Osvaldo, a quel punto, l’unica scelta possibile fu quella di ritornare in ‎Europa.‎

Nel frattempo in Argentina Patagonia rebelde fu censurato, le copie sequestrate e ‎bruciate, l’editore che lo pubblicò fu costretto a rifugiarsi in Messico. Dalla Germania Bayer riuscì ‎a recuperare una copia del manoscritto e a farla pubblicare in Europa nel 1978. Soltanto nel 1983 ‎alla caduta della dittatura militare il libro sarà ristampato in Argentina. ‎

‎***‎

“Che cos’è la Patagonia del 1920? Semplificando si potrebbe dire che è una terra argentina ‎lavorata da peones cileni e sfruttata da un gruppo ristretto di latifondisti e commercianti. Ovvero, da ‎una parte quelli nati per obbedire e dall’altra quelli che sono diventati ricchi…”.‎


Da una parte la Sociedad Obrera che sindacalizza operai e lavoratori rurali; dall’altra la Liga del ‎Comercio y la Industria, la Sociedad Rural, la Liga Patriotica Argentina: padroni, latifondisti, ‎borghesi. Si fronteggiano in una terra immensa dagli spazi sconfinati, bellissima, sempre battuta dal ‎vento. Qui, in Patagonia, sindacalisti anarchici, arrivati da ogni parte d’Europa: Spagna, Russia, ‎Germania, Francia, Italia; si mettono alla guida di un’armata di operai, braccianti, servi, poveri, ‎sfruttati in modo disumano dai grandi latifondisti.‎

Si battono semplicemente per affermare “che un uomo vale più di un mulo”. Vogliono ‎qualcosa in più di quel salario miserabile che ricevono, pretendono addirittura più rispetto, e magari ‎che in una stanza di quattro metri non possano dormire più di tre uomini. Ma i padroni sono dei ‎duri, non cedono; allora parte un lungo sciopero, gli organizzatori a cavallo percorrono in lungo e in ‎largo la Patagonia, vogliono unificare le lotte, superare le divisioni di mestiere e di provenienza.‎

‎ Occupano le aziende, confiscano beni: scioperano gli operai dei moli, i braccianti e i contadini, i ‎camerieri degli alberghi. A questo punto i padroni sembrano disposti a trovare un accordo, ma alla ‎fine non accettano le richieste degli operai e rompono le trattative. I rapporti che in seguito saranno ‎inviati al Governatore parlano di sciopero rivoluzionario, si invoca l’intervento dell’esercito.‎

Il radicale Hipolito Yrigoyen, primo presidente argentino democraticamente eletto, decide di inviare ‎l’esercito a pacificare la zona. Incomincia l’inferno. Il tenente colonnello Varela a capo del 10° ‎reggimento di cavalleria giunto sui luoghi dello sciopero decreta la pena di morte e assume il ‎proprio incarico come una missione di guerra. Iniziano i primi scontri, i caduti si contano tra gli ‎operai: “Era l’11 o il 12 novembre. Le truppe si avvicinarono e aprirono un nutrito fuoco ‎contro il nostro accampamento. Non so quanti caddero in quei momenti di confusione terribile. Chi ‎rimase vivo fu fatto prigioniero. Quelli colpiti a morte, ma ancora vivi, furono finiti a colpi di ‎pistola o di sciabola”. Molti scioperanti si arrendono, saranno fucilati in massa.‎

Il 14 gennaio 1922 il capitano di fregata Dalmiro Saenz scrive al ministro della Marina: “Gli ‎estancieros desideravano vivamente che la rivolta fosse soffocata prima dell’inizio della tosatura, ‎con molte fucilazioni per imporre il terrore e poi far lavorare i propri contadini con salari più ‎bassi…”. I salari saranno ridotti di un terzo e per alcune categorie di lavoratori anche della ‎metà.‎

Ma c’è ancora un episodio di questa storia crudele che bisogna raccontare. Finita la mattanza i ‎militari vogliono divertirsi, da quando è iniziata la missione non hanno più visto una donna, ‎‎“neppure una cilena”, gli ufficiali informano le gestrici dei bordelli, che preparino le ‎ragazze. I soldati pensano ad una festa. Si sbagliano, sarà una battaglia: l’ultima, la perderanno.‎

A San Julian le puttane del casino si negano e la tenutaria afferma che non può obbligarle. Il ‎sottoufficiale e i coscritti lo prendono come un insulto all’uniforme patria…cercano di entrare nel ‎lupanare. Ma ecco che da lì escono cinque fanciulle con scope e randelli che li affrontano al grido di ‎‎“assassini!”, “schifosi!”, “con gli assassini non andiamo a letto!”. La parola “assassini” lascia i ‎soldati di ghiaccio, e sebbene facciano l’atto di mettere mano alle armi, in realtà cominciano a ‎retrocedere dinnanzi alla determinazione di quel gruppo di donne infuriate che lanciano ‎bastoni.‎

Si può vendere il proprio corpo per vivere, ma non si può vendere la dignità, le idee, i valori. Le ‎donne del postribolo “La Catalana” ci lasciano un grande insegnamento. Qualcuno direbbe che ‎sono solo delle puttane, ma l’esercito argentino ha dovuto abbassare la testa e ritirarsi di fronte alla ‎dignità di quelle donne. Il loro gesto, come un fiore, rimarrà per sempre sulle fosse comuni dei ‎fucilati.‎
Patagonia rebelde è pubblicato da elèuthera.

Bernart - 8/4/2013 - 15:55




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