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Lettera del brigante Tiburzi dal Paradiso

Dodi Moscati
Lingua: Italiano (Toscano)


Dodi Moscati


Anno vi scrissi, amici,
dal baratro infernale,
facendovi conoscere
che Tiburzi stava male.

Sarà quindici giorni
San Pietro co' un sorriso,
mi disse: Caro Tiburzi,
venite in Paradiso.

Credevo di star bene
o almen discretamente:
credete a me, che il povero
non gode proprio niente.

Essere onesti e poveri
nel mondo no! non vale:
si nasce in un tugurio,
si muore allo spedale.

E mentre un signoraccolo
nasce tra dei coltroni,
si gode a più non posso
in barba dei minchioni.

Chi ricco fu nel mondo
di qua trova ricetto,
tutti gli voglion bene,
da tutti vien protetto.

Chi chiese la limosina
vien messo in un cantone,
acclamano quel ricco
che lo rubò un milione.

Chi col sangue dei poveri
empì le proprie casse,
è ammesso al Paradiso
senza pagar le tasse.

Seguii il mio caro Pietro
giulivo e baldanzoso:
a guardia della porta
trovai un cipicchioso.

Mi venne il batticuore
mi cadde un luccicone;
appena ci fu aperto
entrammo in un salone.

Un uom con grand'occhiali
mi guardò tetro in viso;
sentite, cari amici,
che cosa è il Paradiso.

In primis et ante omnia
vi debbo rammentare
che i poveri coi ricchi
non posson conversare.

Si sta tutti a buglione
dai grandi ai più piccini,
vi sono di tutte razze
compresi i contadini.

Si pratican soltanto
i ricchi con i santi,
i preti e i beati
son sempre coi regnanti.

Vi son tante beate
e queste tutte astute,
che fanno gran baldoria
con preti e prostitute.

Si vede monachelle
con certi frataccioni,
scherzar senza riguardo
dandosi sculaccioni.

Un branco di bambini
in cuffia e bavaiola,
che hanno quasi tutti
sempre la cacaiola.

Credete, cari amici,
si sta meglio in galera
dal puzzo solamente
qui si muore di colera.



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